EPISODIO 1
IL GIOCO DELLA
MORTE
(PARTE V)
La barriera concessiva era
stata così potente da mandare in corto circuito il sistema elettrico di tutta
l’isola, ma per un qualche miracolo voluto dal cielo non vi erano stati né
morti né feriti gravi.
Della
squadra MAB l’unico un po’ provato era stato O’Brian, che trovandosi vicino ad
una finestra al momento della deflagrazione aveva subito uno shock magico
piuttosto serio, ma i paramedici, nel portarlo via assieme ad alcuni altri SWAT
feriti, avevano subito precisato che non si trattava di niente di serio.
Tuttavia,
la situazione si presentava comunque drammatica, e Derek e gli altri, tornati
in centrale, si erano immediatamente rimessi al lavoro, nella speranza di
scoprire quanto prima dove il professore avesse portato Helen.
«D’accordo,
la ringrazio» disse Jane riattaccando l’ennesima telefonata. «Niente da fare. Ferrazzani non è né all’università, né in nessun altro dei
luoghi che è solito frequentare.»
«Niente
anche da amici e conoscenti» disse Foch.
«Porti e
aeroporti sono sotto controllo, e la sua foto è su tutti i notiziari. Eppure,
ciò nonostante, fino adesso non c’è stata nessuna segnalazione. Sembra svanito
nel nulla.»
«Quello
sarà pure un mago, ma non esiste che possa scomparire» sbottò Derek.
«Controlliamo tutto. Telecamere stradali, passaggi ai caselli, ogni cosa! Se ha
lasciato Staten Island non può certo averlo fatto a
piedi!»
Furono
rapidamente recuperate le immagini delle telecamere piazzate su tutti i ponti
che collegavano Staten Island a New York e al New
Jersey, oltre a quelle degli imbarcaderi e persino delle piattaforme per i
dirigibili da turismo, ma neppure una intera unità di analisti sarebbe stata in
grado di analizzare quella gigantesca mole di immagini nelle poche ore che
Derek e i suoi sentivano di avere per poter salvare la loro collega.
«Il
primo cadavere è stato trovato a Brooklyn» ipotizzò ad un certo punto Foch. «Concentriamo le ricerche sul Ponte di Ferrazzano, e vediamo se ne veniamo a capo.»
Non era
granché come ipotesi, ma a quel punto ogni secondo era prezioso.
Prima ancora di poter
aprire gli occhi, nel momento in cui riprese i sensi Helen sentì di avere sopra
di sé una luce molto forte; ed infatti, come riuscì faticosamente a sollevare
le palpebre, dovette abbassarle quasi subito, accecata dal potente bagliore
della sfera globulare che volteggiava pulsante sopra di lei.
Il
tavolo su cui era distesa, nuda e coperta da un telo bianco, si trovava
all’interno di quella che sembrava una versione ancora più grande del cerchio
per incantesimi che aveva trovato nello scantinato del professore, a sua volta
collocato dentro una costruzione all’apparenza molto vecchia e compromessa,
simile ad un magazzino.
Pur
sapendo intimamente che era inutile provò ad alzarsi, accorgendosi però che,
fatta eccezione per il collo e la testa, il suo intero corpo era completamente
immobilizzato, di sicuro prigioniero di qualche incantesimo costrittivo.
Una
nuova luce, più fioca, la spinse a girare quindi gli occhi alla propria
sinistra, e ciò che vide la lasciò interdetta. Rinchiusa in una teca, come un
reperto, ed immersa interamente in una specie di liquido amniotico iridescente,
c’era una giovane ragazza dai tratti famigliari, il volto immobile e il
colorito ceruleo. Gli stessi tratti che, quasi senza sorpresa, vide riflessi
nel vetro del contenitore, ben diversi da quelli che era solita scorgere
all’interno di uno specchio.
«È quella
sua figlia, non è vero?» domandò sentendo un rumore di passi che si
avvicinavano
Pallido,
quasi camminando a fatica, il professor Ferrazzani
emerse dal buio tutto attorno, un grosso tomo in una mano ed un bisturi
scintillante nell’altra.
«Mai
entrare nella casa di un sospettato da soli. Non gliel’hanno insegnato
all’accademia, detective?»
«E
quella che abbiamo trovato ieri?»
«Solo
un’altra sosia. L’ultima. Il suo destino era comunque segnato. Aveva già
iniziato a mostrare i primi sintomi.»
«È a
questo che serviva il pentacolo a casa sua. A curarle quando iniziano a
rigettare.»
«Per
due, tre, anche cinque volte si può arginare il processo, ma alla lunga esso
diventa ingestibile»
Il
professore le girò attorno, quindi, raggiunto un vecchio tavolo arrugginito, vi
posò sopra il libro, prendendo a sfogliarlo e a consultarlo con molta
attenzione.
«Cosa è
successo alla prima vittima? Quella di Brooklyn?»
«Aveva
avuto un rigetto. Uno serio. Il pentacolo di casa mia non era sufficiente per
stabilizzarla. Ma sembrava recuperabile. Così ho provato a portarla qui, ma
prima che potessi fare qualcosa ha avuto un collasso definitivo, e poco dopo
aver completato l’estrazione l’energia residua l’ha tenuta in vita abbastanza a
lungo da poter scappare.»
«E non
ha fatto in tempo a recuperarla a causa dell’arrivo di quella pattuglia, dico
bene?»
Il
professore incuneò la testa tra le spalle, e restando in silenzio ricominciò a
sfogliare il suo libro.
Anche se il Ponte di Ferrazzano era dotato di telecamere lungo tutto il suo
percorso in entrambe le direzioni, non era facile localizzare una macchina o
una persona specifiche, soprattutto se la persona in questione aveva dimostrato
una tale abilità nel trasformismo.
Ma
intanto i secondi, i minuti, le ore correvano, e a distanza di molto tempo
dalla scomparsa della loro giovane collega Derek e il resto della squadra non
erano ancora riusciti a venire a capo di nulla.
«Continuate
a cercare!» continuava a ordinare Derek visionando a propria volta quintali di
filmati
«Quell’uomo
ha tutta la polizia di New York e del New Jersey sulle sue tracce, prima o poi
salterà fuori» provò a rassicurarlo Jane. «E di sicuro non può prendere né un
treno né un aereo.»
«Non credo
che voglia lasciare il Paese. Deve ancora completare il suo lavoro. E se non lo
troviamo prima che lo faccia, per Helen sarà la fine.»
Poi,
finalmente, la fortuna girò lo sguardo verso di loro.
«Ho
qualcosa!» strillò d’un tratto Foch, portando immediatamente
l’attenzione di tutti sul monitor.
L’immagine
che apparve sullo schermo ritraeva una macchina, un modello piuttosto costoso
oltretutto, a bordo della quale vi erano un uomo e una donna; i tratti
dell’uomo, seduto al posto di guida, erano assolutamente comuni, mentre quelli
della sia compagna, a malapena visibile e seduta sul sedile posteriore come
assopita, erano ormai riconoscibili solo ad un’occhiata.
«Devono
essere loro» disse Derek
«Sono
loro. In base alla targa, quella risulta essere la macchina di Helen.»
«Allora
sta davvero andando a Brooklyn» disse Jane. «Ma non sappiamo ancora dove.»
«Allertiamo
le pattuglie. Facciamo cercare quella macchina.»
«Forse
non sarà necessario» rispose il direttore uscendo tutto trafelato dal suo
ufficio. «Ho ricevuto una chiamata da un amico del catasto. Pare che il
professore otto mesi fa abbia acquistato un vecchio magazzino in disuso vicino
alla 3rd avenue a Brooklyn, sulla 20ma strada.
Deposito
in contanti.»
I tre
agenti si guardarono tra di loro.
«Vicino
al parco!» strillò Derek, correndo verso l’uscita senza neanche mettersi la
giacca
«Chiamo
la SWAT!» provò a dire Jane
«Non c’è
tempo, sbrighiamoci!»
Helen provò in più
occasioni a liberarsi, ma quell’incantesimo costrittivo era di una fattura a
dir poco sopraffina, e pur rendendosi conto della situazione disperata in cui
si trovava cercava in ogni modo di farsi venire in mente una possibile via di
fuga.
Una cosa
la sapeva. Doveva guadagnare tempo.
«Era davvero
una ragazza bellissima» disse allora volgendo nuovamente gli occhi verso la
ragazza rinchiusa nella teca
«Non era
solo bella» rispose Ferrazzani con la voce che
tremava. «Era anche intelligente ed educata.
Amava la
storia, la letteratura, lo sport. In diciotto anni, non aveva mai dato un solo
problema, o un motivo per doverla redarguire.
Era la
migliore figlia che un padre potesse desiderare. Diceva di voler seguire le mie
orme. Per questo si era iscritta alla scuola di magia, pur sapendo che la sua
natura di umana non le avrebbe mai permesso di ottenere la licenza di
stregoneria.
Ma non
le importava. Voleva apprendere la magia comunque. E io ero così fiero di lei.»
D’un
tratto, il professore serrò i pugni, e tutto il suo corpo prese a tremare.
«Ma poi,
poi è arrivato lui. E lei non è più stata la stessa.»
«Intente
Peter Walcott, non è vero?»
Il suo
silenzio fu la più eloquente delle risposte.
«Io
l’avevo avvisata. Le avevo detto di guardarsi da quel tipo. Ma per la prima
volta in vita sua, non mi ha voluta ascoltare.
Quel
maledetto l’ha trascinata in un mondo da cui avevo sempre cercato di tenerla
lontana, e da quel momento lei ha iniziato a cambiare.
Marinava
le lezioni, rientrava tardi la sera, e se provavo a rimproverarla lei mi
rispondeva in modo sprezzante.
Sono
arrivato al punto di riconoscerla più. Le ho provate tutte per riuscire a
tenerlo lontano, ma anche dopo esserci riuscito la sua influenza malefica ormai
non poteva più essere cancellate.
Ha idea
di quante volte io sia dovuto andare a prenderla in qualche stazione di
polizia?
È
successo anche quel giorno. Io ero all’università, così è andata mia moglie.
Stavano tornando, erano ad un incrocio, quando un ubriaco al volante…»
Dovette
fermarsi, perché le lacrime e la voce rotta dai singhiozzi non gli permettevano
di proseguire.
«Mi
dispiace. Ma non è stata colpa di Peter.»
«Non è
stata colpa sua? Quel maledetto ha distrutto la mia famiglia! Se non fosse
entrato nelle nostre vite, se non avesse trascinato Lucy nel suo mondo, niente
di tutto questo sarebbe mai accaduto! E mia figlia sarebbe ancora…»
«È per
questo che lo ha incastrato?»
«È il
minimo che si meritava. Io quel giorno sono morto tanto quanto mia moglie, e
ciò nonostante quel bastardo se ne andava in giro impunito come se niente
fosse! Ha persino tentato di rivederla!»
«Allora
chi era il ragazzo che abbiamo visto nei video?»
«Un
cadavere qualsiasi prelevato dalla sala autopsie dell’università. Finito il
lavoro, l’ho rimesso al suo posto» e qui il professore si lasciò quasi scappare
una risata. «Io l’ho sempre detto che ci volevano più controlli.»
«E poi
cosa è successo?»
Di
nuovo, Ferrazzani esitò, togliendosi un attimo gli
occhiali e nascondendo il viso dietro le mani.
«Secondo
i dottori, le speranze che Lucy potesse risvegliarsi erano davvero minime.
Ma io la
conoscevo, e sapevo che avrebbe lottato per sopravvivere.
Per
stare con lei ho lasciato tutto il resto. L’ho anche riportata a casa. Volevo
che, al risveglio, vedesse un luogo a lei famigliare.
Ma poi… poi, una sera…»
«È stata
male all’improvviso?»
«L’avevo
sorvegliata per tutto il giorno, e mi sono addormentato. Ero talmente stanco
che non ho sentito nemmeno l’allarme dei macchinari, e quando me ne sono
accorto lei era…»
Le
lacrime, più copiose di prima, interruppero nuovamente il racconto, e malgrado
tutto anche Helen sentì venire da dentro di sé un moto di tristezza nel
rendersi conto di come la vita avesse voluto infierire su quel brav’uomo.
«Non
deve rimproverarsi, professore. Lei ha fatto tutto quello che poteva.»
«Non era
abbastanza! Non esiste che un uomo debba seppellire sia la propria moglie che
la propria figlia! Non potevo accettarlo!
Ma se
non altro, non sono arrivato troppo tardi. Quando ho capito cosa stava
succedendo il corpo di Lucy era già morto.
Ma la
sua mente, la sua coscienza, la sua stessa anima…
quelle erano ancora lì. Sono riuscito a preservarle. In quell’involucro senza
vita, mia figlia viveva ancora.
Tutto
quello che dovevo fare era riuscire a rimettere in moto il suo corpo, ma per
quanti tentativi facessi tutti i miei esperimenti cadevano nel vuoto.
Così, ho
capito che se non potevo rianimare un corpo, potevo trasferire la mente di mia
figlia in quello di una persona ancora in vita, un procedimento assai meno
complicato e di più facile attuazione.
E
funzionò. Purtroppo, la durata di queste esistenze secondarie era limitata.»
«È
normale. Un corpo umano non possiede un potere abbastanza grande da sopportare
a lungo un processo così invasivo.»
«Ma ora
le cose sono diverse. La verità è che non ho mai smesso di sperimentare. Ad
ogni nuovo impianto la vita di mia figlia si è allungata, e nel frattempo ho
cercato di adattare il mio incantesimo perché funzionasse anche sul corpo di un
mago.
E ora,
con il suo aiuto, posso dare a mia figlia una vera, nuova vita. Il suo codice
genetico è molto forte, oltre che molto simile al suo.»
«Ha
ucciso tutte quelle ragazze e usato i loro corpi solo per allungare di qualche
mese la vita di sua figlia?»
«Ragazze?
Che tipo di ragazze? Drogate, disadattate, persino barbone. Gente che aveva la
possibilità di vivere una vera vita, e l’ha gettata via. Io ho dato loro, anche
se per poco tempo, un’esistenza che non si sarebbero mai potute sognare.
Ai loro
corpi, almeno.
Ma ne
sono certo. So che questa volta la mente di Lucy si adatterà perfettamente.
Potremo continuare come se nulla fosse mai accaduto. Ricominceremo daccapo, e
con il tempo tutto tornerà come prima.»
«Non
succederà, professore. E lei lo sa.» rispose, con tutta la semplicità del
mondo, la detective, stampando un’espressione attonita e sconcertata sul volto
di Ferrazzani
«Che
cosa!?»
«Lei più
di ogni altro dovrebbe saperlo. Non importa quanto ardentemente ci si provi, o
quanto sapere si possieda. I morti non tornano in vita.»
«Mia
figlia non è morta!» urlò il professore colpendola con un violento ceffone.
«Lei è qui! Qui con me! E sulla mia anima, qui rimarrà! Farò tutto quello che è
in mio potere per salvarla, dovessi vendere la mia anima al diavolo!»
Quindi,
da un istante all’altro, il suo volto e la sua espressione si fecero immobili,
di pietra, mentre qualunque traccia di umana emozione sembrava scomparire dai
suoi occhi.
«Lucy
tornerà. E stavolta, lo farà per sempre. E sarai tu a darle questa
possibilità.»
Procedendo a sirene
spiegate, e rischiando anche di fare qualche incidente, Derek e il resto della
squadra raggiunsero il più velocemente possibile il magazzino indicato dal
direttore, e già il fatto di aver notato la macchina di Helen malamente coperta
da un telo lungo il marciapiede dall’altro lato della strada diede a tutti la
certezza di aver fatto centro.
Sfortunatamente,
quando pistole alla mano i tre agenti provarono ad avvicinarsi all’edificio,
andarono a scontrarsi contro una specie di muro invisibile, che dopo averli
bloccati arrivò anche a rigettarli indietro, buttandoli a terra.
«Maledizione,
una barriera!» tuonò Derek tentando inutilmente di abbatterla a pugni
«Lasciate
fare a me!» disse Foch.
I suoi
colleghi, dandogli fiducia, si fecero da parte, ed il giovane agente,
inginocchiatosi davanti al muro, giunse le mani come in preghiera, chiudendo
gli occhi, mentre tutto il suo corpo andava avvolgendosi di un bagliore rosso
fuoco.
«Oppositum quod murum in mente est. Dispersio!»
A quel
punto, Foch non dovette fare altro che toccare la
barriera con un dito, e subito dopo questa, sotto gli occhi increduli di Jane e
Derek, si dissolse, scomparendo in un pulviscolo luminoso.
«Andiamo!».
All’interno, ormai era
tutto pronto.
D’un
tratto, il pentacolo magico iniziò a brillare, ed il professore, appoggiatosi
per un attimo sul tavolo come a sovrastare il tomo aperto sotto di sé, si volse
impassibile verso Helen, facendosi incontro a lei con il bisturi che
scintillava minaccioso nella sua mano. Anche il liquido nella teca si accese di
luce, mentre il corpo della vera Lucy tornava gradualmente ad assumere un
colorito più vivo.
«Basterà
una sola incisione. Poi, la mente e la coscienza di Lucy, viaggiando
all’interno del cerchio, entrerà nel tuo corpo, soppiantando velocemente la
coscienza originale.»
«Si
fermi, professore. Non è ancora troppo tardi. Può ancora impedire tutto
questo.»
«Gliel’ho
già detto. Io non ho intenzione di seppellire mia figlia.»
Detto
questo, prese ad avvicinarsi, sempre più minaccioso, quando all’improvviso il
portone del magazzino venne aperto violentemente, e Derek e i suoi compagni
fecero irruzione all’interno.
«Professor
Ferrazzani, MAB!» urlò il detective Norway puntandogli la pistola. «Getti subito quel bisturi!»
Colto di
sorpresa, il professore si bloccò, facendosi come di pietra, e forse anche per
questo il pentacolo magico sembrò perdere di efficacia, disperdendo buona parte
della sua luce.
«È
finita, professore!» lo ammonì Jane «Lasci quel bisturi ed esca dal pentacolo!
Subito!»
Ma Ferrazzani non parve determinato ad obbedire, seguitando a
restare immobile, l’espressione statica e la bocca socchiusa.
Giratosi
un attimo, volse gli occhi verso Derek, quasi a volerlo sfidare; quindi,
fulmineo, si portò sopra Helen, alzando il bisturi.
«Professore!»
urlò ancora Derek, anticipando tutti i suoi compagni nel prendere l’iniziativa.
Colpito
due volte, il professore cadde violentemente all’indietro, e a quel punto il
circolo magico si spense del tutto, mentre Helen riacquistava finalmente il
controllo del proprio corpo.
«Chiamate
un’ambulanza!» ordinò Derek vedendo i tratti alterati della sua nuova partner
«Sto
bene» li tranquillizzò lei.
Norway allora
provò a tastare il battito del professore, ma era chiaro che non c’era nulla da
fare.
«È
morto.»
Situato poco lontano dalla
sede dell’agenzia, il Montgomery’s Bar era il ritrovo
preferito di molti dei frequentatori abituali dell’edificio, ma anche dei
poliziotti della vicina stazione.
Anche
Helen vi si era recata spesso durante la gavetta in polizia, ma nessuno, a
cominciare dal proprietario Joe, ricordava di averla mai vista così abbattuta
come quella sera.
Era già
arrivata al suo terzo gin e tonic quando Derek, dopo
essere entrato ed averla scorta seduta al bancone, prese posto accanto a lei.
«Il solito»
ordinò.
Per
lungo tempo i due stettero in silenzio, almeno fin quando Joe non giunse a
portare a Derek il suo abituale doppio scotch, che tuttavia il detective esitò
a bere.
«Niente
male come primo caso» commentò, non senza un certo spirito, portandoselo
finalmente alla bocca. «I ragazzi della scientifica hanno trovato un complesso
sistema di approvvigionamento magico sotto il pavimento della fabbrica.
Probabilmente era quello a garantire un ricambio di energia costante al corpo
evitandone il disfacimento.»
«E ora
che cosa ne sarà di Lucy?» domandò la ragazza a capo chino
«Ho
parlato con il procuratore. Se si fosse dovuti andare al processo sarebbe stato
sicuramente un elemento di prova, ma visto com’è andata a finire è inutile
lasciarla rinchiusa lì dentro. Entro qualche giorno spegneranno tutto.»
A quel
punto, le labbra di Helen si piegarono in un sorriso quasi di rassegnazione.
«Forse
era quello che voleva. L’aveva detto che non avrebbe accettato di seppellire
sua figlia.»
Seguì un
nuovo silenzio, rotto solo dal tintinnare dei bicchieri sulla superficie di
legno.
«Un po’
capisco i sentimenti del professore, così come capisco Lucy. Quando si nasce in
determinate famiglie, tutti si aspettano un certo comportamento da parte tua, e
spesso chi si trova in queste situazioni non aspetta altro che di poter agire
diversamente, anche solo per poter provare a sé stesso di essere ancora in
grado di decidere autonomamente.
D’altra
parte però, deve essere brutto per un padre vedere la figlia di cui vai tanto
fiero inerpicarsi in una strada così pericolosa.»
«Non è
stata una bella esperienza, e posso assicurarti che non sarà l’ultima. La MAB
per tradizione si occupa di tutto ciò che trascende la concezione abituale di
normalità, e la magia di cui tutti vanno fieri noi spesso la vediamo per quello
che è realmente. Una forza che può assumere le forme più spaventose.»
«Credevo
di saperlo» sospirò lei. «Ma vederlo di persona è stato diverso» quindi lo
guardò, quasi a voler cercare un’ancora di salvezza. «Voi come fate? Come fate
a sopportare tutto questo?»
«Pensando
che ci sarà sempre un domani» le rispose lui. «Se dovessimo soffermarci su
tutto ciò che di orrendo e spaventoso il nostro lavoro ci mette davanti,
finiremmo tutti con l’impazzire. Anche se è difficile, devi avere la forza è la
volontà di voltare pagina. È così che si và avanti.»
Helen
portò allora nuovamente gli occhi sul suo bicchiere, stringendolo un po’ più
forte senza però dire nulla.