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Autore: Carlos Olivera    11/10/2015    1 recensioni
Mi chiamo Derek Norway.
Quando avevo 9 anni, il mondo in cui vivevo è cambito per sempre.
Era il 1979 quando due scienziati europei, i professori Ward e Brennon, con le loro ricerche rivoluzionarie portarono la magia dal mondo delle favole a quello della realtà, scoprendo il codice genetico che ne permetteva l'utilizzo.
In pochi anni la magia si è diffusa in tutto il mondo, e ora, al pari di una scienza, è diventata il motore che alimenta la nostra civiltà.
E' stato creato uno speciale corpo di polizia internazionale, allo scopo di regolamentare l'uso della magia e prevenirne l'utilizzo a fini criminali.
Io faccio parte di questa unità speciale.
Siamo il Magic Administration Bureau.
Noi siamo... la M.A.B.!
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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EPISODIO 1

IL GIOCO DELLA MORTE

(PARTE V)

 

 

La barriera concessiva era stata così potente da mandare in corto circuito il sistema elettrico di tutta l’isola, ma per un qualche miracolo voluto dal cielo non vi erano stati né morti né feriti gravi.

Della squadra MAB l’unico un po’ provato era stato O’Brian, che trovandosi vicino ad una finestra al momento della deflagrazione aveva subito uno shock magico piuttosto serio, ma i paramedici, nel portarlo via assieme ad alcuni altri SWAT feriti, avevano subito precisato che non si trattava di niente di serio.

Tuttavia, la situazione si presentava comunque drammatica, e Derek e gli altri, tornati in centrale, si erano immediatamente rimessi al lavoro, nella speranza di scoprire quanto prima dove il professore avesse portato Helen.

«D’accordo, la ringrazio» disse Jane riattaccando l’ennesima telefonata. «Niente da fare. Ferrazzani non è né all’università, né in nessun altro dei luoghi che è solito frequentare.»

«Niente anche da amici e conoscenti» disse Foch.

«Porti e aeroporti sono sotto controllo, e la sua foto è su tutti i notiziari. Eppure, ciò nonostante, fino adesso non c’è stata nessuna segnalazione. Sembra svanito nel nulla.»

«Quello sarà pure un mago, ma non esiste che possa scomparire» sbottò Derek. «Controlliamo tutto. Telecamere stradali, passaggi ai caselli, ogni cosa! Se ha lasciato Staten Island non può certo averlo fatto a piedi!»

Furono rapidamente recuperate le immagini delle telecamere piazzate su tutti i ponti che collegavano Staten Island a New York e al New Jersey, oltre a quelle degli imbarcaderi e persino delle piattaforme per i dirigibili da turismo, ma neppure una intera unità di analisti sarebbe stata in grado di analizzare quella gigantesca mole di immagini nelle poche ore che Derek e i suoi sentivano di avere per poter salvare la loro collega.

«Il primo cadavere è stato trovato a Brooklyn» ipotizzò ad un certo punto Foch. «Concentriamo le ricerche sul Ponte di Ferrazzano, e vediamo se ne veniamo a capo.»

Non era granché come ipotesi, ma a quel punto ogni secondo era prezioso.

 

Prima ancora di poter aprire gli occhi, nel momento in cui riprese i sensi Helen sentì di avere sopra di sé una luce molto forte; ed infatti, come riuscì faticosamente a sollevare le palpebre, dovette abbassarle quasi subito, accecata dal potente bagliore della sfera globulare che volteggiava pulsante sopra di lei.

Il tavolo su cui era distesa, nuda e coperta da un telo bianco, si trovava all’interno di quella che sembrava una versione ancora più grande del cerchio per incantesimi che aveva trovato nello scantinato del professore, a sua volta collocato dentro una costruzione all’apparenza molto vecchia e compromessa, simile ad un magazzino.

Pur sapendo intimamente che era inutile provò ad alzarsi, accorgendosi però che, fatta eccezione per il collo e la testa, il suo intero corpo era completamente immobilizzato, di sicuro prigioniero di qualche incantesimo costrittivo.

Una nuova luce, più fioca, la spinse a girare quindi gli occhi alla propria sinistra, e ciò che vide la lasciò interdetta. Rinchiusa in una teca, come un reperto, ed immersa interamente in una specie di liquido amniotico iridescente, c’era una giovane ragazza dai tratti famigliari, il volto immobile e il colorito ceruleo. Gli stessi tratti che, quasi senza sorpresa, vide riflessi nel vetro del contenitore, ben diversi da quelli che era solita scorgere all’interno di uno specchio.

«È quella sua figlia, non è vero?» domandò sentendo un rumore di passi che si avvicinavano

Pallido, quasi camminando a fatica, il professor Ferrazzani emerse dal buio tutto attorno, un grosso tomo in una mano ed un bisturi scintillante nell’altra.

«Mai entrare nella casa di un sospettato da soli. Non gliel’hanno insegnato all’accademia, detective?»

«E quella che abbiamo trovato ieri?»

«Solo un’altra sosia. L’ultima. Il suo destino era comunque segnato. Aveva già iniziato a mostrare i primi sintomi.»

«È a questo che serviva il pentacolo a casa sua. A curarle quando iniziano a rigettare.»

«Per due, tre, anche cinque volte si può arginare il processo, ma alla lunga esso diventa ingestibile»

Il professore le girò attorno, quindi, raggiunto un vecchio tavolo arrugginito, vi posò sopra il libro, prendendo a sfogliarlo e a consultarlo con molta attenzione.

«Cosa è successo alla prima vittima? Quella di Brooklyn?»

«Aveva avuto un rigetto. Uno serio. Il pentacolo di casa mia non era sufficiente per stabilizzarla. Ma sembrava recuperabile. Così ho provato a portarla qui, ma prima che potessi fare qualcosa ha avuto un collasso definitivo, e poco dopo aver completato l’estrazione l’energia residua l’ha tenuta in vita abbastanza a lungo da poter scappare.»

«E non ha fatto in tempo a recuperarla a causa dell’arrivo di quella pattuglia, dico bene?»

Il professore incuneò la testa tra le spalle, e restando in silenzio ricominciò a sfogliare il suo libro.

 

Anche se il Ponte di Ferrazzano era dotato di telecamere lungo tutto il suo percorso in entrambe le direzioni, non era facile localizzare una macchina o una persona specifiche, soprattutto se la persona in questione aveva dimostrato una tale abilità nel trasformismo.

Ma intanto i secondi, i minuti, le ore correvano, e a distanza di molto tempo dalla scomparsa della loro giovane collega Derek e il resto della squadra non erano ancora riusciti a venire a capo di nulla.

«Continuate a cercare!» continuava a ordinare Derek visionando a propria volta quintali di filmati

«Quell’uomo ha tutta la polizia di New York e del New Jersey sulle sue tracce, prima o poi salterà fuori» provò a rassicurarlo Jane. «E di sicuro non può prendere né un treno né un aereo.»

«Non credo che voglia lasciare il Paese. Deve ancora completare il suo lavoro. E se non lo troviamo prima che lo faccia, per Helen sarà la fine.»

Poi, finalmente, la fortuna girò lo sguardo verso di loro.

«Ho qualcosa!» strillò d’un tratto Foch, portando immediatamente l’attenzione di tutti sul monitor.

L’immagine che apparve sullo schermo ritraeva una macchina, un modello piuttosto costoso oltretutto, a bordo della quale vi erano un uomo e una donna; i tratti dell’uomo, seduto al posto di guida, erano assolutamente comuni, mentre quelli della sia compagna, a malapena visibile e seduta sul sedile posteriore come assopita, erano ormai riconoscibili solo ad un’occhiata.

«Devono essere loro» disse Derek

«Sono loro. In base alla targa, quella risulta essere la macchina di Helen.»

«Allora sta davvero andando a Brooklyn» disse Jane. «Ma non sappiamo ancora dove.»

«Allertiamo le pattuglie. Facciamo cercare quella macchina.»

«Forse non sarà necessario» rispose il direttore uscendo tutto trafelato dal suo ufficio. «Ho ricevuto una chiamata da un amico del catasto. Pare che il professore otto mesi fa abbia acquistato un vecchio magazzino in disuso vicino alla 3rd avenue a Brooklyn, sulla 20ma strada.

Deposito in contanti.»

I tre agenti si guardarono tra di loro.

«Vicino al parco!» strillò Derek, correndo verso l’uscita senza neanche mettersi la giacca

«Chiamo la SWAT!» provò a dire Jane

«Non c’è tempo, sbrighiamoci!»

 

Helen provò in più occasioni a liberarsi, ma quell’incantesimo costrittivo era di una fattura a dir poco sopraffina, e pur rendendosi conto della situazione disperata in cui si trovava cercava in ogni modo di farsi venire in mente una possibile via di fuga.

Una cosa la sapeva. Doveva guadagnare tempo.

«Era davvero una ragazza bellissima» disse allora volgendo nuovamente gli occhi verso la ragazza rinchiusa nella teca

«Non era solo bella» rispose Ferrazzani con la voce che tremava. «Era anche intelligente ed educata.

Amava la storia, la letteratura, lo sport. In diciotto anni, non aveva mai dato un solo problema, o un motivo per doverla redarguire.

Era la migliore figlia che un padre potesse desiderare. Diceva di voler seguire le mie orme. Per questo si era iscritta alla scuola di magia, pur sapendo che la sua natura di umana non le avrebbe mai permesso di ottenere la licenza di stregoneria.

Ma non le importava. Voleva apprendere la magia comunque. E io ero così fiero di lei.»

D’un tratto, il professore serrò i pugni, e tutto il suo corpo prese a tremare.

«Ma poi, poi è arrivato lui. E lei non è più stata la stessa.»

«Intente Peter Walcott, non è vero?»

Il suo silenzio fu la più eloquente delle risposte.

«Io l’avevo avvisata. Le avevo detto di guardarsi da quel tipo. Ma per la prima volta in vita sua, non mi ha voluta ascoltare.

Quel maledetto l’ha trascinata in un mondo da cui avevo sempre cercato di tenerla lontana, e da quel momento lei ha iniziato a cambiare.

Marinava le lezioni, rientrava tardi la sera, e se provavo a rimproverarla lei mi rispondeva in modo sprezzante.

Sono arrivato al punto di riconoscerla più. Le ho provate tutte per riuscire a tenerlo lontano, ma anche dopo esserci riuscito la sua influenza malefica ormai non poteva più essere cancellate.

Ha idea di quante volte io sia dovuto andare a prenderla in qualche stazione di polizia?

È successo anche quel giorno. Io ero all’università, così è andata mia moglie. Stavano tornando, erano ad un incrocio, quando un ubriaco al volante…»

Dovette fermarsi, perché le lacrime e la voce rotta dai singhiozzi non gli permettevano di proseguire.

«Mi dispiace. Ma non è stata colpa di Peter.»

«Non è stata colpa sua? Quel maledetto ha distrutto la mia famiglia! Se non fosse entrato nelle nostre vite, se non avesse trascinato Lucy nel suo mondo, niente di tutto questo sarebbe mai accaduto! E mia figlia sarebbe ancora…»

«È per questo che lo ha incastrato?»

«È il minimo che si meritava. Io quel giorno sono morto tanto quanto mia moglie, e ciò nonostante quel bastardo se ne andava in giro impunito come se niente fosse! Ha persino tentato di rivederla!»

«Allora chi era il ragazzo che abbiamo visto nei video?»

«Un cadavere qualsiasi prelevato dalla sala autopsie dell’università. Finito il lavoro, l’ho rimesso al suo posto» e qui il professore si lasciò quasi scappare una risata. «Io l’ho sempre detto che ci volevano più controlli.»

«E poi cosa è successo?»

Di nuovo, Ferrazzani esitò, togliendosi un attimo gli occhiali e nascondendo il viso dietro le mani.

«Secondo i dottori, le speranze che Lucy potesse risvegliarsi erano davvero minime.

Ma io la conoscevo, e sapevo che avrebbe lottato per sopravvivere.

Per stare con lei ho lasciato tutto il resto. L’ho anche riportata a casa. Volevo che, al risveglio, vedesse un luogo a lei famigliare.

Ma poi… poi, una sera…»

«È stata male all’improvviso?»

«L’avevo sorvegliata per tutto il giorno, e mi sono addormentato. Ero talmente stanco che non ho sentito nemmeno l’allarme dei macchinari, e quando me ne sono accorto lei era…»

Le lacrime, più copiose di prima, interruppero nuovamente il racconto, e malgrado tutto anche Helen sentì venire da dentro di sé un moto di tristezza nel rendersi conto di come la vita avesse voluto infierire su quel brav’uomo.

«Non deve rimproverarsi, professore. Lei ha fatto tutto quello che poteva.»

«Non era abbastanza! Non esiste che un uomo debba seppellire sia la propria moglie che la propria figlia! Non potevo accettarlo!

Ma se non altro, non sono arrivato troppo tardi. Quando ho capito cosa stava succedendo il corpo di Lucy era già morto.

Ma la sua mente, la sua coscienza, la sua stessa anima… quelle erano ancora lì. Sono riuscito a preservarle. In quell’involucro senza vita, mia figlia viveva ancora.

Tutto quello che dovevo fare era riuscire a rimettere in moto il suo corpo, ma per quanti tentativi facessi tutti i miei esperimenti cadevano nel vuoto.

Così, ho capito che se non potevo rianimare un corpo, potevo trasferire la mente di mia figlia in quello di una persona ancora in vita, un procedimento assai meno complicato e di più facile attuazione.

E funzionò. Purtroppo, la durata di queste esistenze secondarie era limitata.»

«È normale. Un corpo umano non possiede un potere abbastanza grande da sopportare a lungo un processo così invasivo.»

«Ma ora le cose sono diverse. La verità è che non ho mai smesso di sperimentare. Ad ogni nuovo impianto la vita di mia figlia si è allungata, e nel frattempo ho cercato di adattare il mio incantesimo perché funzionasse anche sul corpo di un mago.

E ora, con il suo aiuto, posso dare a mia figlia una vera, nuova vita. Il suo codice genetico è molto forte, oltre che molto simile al suo.»

«Ha ucciso tutte quelle ragazze e usato i loro corpi solo per allungare di qualche mese la vita di sua figlia?»

«Ragazze? Che tipo di ragazze? Drogate, disadattate, persino barbone. Gente che aveva la possibilità di vivere una vera vita, e l’ha gettata via. Io ho dato loro, anche se per poco tempo, un’esistenza che non si sarebbero mai potute sognare.

Ai loro corpi, almeno.

Ma ne sono certo. So che questa volta la mente di Lucy si adatterà perfettamente. Potremo continuare come se nulla fosse mai accaduto. Ricominceremo daccapo, e con il tempo tutto tornerà come prima.»

«Non succederà, professore. E lei lo sa.» rispose, con tutta la semplicità del mondo, la detective, stampando un’espressione attonita e sconcertata sul volto di Ferrazzani

«Che cosa!?»

«Lei più di ogni altro dovrebbe saperlo. Non importa quanto ardentemente ci si provi, o quanto sapere si possieda. I morti non tornano in vita.»

«Mia figlia non è morta!» urlò il professore colpendola con un violento ceffone. «Lei è qui! Qui con me! E sulla mia anima, qui rimarrà! Farò tutto quello che è in mio potere per salvarla, dovessi vendere la mia anima al diavolo!»

Quindi, da un istante all’altro, il suo volto e la sua espressione si fecero immobili, di pietra, mentre qualunque traccia di umana emozione sembrava scomparire dai suoi occhi.

«Lucy tornerà. E stavolta, lo farà per sempre. E sarai tu a darle questa possibilità.»

 

Procedendo a sirene spiegate, e rischiando anche di fare qualche incidente, Derek e il resto della squadra raggiunsero il più velocemente possibile il magazzino indicato dal direttore, e già il fatto di aver notato la macchina di Helen malamente coperta da un telo lungo il marciapiede dall’altro lato della strada diede a tutti la certezza di aver fatto centro.

Sfortunatamente, quando pistole alla mano i tre agenti provarono ad avvicinarsi all’edificio, andarono a scontrarsi contro una specie di muro invisibile, che dopo averli bloccati arrivò anche a rigettarli indietro, buttandoli a terra.

«Maledizione, una barriera!» tuonò Derek tentando inutilmente di abbatterla a pugni

«Lasciate fare a me!» disse Foch.

I suoi colleghi, dandogli fiducia, si fecero da parte, ed il giovane agente, inginocchiatosi davanti al muro, giunse le mani come in preghiera, chiudendo gli occhi, mentre tutto il suo corpo andava avvolgendosi di un bagliore rosso fuoco.

«Oppositum quod murum in mente est. Dispersio

A quel punto, Foch non dovette fare altro che toccare la barriera con un dito, e subito dopo questa, sotto gli occhi increduli di Jane e Derek, si dissolse, scomparendo in un pulviscolo luminoso.

«Andiamo!».

 

All’interno, ormai era tutto pronto.

D’un tratto, il pentacolo magico iniziò a brillare, ed il professore, appoggiatosi per un attimo sul tavolo come a sovrastare il tomo aperto sotto di sé, si volse impassibile verso Helen, facendosi incontro a lei con il bisturi che scintillava minaccioso nella sua mano. Anche il liquido nella teca si accese di luce, mentre il corpo della vera Lucy tornava gradualmente ad assumere un colorito più vivo.

«Basterà una sola incisione. Poi, la mente e la coscienza di Lucy, viaggiando all’interno del cerchio, entrerà nel tuo corpo, soppiantando velocemente la coscienza originale.»

«Si fermi, professore. Non è ancora troppo tardi. Può ancora impedire tutto questo.»

«Gliel’ho già detto. Io non ho intenzione di seppellire mia figlia.»

Detto questo, prese ad avvicinarsi, sempre più minaccioso, quando all’improvviso il portone del magazzino venne aperto violentemente, e Derek e i suoi compagni fecero irruzione all’interno.

«Professor Ferrazzani, MAB!» urlò il detective Norway puntandogli la pistola. «Getti subito quel bisturi!»

Colto di sorpresa, il professore si bloccò, facendosi come di pietra, e forse anche per questo il pentacolo magico sembrò perdere di efficacia, disperdendo buona parte della sua luce.

«È finita, professore!» lo ammonì Jane «Lasci quel bisturi ed esca dal pentacolo! Subito!»

Ma Ferrazzani non parve determinato ad obbedire, seguitando a restare immobile, l’espressione statica e la bocca socchiusa.

Giratosi un attimo, volse gli occhi verso Derek, quasi a volerlo sfidare; quindi, fulmineo, si portò sopra Helen, alzando il bisturi.

«Professore!» urlò ancora Derek, anticipando tutti i suoi compagni nel prendere l’iniziativa.

Colpito due volte, il professore cadde violentemente all’indietro, e a quel punto il circolo magico si spense del tutto, mentre Helen riacquistava finalmente il controllo del proprio corpo.

«Chiamate un’ambulanza!» ordinò Derek vedendo i tratti alterati della sua nuova partner

«Sto bene» li tranquillizzò lei.

Norway allora provò a tastare il battito del professore, ma era chiaro che non c’era nulla da fare.

«È morto.»

 

Situato poco lontano dalla sede dell’agenzia, il Montgomery’s Bar era il ritrovo preferito di molti dei frequentatori abituali dell’edificio, ma anche dei poliziotti della vicina stazione.

Anche Helen vi si era recata spesso durante la gavetta in polizia, ma nessuno, a cominciare dal proprietario Joe, ricordava di averla mai vista così abbattuta come quella sera.

Era già arrivata al suo terzo gin e tonic quando Derek, dopo essere entrato ed averla scorta seduta al bancone, prese posto accanto a lei.

«Il solito» ordinò.

Per lungo tempo i due stettero in silenzio, almeno fin quando Joe non giunse a portare a Derek il suo abituale doppio scotch, che tuttavia il detective esitò a bere.

«Niente male come primo caso» commentò, non senza un certo spirito, portandoselo finalmente alla bocca. «I ragazzi della scientifica hanno trovato un complesso sistema di approvvigionamento magico sotto il pavimento della fabbrica. Probabilmente era quello a garantire un ricambio di energia costante al corpo evitandone il disfacimento.»

«E ora che cosa ne sarà di Lucy?» domandò la ragazza a capo chino

«Ho parlato con il procuratore. Se si fosse dovuti andare al processo sarebbe stato sicuramente un elemento di prova, ma visto com’è andata a finire è inutile lasciarla rinchiusa lì dentro. Entro qualche giorno spegneranno tutto.»

A quel punto, le labbra di Helen si piegarono in un sorriso quasi di rassegnazione.

«Forse era quello che voleva. L’aveva detto che non avrebbe accettato di seppellire sua figlia.»

Seguì un nuovo silenzio, rotto solo dal tintinnare dei bicchieri sulla superficie di legno.

«Un po’ capisco i sentimenti del professore, così come capisco Lucy. Quando si nasce in determinate famiglie, tutti si aspettano un certo comportamento da parte tua, e spesso chi si trova in queste situazioni non aspetta altro che di poter agire diversamente, anche solo per poter provare a sé stesso di essere ancora in grado di decidere autonomamente.

D’altra parte però, deve essere brutto per un padre vedere la figlia di cui vai tanto fiero inerpicarsi in una strada così pericolosa.»

«Non è stata una bella esperienza, e posso assicurarti che non sarà l’ultima. La MAB per tradizione si occupa di tutto ciò che trascende la concezione abituale di normalità, e la magia di cui tutti vanno fieri noi spesso la vediamo per quello che è realmente. Una forza che può assumere le forme più spaventose.»

«Credevo di saperlo» sospirò lei. «Ma vederlo di persona è stato diverso» quindi lo guardò, quasi a voler cercare un’ancora di salvezza. «Voi come fate? Come fate a sopportare tutto questo?»

«Pensando che ci sarà sempre un domani» le rispose lui. «Se dovessimo soffermarci su tutto ciò che di orrendo e spaventoso il nostro lavoro ci mette davanti, finiremmo tutti con l’impazzire. Anche se è difficile, devi avere la forza è la volontà di voltare pagina. È così che si và avanti.»

Helen portò allora nuovamente gli occhi sul suo bicchiere, stringendolo un po’ più forte senza però dire nulla.

 

  
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