Primo capitolo – Second Time
Era ormai diventata
un’abitudine scendere al pronto soccorso a una certa ora del giorno. A volte
era per cercare un nuovo paziente, altre per soddisfare un’insana curiosità,
altre ancora per disturbare chiunque gli capitasse a tiro, ma sempre più spesso
era per poterla osservare nel suo nuovo ambiente. Chiamarlo nuovo era un
eufemismo, lei era lì da più di un anno e mezzo e quindi non lo era più da un
pezzo, ma rispetto ai tre anni e mezzo passati al secondo piano, quel lasso di
tempo sembrava appena il volo di una farfalla, per ora.
Lei non lo notava,
anche se era più probabile che avesse scelto di ignorarlo di proposito e questo
lo stimolava nella sua ricerca del perché. Lei sembrava aver sviluppato
un’indipendenza e un’autonomia fuori dal comune eppure House sentiva che c’era
qualcosa di sbagliato in tutto questo, primo fra tutti la sua ostinazione a
voler mantenere le distanze, cosa che in passato non era mai avvenuto, almeno
non così platealmente.
“Mi stai evitando!”
– Gli disse lui affrontandola a viso aperto e senza avere alle spalle un
dialogo che potesse giustificare tale frase.
“Cosa?” – Alzando
gli occhi dall’ennesima cartella che stava compilando.
“Ho detto che mi
stai evitando.” – Con fare deciso e poco incline a lasciar correre.
“Non so di cosa
stai parlando.” – Mentre spostava una ciocca di capelli dietro all’orecchio
destro.
“Ti stai toccando
i capelli, sei nervosa.” – Ribatté lui sempre più risoluto, forte della sua
sempre veritiera interpretazione del linguaggio del corpo.
Lei lo fissò
con’espressione contrita. – “Adesso non posso più nemmeno sistemarmi una ciocca
di capelli che mi da fastidio?”
“Non ti dava
fastidio prima di parlare con me.” – Battendo sull’incudine con la perseveranza
di Thor.
Lei accasciò le
spalle. – “Hai ragione House, il mondo gira attorno a te. Io sono assolutamente
imbarazzata dalla tua presenza e sto facendo di tutto per evitarti.” – Mentre
buttava gli occhi al cielo manifestando tutta la sua frustrazione per
quell’inutile conversazione.
Lui giocò un poco
con il suo bastone, non riusciva più a tenere testa a una Cameron così o per
riuscirvi doveva umiliarla nei peggiori dei modi.
Lei raccolse le
sue cartelle, ne fece un mucchio ordinato e con quelle si diresse in un’altra
stanza.
“Dove vai?” –
Cercando di starle dietro con il suo miglior passo claudicante.
Lei si fermò un
attimo per osservarlo. – “Vado ad archiviare le cartelle dell’ultima settimana,
cosa che ogni tanto dovresti fare anche tu.” – Riprendendo la propria strada.
Lui la seguì, non
soddisfatto delle risposte che aveva avuto. – “Potresti farlo tu, anche
l’ultima volta hai fatto un ottimo lavoro.” – Mentre un sorriso arrogantemente
provocante gli si disegnava in volto.
Lei sbuffò un poco
e ignorandolo iniziò ad archiviare i faldoni che aveva portato con sé. –
“Dovresti convincere Cuddy ad assumerti una segretaria.” – Lei si voltò di
scatto verso di lui. – “Non io però.” – Precisò, anticipando la sua prossima
mossa.
Il piccolo
archivio del pronto soccorso era immerso nella penombra e nel silenzio. Lui si
avvicinò a lei strofinandosi il volto, sembrava che dovesse farle un discorso
importante. – “Non ti manco giusto?”
Lei non comprese
le sue intenzioni e quindi si limitò ad annuire in silenzio.
“Ma ti manca il
lavoro che facevi in diagnostica.” – Come se stesse riepilogando i fatti di cui
era a conoscenza.
Lei annuì nuovamente,
ma non riusciva a seguire il ragionamento dell’uomo che aveva davanti.
“Se tornassi
avresti ancora il tuo posto e magari riavresti i tuoi vecchi privilegi, come
fare il caffè e sistemare posta e mail.” – Lui ridusse ancora gli spazi tra
loro. – “So che adori ficcanasare nei miei cassetti.” – Ricordando con un
sorriso sghembo il fatto che lei sapesse dove teneva i porno.
Lei fece un
impercettibile passo indietro, ma lo schedario le impedì di farne ancora. – “In
realtà sei tu quello cui piace intromettersi negli affari degli altri. Io ho un
concetto piuttosto elevato di privacy che tu ovviamente non sembri possedere.”
Lui sorrise un
poco, lei aveva ragione perfino ora. Ridusse maggiormente lo spazio, non sapeva
esattamente che cosa aveva intenzione di fare, ma una soluzione estrema gli si
stava delineando nella mente.
Lei spalancò gli
occhi quando comprese che non aveva via d’uscita. – “Che cosa stai facendo
House?”
Lui le chiuse come
in una morsa il mento, mentre con la mano del bastone le afferrò un fianco e
dal suo metro e novanta si chinò su di lei. – “Prendo esempio da te.” –
Sussurrò un poco.
Il caldo respirò
la investì in pieno e dei brividi le si diffusero in tutto il corpo.
Quando le labbra
di lui arrivarono su quelle di lei il tempo rallentò la sua corsa. Ogni cellula
epiteliale registrò quel contatto che sembrava divenire sempre più profondo e
intenso. Quando la lingua di lui le sfiorò le labbra, senza rendersene conto Allison
si ritrovò ad aprire le labbra per ospitarlo perpetuamente dentro di sé.
Irrazionalmente Cameron si ritrovò a cingergli la vita e a trarlo più vicino,
aveva bisogno del suo calore, e la sua mente si rifiutò di elaborare qualsiasi
concetto che non fosse il bisogno immediato di averlo.
Lui aveva fatto
scivolare una mano sulla nuca della donna e, senza troppa gentilezza, si spinse
ancora più in profondità.
Entrambi sembravano
voler finire dentro l’altro. Il bacio si fece via via sempre più intenso fino a
quando il bisogno di ossigeno li costrinse a staccarsi.
Si fissarono negli
occhi come due pugili prima del prossimo mach, mentre pesantemente cercavano di
incamerare aria.
Cameron lo fissò
con gli occhi spalancanti ed ebbe bisogno di qualche secondo per comprendere cosa
fosse successo e, anche allora, la sua mente sembrò rallentata. Provò a dargli
uno schiaffo, ma lui anticipò questa sua mossa bloccandole il polso con un rapido
movimento della mano sinistra.
“Ah-Ah! Non si fa
così!” – Mentre un sorriso malvagio gli disegnava in volto, sapeva di essere in
vantaggio e non voleva cedere di un millimetro. – “Tu hai risposto! Non
negare!”
L’espressione di
Cameron fu di puro terrore, solamente in quell’istante si rese realmente conto
di ciò che era successo tra di loro e per un istante tornò a essere la bambina
ingenua e indifesa dei primi tempi in cui aveva lavorato per lui.
Sbatte le palpebre
più volte fino a quando una frase, apparsa chissà da dove, sembrò l’ideale per trarla
d’impaccio dal pasticcio in cui si era cacciata. – “Volevo che sapessi che cosa
si prova quando ci si prende gioco di qualcuno.” – Con la sua migliore aria da
donna vissuta.
Lui socchiuse un
poco gli occhi, come per osservarla meglio. – “Si certo! Ed io sono Babbo
Natale.”
Lei cercò di
spostarsi per riprendere il controllo della situazione, ma lui le afferrò entrambi
i polsi bloccandola nuovamente contro l’archivio. – “Non si può fare in due lo
stesso gioco.” – Le sussurrò in un orecchio, sfiorandole la pelle con le
labbra. – “A preso dottoressa Cameron.” – Mentre il suo respiro arrivava sulle
labbra di lei.
Lui se ne andò lasciandola
sola con ancora le braccia sopra la testa. Lentamente i rumori tornarono a
raggiungere le sue orecchie e pian piano abbassò le braccia. Socchiuse per un
attimo gli occhi e ricordò le labbra di lui sulle proprie.
Seguendo l’istinto
si toccò le labbra.
Lui era riuscito
nuovamente a sconvolgerla e gli erano bastati meno di cinque minuti.
-------------
--- fine primo capitolo ---