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Autore: Odinforce    12/10/2015    3 recensioni
La maledizione che lo aveva afflitto per anni era ormai svanita. Era trascorso più di un anno, ma Ranma sorrideva ancora compiaciuto ogni volta che si bagnava con l’acqua fredda senza subire alcuna trasformazione. Si sentiva felice come non mai, alla pari di un uomo che aveva sconfitto una malattia mortale, libero di assaporare tutte le piccole cose straordinarie che la vita ha da offrire.
Genere: Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un momento per sognare, un momento per scegliere.
 
« Ciao, non sono in casa, lasciate un messaggio. Beep! »
« Ciao, Rose... sono io, Ranma. Ecco, io... ho riflettuto a lungo e ho preso una decisione. Devo... uhm, dobbiamo parlare... ecco, voglio raccontarti tutto. Chiamami appena senti questo messaggio... o raggiungimi, se puoi; adesso sono a casa... ti aspetto qui, ok? Ti voglio bene. »
Ranma sospirò. Non si aspettava di dover lasciare un messaggio in segreteria telefonica... chissà quanto tempo avrebbe impiegato Rose per leggerlo e decidere cosa fare. Di ritorno dall’ospedale dopo aver parlato con Ryoga, il ragazzo era deciso più che mai a vuotare il sacco con lei, a dirle tutto sul suo passato. Ora sapeva cosa doveva fare... ma per il momento era costretto ad aspettare, e si abbandonò afflitto sul tappeto.
L’attesa, fortunatamente, fu breve. Il telefono squillò appena dieci minuti dopo; Ranma si alzò di scatto e afferrò la cornetta, come se fosse la sua preda... e la voce che si aspettava di sentire parlò con sua somma gioia dall’altra parte.
« D’accordo, Ranma, vengo subito da te. A tra poco. »
Una risposta breve, ma il tono usato da Rose non rifletteva tristezza. Ciò rassicurò Ranma, dato che temeva reazioni soprattutto negative dalla storia che le avrebbe raccontato di lì a poco. Cercando di non pensarci, si occupò di recuperare l’“occorrente”: una scatola impolverata in fondo al ripostiglio, rimasta chiusa per un anno e mezzo. La prese con cautela e la portò in soggiorno, posandola sul tavolino: il suo contenuto lo avrebbe aiutato nel compito che non esitava più a svolgere.
Non restava che aspettare.
Ranma guardò fuori dalla finestra. Aveva ricominciato a piovere, più forte di prima: anche se era solo il primo pomeriggio, all’esterno faceva così buio da sembrare che fosse sera. Il ragazzo si chiese se questo avrebbe impedito a Rose di venire, ma si rispose subito: era certo che una cosuccia  come un temporale non l’avrebbe mai fermata, pur di mettere le cose in chiaro con una persona molto importante.
Poi, circa quarantacinque minuti dopo, il campanello suonò. Sollevato, Ranma andò subito ad aprire: sulla soglia scorse una figura avvolta in un soprabito bianco con il cappuccio, zuppo per la pioggia; il ragazzo sgranò gli occhi per lo stupore e rimase immobile.
« Ramma? »
Il viso perplesso di Rose apparve da sotto il cappuccio, mentre se lo sfilava. Ranma si rilassò quasi subito, non appena la riconobbe.
« Va tutto bene? »
« Ah... sì, certo, Rose... per un attimo mi è sembrato... ah, non importa. »
Si fece da parte, invitando Rose a entrare. Mentre la ragazza si sfilava il soprabito per appenderlo alla parete, Ranma ripensò per un attimo a quella strana sensazione: era come se quell’indumento avesse un significato per lui, ma non riusciva a ricordare. Come se avesse dimenticato qualcosa di importante... o qualcuno.
« Tutto bene, Rose? » le domandò quando lei si voltò a guardarlo. « Scusami se ti ho chiamata così all’improvviso, spero di non averti distolta da altri impegni. »
« No, figurati » rispose Rose con leggerezza. « Anzi, a dire la verità, aspettavo proprio che mi chiamassi. Immagino che questo possa sembrare un po’... sfacciato, o peggio. »
Ranma scosse la testa. All’improvviso calò il silenzio, uno di quelli che non mettevano in una bella situazione agiata. Fu come se si fosse perso il motivo dell'incontro e non ricordasse più cosa volesse dire o chiedere a Rose, o meglio, non sapesse più quali parole mettere insieme per iniziare il discorso. Sguardi, silenzio e scarsi tentativi di romperlo... per un po’ andarono avanti in questo modo, cercando o aspettando come un segnale che desse loro l’occasione per iniziare apertamente un dialogo.
« Non dimenticare mai chi sei, né chi sei stato. E non dimenticarti di noi. »
Le parole di Ryoga risuonarono nella sua testa, provvidenziali come la campanella di fine giornata a scuola. Ranma si schiarì dunque la gola e invitò Rose ad accomodarsi sul divano in salotto; si sedette davanti a lei, prendendo di nuovo tra le mani la scatola che aveva preso prima.
« Ho deciso di raccontarti tutto, Rose » disse il ragazzo con decisione. « Da dove sono venuto, che cosa ho fatto... ma soprattutto, quello che mi è accaduto. Avevi ragione su di me, quando hai detto di aver saputo fin dall’inizio che avevo qualcosa di speciale... di diverso. Ma il mio talento nelle arti marziali non ha nulla a che fare con questo: una maledizione che mi ha afflitto per anni, prima di venire a vivere qui... »
Ranma iniziò a raccontare, aprendo nel frattempo la scatola. Essa conteneva un gran numero di fotografie, risalenti all’intero periodo vissuto nel quartiere di Nerima: momenti ed episodi avvenuti durante i giorni della maledizione, capitoli sparsi di una storia a cui era riuscito a porre fine... a seppellire, fino a quel momento cruciale. Rose rimase in silenzio, quasi impassibile, mentre il suo amato le raccontava di come una sorgente maledetta lo avesse trasformato in una ragazza dai capelli rossi. Anche una come lei stentava a credere a una storia del genere, ma Ranma aveva ancora prove tangibili per dimostrarla.
« Questa ero io » disse il ragazzo, mostrandole alcune foto in cui appariva in forma femminile. « Ogni volta che mi bagnavo con l’acqua fretta, assumevo questo aspetto... come puoi vedere, ti assomigliavo parecchio. »
Rose rimase senza parole mentre osservava quelle foto. Non poteva negare la sua straordinaria somiglianza con quella persona, ora seduta davanti a lei nella sua vera forma. In quel momento riuscì a spiegarsi l’incredulità di Ranma nei primi giorni in cui si erano conosciuti, ogni volta che la guardava... come se avesse visto un fantasma o roba simile.
« Non ero l’unico ad essere afflitto dalla maledizione » riprese Ranma; « c’erano anche mio padre » e lo indicò in altre foto, sia come umano che come panda, « e altri... amici, conoscenti, ma soprattutto avversari. Dal giorno in cui sono caduto in quella pozza ho cominciato a vivere in un nuovo mondo, dove stranezze e scontri erano più frequenti di uno sciopero dei mezzi pubblici. Per non parlare del mio fidanzamento combinato... »
A quel punto iniziò a parlare di Akane, ritratta in un’unica fotografia: Rose poteva vedere il suo dolce sorriso immortalato in essa, circondata da alberi di ciliegio in fiore. Ranma non riuscì a dire molto su di lei, ma da quel poco che Rose udì dalle sue labbra poté immaginare quanto i due fossero legati. Sentimenti e occasioni soppressi da un’infinità di guai, come dichiarato da lui stesso: era sempre stato convinto che le cose sarebbero state migliori tra lui e Akane, se non fosse stato afflitto dalla maledizione.
« Ho vissuto così per due anni interi » disse infine, « ma ne sono uscito, grazie al cielo Ho spezzato la maledizione un anno e mezzo fa, con l’aiuto di uno sconosciuto... costui mi ha convinto a partire, a lasciarmi tutto alle spalle per ottenere ciò che volevo davvero. »
S’interruppe per un attimo, rivolgendo lo sguardo sull’attaccapanni all’ingresso dove era appeso il soprabito di Rose. Fu assalito di nuovo da una strana sensazione, come se dovesse fare attenzione a ciò che faceva... da ora in avanti.
La voce di Rose lo richiamò all’attenzione.
« Tu cercavi quello che cercano un po’ tutti, a questo mondo... una vita felice » disse seria. « Ne avevamo parlato la prima sera da Leandro’s, ti ricordi? »
Ranma annuì.
« Heh... certo che è incredibile » proseguì la ragazza. « Dopo tutto quello che mi hai appena raccontato, tutto quello che riesco a fare è ricordare quella sera che abbiamo passato insieme. Oh certo, la tua storia va ben oltre quello che finora mi ero immaginata su di te, e sono certa che chiunque altro in questa città ti prenderebbe per pazzo... eppure ti credo. Devo crederti... anzi, voglio crederti; perché, nonostante tutto, io sono come te. »
Ranma annuì ancora. Non c’era bisogno di ripetersi, sapeva del dono di Rose... e lei ora sapeva tutto di lui. Per entrambi, non restava che una cosa da fare.
« E adesso? » fece Rose dopo una pausa. « È strano... ora che ci siamo conosciuti così a fondo non so che fare. È la prima volta che qualcuno non scappa via dopo aver scoperto quello di cui sono capace. Forse è giunto il momento che sia io ad andarmene, Ranma... se è questo ciò che vuoi. »
« No » disse subito Ranma. Il ragazzo si alzò dal suo posto e raggiunse Rose, inginocchiandosi davanti a lei; i due si guardarono intensamente per qualche secondo, poi Ranma posò una mano sul viso di lei, accarezzandogliela.
« Fuggire non è mai la soluzione migliore » disse il ragazzo. Guardò ancora una volta il soprabito bianco e aggiunse « non è la cosa giusta da fare. Io avrei un’idea su cosa potremmo fare adesso: potremmo restare insieme e costruire qualcosa di straordinario... quella vita felice e normale che vogliono tutti. »
Rose rimase ammutolita per la sorpresa. Poi, lentamente rispose alla carezza stringendogli la mano a sua volta; strinse gli occhi, divenuti molto umidi per l’emozione.
« Sei sicuro di volerlo? » domandò. « Sono ancora il tuo riflesso, dopotutto... riuscirai a sopportarmi così come sono? »
Ranma scosse la testa, eppure sorrideva.
« Io non voglio sopportarti... voglio amarti. »
Si avvicinò ancora di più e la baciò sulle labbra. Rose rimase rigida per appena un secondo, poi si lasciò trasportare dai sentimenti e rispose al bacio, abbracciandolo. Il tempo delle parole era finito: era tempo di passare all’azione, all’istinto... alla passione.
 
Quando Ranma aprì gli occhi, fu abbagliato da una luce verde e oro. Il suo corpo nudo galleggiava in una massa d’acqua fredda, poco profonda; non appena la sua testa smise di girare riuscì a mettersi in piedi, cercando di mettere a fuoco l’ambiente. Era immerso fino al torso in una pozza d’acqua, una delle tante che costellavano il luogo in cui si trovava: in ogni direzione vedeva alberi, canne di bambù e pozze d’acqua, un pezzo di natura incontaminata di cui non riusciva a scorgere la fine. Non era necessario, comunque... agli occhi di Ranma, quel luogo era terribilmente familiare.
Le Sorgenti Maledette di Jusenkyo.
Ranma ebbe appena un secondo per domandarsi come ci fosse arrivato all’improvviso, quando si rese conto di una verità ben più sconvolgente. Il suo corpo era cambiato: bastò un’occhiata alle sue mani, diventate lisce e più sottili, e al suo petto, sul quale erano spuntati un bel paio di seni rotondi, per rendersene conto; poi l’orrore divenne assoluto quando si specchiò nell’acqua, e il suo riflesso gli restituì l’immagine di una ragazza dai capelli rossi.
« No... non può essere vero... no! »
Era di nuovo una donna.
« Nooooo! »
L’urlo di Ranma echeggiò per tutta la valle, mentre la disperazione l’assaliva come non mai. Si afferrò la testa con entrambe le mani, pregando che fosse tutto un sogno, ma non cambiò nulla. Era ancora una ragazza immersa in quella pozza, di nuovo vittima della maledizione che lo aveva perseguitato per due anni interi.
Ma com’era possibile?
Una risata si levò alle sue spalle, costringendola a voltarsi. Una figura si stagliava a poca distanza dalla pozza: un individuo vestito con un lungo soprabito bianco, il cui volto era celato da un cappuccio. Costui stava perfettamente in piedi sopra una canna di bambù, e fissava Ranma con le mani in tasca.
« Tu! » gridò lei, incredula.
« Ciao, Ranma » salutò l’incappucciato con aria beffarda. « Ti ricordi di me? »
« Sì, ora mi ricordo. Ci siamo incontrati a Tokyo l’anno scorso... avevi spezzato la mia maledizione. Tu sei Nul! »
Nul annuì, chinando leggermente il capo.
« E ricordi anche che cosa hai fatto dopo? » domandò.
« Certo! Ho lasciato la città, ho viaggiato... mi sono rifatto una vita altrove, proprio come mi avevi suggerito tu! »
« Oh, davvero ne sei convinto? Dunque questa è solo un’illusione, un sogno... non il contrario. Ciononostante, non sembri in grado di svegliarti; sapresti dirmi perché? »
Ranma non riuscì a rispondere: era ancora sconvolta a un livello abissale. Nul rise ancora, come se ci provasse gusto nel vederla così.
« Sogno, realtà » disse, camminando tranquillo sopra le canne. « Il confine che separa questi due aspetti della vita sa essere sorprendentemente sottile, a volte. Basta poco per passare da una parte all’altra senza nemmeno rendersene conto. Perciò dimmi, Ranma Saotome: che cosa credi, adesso? È davvero questo il sogno? Oppure era quello da cui ti sei appena svegliato? La tua vita a Roma, la storiella con Rose... credi davvero che siano accaduti? »
Ranma rimase in silenzio. In compenso, riuscì a recuperare le funzioni motorie e balzò fuori dall’acqua, colta da una furia improvvisa.
« Si può sapere che diavolo vuoi da me? » gridò. « Dimmelo, o giuro che vengo fin lassù e ti farò sputare la verità a suon di pugni! »
« Santo cielo, Ranma! » rispose Nul, coprendosi con le mani il suo volto invisibile. « Dovresti metterti qualcosa addosso... non pensi a tutti i bambini che ci seguono da casa? Hah... lascia, ci penso io. »
Schioccò le dita, e un attimo dopo la ragazza era asciutta e con dei vestiti addosso: una maglietta rossa sopra dei pantaloni neri... gli stessi che era solita indossare durante il periodo trascorso a Nerima. Ranma restò al suo posto, sempre più incredula: Nul riusciva a stupirla ad ogni parola, ad ogni gesto, grazie al potere di cui era dotato; sembrava in grado di manipolare la realtà a suo piacimento... o faceva tutto parte del sogno?
L’incappucciato atterrò in quel momento davanti a Ranma, interrompendo la sua breve riflessione.
« Allora, mia cara... dov’eravamo rimasti? » fece Nul con finta innocenza. « Ah giusto... volevi farmi sputare la verità a suon di pugni. Eppure credevo di essere stato chiaro al nostro primo incontro, Ranma: io voglio aiutarti. Dovrei forse meritarmi accese manifestazioni di violenza da parte tua per questo? »
« Aiutarmi? » disse Ranma, alzando ulteriormente la voce. « Tu non mi stai aiutando, mi stai confondendo di brutto! Mi stai complicando la vita, proprio come tutti quegli altri imbecilli prima di te. Ma non m’importa più... voglio solo tornare a casa, alla mia vita... da Rose. »
Calò il silenzio, terribilmente innaturale, come se qualcuno avesse azzerato il volume dall’intero ambiente. Ranma sperò che la forza del suo grido potesse riportarla indietro come per magia, ma non cambiò niente. Nul rimase a fissare la ragazza, incrociando le braccia.
« Uhm... hai fatto la tua scelta, e questo va bene » commentò l’incappucciato. « Peccato che questo non vada bene a qualcun altro... anzi, costoro si trovano decisamente contro la tua scelta. »
Ranma inarcò un sopracciglio.
« Di chi stai... » iniziò a dire, ma l’improvviso gesto di Nul la interruppe. L’incappucciato aveva allargato le braccia, e una folata di vento si alzò intorno a loro. Ranma si guardò intorno, giusto in tempo per notare la comparsa di numerose figure sulla scena: metà umane, metà animali, tutte familiari in qualche modo alla vista della ragazza.
Dio... spero proprio che sia questo il sogno!
I nuovi arrivati cominciarono a muoversi, avvicinandosi a Ranma con aria minacciosa. Lei si voltò a guardare Nul, che tuttavia non era più nelle vicinanze; lo ritrovò poco lontano, in piedi su un’altra canna di bambù, lontano dalla folla che si era creata intorno alla ragazza.
« Pensa bene a quello che desideri, Ranma » dichiarò Nul a gran voce. « La tua nuova vita da comune cittadino è così importante per te? O preferisci tornare alla tua vecchia vita, dove la sfida e l’avventura erano il pane quotidiano? Guardati intorno: non vedrai altro che i tuoi vecchi amici e rivali, la tua famiglia... che hai deciso di abbandonare! »
Lo sguardo di Ranma si riempì di nuova collera.
« Non ho bisogno di scegliere un’altra volta » disse senza staccare lo sguardo da Nul. « Io ho già scelto mesi fa, quando ci siamo incontrati! Ma credi davvero che la mia scelta sia stata facile? Non hai la minima idea di quanto abbia sofferto, mentre facevo le valigie e scrivevo una lettera di addio alla mia famiglia! »
Si voltò a guardare le creature che la circondavano. Nonostante l’aspetto animalesco o mostruoso, riconosceva ancora suo padre, Shanpu, Ryoga e molti altri; amici, famigliari, compagni di avventure e avversari.
« Mi dispiace di averlo fatto » ammise Ranma, più a se stessa che agli altri. « Ma ho già fatto la mia scelta... e non intendo tornare indietro. »
Un’altra pausa, breve come un battito di ciglia. Un attimo dopo le creature attaccarono Ranma, avventandosi su di lei senza alcuna pietà: il primo a raggiungerla fu suo padre Genma, grosso e peloso come un panda, ma con il viso umano contratto per la rabbia. La ragazza saltò all’indietro per schivare le sue artigliate, preoccupandosi anche di evitare gli altri avversari.
« Dovevi restare con me! » ruggì Genma furioso. « Dovevi sposare Akane, ereditare la palestra di Soun! »
« Eri tu a volerlo! » rispose Ranma. « Avevi deciso di gestire la mia vita fin da quando sono nato... e non hai mai voluto sapere... cosa volevo io! »
La ragazza lo colpì in piena faccia con un calcio, buttandolo in una pozza d’acqua da cui non riemerse più. Fuori uno, pensò, ma restavano tutti gli altri da affrontare; qualcuno riuscì a ghermirla subito dopo alle spalle, ma si liberò dalla sua presa. La riconobbe subito, era Shanpu: appariva come la ragazza che aveva conosciuto, ma dai capelli facevano capolino due orecchie di gatto, insieme alla coda e le unghie affilate.
« Tu sei mio, Lanma! » miagolò Shanpu, balzandole addosso un’altra volta.
« Non lo sono mai stato! »
Ranma la schivò, l’afferrò per la coda e sfruttò lo slancio per gettarla lontano, dentro un’altra pozza. La ragazza si voltò, appena in tempo per vedere Tatewaki Kuno davanti a sé: era bardato come un samurai in epoca feudale, l’aria baldanzosa come al solito. Questi sollevò la katana e si scagliò su Ranma, pronto a tagliarla in due.
« Tu mi hai portato via la gloria! »
Ranma urlò, sferrandogli un pugno in pieno stomaco con una forza tale da lanciarlo in aria. Kuno sparì oltre il fogliame, per non riapparire più.
« Idiota » commentò Ranma, ma non era ancora finita. Qualcosa esplose a pochi centimetri da lei con un gran botto; alzò lo sguardo e vide il vecchio Happosai, intento a scagliare bombe dappertutto.
« Sei solo un moccioso impertinente! » gridò il vecchio mentre ne lanciava un’altra, dritta contro Ranma.
« E tu sei un vecchiaccio maledetto! » rispose lei. Sferrò un calcio alla bomba prima che cadesse al suolo e la rispedì al mittente. L’esplosione lo prese in pieno, e Happosai sparì dalla sua vista.
Ranma desiderava in quel momento la fine di quell’incubo, più di qualsiasi altra cosa al mondo... ma la sua preghiera rimase inascoltata ancora per un po’. Subito dopo aver sistemato Happosai, infatti, qualcosa si avvinghiò al suo braccio, tirandolo con forza. Si voltò e vide un enorme ammasso di rovi, al quale apparteneva quello che lo aveva afferrato; sulla sua sommità c’era una grande rosa nera, che si aprì rivelando la testa di Kodachi Kuno. Ella fissò Ranma con aria folle mentre continuava a tirarla a sé.
« Avresti dovuto restare al mio fianco! » esclamò Kodachi. « Saremmo stati felici insieme! »
Ranma riuscì a fermarsi, appena prima di finire a mollo in un’altra pozza. La ragazza cacciò un urlo tremendo e diede uno strattone al rovo, tirando Kodachi in avanti; non appena fu a portata di tiro le sferrò una testata in pieno volto, e un attimo dopo la creatura si frantumò in una nuvola di petali neri.
« Una stronza come te... non mi avrebbe mai dato la felicità! »
Ranma si guardò intorno, ansimando per la fatica. A parte Nul, intento a gustarsi una ciotola di ramen dalla sua postazione, non vedeva più nessuno nei paraggi. Che fosse riuscita a sistemarli tutti?
Un movimento a destra attirò la sua attenzione, rapido come un fulmine; Ranma si voltò, ma si rese contro troppo tardi che era un diversivo. Una teiera la colpì in testa dall’alto, inondandola di acqua bollente; pochi istanti dopo, Ranma si era ritrasformato in ragazzo; colmo di rabbia, alzò lo sguardo, appena in tempo per vedere Ryoga atterrare davanti a lui.
Ranma trattenne a stento una risata. Ryoga aveva la pelle nera, le orecchie e il naso da maiale; lo sguardo di sfida, invece, era quello di sempre, ma ciò non bastava a nascondere il suo aspetto ridicolo. Doveva essere per forza un sogno... eppure non riusciva a svegliarsi.
« Tu e io, Ranma... ancora una volta! » dichiarò Ryoga con fierezza prima di attaccarlo. Ranma si difese, schivando e parando i suoi colpi micidiali. « È sempre stato così, e lo sarà sempre. Non puoi sottrarti al nostro eterno balletto... noi continueremo a batterci! »
Ranma riuscì a bloccarlo, afferrandogli entrambe le mani.
« Il nostro balletto è finito da un pezzo, amico mio. Devi fartene una ragione! »
Ne aveva abbastanza di tutto ciò, ecco perché non frenò la sua forza: con tutta la sua rabbia, con tutta la sua volontà, colpì Ryoga allo stomaco con una ginocchiata; il suo avversario perse conoscenza e cadde all’indietro, sprofondando nella pozza vicina.
Calò il silenzio, e Ranma capì di aver vinto. Tornò a guardare Nul, rimasto dov’era per tutto il tempo: sperando che non avesse altre sorprese in serbo per lui, si avvicinò con cautela... pronto a porre fine a tutto ad ogni costo.
« Ranma! »
Il ragazzo si fermò.
Quella voce...
Si voltò ancora. Akane era alle sue spalle, ad appena un metro di distanza. A differenza degli altri, lei non aveva un aspetto mostruoso o animalesco: era proprio come la ricordava, la stessa ragazza dall’aria dolce con cui abitava... e che un giorno avrebbe dovuto sposare.
Ranma non riuscì a muoversi né a parlare per la sorpresa, così lasciò che Akane afferrasse le sue mani, guardandolo con aria quasi supplichevole.
« Svegliati, Ranma » disse. « Tutto questo è solo un’illusione, una tua fantasia. Tu non sei mai partito, né guarito dalla maledizione; sei ancora a Tokyo con tutti noi... e con me. »
Ranma continuò a tacere. Akane gli prese una mano e la portò alla guancia, lasciandosi accarezzare.
« Andrà tutto bene » riprese la ragazza, sorridendo. « Lo so che sei stufo di tutto questo: stufo di combattere, di avere tanti nemici e spasimanti intorno a te... ma non serve a niente chiuderti in te stesso e rifugiarti nei sogni. Io ti aiuterò, Ranma, troveremo una soluzione... insieme. Andrà tutto bene, te lo prometto... ma ti prego, svegliati; torna a casa... torna da me! »
Akane si fece ancora più avanti, appoggiando il capo alla spalla di Ranma; lui continuò a tacere, ma grosse lacrime vennero fuori dai suoi occhi. Quella ragazza, le sue parole, il suo abbraccio... avevano fatto più male di tutti i nemici affrontati in precedenza.
Ranma la strinse dunque tra le braccia, cullandola dolcemente. Lasciò che quel momento durasse a lungo, prima di ritrovare la voce e parlarle in un sussurro.
« Sono ancora uno stupido? »
Akane tornò a guardarlo.
« Non lo sei mai stato » gli rispose.
Ranma sorrise, asciugandosi le lacrime.
« Allora perdonami, Akane » dichiarò. « Io ho già scelto. Ho pagato un caro prezzo per la mia nuova vita... ho detto addio a ciò che avevo di più caro, pur di ottenere la libertà di scegliere. Oh, Akane... non sono mai stato più stupido in vita mia quando me ne sono andato, lasciandoti indietro; te lo giuro, è stata la cosa più difficile di tutte. È troppo tardi per tornare indietro... ma se potessi, sceglierei di ricominciare la nostra storia con il piede giusto; forse sarei stato lo stesso uno stupido... ma sarei stato il tuo stupido. »
Si staccarono, e Ranma s’immerse in quei meravigliosi occhi bruni prima di porre fine a quel momento.
« Andrà tutto bene, Akane... te lo prometto. Forse un giorno ci rivedremo, e saremo entrambi felici. »
Akane annuì, e la sua figura svanì nel nulla in un lampo di luce.
Ranma rimase dov’era, tenendo le mani avanti anche se ora stringevano solo l’aria. Non sapeva più cosa fare, né cosa dire; non sapeva più niente. Fu allora che un applauso si levò nell’aria, attirando la sua attenzione: Nul si era fatto avanti, battendo le mani mentre si avvicinava al ragazzo.
« Congratulazioni » disse con tono semplice. « Hai affrontato i tuoi demoni e li hai sconfitti. Hai fatto la tua scelta, e non hai mai vacillato; questo mi rasserena. »
Ranma lo fissò, disgustato e comprensivo allo stesso tempo.
« Era tutto opera tua, allora? Mi stavi mettendo alla prova? »
« Nah... ti sei messo alla prova da solo » obiettò Nul. « Guardati intorno, questo è il tuo territorio... il tuo mondo. Io mi sono solo messo comodo ad osservare; ho sperato fino alla fine che ce la facessi, naturalmente... che ricordassi di aver fatto la cosa giusta. »
Ranma annuì, lasciando che lo sguardo cadesse sull’abito che Nul indossava. Quel soprabito bianco con il cappuccio, così familiare...
« Ma tu chi sei? » domandò con aria incerta, come se dovesse temere moltissimo la risposta. « Non sarai mica... Rose? »
Nul sospirò, alzando le spalle.
« Tsk... con questa voce ti sembro una Rose, per caso? »
« Ehm, no... direi di no. Ma allora chi sei? Mostrami la tua faccia, ti prego. »
« Mi dispiace, ma non puoi vedere ciò che non ricordi o non hai mai visto. Perché questo, dopotutto... è solo un sogno. »
Un attimo dopo, il mondo intero sprofondò nel buio.
 
Ranma riaprì gli occhi. Aveva il respiro affannoso, come se avesse fatto una lunghissima corsa, e grondava di sudore. Mentre si rilassava, cercò di mettere a fuoco l’ambiente che lo circondava: era nella sua stanza, dominata dal buio di una notte ormai matura. Recuperò la calma, ma i dubbi e la paura erano ancora dentro di lui in grandi quantità: cos’era successo? Si tastò il viso e il petto, per rendersi conto di essere ancora un ragazzo; e i capelli erano ancora corti, senza codino.
Poi, quando i suoi occhi si posarono sul volto di Rose, addormentata al suo fianco, recuperò la serenità in un istante.
Era stato solo un sogno... il più realistico che avesse mai fatto. Non sapeva spiegarsi il significato di ciò che aveva vissuto, ma poteva ritenersi soddisfatto sul suo esito: aveva vinto anche quella battaglia. Perciò sorrise, mentre tornò a sdraiarsi accanto a Rose, adagiando la testa sul cuscino a pochi centimetri dalla sua; rimase così a lungo, contemplando il suo bel viso finché non chiuse gli occhi per il sonno che faceva ritorno.
« Non dimenticare mai chi sei, né chi sei stato. E non dimenticarti di noi. »
Il messaggio di Ryoga risuonò ancora una volta nella sua testa, facendolo sorridere e mandare un silenzioso ringraziamento all’amico.
Ranma Saotome aveva deciso. Quella era la sua nuova vita, nel posto in cui voleva stare e con la ragazza che voleva al suo fianco; ma ora sapeva quanto fosse importante ricordare il passato, perché esso lo aveva definito... lo aveva reso l’uomo che era.
Grazie.
   
 
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