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Autore: lollyyyy    12/10/2015    0 recensioni
Il governo, per creare bambini più forti e sani, ognuno dotato di un proprio potere, un giorno separa tutti i bambini appena nati dalla proprie famiglie per mettere in atto il progetto nuovi bambini( Project New Children). Vennero cresciuti fino ai cinque anni, finché, un giorno, un gruppo di sconosciuti entra e lascia evadere tutti i bambini. Ma, insieme ai bambini rubano anche un siero, un siero della memoria utilizzata per cancellarla ai bambini i ricordi di quei cinque anni , e un microchip in grado di bloccare i poteri.
Una ragazza come le altre, una normalissima sedicenne. Una che preferisce stare sulle sue che essere circondata da gente. Non si sarebbe mai aspettata, un giorno, di diventare chissà chi. Ma poi, uno sparo, un incontro forse predestinato, tutto cambierà in quel giorno.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Erano ormai ora che erano rinchiusi la dentro. Una volta avuto il permesso speciale per tornare a casa prima ci siamo subito diretti verso casa e arrivati, Alex parlò in privato con mia nonna per almeno un quarto d’ora. E, una volta finito, sentì mia nonna urlare a tutti che vi sarebbe stata subito un’ assemblea. È da mezzo giorno che si sono riuniti in salotto, sono le tre e nessuno ancora è uscito. Nervosa, mi ritrovavo ad andare in avanti e in dietro nel corridoio e a guardare di continuo l’orologio. Gli occhi mi erano ormai tornati come prima, cioè di un verde brillante e ancora non riuscivo a spiegarmi quello che stava succedendo. All’improvviso sentì qualcosa di vetro rompersi, mi girai e vidi Francesco affannato che si reggeva in piedi grazie all’aiuto del comodino. Appena lo vidi così dolorante, scattai e prima che me ne accorsi ero già accanto a lui ad aiutarlo. “Grazie, sei molto gentile come al solito, me ce la faccio anche da solo.” Disse fra una pausa all’altra. “Ma se non riesci manco a reggerti in piedi.” Replicai cercando di aiutarlo e vidi che, mentre si sarà aggrappato al comodino, aveva fatto cadere uno svaroschi di mia nonna. “Lo so, ma ciò mi renderà più forte. Se ora mi facessi aiutare mi farebbe indebolire ancor di più. Voglio diventare un uomo forte in grado di proteggere le persone che ama.” Disse mentre una goccia di sudore gli rigò la fronte. “Gli uomini forti non sono solo quelli che riescono a proteggere i loro amati solo con la forza. Sono anche quelli forti e gentili di cuore. Quelli che con una sola frase riescono a dar fiducia a speranza alle persone. Quelli che non si arrendono mai. Sono anche quelli che nel momento capiscono di aver bisogno di aiuto e si lasciano aiutare. Quelli sono uomini forti in grado di proteggere le persone a cui vogliono bene. Se pensi che la forza per proteggere i tuoi cari sia solo nella forza fisica ti sbagli di grosso.” Dissi tutt’un fiato irritata. Odio le persone che pensano che il potere è solo nella forza, mi scocciano e mi irritano. Quanto ci vuole a capire che l’unica forza è quella del cuore?! “Scusa, hai ragione. A volte sono troppo accecato dalla rabbia e dalla tristezza che mi dimentico della cosa più importante. La forza del cuore. Avevo deciso che non ti avrei mai più fatto ridirmi quella frase, eppure questa è la seconda volta che me lo dici e sembra proprio che io non abbia proprio imparato niente in questi anni.” Disse con un tono triste, ma ricominciò subito a parlare, combinando discorso. “Sembra che io ti abbia innervosita un po’. Prima stavo bevendo del tè e me né rimasto un po’, ti andrebbe di andare in veranda e bercelo insieme?” ….. Questa è la prima volta che vedo un ragazzo chiedermi di prendere un tè. Anzi, questa è la prima volta che vedo un ragazzo così educato! “S-si, va bene.” Dissi sorpresa e anche un po’ imbarazzata. “Allora io intanto vado in veranda, tu potresti andare in cucina e prendere il tè? Si trova sul tavolo, quindi non credo che tu abbia problemi a trovarlo.” Disse sorridendomi dolcemente. Preoccupata, lo guardai dubitante e insicura. “Lo so che sei preoccupata, ma ce la faccio. Lasciami andare da solo, così avrò ancora almeno un po’ d’onore per me stesso.” Replicò al mio sguardo. Non volendolo privare del suo onore, decisi di lasciarlo andare. Così mi recai in cucina e, come aveva detto lui, trovai un tazza e una caffettiera sul tavolo. Presi dalla mensola superiore di una comodino un’altra tazza e presi anche un vassoio da rendere il trasporto di tutta la roba più facile. Una volta che stavo per mettere la tazza mezza piena di tè e la caffettiera piena di tè sul vassoio, notai vicine ad esse una foto. A distanza non si vedeva molto a fuoco chi erano le persone fotografate, dato che la foto era anche in bianco e nero e che sembrava fosse stata stropicciata diverse volte, ma si potevano distinguere diversi bambini e pochi adulti e dietro di loro sembrava che ci fosse una specie di scuola con intorno diversi alberi. Presi la foto tra la mani per vedere più chiaramente e, appena lo avvicinai vidi che, uno dei bambini, una bambina, aveva il viso sfigurato dal colore di una penna indelebile. Questa bambina si trovava in mezzo a due altri bambini, maschi, uno dai capelli neri e l’altro dai capelli biondi. Entrambi guardavano la bambina, che sembrava sorridesse. Per curiosità, guardai anche tra gli adulti. E, fra essi, ce n’era un’ altro che non si vedeva bene il viso, ma a differenza della bambina, era come se il proprietario della foto ci avesse passato sopra con una matita tantissime strisce più e più volte e poi cancellate tutte per rendere irriconoscibile il volto. Non so il perché, ma più guardavo quel uomo, più l’ansia mi saliva. Con le mani fredda dal sudore, misi in fretta la foto in tasca, presi la roba e me ne andai in veranda. Appena arrivai vicino alla porta vidi dalla finestra accanto Francesco strofinarsi le mani. Così decisi di mettere tutto un attimo su il primo comodino che avevo affianco e di andare a prendere una copertina. Dato che mia nonna era ormai anziana, in tutta la casa, da qualsiasi parte, si potevano trovare coperte e medicinali, quindi non fu difficile trovare una coperta. Presa la prima che capitava, tornai in corridoio, presi il vassoio e uscì finalmente fuori. “Scusa se ti ho fatto aspettare al lungo, ma ho visto che faceva un po’ freddo qui fuori così ho pensato di portare una coperta.” Dissi appoggiando il vassoio sul tavolino di legno. “Non fa niente, infondo è vero. Fa un po’ freddo qua fuori..” Disse rivolgendo lo sguardo verso il cielo. Distratto, colsi l’attimo e gli avvolsi la coperta intorno. Stette per protestare, ma lo fulminai subito con lo sguardo così da fargli capire di non contraddirmi. “Va bene, accetto la tua bontà.. però soltanto se dividiamo la coperta. Infondo questa è troppo grande per una persona e mi sentirei in colpa, con il freddo che fa qui fuori a lasciarti senza nulla.” Al solo pensiero di dividere con lui la coperta, tutto il mio viso andò in fiamme, sapendo però che se non avessi accettato si sarebbe tolto la coperta decisi di accettare la offerta. Non guardandolo in faccia, giocando un pochino con le mie mani dissi: “V-va bene…” Detto questo, mi sedetti accanto a lui sulla panchina di legno gli lascia coprirmi con una parte della coperta. Nervosa, presi la mia tazza(che nel frattempo avevo già riempito con tè) ne bevvi un sorso e me la tenni con le mani gambe. Per non diventare ancor più rossa, decisi di concentrarmi su qualsiasi cosa che non fosse lui o la coperta. Mi concentrai sul calore della tazza che si diffondeva nelle mie mani gelide, mi concentrai sui disegni tagliati sulla panchina di legno, ma niente riusciva a togliermi il nervoso che sentivo stando così tanto vicino a Francesco. Curiosa di sapere cosa stesse facendo, mi ritrovai a guardarlo di nascosto. I nostri sguardi si incrociarono e, un’altra volta, mi ritrovai immersa nei suoi bellissimi occhi verdi puro. Quando mi fece un timido sorriso, realizzai che mi stava guardando da tutto il tempo e, ancora una volta, mi ritrovai a schivare il suo sguardo ancor più rossa di prima. Subito dopo aver distolto lo sguardo lo sentì ridere un pochino, ma ero troppo imbarazzata per guardarlo così mi riconcentrai sulla mia tazza bollente. Sentì la porta aprirsi, così, d’istinto, scattai in piedi, rovesciando la tazza. Vedendo la tazza infrangersi in mille pezzi, mi chinai nervosa a raccoglierli senza guardare chi fosse uscito. “La riunione è finita. I membri del consiglio la vogliano parlare, signorina Bloodstar.” Disse una voce fredda e distaccata. Appena alzai il viso vidi dei capelli neri chiudersi dietro alla porta. “Per caso quello che era qui un attimo fa era Alex?” Chiesi dubitante a Francesco. “Si, non l’hai capito dal ‘signorina’? Infondo ti ha sempre chiamato così.” Ma se questa è la prima volta che lo sento chiamarmi così! Poi perché mi dovrebbe chiamare signorina? Pensai mentre raccoglievo i frammenti della tazza. Prendendo un pezzo mi tagliai un dito. Sentì Francesco dire qualcosa, ma non ci badavo molto, ero più concentrata sul dolore che la ferita mi dava. E, a un certo punto, il sangue smesse di uscire. Vedendolo smettere, mi alzai e mi diressi verso la porta. “Scusa, come hai sentito mi aspettano. Non preoccuparti dei pezzi di tazza. Una volta finita la discussione trono a pulire.” Finita la frase, non aspettai nemmeno che aprisse bocca. Aprì la porta e mi diressi in salotto. Arrivata davanti alla porta del salotto girai la maniglia e trovai mia nonna ad aspettarmi. “Finalmente sei arrivata…” Disse distogliendo lo sguardo dai documenti che aveva in mano e guardandomi. “Ho avuto un contrattempo..” Replicai in mia difesa. Avevo un brutto presentimento. Avevo il presentimento che quello che mi voleva dire non mi sarebbe piaciuto per nulla. “Dobbiamo parlare… Potresti chiudere la porta dietro di te?” Deve essere una cosa seria… non vuole nemmeno che la nostra conversazione sia ascoltata… Pensai mentre chiudevo la porta. “Vieni a sederti qui accanto a me e al fuoco. Deve essere stato freddo fuori dato che l’inverno è alle porte. Vieni a riscaldarti accanto al fuoco.” Disse guardandomi affettuosamente indicando il divanetto davanti a lei. Seduta accanto al fuoco le si potevano intravedere meglio le rughe che la vecchiaia le stava rigando la faccia. Erano soltanto quelle a far capire alla gente quanti anni avesse, ma erano solamente ben visibile vicino a una luce. I capelli biondi vicino al fuoco le diventavano di un biondo fuoco e gli occhi color nocciola. Anche il resto del suo corpo poteva sembrare giovane; non aveva la gobba come il resto dei suoi coetanei, non era così macchiata dalla vecchia e non si comportava come tale. L’unica parte che avevo visto che era più macchiato erano le sue mani rugose e piene di calli dovuti ai lavori che durante la sua vita doveva fare. Quando mi sedetti davanti a lei mi preparai mentalmente su cosa avesse voluto parlarmi. Alzato lo sguardo, la vidi fissarmi. Non l’avevo mai vista fissare qualcuno. I suoi occhi erano concentratissimi su di me, sembravano non voler staccarsi dal guardarmi. Questa era la prima volta che la vedevo guardare qualcuno così intensamente eppure non mi dava noia. A una ragazza della mia età sarebbe stato scocciante essere vista in quel modo da un parente ma a me non dava. Era la prima volta che mi guardava con affetto paterno e ciò mi rendeva felice, mi sentivo per la prima volta in vita mia protetta da qualcuno che mi volesse veramente bene. “Di cosa mi volevi parlare?” Dissi ponendo fine a quel bellissimo momento. Non era abituata a così tanto affetto.. Non sapevo cosa fare. Più che altro non sapevo cosa pensare su cosa mi avrebbe detto se le faceva un tale effetto. “Giusto, torniamo alle faccende serie..” Disse risposando lo sguardo sui documenti che prima aveva in mano, che ora si trovavano sul tavolino che ci divideva. “Prendi quel documento, leggilo.” Mi disse guardandomi. Guardai i documenti che erano sul tavolino. Non li avevo mai visti, eppure perché mia nonna voleva che li leggessi? “Tranquilla, leggilo con calma.” Continuò lei vedendomi preoccupata e confusa. Avvicinai la mano ai fogli e appena li sfiorai fui travolta da milioni di brividi. Impaurita indietreggia la mano, ma quando lo feci, sentì una stretta sulla mia mano. Guardai in alto e trovai Francesco accanto a me che teneva la mano con cui stavo per prendere i documenti. Da quando era là? Anzi quando è tronato? Lo guardai diritto negli occhi e vidi per un attivo la me riflessa, impaurita e spaesata. “Francesco quando ti ho dato il permesso di entrare?!” Chiesi mia nonna infuriata. Anche se non sembra il tipo, anche se è confusionaria, mia nonna era una che all’educazione ci teneva e quando qualcuno non aveva almeno un po’ di educazione andava di matto. “Non me lo hai dato, ma ho sentito che c’era il bisogno del mio aiuto….” Replicò guardandomi. Che intendeva? Al contrario mio mia nonna sembrava avesse capito a cosa si riferisse e strinse la bocca come per silenziarsi. “Dato che ora ho fatto il mio dovere, me ne vado e vi lascio alla vostra discussione. A dopo.” Disse uscendo dalla stanza. Non capendo di nuovo a quello che si riferiva, guardai nella direzione di mia nonna che stava guardando ancora nella direzione dove Francesco scomparse. Sembrava stesse riflettendo, non so su cosa, ma sembrava che le richiedeva un po’ di tempo. Così mi misi comoda a la aspettai. Durante che lei pensava, io guardavo il fuoco. Osservavo il suo susseguirsi di colori caldi, osservavo le lunghezze di ogni fiamma, osservavo come il fuoco bruciava ogni pezzo di legna. Avvicinai la mano per sentire meglio il calore che si diffondeva in me. Mi attraeva come una calamita. Dato che, da quando ne ricordo, ho sempre avuto le mani gelide sono stata sempre attratta dal calore che emana il fuoco e, d’inverno, quando si accendeva il camino, mi ritrovavo sempre a rivolgere le mani al fuoco . “Ritorniamo a noi.” Disse all’improvviso mia nonna guardandomi seria. Nel frattempo aveva tolto il documento dal tavolino e messo non so dove. Però decisi di non chiederli che fine avesse fatto. Se l’aveva messo via c’era un motivo no? “Avrai capito che i tuoi poteri stanno tornando che il cip si sia disattivato, vero? La verità è che manco noi sappiamo perché ti si stiano riaffiorando i poteri o perché non ti stiano tornando i ricordi. Non sapendo quello che ti potrebbe accadere, abbiamo deciso di mandarti comunque dove saresti comunque andata. Alla A.N.C.” Disse guardandomi dritta negli occhi. Rimasi sorpresa. Sapevo che era rischioso andare in giro con i miei poteri ( che ancora non sapevo quali fossero, oltre a farmi venire gli occhi rossi con la pupilla simile a quella di un gatto) che si risvegliavano non so quando o dove, ma non mi aspettavo che mi manderanno da qualche parte. Anche se, vendendomi sorpresa, lei continuò a parlare: “A.N.C significa Accademia New Childrend. Questa accademia è stata creata per i bambini i cui poteri si risvegliano ma non sono in grado di controllarli. All’inizio, quando ai bambini si risveglino i poteri , nessuno di questi è in grado di trattenere i loro poteri, per questa è stata creata la A.N.C. per addestrare i bambini con i poteri. E tu da domani la frequenterai se tu lo voglia o no.” Non riuscì a reagire. Non perché ero rimasta di stucco( anche se lo ero) ma perché pian piano, stavo predandole forze e la vista, per poi sentire la mia faccia schiacciata al pavimento. Ma non era come se fossi svenuta, anzi ero completamente sveglia. Soltanto non riuscivo a muovermi o a vedere nulla. Sentì mia nonna dirmi scusa nell’orecchio e poi sentì qualcuno sollevarmi da terra e portarmi da qualche parte, per poi essere messa come una statua in una macchina. Non riuscendo a vedere nulla, sentendo il rumore del motore che si metteva in azione.
  
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