Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Rei_    14/10/2015    6 recensioni
(!) Attenzione! Questa storia parla di bullismo, saranno presenti alcune scene di violenza! (!)
Michele, 27 anni, è appena entrato in un mondo a lui ancora sconosciuto: palazzo Montecitorio.
Lui, giovane insicuro, nasconde un lato fragile causato da un passato buio che vuole dimenticare. A differenza di Nicolò, che invece non ha mai perso nella sua vita e anche nel mondo politico a breve acquisterà una crescente leadership causata dal suo forte carisma naturale.
Due persone di partiti diversi, che inevitabilmente finiranno per scontrarsi, ma se è vero che l'odio è una forma d'amore allora il loro rapporto è destinato presto a cambiare...

Spalancò le braccia nella neve e allargò le gambe. Sarebbe dovuta uscire disegnata la figura di un angelo, ma mentre Michele chiudeva lentamente gli occhi, vinto da quell'insolita stanchezza, pensò che era impossibile che uno come lui potesse essere capace anche lontanamente di assomigliarci.
Perchè gli angeli non finiscono nudi nella neve.
Non vengono chiusi negli sgabuzzini.
Gli angeli sono luminosi, e lui invece era fatto di buio.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Alle otto di sera, Nicolò poteva dirsi soddisfatto. Era riuscito a sentire i compagni di Milano per organizzare una grande manifestazione per la legalità ed era anche riuscito a studiare la legge che sarebbe stata messa in discussione il giorno dopo.
«Almeno potremo finalmente iniziare a discutere le famose leggi antifasciste» commentò al suo vice, spegnendo il PC e stiracchiandosi lungo la sedia.
«Già, finalmente. Mi chiedo se i popolari si vendicheranno del giochetto sulla legge finanziamento ripagandoli con la stessa moneta» ribatté Chiarelli, allungando i piedi sulla scrivania.
A Nicolò piaceva il palazzo la sera tardi, dove i pochi presenti andavano e venivano dal bar a gruppetti e non c'era il solito viavai di persone, tra deputati, collaboratori e stampa.
Uscì a fumare come suo solito e poi passò alla buvette per un amaro prima di prendere la via di casa.
Notò Martino poco distante, che stava prendendo un caffè insieme a Greco e a Costa. Tutti avevano una faccia da funerale.
«Che dici?» si avvicinò, «si dice in giro che Pasqui vi abbia strigliato per bene!»
Martino alzò gli occhi, a indicare che in quel momento non era il suo argomento preferito di conversazione.
«Sì, non è stato proprio comprensivo, diciamo così».
«Ehi!» esclamò Nico, «dico, avete contribuito a bloccare una legge sbagliata. Lasciate abbaiare il cane e andate avanti, tanto per ora non può fare niente».
Arturo Costa lo squadrò con sufficienza, mentre Greco lo ignorò del tutto. Michele Martino, invece, alzò le spalle.
«Scusate, onorevoli, avreste un minuto?»
Nico si voltò. Dietro di loro erano comparsi due giovani, uno vestito con pantaloni a scacchi e maglietta arcobaleno e un altro con dei jeans in pelle e una macchina fotografica di quelle professionali penzolante al collo.
 
«Siamo inviati di una rivista LGBT, la Pride Press. Stiamo cercando sostegno alla nostra lotta per riconoscere finalmente il diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Voi come vi dichiarate rispetto a questa proposta?»
Si guardarono, e Martino fece un cenno impercettibile per indicargli che poteva rispondere prima lui.
Nonostante la domanda improvvisa, Nicolò non impiegò troppo tempo a imbastire una risposta convincente.
«Beh, sono ovviamente d’accordo. Quando si parla di estendere diritti non c’è motivo di opporsi, soprattutto se le motivazioni contrarie sono legate a tradizionalismi religiosi».
Sorrise e i ragazzi annuirono, spostando il microfono verso Martino, mentre Costa e Greco si erano prontamente allontanati.
«Concordo con l’onorevole Andreani, non vi è motivo di negare l’estensione di un diritto, e certamente anche il nostro partito è progressista dal punto di vista delle libertà».
«Bene!» esultò uno dei due, «sono molto contento di queste vostre dichiarazioni. Vorremmo, se possibile, chiedervi anche una foto. Ne abbiamo raccolte tante, ma qui in Parlamento ancora nessuno ha accettato di farla».
«E perché?» chiese subito Nico.
I due ragazzi si scambiarono un sorriso d’intesa.
«Perché stiamo chiedendo la foto di un bacio. Fa parte della nostra campagna “We Love Rights”, che vuole dimostrare che l’amore non è mai schifoso o scandaloso!»
Nico accigliò lo sguardo. Era comprensibile che cercassero una foto del genere in Parlamento: avere dei parlamentari a sostegno di quella causa poteva dare un bello slancio alla campagna. E lui, di sicuro, non si sarebbe mai tirato indietro davanti ad una lotta sociale che riteneva giusta. Non da quando era entrato a far parte del Fronte, uscendo dalla sua area di cinica indifferenza.
«Beh, per me non c’è problema!»
Martino era diventato rosso in viso, evidentemente poco avvezzo a quel tipo di richieste. Stava cercando con gli occhi i suoi colleghi per chiedere supporto, ma si erano spostati più avanti a chiacchierare con altri del gruppo di SD.
«Dai, è solo una foto. Non può essere peggio che cantarle in faccia al vostro capogruppo, no?» lo invitò Nicolò.
«Va bene» acconsentì Martino, evidentemente impossibilitato a dire di no davanti all’entusiasmo dei due ragazzi.
Si sporse in avanti di poco, e Nico colmò la distanza velocemente, arrivando a toccare con la sua la bocca dell’altro. Restarono in quella posizione con le bocche serrate per pochi secondi, il tempo di sentire gli scatti della macchina.
«Grazie mille ragazzi!» disse il ragazzo con la maglietta arcobaleno, visibilmente entusiasta, «ce ne ricorderemo nel seggio!»
«Sono proprio forti, chissà se ce la faranno» commentò distrattamente Nicolò, cercando di rimuovere il leggero imbarazzo per ciò che aveva appena fatto. Come al solito aveva agito senza pensarci due volte, e solo ora stava realizzando che quella era la prima volta che baciava un uomo. Non che gli fosse mai particolarmente importato, ma era una di quelle cose che non avrebbe mai pensato di fare nella vita, prima di farla per davvero.
«Io credo di sì, ormai la società dovrebbe essere abbastanza evoluta per questo».
Anche Martino stava evidentemente cercando di celare l’imbarazzo, guardandosi attorno per controllare che nessuno li stesse fissando.
«Beh, in ogni caso vedo che abbiamo iniziato bene a collaborare dall’altra sera!» sdrammatizzò Nico.
 
 
*
 
 
La mattina dopo, Michele non fece in tempo a finire il consueto tè alla vaniglia che vide Pasqui precipitarsi al bar e sbattergli addosso un giornale.
«Mi spieghi che significa?»
Michele guardò solo il titolo e la foto di copertina. Non c'era bisogno di cercare altro per capire cosa intendesse Pasqui.
 
Sì AI MATRIMONI GAY: FPI E SD UNITI PER #WELOVERIGHTS
 
Michele studiò la sua immagine stampata, un po' meno pallida di com’era realmente. I capelli gli coprivano gli occhi e la cravatta era un po' storta, ma la maggior parte del volto era comunque sovrastato dalla faccia di Andreani, che anche da quel semplice istante impresso su carta sembrava a suo agio e in qualche modo padrone dell’imprevista situazione.
Il giovane cadde dalle nuvole. Non sapeva se essere più scosso dalla presenza di quella foto in prima pagina su un quotidiano o dalla reazione inviperita del suo capogruppo.
«Erano venuti due ragazzi di un'associazione a chiederci una foto e un parere del tutto personale sull’argomento. Non immaginavo che sarebbe finita sul giornale».
Appena finito di pronunciare la frase, Michele si rese subito conto di quanto, ancora una volta, era stato completamente ingenuo. Era abbastanza ovvio che qualsiasi opinione personale era facilmente intesa dai media come opinione politica espressa a nome del partito, e non era nemmeno difficile immaginare che una foto come quella poteva interessare ad altri giornali, oltre che a quella rivista.
Pasqui alzò gli occhi, furente, lasciando intendere quanto gli scocciasse dover spiegare ciò che a lui risultava ovvio.
«Primo, non è consono avallare una tale richiesta fotografica, anche fosse stato per una giusta causa. Secondo, la linea si decide collegialmente, e mai è stata espressa un’opinione favorevole del partito rispetto al tema dei matrimoni omosessuali. Mi sembrava che quella riunione fosse stata abbastanza chiara riguardo la disciplina, ma mi rendo conto che qua qualcuno è un po’ duro di orecchi».
Michele strinse i denti, ben sapendo che stavolta non aveva possibilità di controbattere. Si era un po’ fatto trascinare nel fare quella foto, non volendo dare l’immagine del bigotto di sinistra.
 
«Ho capito… proverò a rimediare, farò un comunicato stampa» buttò lì, poco convinto.
«Lascia perdere» troncò il capogruppo, «non fare niente, è meglio». Se ne andò, lasciando il giornale steso sul bancone, come per evidenziare ancora di più il suo gravissimo, imperdonabile errore.
 
 
*
 
 
Quella mattina, Nicolò fece molta fatica a scegliere il giornale da comprare in edicola. Su tutte le prime pagine, alcune più in grande, altre più in piccolo, era stampata la foto di un suo primo piano con gli occhi chiusi e la bocca appoggiata a quella di un altro uomo.
Decise di acquistare il Corriere, perché era quello con la foto più grande. Si lesse l'articolo con calma nel suo ufficio, con un sorriso enorme di soddisfazione sulle labbra, fino a che una decina di suoi parlamentari fecero irruzione dalla porta.
«Nicolò, sei qui?»
La voce era quella di Chiarelli, che entrò in fretta e furia insieme agli altri, accerchiandolo attorno al tavolo.
«Che succede? Vi vedo agitati» osservò lui, fingendo uno dei suoi sorrisi innocenti.
«Ma non li hai visti i giornali? Che diavolo significa?»
Chiarelli era rossissimo in viso mentre sventolava davanti a Nicolò un mazzo di prime pagine, tutte più o meno simili.
«Significa che ho portato una delle nostre battaglie all'attenzione di tutti. Non dico che mi aspetto degli applausi, ma potresti anche non aggredirmi così» ribadì, offeso.
«E quella foto?» urlò il vicecapogruppo.
«Non capisco il tuo problema».
«Nico, porca puttana!» imprecò Chiarelli, «ti sei già dimenticato che noi siamo all'opposizione? Questa foto per i giornali vuol dire inciucio, e noi ora dovremo spiegarlo ai nostri elettori!»
«Ma sei rincoglionito?» Nico scattò in piedi, facendo sussultare tutti quanti, «così potremo fare pressione su SD per l’approvazione di una legge in merito, no? Ci arrivi a vedere al di là del tuo naso? O la questione è che sei anche tu, sotto sotto, un democristiano del cazzo?»
Detto questo uscì dall'ufficio, trascinandosi dietro tutti i fascicoli su cui doveva lavorare. Sentì Chiarelli ribattere da lontano, ma non lo ascoltò minimamente. La rabbia che provava rendendosi conto di avere per la prima volta i suoi colleghi contro, accompagnò i suoi passi nervosi fino all’ufficio di Martino.
«Avanti» sentì gridare.
Nico entrò senza farsi troppi scrupoli e riuscì a notare un mal celato sorriso imbarazzato comparire sul volto pallido dell'altro.
«A quanto pare siamo al centro del dibattito nazionale!» esultò, tirando fuori tutto l’entusiasmo finora trattenuto per aver raggiunto la visibilità sulla stampa.
«Ho notato» rispose lui, con un tono molto più freddo.
La sua scrivania era ordinatissima: mucchi di carte disposti in fascicoli colorati ed etichettati, qualche foto incorniciata e i libri perfettamente impilati.
«Beh, qual è il problema?» disse Nicolò intendendo arrivare dritto al punto, non sopportando quel velo sottinteso di non detto.
«Che non avrei dovuto farlo» rispose lui, «nel mio partito, come penso anche nel tuo, le posizioni si decidono collegialmente. Non avrei dovuto esprimere la mia senza quest’accortezza, per quanto io la ritenga giusta».
Non lo stava guardando negli occhi, e Nicolò riconobbe subito il solito tono dettato dal “dovere di partito”. Lo stesso dell’intervista televisiva, lo stesso di quando avevano litigato sulle scale.
«Okay» annuì, i muscoli tremanti per quanto si stava trattenendo dal dire ciò che realmente pensava, «bene, non è stato corretto».
Fece per andarsene, con l’intenzione di sfogare il nervosismo in sigarette, ma Martino parlò di nuovo.
«Io sono d’accordo con te. Sul merito dei diritti la penso esattamente come te. Se fossi solo io a decidere staremmo già scrivendo la legge. Ma non è così, e più di combattere all’interno non posso fare».
 
Nicolò sentì l’umiliazione dell’altro dentro quell’ammissione, e immediatamente la sua rabbia si calmò.
«Ascoltami. Lo so che è stato un atto di leggerezza, e né io né te ci abbiamo pensato tanto. Anche i miei colleghi mi hanno rimproverato, lo ammetto. Ma quando si è in politica gli errori non si subiscono, si prendono al balzo. Quindi, ora la cosa più saggia che possiamo fare è cavalcare l’onda, e non rimangiarci tutto. Dici che vorresti scrivere la legge? Siamo deputati della Repubblica, possiamo farlo. Non la discuteranno? Problemi loro. Ma noi intanto avremmo portato avanti una battaglia».
L’altro non rispose, evitando i suoi occhi per fissare il legno della scrivania.
«Ho capito» sospirò Nicolò, «lascerò che ci pensi. Mi rendo conto che per te è difficile decidere qualcosa spontaneamente».
E uscì dalla stanza, più irritato di prima. Si rese conto subito dopo di aver esagerato, e una stretta di rimorso lo attanagliò mentre raggiungeva il cortile, scansando i tentativi di conversazione dei colleghi.
 
 
Stringeva tra i guanti di lana quel volantino con l'indirizzo, con il gelo invernale che aveva completamente avvolto le strade di Milano. Il palazzo dove era arrivato era enorme, ma la sezione del Fronte per l'Indipendenza non copriva nemmeno un piano intero. Fece le scale a piedi fino al quinto piano e poi bussò nervosamente alla porta con sopra quello strano simbolo che aveva visto sulle bandiere.
Non sapeva nemmeno che ci facesse lì, ma quella mattina si era svegliato con quel pensiero fisso. Erano passate due settimane da quella firma, e in realtà si era completamente e volutamente dimenticato della faccenda. Se non che, proprio quella mattina, era riemerso quel famoso volantino da una tasca della giacca costringendolo, durante la doccia mattutina, a ripensare al dialogo avuto con quelle persone.
Lo avevano colpito, anche se faceva fatica ad ammetterlo a se stesso.
Non era mai stato davvero coinvolto con la politica. Certo, a scuola partecipava attivamente ai collettivi, ma poi era cresciuto. Ora aveva un lavoro importante, conviveva da qualche mese e si stava lentamente costruendo una vita tranquilla e normale. Ma per qualche ignota ragione, sentiva comunque di dover fare un tentativo con quella gente.
“Faremo solo due chiacchiere e finirà lì, così mi metterò il cuore in pace e dimostrerò una volta per tutte di essere diverso da loro”, pensò mentre bussava.
La porta si spalancò e la faccia paffuta di Giorgio Iannello, l'uomo che gli aveva fatto firmare quel modulo, gli comparve davanti, con uno dei suoi soliti affabili sorrisi a trentadue denti.
«Ah! Tu devi essere quello al gazebo… Nicolò?»
Come facesse a ricordarsi il suo nome era un vero e proprio mistero. La sorpresa di Iannello di ritrovarselo davanti era evidente, neanche lui pensava che sarebbe mai venuto.
«Sì. Ero di passaggio e sono salito per… beh, fare due chiacchiere».
«Ma certo, entra!»
Nico si guardò intorno. Lo spazio era piccolo, c’erano una libreria, una stufetta elettrica, delle sedie e dei tavoli sparsi. In un angolo c'era una scrivania con un PC e una stampante, al quale stava lavorando lo stesso giovane che aveva visto quella volta al gazebo. Si sedettero uno di fronte all'altro, vicino alla stufetta accesa. Nico cercò con tutte le sue forze di concentrarsi su quell'uomo, ma una forza estranea lo spingeva a sbirciare il ragazzo seduto al PC il quale, tra l’altro, non l'aveva nemmeno salutato.
«Allora, hai deciso che vuoi unirti a chi cerca di cambiare il mondo?» chiese euforico Iannello.
«No… cioè, insomma, non lo so…» Non aveva veramente una risposta.
«Beh, sei qui, no? Hai firmato contro gli inceneritori, o sbaglio? Perché non ci aiuti a raccogliere quelle firme? Non ci conosciamo, però da come parli sembri un uomo molto in gamba».
«Beh…»
Era abbastanza difficile dare una risposta dura ai modi gentili di quell’uomo.
«Insomma, in realtà credo sia inutile. Nel senso, lo so, è giusto provarci. Però la realtà oggettiva dei fatti è che è impossibile. Non so quanti siate voi in tutto, ma so come finiscono queste battaglie…» Vide Giorgio rabbuiarsi un attimo. Il ragazzo al computer smise per qualche secondo di battere sulla tastiera. Poi riprese subito, ma sbattendo le dita sui tasti con una forza maggiore.
«Sì, Nicolò» Giorgio sorrise, di nuovo, «hai ragione tu, è probabile che non ce la faremo, la maggior parte delle nostre battaglie è finita in un nulla di fatto, anche se qualche risultato lo abbiamo portato a casa».
Nico tenne gli occhi fissi sui suoi, dispiaciuto per ciò che gli aveva appena detto. L'ultima cosa che avrebbe voluto era distruggere i sogni e le speranze di qualcuno. Ma aveva imparato durante anni di lavoro che non ha senso scommettere sull'impossibile. Chi osa farlo perde solo tempo, a dispetto di tutte le frasi fatte.
Fu a quel punto che il ragazzo seduto al PC si voltò verso di lui.
«Chi non lotta ha già perso. Se oggi il mio ambiente è inquinato è solo perché sono pochi quelli come il compagno Giorgio che si alzano e combattono. Molti di più sono quelli che, al posto di farlo, accampano scuse!»
Quelle frasi gli arrivarono dritte in faccia come uno schiaffo. Non seppe come rispondere. Non era abituato a trattare con gente che ancora viveva nel mondo delle idee, persa in cose impossibili da realizzare. Ma quel discorso era riuscito a rompere un muro. Poteva davvero accettare l'idea di non stare facendo abbastanza per il mondo in cui viveva? Non ne era così sicuro, e il fatto che glielo stesse dicendo un ragazzo così giovane riuscì a ferirlo nella coscienza.
Forse per abitudine, forse per desiderio di realizzarsi, stava diventando una di quelle persone che lui stesso, da giovane, aveva odiato.
«Teo!» lo rimbeccò Giorgio «dai, abbiamo un ospite qui, sii gentile».
«Dico quello che penso» ribatté lui, «è facile lamentarsi delle cose se poi non si fa niente per cambiarle!»
«Perdonalo» disse Giorgio, «è fatto così, ha molta rabbia dentro. Vuoi una tazza di tè?»
Senza aspettare risposta accese un fornello da campeggio sopra la stufa e vi sistemò sopra un po' d'acqua in un padellino.
Per un attimo Nico si sentì in colpa. Era venuto lì solo per chiarirsi un po’ le idee e ora si stava facendo offrire del tè da quelle persone alle quali non aveva dato niente, se non uno scarabocchio su un foglio di carta e tante inutili giustificazione.
«Beh, la raccolta firme a che punto è?» chiese, giusto per rompere il silenzio.
«Non bene ad essere sinceri» sorrise Giorgio, questa volta con un po' di amarezza, «dobbiamo arrivare a cinquecentomila in due mesi, siamo sì e no a un decimo».
Nicolò si rivide nella mente la scena di settimana scorsa, con quegli uomini sotto al gazebo in mezzo al gelo, a cercare di convincere tutti i passanti a lasciare una firma. La loro tenacia aveva un che di commovente.
Passò circa un’ora e mezza a chiacchierare, scoprendo che Giorgio lavorava in un'industria tessile come operaio specializzato e aveva una figlia molto piccola, che purtroppo non riusciva spesso a vedere. Faceva politica da molti anni e ad un certo punto aveva anche pensato di smettere, ma quando sua moglie era rimasta incinta aveva capito che non avrebbe avuto il coraggio di dire ad un suo futuro figlio che suo padre si era arreso solo perché nessuno era più interessato ad ascoltare dei pazzi illusi di poter cambiare il mondo.
«Sai, a mia figlia dico sempre: tuo padre sta combattendo per te. Lei non lo capisce perché ha solo due anni, ma poi mi sorride e mi manda sempre baci, come se volesse augurarmi buona fortuna».
Nico aveva ascoltato in silenzio per la maggior parte del tempo. Più ascoltava, più tutta la sua vita al confronto gli sembrava stupida. Lui aveva un ottimo lavoro, tanti soldi, poteva viaggiare e fare ciò che voleva, eppure spesso bastava un piccolo scazzo al lavoro per farlo diventare scontroso e irritabile. Giorgio non aveva quasi niente, se non dei sogni e una bambina che gli regalava affetto, eppure sorrideva sempre, come se non desiderasse altro dalla vita.
«Se io dovessi convincere la gente, al posto che andare in centro dove le persone vengono fermate ad ogni metro, andrei più nelle periferie. Molto spesso basta dire alla gente chiaramente cosa si pensa per scuotere le coscienze» disse Nicolò.
Il ragazzo si voltò con la sedia, improvvisamente incuriosito.
«Può essere un'idea, ma bisogna poi essere capaci di convincerle, quelle persone» mormorò sconsolato Giorgio.
«Neanche convincere è così difficile, ci sono dei modi. Potrei tentare» propose Nico.
Tutti e due lo fissarono, increduli.
«È solo un tentativo» si affrettò ad aggiungere Nico, «me la cavo abbastanza a parlare, lo faccio di lavoro. Poi non avrò il tempo per impegnarmi davvero, ma un solo sabato non mi cambierà la vita. Sempre se volete».
Era il giusto compromesso. Per un giorno avrebbe dato il suo contributo e poi sarebbe tornato quello di sempre, ma con la coscienza un po’ più tranquilla.
«Sicuro!» esultò Giorgio, «allora ci vediamo sabato prossimo! Ti sono davvero grato».
Nicolò non riuscì a non sorridere di rimando, vedendo quella gioia immensa dipinta sul volto dell'uomo. Anche il ragazzo tolse ogni traccia dello sguardo gelido che aveva avuto fino a quel momento, stringendogli la mano.
Quando uscì da quel palazzo, il suo cuore era un po' più leggero del solito. Ma su una cosa aveva completamente sbagliato le sue previsioni, perché sarebbe bastato quel sabato, una settimana dopo, a cambiargli la vita.
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Rei_