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Autore: L0g1c1ta    14/10/2015    1 recensioni
Settembre 1939, cade la resistenza polacca. La Polonia svanisce dalla cartina geografica. La città di Varsavia viene distrutta, mattone dopo mattone dai tedeschi e dai russi.
Polonia è morto e Lituania non riesce a superare la morte dell'amico. Con la morte nel cuore, lentamente viene guidato verso la follia e gli verranno aperti gli occhi sulla sua vita.
Polonia, fantasma e defunto, accompagnato da un insolito pulcino, osserva, fra le mura della villa di Russia, il dolore di Lituania.
Entrambi ripercorrono un cammino, entrambi si rendono conto di ciò che avevano e di ciò che hanno perso, per sempre...
...
Luglio 1952, la Polonia rinasce sotto una nuova bandiera. Polonia è morto, ma viene accompagnato nel suo viaggio da Toris e da una nuova presenza. Lituania vive la sua nuova vita con freddezza, nonostante i cambiamenti avvenuti in casa di Russia. Ma ogni cosa cambia con una scoperta avvenuta in una casetta abbandonata nel bosco.
Polonia, in questo mondo cartaceo, osserva i ricordi e gli anni che lo hanno separato dalla sua patria. E si rende conto di quanti sbagli abbia commesso in vita.
Entrambi percorrono un secondo cammino. Chi in un treno per Varsavia, chi con frammenti di ricordi perduti.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Baltici, Lituania/Toris Lorinaitis, Polonia/Feliks Łukasiewicz, Russia/Ivan Braginski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Polonia, incredulo, trema.

Trema così forte che anche le gambe cedono al peso e cade in ginocchio. Toris, per lo spavento, cinguetta di protesta, arrabbiato. Polonia dimentica come fermare i suoi tremiti e, semplicemente, lascia andare il suo corpo. Quello non se lo sarebbe mai aspettato. Liet… ridotto in quello stato. Era uno scherzo…? Quasi vuole convincersi che, si, quello era uno scherzo. Uno stupido scherzetto creato da chissà chi per fare chissà cosa. Vorrebbe ridere, dire che, si, è stato divertente. Ma ora basta. Liet… perché stava così male per lui? Toris, non se n’era accorto, ma poco prima della sua caduta ha aperto le ali e ora riesce a fluttuare a qualche centimetro da terra. Riesce a rimanere in aria alla sua altezza. Ha uno sguardo arrabbiato, ancora indispettito per la caduta.

“E’… è uno scherzo?” il pulcino smette di fissarlo furioso e ricambia i suoi occhi, serio e pacato. Quegli occhietti neri non gli piacciono. Toris si avvicina, volando, ancora un po’ a lui. Osserva il suo occhio verde, sconvolto, piccolo e terrorizzato. Per Liet lui era così importante? Tanto da piangere e disperarsi per giorni e giorni? Quanto tempo è passato dalla sua morte? Quelle immagini erano così reali e disperate… No, Polska, sussurra una vocina ironica dentro di sé, col diavolo che quello era uno scherzo.

“Toris… quello è accaduto veramente?” il pulcino continua a fissare il suo occhio, concentrato. Polonia lo prende per un si. Non capisce come sia accaduto quello. Si chiede come sia riuscito a vedere quelle cose. Come se fosse un fantasma, o qualcosa del genere. In effetti, Polonia ricorda la sua morte. La ricorda così bene che avrebbe potuto sognarla esattamente com’era altre cento volte. Però gli viene un dubbio.

“Toris, tu cosa sei? Chi sei?” il pulcino smette di volare e si poggia sulle sue ginocchia. Non fa niente né dice qualcosa. Questo, però, è stupido: un pulcino non può parlare. Polska ha molte domande e non può rispondere da sé. Pensa che quelle cose, probabilmente, da morto ora sono possibili. Strane, ma possibili. Forse possibili solo per una Nazione defunta.

È ancora perplesso dal comportamento di Liet e dal perché si sia ridotto in quello stato. Pensa che Lituania non dovrebbe disperarsi tanto per un idiota come lui. Tanto meglio usare quelle lacrime per piangere Russia che lui, un deficiente che non è stato nemmeno capace di proteggere quel poco di terreno che era la sua nazione. In effetti, ricorda, è morto dopo nemmeno un mese di assedio. Ridicolo, veramente. Meglio dimenticarsi di lui, piuttosto che piangerlo, pensa. Toris, alle sue ginocchia, pretende di avere attenzioni e le chiede cinguettando e saltellando sulle sue piccole zampette. Polonia si asciuga le lacrime non ancora sgorgate.

“Che facciamo ora, Toris?” il piccoletto scende dalle sue ginocchia e si accuccia sul grande punto sulla cartina, che è Mosca. Lo fissa a testa alta, orgoglioso.

“Torniamo indietro? Per quanto tempo resteremo lì?” Toris, in risposta, si gonfia le piume e abbassa le zampette sulla capitale. Polonia comprende.

“Per molto più tempo? Andremo ancora da Liet?” chiede, poco convinto. Ripensandoci meglio, non vorrebbe andare da lui. Preferisce non vederlo e autoconvincersi che a Lituania lui non è mai piaciuto e che non ha mai desiderato stare in sua compagnia. Vorrebbe convincersi che, in realtà, Liet non sta così male per la sua morte. Sta bene, è soltanto un periodo, un piccolo lutto, poi passerà e ritornerà a sorridere, come prima. Come ha sempre fatto insieme a lui. Vorrebbe non essere mai stato importante per Liet.

Toris cinguetta, non ritenendosi sufficientemente considerato. Polska, triste, sorride. Sarebbe stato più tempo con Liet, ma per quanto? Spera non troppo tempo. Forse pochi giorni, anche meno, vorrebbe. Osserva il pulcino che si stacca una piuma grande, troppo grande.

Polska deglutisce, sentendosi male senza aver nemmeno sfiorato le mura della casa di Russia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DIARIO DI LETTONIA

 

È passato molto tempo dall’ultima volta che ho scritto in questo quadernino, ma credo che in questi giorni lo farò più di prima. Non so con chi parlare, quindi credo sia il caso.

Sono cambiate molte cose e sono cambiate così in fretta da non saper da dove cominciare. Forse è meglio partire da quel che succede qua fuori.

Da quando Germania e Prussia hanno distrutto la Polonia, tutti dicono che quello che sta succedendo è una vera e propria guerra. Per me tutto è così lontano da non capirci un granché. In questa casa avere un giornale è difficile per noi Baltici.

Per quanto ho capito, Germania e Prussia hanno fatto un sacco di casini. Tutti hanno pensato che avrebbero preso i territori perduti e allora se ne sarebbero stati buoni, ma non è stato così. Quei due sono impazziti. Hanno stretto alleanza con Italia e Giappone e sono riusciti ad invadere e prendere Francia. Ho sentito che hanno chiamato quest’alleanza “Asse”.

Quei due si sono montati la testa e hanno invaso Inghilterra. In quel casino che hanno combinato non ci ho capito molto, non ho letto i giornali, né sentito la radio o chiesto alle sorelle di Russia, ma ho capito che hanno bombardato Londra, come se niente fosse. Quasi non ci credo che sono riusciti a fare una cosa del genere ad Inghilterra.

Giusto oggi ho trovato Ucraina con un giornale, era euforica. Ce lo siamo letti insieme. Ieri Inghilterra è riuscito a contrastare gli aerei tedeschi e ha vinto questa grande battaglia che stavano facendo praticamente sul suo cuore. Ha vinto e, credo, sta bene. Ne sono felice, forse così Germania potrà starsene fermo e calmo e così, forse, ritornerà tutto come prima, senza questa stupida guerra.

Però, qui dentro, non credo che tutto ritornerà come prima. Ho già scritto come si è sentito male Lituania per quel che è successo a Polonia e a come è stato ridotto il suo cadavere. In quei giorni Russia ha dato il peggio di sé. Secondo me voleva dimostrare qualcosa a Lituania, ma non so bene cosa. Forse voleva che la smettesse di pensare sempre a Polonia e di chiamarlo ogni giorno. Io non ci trovavo nulla di male, Estonia non la pensava così e anche lui diceva a Lituania che doveva smetterla, ma lui non l’ha mai fatto. Ripeto, per me non c’era nulla di male nel chiamarlo o nel parlargli ogni tanto. Lituania lavorava comunque, finiva tutte le faccende e poi andava al telefono per chiamarlo.

Niente di terribile, eppure per Russia non era così. Ora che ci penso, forse era geloso. Forse voleva che Lituania potesse abbassare la testa come noi. Forse è per questo che lui lo picchiava sempre, quasi ogni settimana. Tremavo sempre quando lo faceva. Ora si è un po’ calmato, ma siamo sempre con gli occhi attenti per vedere se Russia non se ne esce fuori di testa come faceva prima.

Cioè, lo facciamo io ed Estonia, ma a Lituania sembra non importare. Abbassa la testa e annuisce, non parla proprio. È cambiato tantissimo. Non lo riconosciamo per niente. Sembra un pezzo di ghiaccio: ha gli occhi freddi e scuri e sembra più sciupato e stanco di prima. È come se dopo quel giorno, quello quando lo abbiamo visto abbracciato al cadavere di Polonia, avesse dimenticato come si sorride. In realtà, non fa nemmeno niente di strano o diverso. Si alza, mangia quello che vuole, inizia a lavorare con noi, finiamo la sera, mangia ancora e subito a dormire.

Di sicuro qualcosa dentro di lui si è rotto e non so se si riparerà più. Ne ho parlato con Estonia. Lui mi dice di lasciarlo stare. Sta passando un lutto, quindi è normale che sia triste, soprattutto se abitiamo tutti con l’assassino del morto. La cosa è peggiorata anche perché non parla quasi mai e ignora Russia che lo fissa sempre, manco fosse un animaletto strano. È normale, dice Estonia, poi se ne farà una ragione e gli passerà.

Secondo me non è così semplice. È già passato molto tempo e Lituania è sempre così: triste ed insensibile. Secondo me non gli passerà mai se non si farà qualcosa. Alcune volte, quando sono sotto le coperte, lo guardo un po’ e mi fa paura e pietà. Mi fa tanta pena, ma non so come aiutarlo. Tante volte penso che sarebbe meglio se una sera ci sediamo tutti sul letto e ne parliamo un po’ di questa cosa, ma non per questa fratellanza o quel che è, ma perché vorrei capire cosa sta pensando Lituania. Sembra sempre con la testa in un altro mondo, forse pensa a Polonia e a tutto quello che gli è successo.

So che certe cose non cambiano mai, ma spero che questa cosa possa cambiare. Anche solo il fatto che non ci parli mi fa sentire male. Mi sento in colpa. Russia non si sfoga su di lui, ma è come se lo facesse. Lo guarda sempre, con quello sguardo cattivo, come se si aspettasse qualcosa da lui.

Io ho paura per Lituania e lo dico per davvero.

Mi sono stufato di pensare sempre a Russia e a me stesso. Mi sento tanto, tipo una cattiva persona. Ora che ho scritto tutte queste cose e le rileggo, mi sento ancora più male. Forse uno di questi giorni mi avvicino a Lituania e lo abbraccio, anche solo per vedere come reagisce. Vorrei farlo stare meglio e non mi viene in mente nient’altro da fare che questo. Mi fa star male vederlo così morto.

Ora Russia lo chiama sempre, vuole sempre che stia vicino a lui. Né io né Estonia ci capiamo molto di quel che sta succedendo. Continuo a credere che Russia sia geloso di Polonia e voglia che Lituania pensi solo a lui, ma Lituania non pensa a niente e quindi lui è arrabbiato, ma non lo fa notare. Quindi per questo cerca una reazione o qualcosa di simile da lui. E mica se la vuole perdere una cosa del genere.

Ecco, è di nuovo accaduto. È entrato Russia nella nostra stanza (si, lo so, è sera, sono le otto e abbiamo finito i nostri lavori, ma l’ha fatto!) e ha chiesto di aiutarlo a mettere in ordine delle carte nel suo studio perché, dice lui, deve lavorare fino a tardi con dei documenti. Qualcosa che riguarda Germania e Prussia, secondo me. Estonia si è fatto avanti e ha detto che faceva lui, ma Russia ha risposto di no e ha chiesto a Lituania.

Sia io che Estonia siamo rimasti pietrificati. Ok, è vero che Russia sta occhieggiando da mesi Lituania, ma non gli aveva mai chiesto direttamente di stare vicino a lui. Ha anche aggiunto che Lituania avrebbe dovuto stare sveglio fino a tarda notte con lui, per preparargli qualcosa da mangiare e cose simili, perché di sicuro finisce tardi. Ora Lituania ha seguito Russia nel suo studio e io ed Estonia non siamo tranquilli, per niente.

Qui gatta ci cova.

Ho paura.

Spero che non gli capiti nulla.

 

 

 

 

 

 

Non si è mai sentito così in trappola in vita sua.

I muri lo osservano. I tavoli lo squadrano. I pavimenti lo fissano. Persino le stanze, per stringerlo e per fargli del male si schiacciano su sé stesse e lo soffocano. Il suo corpo è un macigno pesantissimo che deve portare per forza. Non è solo Polska il problema, lo è ogni cosa in quel luogo, soprattutto gli abitanti di quella casa.

Morirò qui dentro, pensa spesso.

Accadde quel giorno non molto lontano, quando Russia lo aveva portato nella sua stanza e gli aveva mostrato i resti di Polska. Quando i suoi stessi fratelli lo rinchiusero nella loro stanza, aveva pianto, urlato, pregato di uscire e poi aveva smesso. In quel mentre aveva avuto una consapevolezza, chiara e precisa. Fu come uscire fuori alla luce del sole, dopo aver vagato per anni in una caverna buia. Tutto era chiaro. In realtà, ogni cosa era chiara anche prima di scappare dalla caverna buia e scura. Lo sapeva, lo capiva, ma non l’aveva assimilato per bene. Non l’aveva capito o semplicemente non aveva afferrato bene il concetto di quella casa infernale.

Era un prigioniero. Un cardellino intrappolato, costretto a stare nella sua gabbietta per l’eternità, senza mai vedere uno spiraglio di luce.

Aveva capito ogni cosa dopo quel giorno e ancora ora non può credere che non ci fosse arrivato prima, dopo tutti quegli anni al servizio di Russia.

Non era più una persona, una Nazione, un essere umano con sentimenti e sensazioni. Era un giocattolo in mano ad un bambino capriccioso. Era una marionetta umana tra le mani di Russia e questa consapevolezza lo uccide ogni giorno.

Inizialmente pensò di cercare di non vedere. Pensò che dopo un po’ sarebbe di nuovo ritornato cieco, impegnato in altre faccende e pensando a tutt’altro. Si sbagliava. Anzi, servire Russia, stare in quella casa, dividere un gigantesco letto insieme a dei falsi fratelli, gli fa ricordare ancor di più quanto sia incredibilmente solo. E avere tra i pensieri quella consapevolezza lo fa sentire ancora più in gabbia. Lituania sognava la libertà, sperava di poterla riavere insieme a Polska, l’unico con cui riusciva a sentire quella sensazione di felicità assoluta che ti percuote e ti accarezza la pelle. Ora quella luce di speranza si è dissolta completamente. Ora Lituania si trova in un baratro buio e in catene con un carceriere crudele e cattivo.

Quindi rifletteva, ogni singolo minuto, su come fuggire dalla sua prigione. Pensava di scappare, alzarsi la mattina presto, anche prima dell’alba, prendere le sue cose e un po’ di cibo e fuggire per le foreste russe, fino a toccare e raggiungere la Lituania, casa sua. Poteva funzionare, se lui fosse stato umano. Non aveva un peso sulle spalle. Lui non è un umano, libero, fragile, ma capace. Lui è una Nazione. Non deve pensare solo a sé stesso, ma anche alla sua terra. Era solo uno specchio umano che rifletteva un intero paese. Se fosse scappato, Russia lo avrebbe preso e se non lo avesse fatto si sarebbe vendicato. E come vendicarsi meglio se non strappando il cordone invisibile che lo lega con la sua terra? Russia sarebbe andato in Lituania, a casa sua, e l’avrebbe distrutta mattone dopo mattone, albero dopo albero, fino a che di lui non rimaneva che una banale imitazione dei resti di Polonia. Russia sarebbe stato pronto ad uccidere per avere il controllo su di lui, e Lituania lo sapeva e lo sa bene.

Non poteva scappare, né migliorare la sua situazione. Era in trappola, più di prima e senza una speranza.

I giorni, le settimane e i mesi passavano e la sensazione di trovarsi in una gabbia dorata era sempre più assillante. Non aveva nemmeno una persona con cui parlare o confidarsi. Lui stesso doveva raccogliere e cercare di ricostruire i pezzi del suo cuore spezzato. Ma non riusciva a ripararlo. Non aveva la forza nemmeno di fare questo. Si sentiva vuoto ogni giorno, ogni ora, ogni secondo.

Se il giorno era faticoso, la notte era la peggiore. Senza nient’altro da fare o pensare, Lituania si perde nei suoi ricordi. Ricorda i vecchi giorni passati con Polska, ogni momento felice, meno felice, triste o drammatico. Come quando ci fu la spartizione della Polonia. Polska dovette spezzare la sua carne in tre parti per Austria, Prussia e Russia. Si sentiva peggio di Liet, ma si confidavano al telefono e ne parlavano fra di loro. Non potevi nascondere niente a Polska. Capiva ogni cosa, riusciva a prendere i tuoi pensieri ingarbugliati e districarli in un batter d’occhio. Erano in periodi difficili, ma erano felici e sereni. Avevano un sogno, una speranza.

Lituania vuole quei ricordi indietro. Vuole riavere indietro Polska e rivivere tutti quei giorni felici e tristi. Talvolta si sente così male che desidera non averli mai vissuti. Vorrebbe odiare Polska per averlo lasciato con questo vuoto e vorrebbe picchiare quel che rimane di lui, per averlo abbandonato in quel modo. Poi si ricorda di quanto sia patetico, allora chiude gli occhi per dormire, ma sogna di nuovo Polska e la libertà e allora la mattina prima dell’alba piange come solo un prigioniero può fare.

Non ha via d’uscita e non la trova in nessun posto. Anche prima non l’aveva, ma combatteva per resistere. Aveva qualcuno per cui combattere, quel qualcuno ne offriva parecchie, di ragioni, e il dolore lo dimenticava. Ora è una bambola vuota e senza espressione e non sa per cosa vivere.

Per la sua Nazione? No, non è così patriottico ed altruista per pensare alla sua terra. Guardandola dall’alto di una qualsiasi cartina, la trova piccola, stupida ed insignificante. Non le dà nulla. Sperava che lo riempisse, ma si sente vuoto ogni giorno che passa.

Quando serve Russia, quando lo vede bere alcool, pensa di provare a dimenticare o a scappare dalla realtà. Guarda la vodka come un affamato guarda una tavola imbandita. Vorrebbe berla, tutta una bottiglia, anche di più. È sempre stato debolissimo all’alcool, vorrebbe vedere il suo cervello autodistruggersi e dimenticare, anche solo per poche ore. Fa così male che vorrebbe farsi lui stesso del male. Vorrebbe quasi provare ad obbligare Russia di fargli così male da venire quasi ucciso, come faceva un tempo. All’epoca soffriva, ma ora quasi lo vorrebbe con tutto il suo cuore. Anche il dolore potrebbe fargli dimenticare. Ma non accade nulla da mesi. Russia, anzi, lo fa sentire ancora peggio guardandolo come se fosse una bambola vecchia e malandata. Si sente ancora più depresso. Qualche volta alza lo sguardo nell’ufficio di Russia e incrocia con gli occhi le vecchie armi che usava in guerra. Vorrebbe essere abbastanza alto per arrivare a toccarle. Ma poi si ricorda che non gli è concesso né la vodka, né entrare nell’ufficio di Russia. Per questo si sente ancora più male e vuoto. È incredibile come la morte di Polska abbia lasciato questo marchio così vivo sulla sua pelle.

Non sorride più, forse l’ha dimenticato. Non parla mai, se non un servile ‘si, signore’ o ‘certo, signore’ o, peggio ‘qualsiasi cosa volete, signore’. Signore… Russia è mai stato signore con Lituania? No, Russia è qualsiasi cosa, tranne che un signore e mai lo sarà, se non con le sue sorelle, ma loro devono essere degli angeli per avere questa fortuna e Lituania è soltanto un giocattolo. Lituania, piccola Nazione insignificante, suo servitore nell’Unione Sovietica, non avrà mai il privilegio di essere meno che il suo fantoccio di carne umana.

“Lituania, attento o mi investirai!” dice, scherzoso, il gigante di fronte a sé, prima di aprire la porta del suo invalicabile studio e chiuderla dietro di loro. Lituania non può far altro che seguirlo, bianco e freddo. Nessuno può entrare nell’ufficio di Russia senza avere il suo permesso. Lui stesso ci è entrato solo un paio di volte durante la sua prigionia nell’Unione Sovietica. Di solito è Estonia ad aiutarlo con i documenti. Russia si fa spazio tra quella montagna di documenti e fogli buttati sulla scrivania.

“Non sarà facile, ma sono certo che in due ce la faremo. Allora…” inizia a cercare in mezzo a tutte quelle stampe “…bisogna riordinare e prendere i vari volumi di milizie russe e straniere, per eventuali necessità… Ah, Lituania, qui abbiamo i documenti che devi riordinare, io partirò da questi”

Prende i mano i vari fogli. A malapena gli legge. Riguardano i vari bombardamenti avvenuti a Londra durante i mesi precedenti e la quantità di aerei utilizzati dall’esercito tedesco. Inizia subito. Prende i documenti e li riordina. Il lavoro si fa sempre più lungo, fino a toccare la mezzanotte. Mezzanotte e non hanno ancora finito. Almeno su questo Russia è stato sincero. L’aveva notato ormai: il gigante lo ha osservato indagatore per tutte quelle ore e non accenna a lasciare gli occhi dal suo pupazzetto preferito. Lituania si sente ancor più in trappola. Vorrebbe sbattere la testa contro la scrivania, fino a quando non si sentirà così male da non sentirne la felicità.

“Molto bene, anche gli armamenti tedeschi sono andati. Lituania, per cortesia, potresti prepararmi dell’altro tè e qualcosa da mangiare? Fai anche qualcosa per te, dobbiamo continuare il lavoro e sembri già stanco” scherza, nascondendo il sorriso sotto la sciarpa. Lituania non lo ricambia, così come non ha mai ricambiato alcun sorriso dopo quel che è successo a Polska. Semplicemente, china il capo e raccoglie i resti del pasto di mezzanotte di Russia.

Si avvia verso l’uscita dello studio, badando a non inciampare col vassoio d’argento in mano. Un luccichio argentato lo costringe a voltare la testa verso il muro di fianco a lui. Inizialmente non lo vede. Sul muro è appesa la bandiera dell’Unione Sovietica, rossa e sporca del sangue delle loro terre. Al di sotto della bandiera ce ne sono altre: Russia, Bielorussia, Ucraina, Lettonia, Estonia e la sua, rossa come il coraggio dei suoi uomini, verde come le sue foreste e gialla i mille campi di grano delle sue terre. Nota, però un’anomalia: c’è un’altra bandiera insieme alle loro. Una bianca bandiera tagliata a metà di rosso svetta in mezzo a quel groviglio di stendardi. È in bella mostra, come per vantarsi di essere lì, insieme ad altri paesi, legata, anzi, piantata al muro. Dalla bocca dello stomaco di Lituania scatta una scintilla di fuoco che raggiunge il cervello. Quindi, Polska non è nient’altro che un trofeo da appendere al muro?

Polonia fantasma vede lo stesso, accanto a Lituania. Sente le sue stesse sensazioni. Vorrebbe esplodere per la vergogna. Si sente esattamente come ha pensato Liet: un trofeo da appendere al muro, una nuova carcassa per abbellire la terra bagnata di rosso di Russia. Sente lo stomaco contorcersi, il cuore scoppiare. Dalla gola esce fuori un ringhio di rabbia, i pugni prendono un lembo della sua divisa militare, quasi sul punto di strapparla. Si sente un cip cip vicino al suo orecchio. Polonia non lo sente, le orecchie appannate. Si volta verso Lituania, occhi rossi come il sangue, lo stesso che macchiava il suo corpo.

“Liet, uccidilo” gli sussurra, un grammo di rabbia finisce sulle orecchie del lituano. Nessuna risposta, nessuna reazione. Questa è come una scintilla su un candelotto di dinamite nel cuore del polacco. Fa dei passi pesanti e si mostra di fronte a Lituania, ancora cieco per la vista della bandiera, incapace di vedere il suo fantasma.

“Liet, è un ordine: uccidilo” Lituania continua a fissare la bandiera, una fiammella rossa brucia anche nei suoi occhi blu. Polonia non lo nota. Liet non lo ha mai deluso, non gli ha mai disubbidito, dopotutto. Perché ora esita? Lui era ed è un principe, Lituania il suo cavaliere. Un cavaliere deve ubbidire al suo sovrano. Questo è ciò che crede ancora Polonia. Toris, preoccupato, svolazza sulla testa del biondo e gli afferra una ciocca dorata, tirandola, nel tentativo di farlo retrocedere. Polonia si irrita e, senza nemmeno volerlo per davvero, dà un pugno al piccolino. Toris sbatte contro il muro, con un cinguettio di dolore. Il pigolio continua, implorando di essere ascoltato ed aiutato. Polonia dimentica che anche lui è un suo amico e si concentra di nuovo su Liet.

Afferra per le spalle il moro, ferocemente, come se volesse strattonarlo. Entrambi hanno il cuore in subbuglio. Una scarica elettrica percuote Polonia, ma lui non la sente nemmeno. Ha gli occhi all’infuori, furibondo, disgustato, usato, ferito e voglioso di vendetta. Vede in Lituania lo strumento grazie al quale può riuscire nel suo intento. Lo desidera così tanto che lo urla in faccia al lituano. Toris cinguetta frenetico, di paura.

“Lituania, il tuo principe ti sta ordinando. Uccidilo, Lituania, ubbidiscimi!” una seconda scarica elettrica percuote, questa volta, il moro.

“Lituania, stai bene?” chiede, ingenuamente, Russia.

Uno scatto. Una scintilla e un fuoco brucia e inghiotte il cuore del lituano. Lituania fa un verso sprezzante.

Tu credi che io stia bene?” chiede, disgustato, voltandosi verso il suo burattinaio, con occhi infuocati. Non c’è più il blu del suo cielo, solo rosso di un incendio nelle foreste lituane.

Getta a terra il vassoio d’argento, come se non valesse nulla. Con un balzo raggiunge e prende la bandiera polacca, con un bastone d’argento talmente affilato da parere una lancia. Rotola la bandiera bianca e rossa attorno al bastone. Russia vorrebbe dire qualcosa, ma fa in tempo. Lituania ricorda i vecchi tempi, quando c’erano le lance al posto dei fucili. Non prende nemmeno la mira, usa la sua forza, chiusa per anni e mai liberata, come lui.

La punta dell’argento trafigge la gola di Russia, tagliando in due la sciarpa bianca e candida. Il gigante si dimena in una pozza di sangue formata ai suoi piedi. Cade sulla schiena e si agita nel rosso come un pesciolino in cerca di acqua. E’ ridicolo e patetico e Lituania, arrabbiato, riprende la falsa lancia, la strappa dalla gola del mostro. Lo trafigge ora agli occhi, ora al cuore, ora alla bocca, lo disgusta talmente tanto che non vuole nemmeno ascoltare le sue urla da maiale. Gode, Lituania, gode come mai ha goduto della sofferenza di qualcuno. Continua a macchiarsi di sangue. Schizza per terra, tra i muri e macchia il corpo del lituano.

Russia smette di agitarsi, muore, come un bastardo. Lituania non è soddisfatto. Apre la grande vetrata, con una forza immonda, prende il cadavere del russo e lo butta giù. La testa si spacca, toccate le scale d’ingresso della prigione. Il corpo ruzzola giù per le alte scale, lascia sangue dietro di sé, tanto sangue. Il suo rotolare si ferma nei giardini dello stesso Russia. Russia ama i fiori, ne vuole tantissimi, soprattutto i girasoli, in ogni angolo della casa. Se avesse dovuto morire, lo avrebbe voluto fare in un campo di girasoli. Nemmeno il suo desiderio si realizza. Il corpo ruzzola in una parte del giardino dove il russo aveva sempre cercato di far crescere qualcosa, invano. Nemmeno le erbacce gli avrebbero fatto compagnia.

Lituania guarda il suo operato e cade in ginocchio, nella pozza di sangue del suo marionettista deceduto. La bandiera polacca cade dalle sue mani e si srotola sul pavimento. Si macchia, la metà bianca, di un rosso vivo e forte. Lituania alza gli occhi al cielo, pieni di lacrime, congiunge le mani come in una preghiera, ridendo. Polska è stato vendicato, il suo fantasma potrà dormire in pace, per sempre.

“Lituania, ti senti bene?”

Un attimo, un battito di ciglia. Il cuore di Lituania sbatte contro il petto, incredulo quanto lui stesso. Gli occhi si voltano intorno a lui: la stanza non è rossa, ma immacolata, la bandiera polacca è ancora sul muro, Russia è ancora vivo. Incredibile. Respira ed inspira così velocemente da sentirsi il fiato sul collo e l’aria mancare. Sembrava tutto incredibilmente vero e bellissimo. Ci avrebbe giurato che fosse stato tutto vero e che si fosse liberato della sua disperazione. È confuso, ancora scosso dalla sua fantasia che ha galoppato tra la sua sete di vendetta e la sua infelicità.

È stato falso, ma bellissimo. Ma anche pericoloso. Polonia fantasma, tra le braccia di Lituania, ha visto ogni cosa. Respira affannosamente, lasciando la presa, tremante. Si rende conto di aver sbagliato troppo tardi. Vede Toris per terra, tremante e pigolante di paura. Lo prende tra le mani, gli accarezza le piume arruffate e gli sussurra parole di scusa. Non voleva fargli davvero del male. Ma il pulcino sembra molto più preoccupato per Lituania. Si volta, terrorizzato, verso i due vivi. Polonia si allontana verso il secondo muro, terrorizzato anch’egli.

Lituania si volta lentamente verso Russia, ancora scosso, non del tutto cosciente. È stato come uscire dal proprio corpo e poi ritornarci, sputato là dentro, velocemente e senza capire come fosse accaduto.

La sua confusione si tramuta in paura, quando si volta verso Russia, seduto composto alla scrivania. Aveva dimenticato da mesi cosa significa aver paura di qualcuno che vive insieme a te, nella stessa casa. Aveva dimenticato cosa significasse avere il cuore galoppante in gola per il terrore di essere ucciso o maltrattato. Russia, in quel momento, lo sta terrorizzando. Anche solo il fatto che non stia facendo nulla, è assillante e pericoloso. Il suo sorriso da bambino è sparito. Lituania non riesce a decifrare quell’espressione e il fatto di non riuscirci, lo spaventa ancora di più. Si rende conto di non aver mai visto uno sguardo del genere nel viso di Russia.

Il ticchettio del pendolo in mezzo a quel silenzio è terribile e famigliare. Russia lo guarda così intensamente e in modo così serio da passargli tutte le emozioni, le sue emozioni, che Lituania non riesce assolutamente a decifrare. È tutto così incredibilmente orribile e familiare. Troppo familiare. Sembra quasi l’inizio di una storia dell’orrore, una storia che Lituania conosceva, ma che aveva dimenticato. Però, ora ricorda cosa significa avere un carceriere senza pietà. Sente di nuovo i muri stringersi su sé stessi, come una morsa maligna e claustrofobica. Lituania comprende di essere terrorizzato quando sente i ticchettii delle posate e delle tazze sul vassoio d’argento che ha fra le mani, scontrandosi e toccandosi fra loro, in una danza al ritmo della sua paura.

Russia non si muove, lo fanno i suoi occhi, verso il muro dove è incominciato tutto. Lituania non sa cosa stia guardando e spera di non saperlo mai. Non dura molto, una manciata di secondi, che sembrano secoli e millenni lasciati alle spalle. Russia rivolge di nuovo gli occhi verso i suoi. Sente il cuore urlargli di scappare, andare via, mandare tutto al diavolo. Russia socchiude le spire violacee, bollenti come una rabbia repressa da settimane e mesi.

“Vorresti usarla contro di me?” un battito manca nel petto di Lituania.

Cosa intende dire? Gli occhi azzurri si voltano lentamente di nuovo verso la parete. Si accorge che l’argento del bastone della bandiera polacca brilla come una striscia di luce in mezzo al nero del cielo, di cui la punta acuminata ne è la testa. Lituania volta di nuovo gli occhi verso Russia.

Non è possibile, non può averlo capito così in fretta, non può farlo, pensa ingenuamente il lituano, sperando del contrario, nonostante entrambi sappiano di sapere la verità. Gli occhi di Lituania non hanno cambiato espressione, così come quegli di Russia, eppure il lituano sente chiaramente delle gocce di sudore tranciargli la fronte e le guance. Il cuore, dalla gola, si sposta verso le orecchie, urlando, piangendo ed implorando di scappare. Russia sa e non fraintende. Dopotutto, i pazzi son desti.

“Non mi hai risposto” il cuore nelle orecchie del moro si cheta, stranamente calmo. Lituania riceve il colpo, senza protestare, con la testa leggera come un palloncino. Non risponde. Si volta, prova ad aprire la porta, molto più terrorizzato di come dimostra il suo volto apatico. Sente una grande mano, pesante, che ferma la sua. Russia raggiunge la maniglia della porta prima di lui. Lituania sente una morsa stritolargli il cuore, quando vede la stessa mano da gigante girare la chiave della porta, serrarla e nascondendola chissà dove. Il lituano rimane semplicemente lì, fermo, con il vassoio ancora in mano.

“Non mi hai ancora risposto, Lituania” dice Russia, riacquistando calma e la sua solita voce da bambino. I muscoli di Lituania si irrigidiscono come un blocco di ghiaccio. Le palpebre non possono più concentrarsi sul vassoio: Russia gliel’ha sfilato dalle mani e riposto sulla scrivania. Vuole essere calmissimo e, forse, ci sta riuscendo, ma con l’ansia di avere un mostro alle spalle. Il profumo di Russia lo avvolge completamente.

“Non so di cosa stia parlando, signore” i brividi lungo la schiena si chetano quando Russia gli poggia le grosse mani sulle spalle, fermandoli. Sospira, dietro di lui.

“Non ti conviene prenderti gioco di me più di quanto tu lo stia facendo ora” Lituania sente il cuore impazzire. Le mani di Russia, dalle spalle, si sono spostate una al braccio, l’altra ai capelli, giocando con le sue ciocche e col bottone della giacca. Le sue dita sfiorano e carezzano i polpastrelli di Lituania.

“Sai, se avessi usato quello sguardo in battaglia, non saresti finito in questa situazione” un altro colpo al cuore. I muscoli del moro si scongelano, diventando pastafrolla. Lo stomaco si contorce. Nel petto ha un treno in corsa. La guerra contro Russia. Polska e lui tra la neve, sconfitti. Russia lo cattura e lo porta via. Polska viene portato via da Prussia ed Austria. Brutti ricordi, troppi. Lituania chiude gli occhi, aspettando di ricevere un colpo. Niente, solo Russia che ride, una risata calda che lo soffoca.

“Cosa credi che dovrei farne di te?” dice, attorcigliando una ciocca mora tra l’indice “Mi ero dimenticato di punirti, tanto tempo fa…” Lituania getta nello stomaco un groppo di saliva secca e fredda.

“Q-Quando?” la mano scende verso l’orecchio, accarezzandone i bordi.

“Non te lo ricordi? Prussia era venuto a casa nostra e mi aveva chiesto l’invasione della Polonia” gli occhi di Lituania hanno dei brividi di paura, ricordando “Tu eri dietro la porta, Lituania…” un altro battito manca all’appello nel petto di Lituania.

Si, era dietro quella porta, aveva sentito ogni cosa. Doveva solo portare del tè e servire l’ospite. Non aveva potuto farne a meno. Aveva ascoltato la conversazione e aveva sussultato al ‘si’ di Russia. Aveva dato il vassoio ad Estonia ed era scappato al telefono per avvertire Polska. Non gli aveva creduto. Forse, se avesse insistito abbastanza, forse le cose sarebbero cambiate. Forse Polska sarebbe ancora vivo, forse Varsavia non sarebbe caduta. Forse non sarebbe scoppiata quella guerra che tutti temono.

Come avesse fatto Russia a sapere una cosa del genere, perché avesse ritardato così tanto la sua punizione, non riusciva a capirlo e il fatto di non riuscire a comprenderlo, lo terrorizza ancor di più. Più è ritardata la pena, più sarà straziante il dolore. Così funziona la mente di Russia. Lituania non ha niente da dire in sua difesa. È inutile contrastare Russia. Come si può andare contro la Nazione più grande e potente del mondo?

Malgrado ciò, il cuore di Lituania vuole scappare. Lo desidera così tanto che riesce ad ordinare al corpo di fare uno scatto in avanti. Ma Russia riesce ad afferrarlo in tempo per una manica verde scura. Lituania viene strattonato all’indietro, ma sbatte contro il muro dove le bandiere vengono sfoggiate con orgoglio. Colpisce pesantemente la parete, facendosi male ad una spalla. La bandiera lituana cade sotto di lui, prima di sprofondare lui stesso contro il muro, con la sua bandiera a fargli da mantello.

Russia viene trascinato dietro di lui. Sarebbe sbattuto addosso a Lituania, se non si fosse fermato in tempo artigliando la parete. Ma questo secondo colpo fa cadere la bandiera rossa dell’Unione Sovietica che, leggiadra, si adagia sulle spalle di Russia. Gli occhi di Lituania riprendono vita, dopo mesi di apatia. Nonostante la bandiera rossa si cali anche sulla testa di Russia, Lituania riesce a vedere i suoi occhi tristi e dispiaciuti.

“Perché mi costringi a farti del male?” la voce si è avvilita. È triste e profonda, ma dolce come quella di un angelo. Lituania si sente schiacciato e morto. Non sa come e non può scappare da nessuna parte. Russia sembra ancora più grande e pericoloso con la bandiera dell’Unione sulle spalle. Ha ancora gli occhi abbattuti.

“Perché ti fai del male, Lituania? Perché mi costringi a farti questo?” chiede, come se volesse una vera e propria risposta. Russia non vuole mai risposte, preferisce cercarle da solo, anche se sono sbagliate. Lituania, anche se così non fosse, non sa che dire. Russia chiede tante cose. Chiede perché esistano le guerre, perché la sua terra è sporca di sangue, perché muoiono i suoi fiori, nonostante li tratti come dei figli. Lituania vorrebbe morire, come i girasoli di Russia. Il gigante ad un palmo dal suo corpo, muove una mano verso la sua gamba e lo fa trascinare sotto di lui. Ora è per davvero in trappola. La bandiera lituana lo ha ancora seguito, nonostante questo brusco movimento.

“Povero piccolo Lituania… Povero piccolo bambino…” mormora Russia, più a sé stesso che a lui. Lentamente una grossa mano si adagia sul volto del moro, coprendolo totalmente. Lituania sente il suo veloce respiro  ingarbugliato nelle falangi. Il petto si alza e si abbassa velocemente, prova ad urlare, ma dalla mano non si sente nulla: Russia gli sta aprendo i bottoni della giacca ed è passato a strappare quegli della camicia.

Lascia il suo petto scoperto. Il tocco di Russia è freddo e gelido. Ma Russia è sempre stato freddo, anche le sue mani lo sono, come se tutti i ghiacciai e la neve della Madre Russia fossero rinchiusi in un solo corpo umano. Gli accarezza la pancia, delicato. Lituania sussulta e vorrebbe scappare e urlare, ma nemmeno ciò gli è concesso.

Le dita di Russia si concentrano in un punto sotto le sue costole e lì iniziano a scavare nella carne. Lituania si agita e si contorce, ma non riesce a muoversi: Russia è così grande da avergli bloccato anche le braccia e il busto. Inizia a piangere mentre la mano continua a scavare. È una trivella all’interno della sua carne. Sente la disperazione toccargli il cervello, per la sua incapacità di muoversi. Ha paura, tanta paura.

Ad un certo punto il suo corpo ha uno spasmo e smette sia di piangere che di tremare. Ogni cellula di sé stesso si pietrifica e rimane incatenata alla realtà di ciò che sta succedendo. Russia è riuscito a scavare nella carne, fino alle costole. La sua mano gigantesca sfiora una parte in particolare: le sue dita giocano e sfiorano la pelle e i muscoli del suo cuore. Mentre batte forte dentro di sé, Lituania avverte chiaramente i polpastrelli del gigante accarezzare il suo piccolo cuoricino. Non lo crede possibile. Rimane fermo, con gli occhi sbarrati, riuscendo solo ad ascoltare ciò che sta accadendo nel proprio corpo. È entrato nel panico, tanto da non riuscire nemmeno a muoversi. Russia china la testa verso di lui, posando le labbra vicino all’orecchio. Non vede il suo viso, per colpa della sua mano piantata in viso, ma sente chiaramente il suo profumo entrargli nelle narici.

“Non lo senti? Io ho la tua vita in mano” è la frase più crudele che Lituania abbia mai sentito. Le ciocche ghiacciate di Russia carezzano quelle fradice di sudore del lituano. Lituania non sa nemmeno se vuole scappare, troppo scioccato per fare qualcosa, anche per pensare. La mano nel suo petto scivola fuori dalla sua carne, lasciando dietro di sé un gelido addio. Lituania è ancora sconvolto, avendo sentito con le proprie orecchie la verità detta dal suo carceriere.

Non vuole più scappare, vuole andare via, ma non in quel modo. Vorrebbe rivedere Polska, dirgli quanto è stato idiota per non averlo ascoltato, chiedergli perdono per averlo abbandonato e abbracciarlo come faceva un tempo. Vorrebbe che la sua Nazione sparisca e che nessuno la voglia più ricordare. Gli darebbe la pace, quella sensazione. Vorrebbe che Russia non fosse così sadico nell’uccidere qualcuno, che lo facesse in fretta, senza dolore. Lui potrebbe, ma non lo fa. Avrebbe potuto stringere il suo cuore così forte da non sentire più l’aria nei polmoni. Ma non si può fare questo, se sei una Nazione. L’unico modo per morire è che un’altra Nazione invada la tua e la distrugga, fino a che non ci saranno nemmeno i nomi delle città, fino a quando non scompaia totalmente dalle carte geografiche. Questo Lituania lo sa, ma vuole che ciò non sia possibile.

La mano di Russia, quella sul suo volto, stringe forte fino ad avvertire un distinto crack e un gemito dalla bocca di Lituania. Un rivolo di sangue scende dal viso del moro, fino ad accarezzargli il lobo dell’orecchio.

Polonia fantasma sente poco sangue nel suo corpo, come se ne stesse fluendo fuori un intero fiume. Il cuore è pesante e le gambe molli. Gli occhi si fanno bianchi, la testa cala all’indietro. Sviene, cade a pancia in su.

Toris, volando vicino a lui, pigola terrorizzato.

“Povero, piccolo, ingenuo bambino…” sussurra Russia, dolcemente. Il bordo della bandiera dell’Unione Sovietica, con il simbolo dorato, bacia la goccia di sangue scesa sul suo orecchio.

Lituania vorrebbe che facesse il più male possibile, abbastanza per non pensare a nient’altro.

  
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