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Autore: lawlietismine    16/10/2015    4 recensioni
IN PAUSA
Merthur - stessa ambientazione storica del telefilm - dark!Merlin e king!Arthur.
Morgana ha bisogno che qualcuno uccida Arthur Pendragon per lei e Merlin Emrys sembra essere l'uomo adatto a questa impresa.
Le voci che giravano accompagnando quel nome, erano abbastanza forti da tenere a distanza chiunque si trovasse perfino per caso nei dintorni del villaggio di Leeds, perché era risaputo che Emrys – oltre a essere potente – fosse spietato e maligno, legato all'Antica Religione.
Pochi lo avevano visto di persona, alcuni dicevano fosse un vecchio uomo dai lunghi capelli bianchi, un'espressione sempre seriosa e burbera in volto e un aspetto malmesso, altri invece raccontavano di aver visto un giovane ragazzo dai capelli scuri e gli occhi chiari, un ragazzo che incuteva timore solo con lo sguardo e che non si faceva scrupoli a far uccidere qualcuno dai suoi scagnozzi, un ragazzo quasi privo di umanità.
Genere: Angst, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Gender Bender | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Questi personaggi non mi appartengono (ç_________ç nemmeno un po'?!?!), questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro (eh già, è stata scritta solo per soddisfare la mia mente malata).



Capitolo 1


 

Merlin Emrys non era affatto sciocco: solitamente faceva sì che fossero coloro sotto il suo comando a occuparsi delle questioni per cui le persone erano solite cercarlo in quella valle desolata, lasciava che fossero gli altri a sporcarsi le mani per lui, per quanto lui invece con tali azioni si sporcasse solamente la coscienza, o meglio, lo avrebbe fatto se ne avesse avuta una.
Gli era capitato rarissime volte – in quei momenti di assoluta solitudine nelle sue stanze nel castello, quando i libri che si erano accumulati non avevano catturato la sua attenzione e lui si era ritrovato immobile di fronte a una finestra, dall'altra parte del vetro, occupato a scrutare in modo assente la distesa d'acqua davanti ai suoi occhi blu, quelle terre immense che poche volte aveva attraversato e quei cieli in cui Kilgharrah volava libero – di pensare a come si era evoluta la sua vita nei suoi diciotto anni, a come si era costruito un nome, a come aveva piegato a sé e al suo volere le persone e a come aveva fatto sì che tale nome venisse associato perlopiù a delitti e terrore.
Erano pensieri fugaci, i suoi, come un piccolo fastidio alla base della nuca, un barlume di autocoscienza che tentava di farsi strada nella sua mente fra un assassinio e un altro, ma non appena l'ipotesi che avesse sbagliato qualcosa, si affacciava in lui, Merlin la ricacciava con prontezza e tutto tornava al suo posto, la vita continuava come niente fosse mai successo.
Lui era Emrys, perfino i druidi tremavano adesso nel sentirlo nominare e il Grande Drago, che si era unito a lui molto tempo prima, gli aveva sempre detto che il suo era un destino importante, che avrebbe compiuto grandi cose e che avrebbe segnato la sua Era, dominando un regno sconfinato, perché il suo nome era scritto nella storia già da prima che lui nascesse.

Aggrappato saldamente al drago, mentre insieme si libravano in aria alla volta delle terre di Camelot, Merlin rifletté su ciò che stavolta avrebbe dovuto fare per portare a termine quella missione: già solo il fatto che fosse dovuto intervenire lui, anziché attendere fra le mura del suo castello, lo infastidiva, perché mai era capitato prima che i suoi scagnozzi venissero uccisi uno a uno nel mezzo di un'operazione da lui ordinata, mai era successo che fosse l'obiettivo della loro partenza a determinarne la morte.
Avrebbe dovuto chiudere questa faccenda in modo veloce e attraverso la magia che scorreva nelle sue vene, visto che, poiché mai gli era servito, non era affatto capace, lui, di affrontare qualcuno o qualcosa utilizzando un'arma che non fosse quella con cui era nato.
Merlin rifletté profondamente, perché in infiniti modi gli sarebbe stato possibile attuare il suo piano, che fosse con la forza o meno: un flusso dorato negli occhi e Arthur Pendrgon si sarebbe trovato in ginocchio alla sua mercé, un altro e sarebbe morto, ma quello non era fra i suoi piani.
Lo avrebbe portato indietro, lo avrebbe tenuto al castello e solo una volta al sicuro fra le mura, avrebbe deciso come ucciderlo lui stesso.

Morgana Pendragon era patetica, lo aveva pensato di lei non appena gli era giunta la voce del suo viaggio intrapreso per incontrarlo e lo aveva appurato quando era giunta al suo cospetto, con quella richiesta penosa, in quelle sue vesti scure, i capelli neri arruffati e lo sguardo di una che aveva paura ma che voleva far credere di avere tutto fra le mani: l'avrebbe derisa e umiliata cacciandola non appena era entrata, ma, alla fine, si era lasciato andare e aveva tentato la sorte, intrattenere quella gentaglia che lavorava per lui non sarebbe stato un male per nessuno.
E adesso si era completamente immischiato in quella sciocca partita, in quella lamentosa vita di una donna viziata e insaziabile, assalita dalle manie estreme di protagonismo, che voleva a tutti i costi regnare e sentire la forza del potere invaderla: sotto sotto Merlin non poteva biasimarla, perché lui sapeva quanto fosse inebriante quella sensazione, ma, semplicemente, alcuni erano portati per quello e altri no, Morgana non lo era.
O meglio, Morgana Pendragon non sarebbe stata mai in grado di gestire un potere grande quanto quello che le avrebbe portato il trono di Camelot.
Ma lui era solo un potente a cui gli altri si rivolgevano per attuare i loro piani, non rientrava assolutamente nei suoi interessi giudicare le azioni per cui veniva chiamato e pagato abbondantemente.

Si fermarono due volte soltanto per rifocillarsi e per riposarsi, per il resto viaggiarono notte e dì, finché non avvistarono in lontananza le terre che volevano raggiungere: Kilgharrah lo lasciò poco indietro, in un grosso spiazzo verde, poi per suo ordine si allontanò, aspettando il suo richiamo per tornare a prenderlo non appena fosse stato pronto a torna al castello di Leeds.
Il drago si chinò in un segno di saluto, ricevendo in cambio un cenno del capo distratto, e poi tornò a volare lontano da lui, svanendo dalla sua visuale molto presto.

Merlin restò per un po' dove si trovava, lo sguardo puntato attentamente sul castello che si parava vagamente di fronte ai suoi occhi, poi si stiracchiò come un felino con le mani congiunte in aria, sgranchì le spalle e si incamminò verso il suo obiettivo con passo sicuro e mille pensieri nella testa: sarebbe entrato dentro le mura, forse? O avrebbe atteso che fosse il Re stesso a uscire e a mettersi inconsciamente fra le sue mani? Kilgharrah gli aveva detto durante il loro viaggio di non preoccuparsi, perché in un modo o nell'altro sarebbe andato tutto come doveva andare, come era scritto, ma lui aveva risposto con un'occhiata di rimprovero: Merlin non era affatto preoccupato, perché non aveva bisogno del destino per riuscire a catturare e uccidere Arthur Pendragon, lui non aveva bisogno di affidarsi a niente che non fosse se stesso.
Percorse le vie tortuose fra gli alberi del bosco con molta calma, prendendosi tutto il tempo che voleva per raggiungere il confine massimo e per pensare chiaramente a quale sarebbe stata la sua mossa successiva.
L'unica cosa che Emrys non rimproverava a Morgana Pendragon, era il suo desiderio morboso di voler riportare la magia a Camelot, poiché – Merlin ne era certo – un regno tanto grande non sarebbe durato ancora a lungo senza, non sarebbe sopravvissuto per molto se non si fosse affidato alla magia, non sarebbe stato – in battaglia come nel resto – totalmente più forte di altri: se Merlin, per esempio, si fosse alleato anche solo col più misero dei regni contro quello di Arthur Pendragon, la fine di quest'ultimo sarebbe stata segnata a prescindere.
Non che lo stregone avesse mai pensato di partecipare a conflitti miseri che miravano alla mera espansione e sete di potere, lui non aveva tempo nella sua lunga vita da sprecare così, dietro ai tentativi pietosi dei comuni esseri di sentirsi grandi.

Decise infine di passare la notte in una caverna lì vicino, vi entrò e si apprestò ad accendere un fuoco con un barlume d'oro nelle iridi, dopo aver raccolto una certa quantità di legna, si procurò come meglio poteva del cibo, poi dormì, lasciandosi alle braccia di Morfeo con vari piani per il dì seguente in testa e l'immagine lontana del regno che presto avrebbe avuto bisogno di un nuovo sovrano.

Fu svegliato il mattino seguente dalle prime luci dell'alba, lasciò la grotta e i resti abbandonati del fuoco ormai spento, poi si diresse verso il suo obiettivo: aveva avuto modo di pensare a cosa avrebbe fatto e un'idea si era fatta strada dentro di lui, fino a convincerlo di essere quella giusta, fu così che giunse presto fino alla riva di un lago lì vicino e si posizionò davanti all'acqua.
Merlin non lo aveva mai provato, pur sapendo come fare, ma decise che non c'era motivo di scartare quella possibilità, perché probabilmente gli avrebbe solamente reso il lavoro più semplice: fissò attentamente il suo riflesso, mentre alcune parole uscivano armoniose dalle sue labbra e gli occhi si tingevano, osservò inerme se stesso nell'acqua nell'istante in cui pian piano la sua immagine iniziò a mutare senza che potesse più far niente.
I capelli neri crebbero fino alle spalle con estrema lentezza, i lineamenti del volto – pur sempre affilati – si fecero un po' più dolci e le curve sul suo fisico invece un po' più prominenti, poco dopo, con un battito di ciglia e l'oro che fluiva via, tornando a essere blu, Merlin si ritrovò a osservare il riflesso di una figura femminile snella e affascinante, che aveva i suoi occhi e le sue labbra, che era lui.
La camicia di lino blu gli ricadeva leggermente più sgraziata su quel corpo, proprio come i pantaloni e gli stivali scuri, nessuna donna si sarebbe mai fatta vedere in giro in quelle vesti, neanche una serva, ma questo a lui poco importava perché il suo unico interesse era entrare a Camelot senza il rischio di esser riconosciuto e in quella forma era certo che fosse impossibile.
Fu allora che si decise a dirigersi senza ulteriori soste verso il castello, ma, evidentemente, la fortuna girava a suo favore più di quanto pensasse.

Merlin si mosse veloce fra gli alberi come se in realtà già conoscesse i luoghi che lo circondavano, il suo sguardo in verità andava oltre la mera apparenza, indicandogli quale strada fosse più giusto prendere e in quel modo raggiunse ben presto la via principale per arrivare fino alle mura.
Fu un rumore ripetuto di zoccoli a fermarlo, un cavallo che calpestava rumorosamente il terreno sotto le sue zampe e prima che potesse decidere di far altro, lo stregone si ritrovò di fronte a sé l'animale e il cavaliere che sedeva sulla sua sella: nel sentirlo avvicinare, aveva preso in considerazione l'ipotesi che forse non sarebbe stato negativo approcciare direttamente qualcuno del regno.
L'uomo sul cavallo aveva dei capelli lunghi e scuri, uno sguardo furbo rivolto a lui e le labbra distese in un sorriso cordiale, lo osservò da capo a piedi un po' divertito probabilmente per il modo in cui era vestito.
“Vi siete persa?” domandò gentilmente, prima di allungare in modo un po' sfacciato una mano verso di lui e sfilargli dai capelli una fogliolina, che vi era rimasta sbadatamente impigliata: Merlin si scostò leggermente, rivolgendogli uno sguardo piuttosto eloquente come ammonimento.
“No” rispose vagamente con un tono di assoluta sufficienza, mentre guardava con discrezione intorno a sé: sentì l'altro ridere e istintivamente inarcò scettico un sopracciglio –se fosse stato nella sua vera forma, se quell'arrogante avesse saputo, ci avrebbe pensato ben due volte prima di rivolgersi così.
“Ah no?” riprese a parlare il cavaliere, il cavallo si mosse un po' sul posto “e, di grazia, da dove venite? Non mi sembra di avervi mai vista a Camelot”
Merlin ci pensò su, senza smettere di guardarlo di sottecchi con fastidio, poi riprese a camminare verso il suo obiettivo e “Ealdor” disse solamente, mentre l'altro – dopo un attimo di spaesamento – dava una leggera scossa al suo cavallo per stare al passo della giovane ragazza: come se non sapesse fare altro, rise di nuovo.
“Sfuggente, non è così?” giocò sfrontato, scrutandolo dall'alto con curiosità “avete bisogno di un passaggio, per caso...?” lasciò la frase in sospeso, come invitandolo a concluderla lui stesso con il suo nome, ma Merlin non sembrava dello stesso avviso, infatti continuò imperterrito a camminare.
“Andiamo...” tentò ancora lui, passandosi poi una mano fra i capelli “non vorrete mica–” “Merleen” sbuffò scocciato lo stregone quasi in un ringhio, interrompendolo malamente, le mani piantate sui fianchi e uno sguardo omicida: come previsto, quel tipo sconosciuto rise per l'ennesima volta di lui.
“Ritirate gli artigli, per favore” scherzò, le mani a mezz'aria in segno di resa e fin troppo divertimento negli occhi “io sono sir Gwaine e sarebbe un onore accompagnare una graziosa fanciulla come voi, non vorrete continuare a camminare? Sarete stanca, Ealdor è abbastanza distante da Camelot” Merlin si sarebbe voluto mettere le mani sul viso per il principio di mal di testa che sentiva: si chiese se mai avrebbe smesso di parlare quel impiccione sfacciato di un cavaliere e se l'avrebbe lasciato in pace, dopo il suo evidente rifiuto a conversare e accettare: se da una parte aveva pensato di poterlo usare per i suoi scopi, dall'altra si chiedeva come potesse farlo fuori il più velocemente possibile, possibilmente facendolo anche un po' soffrire.
“Andiamo, Merleen...” aggiunse quello, riservandogli un sorriso genuino e allo stesso tempo vispo: Merlin avrebbe volentieri fatto sì che un ramo di uno degli alberi si spezzasse e si conficcasse casualmente nel petto di quel Gwaine, ma si limitò a fare un'espressione disgustata e a continuare a camminare.
“Come volete, allora” gli sentì dire, prima che il cavaliere gli passasse accanto col suo cavallo e galoppasse via, lasciandosi dietro la strana ragazza.

Merlin proseguì più tempo del previsto; di certo se avesse accettato quella dannata proposta, a quel punto sarebbe già arrivato da un po', soprattutto lui che non ci pensava nemmeno per un attimo a correre e che quindi se la prendeva piuttosto comoda, ma alla fine ce la fece: le mura così da vicino gli fecero loro da sole capire come potesse essere forte quel regno tanto famoso, erano possenti e sembravano estremamente sicure.
Entrò nella città bassa, dove molte persone si affaccendavano frenetiche per compiere le loro questioni e fra di loro lui non sarebbe mai stato notato in quelle vesti, nonostante questo alcuni non si trattennero dallo scrutarlo perplessi: una donna – si ripeté mentalmente, per quanto poco gli interessasse – per quanto povera, non si vedeva mai in giro in abiti maschili.
Nello stesso istante in cui, avvicinandosi sempre più alla fine della città bassa, notò un gruppetto di cavalieri e fece per cambiare rapidamente strada, uno di loro purtroppo lo notò: subito una risata gioiosa si diffuse nel raggio, probabilmente, di qualche chilometro e il diretto interessato lo richiamò a gran voce, attirando – volente o nolente – l'attenzione sua e degli altri compagni che gli erano intorno.
“Alla fine ce l'avete fatta!” Merlin, nel sentire la voce di quel Gwaine, si trattenne dallo sbuffare e tentò di continuare il suo percorso ignorandolo, ma evidentemente quello non doveva essere dello stesso avviso: con una piccola corsa gli fu accanto in un baleno.
“Mi stavo giusto chiedendo se fosse adeguato o meno andare a controllare se ce l'avevate fatta, ma mi avete trovato per prima” le ronzò intorno in modo alquanto fastidioso per gli standard di Merlin, che, alzando gli occhi al cielo, pensò a circa un centinaio di modi per toglierselo di torno: in quel momento tutto ciò che doveva fare era raggiungere la taverna, prendere una camera e fare progetti per i giorni seguenti, magari chiedere anche qualche informazione sul Re.
“Dove state andando, potrei saperlo?” domandò curioso, incrociando le forti braccia al petto: Merlin si passò esasperato una mano sul volto.
“Alloggerete da qualcuno che conoscete, oppure...” “Alla taverna” sbottò lo stregone interrompendolo, in modo da zittirlo velocemente.
Poco distante il gruppo di cavalieri con cui prima era lo sciagurato che lo stava infastidendo, li osservava – chi rideva, probabilmente abituato al comportamento dell'amico, chi riservava alla ragazza nuova e sconosciuta uno sguardo comprensivo e dispiaciuto – e ben presto Gwaine li salutò con un cenno della mano per dedicarsi completamente alla fanciulla, che, però, non doveva pensarla allo stesso modo, perché voltandosi gli rivolse lo sguardo più omicida che riuscì a trovare nel suo vasto repertorio.
Prima ancora che potesse dire qualsiasi cosa, Gwaine spostò lo sguardo oltre le spalle della ragazza, rivolgendo un sorriso vago a qualcuno che probabilmente era appena arrivato e che, senza neanche troppi discorsi, si avvicinò a loro due: Merlin iniziò a sentire la fastidiosa sensazione di essere intrappolato in una situazione indesiderata e alla fine cedette.
“Sentite, cavalieri, dubito che irritarmi rientri nei vostri doveri” quasi ringhiò, trattenendo a stento la magia che vibrava dentro di sé e l'oro che desiderava sprigionarsi nelle sue iridi, sfogando la rabbia “perciò lasciatemi in pace e sparite dalla mia vista” e per quanto poco c'entrasse, in tutto ciò coinvolse anche il nuovo arrivato, che solo allora si curò di guardar male: un ragazzo in vesti di cavaliere di Camelot, dai capelli biondi e un po' scompigliati e gli occhi azzurri, che erano occupati a osservarlo decisamente sorpresi, alto quanto lui ma con un corpo decisamente più muscoloso.
E con un ultimo verso stizzito e furibondo, li lasciò lì, andandosene finalmente alla taverna.

Passarono alcuni giorni nel regno, Merlin aveva trovato in quel luogo un alloggio lontano anni luce dalle sue abitudini ma sopportabile per un breve lasso di tempo, aspetto che crollava miseramente su se stesso nel momento in cui, ogni volta in cui usciva dalla sua stanza, incontrava quell'arrogante cavaliere o fuori o dentro la taverna, come se lo facesse di proposito di tormentarlo solo mostrandosi.
Alla fine però Merlin decise che avrebbe sfruttato quell'insopportabile uomo per i suoi scopi: con un cavaliere dalla sua parte avrebbe raggiunto il Re più in fretta.
Per questo motivo, man mano che il tempo passava, Merlin lasciava sempre più spesso che Gwaine lo trovasse e gli restasse intorno, che lo tormentasse con le sue assidue chiacchiere e che cercasse di conquistarlo, credendolo una semplice ragazza giunta a Camelot da Ealdor.
Mai in quei giorni aveva mutato forma, tornando se stesso, se non due volte durante la notte, mentre di fronte a uno specchio logoro aveva sentito il bisogno di ricordarsi chi era e di guardarsi negli occhi realmente, circondato dal buio notturno, per convincersi che di lì a poco non ci sarebbe più stato bisogno di prendere le sembianze di una semplice e debole donna.

Fu per questo che quella sera Merlin acconsentì all'invito del cavaliere di trascorrere del tempo insieme: dopo tutte le occhiate e le risposte infastidite che gli aveva rivolto dal loro primo incontro, Gwaine era rimasto senza parole nel sentire la ragazza accettare subito, ma non aveva ribattuto, così da non farle cambiare idea.
Non sapeva se quel tipo si aspettasse qualcosa di diverso, ma Merlin fu piuttosto passivo per tutto il tempo, mentre l'uno di fianco all'altro camminavano, l'uno silenzioso, l'altro proprio per niente: se il cavaliere si perdeva in monologhi – perché lo erano, visto che in pratica parlava da solo – lui invece se ne stava a braccia conserte a guardarsi intorno, attendendo la fine di quella lunga e spiacevole tortura.
Da vero gentiluomo, però, Gwaine aveva raccolto a un certo punto di quel bizzarro appuntamento un piccolo fiore e lo aveva posizionato fra i capelli medio-lunghi di Merlin, che probabilmente non avrebbe apprezzato un gesto del genere neanche se fosse stato per davvero una fanciulla e che si era limitato a un sorriso – che aveva dato l'idea di essere un fallimento da quanto disgusto vi era racchiuso – per poi proseguire senza dir niente.
Gli raccontò gran parte della sua vita, come se a Merlin interessasse sul serio, passando da come era sempre stato ostile verso la classe aristocratica, nonostante fosse figlio di nobili, a come aveva conosciuto Arthur per caso ed era diventato così cavaliere dopo la morte di Uther, facendosi perdonare, con il suo servizio al fianco del nuovo Re, il suo precedente stile di vita da avventuriero.
Gwaine le mostrò vari posti in cui in quei giorni Merleen non era ancora stata, più perché non le era interessato far niente che non concernesse i suoi impegni, che per mancanza di tempo, le raccontò alcune delle imprese spericolate che lo avevano visto partecipe a servizio e non del Re e proprio parlando di quest'ultimo, Gwaine all'improvviso si lasciò a una fragorosa risata divertita.
“Voi non potete neanche immaginare la sua espressione quando ve ne siete andata, Merleen!” riuscì a dire, tenendosi teatralmente lo stomaco: la diretta interessata, sinceramente confusa, gli rivolse un'occhiata perplessa che lo fece ridere maggiormente.
“Il giorno in cui siete arrivata, vi siete infuriata quando si è avvicinato a noi e ve ne siete andata via, ricordate?”
Merlin ricordava eccome quell'episodio e sbalordito si dette mentalmente dello sciocco, visto il tempo che aveva impiegato da allora a dirsi che doveva informarsi su come fosse fatto il Re e su come avvicinarlo, quando invece apparentemente gli era apparso davanti senza che se ne fosse reso minimamente conto.
Per il resto della serata lo stregone approfittò del fatto che fosse stato Gwaine stesso a iniziare a parlare di Arthur Pendragon e cercò di farsi raccontare più cose possibili a riguardo, giocando d'astuzia.
Quando a fine uscita romantica i due si trovarono nei dintorni degli alloggi del cavaliere, Merlin non si sorprese affatto, anzi, lo assecondò, lasciandosi guidare fino alle sue stanze: non si ritirò neppure quando l'altro, con un sorriso malizioso sulle labbra, si allungò su di lui e lo baciò, aprendo la porta dietro di sé con la mano che non era intorno alla sua vita.
Se Gwaine aveva pensato – o forse sperato – di vedere semplicemente la ragazza scivolare presto in ginocchio di fronte a sé, dovette ricredersi quando incrociò il suo sguardo: era così profondo, sicuro e dominante, da farlo sentire impotente in confronto a lei, completamente alla sua mercé, e l'attimo dopo fu lui a ritrovarsi spinto all'indietro, poi seduto sul bordo del letto con un tonfo.
Merlin lo guardò indietreggiare impaziente sul materasso, fissandola pieno di aspettativa con la bocca schiusa e il respiro già affannato, solo allora con passo felpato lui si mosse, arrampicandosi sul letto e ricambiando quello scambio di sguardi con un ghigno felino a delineargli le labbra, una strana luce negli occhi donata anche dalle candele intorno a loro, unica fonte di illuminazione ora che il sole era calato e la notte li aveva accolti.
Lo sovrastò con lentezza, quasi fino a trovarsi completamente seduto su di lui, poi poggiò le mani sul suo petto e con una mossa secca lo obbligò a stendersi del tutto contro i cuscini, Gwaine non riuscì neanche un attimo a staccarle gli occhi di dosso e quando sentì una mano della ragazza farsi strada dal suo petto ormai già nudo fino ai lacci dei suoi pantaloni, per poi posarsi sul rigonfiamento ormai fin troppo evidente, non poté trattenere il gemito elettrizzato che uscì dalle sue labbra.
Merlin non sembrò curarsene, con somma maestria si chinò su di lui, ripercorrendo il suo corpo con una scia di baci, fino a unire le loro labbra umide, mentre con la sua mano lo massaggiava oltre la stoffa.
Trovò ben presto accesso con la lingua e in contemporanea a quel bacio intimo, le sue mosse si fecero più audaci, i loro bacini sfregarono l'uno sull'altro sempre più vicini e con la mano superò l'ostacolo dei vestiti, trovando diretto contatto con la pelle calda dell'altro: Gwaine sobbalzò e mugolò eccitato sulle sue labbra.
Quando per istinto il cavaliere fece per avanzare verso di lui, cercandolo sempre di più alzandosi sui gomiti, Merlin lo spinse di nuovo giù seccamente con la mano che ancora era sul suo petto e che, subito dopo, spostò sul suo collo: interruppe un istante quel contatto per riservagli uno sguardo contrariato a quel tentativo, poi tornò a baciarlo quasi con prepotenza, lasciandolo senza parole.
Merlin lasciò perdere ben presto quelle labbra, solo per ripercorrere in una lunga scia di baci umidi la gola esposta di Gwaine, poi il petto e infine, ritirando la mano dai suoi pantaloni e causando così in lui uno sbuffo contrariato, scese fino all'inguine. Solo a quel punto alzò lo sguardo pieno di libidine fino a incontrare il suo, fisso in basso con smania e lussuria: Merlin, senza smettere di guardarlo, lo liberò dai pantaloni ormai troppo stretti, poi con mosse controllate e provocatorie sostituì la bocca alla sua mano.

Gwaine strinse a sé la ragazza, cercando ancora di regolare il suo respiro e il suo battito alterati dall'orgasmo, e le depositò un bacio sui capelli neri, prima che quella, impaziente di andarsene da quel letto e da quella stanza, si alzasse e sciogliesse definitivamente quel mezzo abbraccio.
Il cavaliere la osservò con le braccia dietro la testa a mo' di cuscino e per una volta che era la donna ad andarsene senza che lui dovesse dirlo esplicitamente, beccandosi uno sguardo un po' oltraggiato, se ne dispiacque un po'.
“Domani non dovrete sopportare le mie chiacchiere, ne sarete felice” disse dunque, quasi come pretesto per trattenerla ancora un po' con sé.
Merlin si ritrovò a trattenere uno sbuffo annoiato, ma già che gli dava le spalle non si peritò ad alzare gli occhi al cielo per quel suo inutile e continuo parlare a sproposito, quando invece, se solo non gli fosse servito, l'avrebbe ucciso al primo accenno di rumoroso respiro.
“Ah no?” finse di esserne interessato, concedendogli un'occhiata distratta, mentre si apprestava a poggiare una mano sulla maniglia della porta, lui gli sorrise scrollando le spalle prima di ammiccare furbo.
“Ahimè sarò con il Re, ha organizzato una battuta di caccia” rispose, attirando con quelle poche parole in un baleno tutta la sua attenzione.
“Caccia?” domandò falsamente curioso, per spingerlo a concedergli più informazioni utili: Gwaine annuì.
“Lo facciamo ogni tanto, partiamo all'alba e ci diamo alla selvaggina” rise, come se la cosa fosse divertente.
Merlin annuì a sua volta, con un sorriso fittizio in risposta, poi aprì la porta e con un disinteressato “buonanotte” se ne andò via, bisognoso di organizzare i suoi piani in base alle nuove interessanti informazioni ricevute: dentro di sé, Merlin, sapeva già perfettamente cosa fare. 

 



 

Spazio della psicopatica: 
Bene, eccomi con il primo vero capitolo: volevo farlo più lungo e arrivare già oltre l'incontro di Merlin e Arthur, ma alla fine ho deciso di concluderlo così. 
Il prossimo capitolo è già in fase di scrittura, spero di concluderlo presto e ci tengo a ringraziare tutti quelli che hanno già messo la storia fra le preferite-ricordate-seguite e _shelovesvampires per aver recensito,
mi rendete tanto felice (?)
In questo capitolo mi sono volutamente riferita a Merlin usando il femminile nei momenti in cui era descritto "dal punto di vista" di Gwaine, per il resto invece ho mantenuto il maschile: spero di non aver incasinato troppo la situazione. Comunque ci tengo a sottolineare che la sua è una "trasformazione" momentanea, già da parte del prossimo la cara Merleen se ne andrà ^^ 
Adesso devo proprio scappare, mi aspetta la
Divina Commedia, damn. 
Se mi sono dimenticata di spiegare qualcosa, fatemelo sapere ^^" e spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 
Lasciate un pensiero se avete tempo: mi farebbe davvero molto piacere!
Alla prossima, 

Lawlietismine

 

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