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Autore: Adebaran_Relie    18/10/2015    5 recensioni
“Meant to be… (destinati ad essere)” è una raccolta multicouples di flash-fiction, legate insieme da un prompt comune per ogni capitolo.
Saranno presenti coppie di vario genere: het, slash, femslash, ecc...
Le relazioni tra i personaggi si alternano tra romance, bromance, amore, odio, amicizia, legami familiari...
Il rating potrà variare a seconda dei prompt e della flash-fic, così come l’ambientazione (che potrà essere canon, AU, What if?...)
Vi consigliamo di prendere visione del primo capitolo che fungerà da indice, dove saranno presenti gli avvertimenti e le coppie trattate in ogni prompt.
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Online Prompt: Rain | Pioggia
Coppie: [Arthur/Merlin] [Freya/Merlin] [Uther&Morgana] [Mordred&Kara] [Gaius/Alice]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Merlino, Principe Artù, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione, Più stagioni
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Arthur/Merlin [315 parole]

Non ci aveva mai pensato realmente. Non si era mai soffermato a riflettere su quanto potesse essere leggera la pioggia o, addirittura, invisibile.
Non c’erano tuoni a farlo sussultare; non c’era la luce dei lampi ad illuminare il cielo di Camelot.

Dinanzi agli occhi bassi di Merlin c’era solo Arthur Pendragon.

L’aria era pregna del suo dolore, delle sue lacrime. Della sua disperazione.
Il principe colpiva con la sua spada un manichino di legno, rabbioso. Lo colpiva in continuazione, digrignando i denti, serrando la bocca con insistenza; talvolta, gli capitava di udirlo ringhiare con frustrazione.
Merlin, tuttavia, non riusciva a guardarlo. Guardava il terreno, fangoso e monotono, rovinato dalla pioggia.

Non ci aveva mai pensato realmente, Merlin. Non si era mai soffermato nel riflettere a quanto la pioggia potesse essere trasparente.
Arthur si era fermato, cadendo in ginocchio. Soffriva molto, soffriva come Merlin non l’aveva mai visto soffrire. E, quella volta, era lui il responsabile del dolore della sua Metà.

Non riusciva a guardarlo, Merlin, temendo di morire soffocato dal senso di colpa. Perché il suo cuore gli doleva così tanto nel petto?
Continuava a ripetersi di aver fermato Morgana solo per il bene di Arthur, ma allora perché gli sembrava di distruggere la persona a cui teneva di più al mondo?
Un singhiozzo sfuggì dalle labbra del biondo e il corvino si sentì sgretolare in mille frammenti. Arthur singhiozzava e tremava, picchiando angosciato il suolo bagnato dalla pioggia e dalle lacrime.
Merlin rimase immobile, chiudendo gli occhi con forza. Non poteva vederlo in quello stato, non poteva sopportare i suoi lamenti. Poteva e doveva fare qualcosa.

A volte bisogna fare ciò che si sente e affrontare le conseguenze.

Gli era stato mostrato il futuro per fermare la catastrofe che sarebbe accaduta, ma l’anima di Arthur sarebbe stata dilaniata per sempre.
Morgana doveva vivere.
Doveva salvarla per l’amore che nutriva nei confronti di Arthur.


 

Merlin/Freya [244 parole]

L’argento si era condensato nel cielo, trasformandosi in ovatta grigia e fredda. L’erba, quella che gli solleticava la stoffa dei calzoni all’altezza delle ginocchia, era simile a mille fili di smeraldo, intagliati con la fresca rugiada della mattina. Il mago aveva gli occhi umidi. Due fette d’oceano, due stelle liquide. Sulla guancia nivea, una lacrima era scesa mescolandosi alla pioggia che cadeva dal cielo.

«Stai piangendo?»

Un sorriso affiorò su quelle labbra rosee non appena la voce cristallina della ragazza arrivò alle sue orecchie a sventola, colmandole, proprio come l’essenza di quell’amore gli aveva colmato la vita.

«Stai piangendo», ripeté Freya, sfiorandogli il viso con la mano stranamente calda ed accogliente; un dolce fuoco eterno. Il suo sguardo da animale selvatico era fisso su quel sorriso spezzato.

«Tu piangi, Merlin».

Il corvino, il più grande mago di tutti i tempi, colui che reggeva sulle proprie spalle il destino di tutta Albione e del futuro re Arthur, stava piangendo. Le sue labbra tremolavano come foglie mosse dal vento, le sue mani erano oscillanti come mille fiammelle. Il suo cuore, nel petto, batteva troppo forte.

«È solo pioggia», soffiò, abbassandosi su quella donna dalla pelle sporca di terra umida, tenendosela stretta tra le sue braccia. Quella donna che era riuscito a salvare, quella donna che ora avrebbe potuto amare fino al giorno della sua morte.

«È solo pioggia», ripeté, sentendo sorridere Freya nell’abbraccio, mentre il cielo continuava a piangere insieme al mago, dalle sue nubi argentate.



Uther&Morgana [294 parole]

Cadeva anche adesso...

Le stanze del re non erano mai state così silenziose come quella notte, eccetto per il rumore costante della pioggia battente e inconstante, che si appiccicava e scivolava contro i vetri delle finestre.

Cadeva proprio come allora...

Il temuto sovrano era seduto su una poltrona, proprio di fianco alla vetrata più grande della sua camera da letto. L'indomani mattina avrebbe dovuto festeggiare l’anniversario dell’arrivo di Morgana, la sua Morgana, tra le mura di Camelot. Invece, vi era solamente il rumore incessante della pioggia.

Cadeva, portandosi dietro i ricordi di attimi felici...

Non era passato il tempo; non aveva soffiato il vento, non era scorsa l’acqua nei torrenti del regno. Non quella notte, non con quelle gocce di sale cadute dal cielo. Quella notte, Uther Pendragon, era tornato indietro, all’inizio di tutto. Era come se non fosse passato neanche un giorno da allora.

Cadeva, riflettendo le sembianze di onde corvine e occhi color smeraldo...

Lui l’aveva aspettata immobile davanti all’ampia gradinata del castello, incurante della pioggia che aveva continuato a infradiciarlo. Aveva aspettato finché la carrozza, recanti le effigi di Gorlois, non si fermò al centro del cortile. Aveva sfidato la pioggia, calpestando le mattonelle scivolose fino alla porticina del veicolo. Aveva allargato il mantello rosso, pronto ad accogliere quella piccola creatura pallida sotto l’ala della sua stoffa pregiata.

«Non temere, Morgana. Ci sono io a ripararti dalla pioggia.»

Cadeva, facendo risuonare nel silenzio la sua vecchia promessa...

«Ci sarò sempre per te.»

Eppure aveva fallito miseramente. Aveva permesso che gli scivolasse via dalle mani, esattamente come l’acqua che stava scrosciando sul selciato. Aveva giurato di proteggerla, ma Morgause gliel’aveva strappata via.

Dov’era adesso la sua Morgana?

Dov’era adesso la sua bambina?

Dov’era mentre la pioggia cadeva insieme alle lacrime di un padre?

 

Mordred&Kara [261 parole]

Le tende del campo druido erano traboccanti del suono delle risa degli abitanti dell’accampamento, al riparo dalla pioggia. Mordred e Kara avevano giocato tutto il pomeriggio nella foresta, fino ad essere sorpresi dall’acquazzone estivo. I due bambini avevano preferito trovare rifugio all’ombra delle folte fronde di un vecchio albero, piuttosto che rintanarsi sotto la sicurezza dei teli.
Non avevano paura della pioggia, anzi: li faceva sentire allegri.

Il picchiettare delle gocce sulle foglie e sul terreno era come una dolce melodia, pregna di forza vitale.

«Mordred, guarda!» esclamò Kara, allungando la mano destra davanti a sé, mentre gli occhi chiari si screziavano d’oro. «Buterflégan.»

Immediatamente, tante goccioline di pioggia cominciarono a vorticare con vivacità dinanzi agli sguardi innocenti dei due bambini. Dopo qualche secondo si aggregarono, in un suono cristallino, ricamando l’immagine di una farfalla. Una farfalla fatta d’acqua. Sbatté le finte ali, spazzando attorno diversi schizzi, prima di dissolversi nello scroscio.
Mordred allargò le labbra in un sorriso puro e sincero, incastrando i propri occhi in quelli splendenti dell’amica.

«Bléde» sussurrò semplicemente, senza mai staccare lo sguardo dal viso bagnato della bambina.

La pioggia cominciò a condensarsi tra i corpi dei due piccoli druidi, fino a delineare le sembianze di una margherita piccina. Al contrario della farfalla trasparente, le gocce del fiore erano dipinte di riflessi dorati.
I due bambini cominciarono a ridere spensierati, prima che Kara afferrasse il braccio di Mordred.
Si trascinarono nuovamente sotto la pioggia, correndo liberi e gioiosi, ignari che la nuova alba avrebbe portato con sé l’esercito di Camelot e l’inizio della loro fine.

 

Gaius/Alice [422 parole]

La treccia di caramello riposava scomposta sul cuscino immacolato. La camicia bianca da sera le carezzava la pelle fresca, profumata di viole.
Londra era invasa dal rimbombo dei tuoni e dal bianco accecante dei lampi.

Il crocifisso osservava la stanza in silenzio, col suo sguardo onnisciente. La stava aspettando, insieme al suo Vangelo riposto sul comò accanto al letto.
Alice, gli occhi stanchi rivolti al soffitto, non avrebbe ascoltato il loro richiamo supplichevole. Alice non avrebbe congiunto le mani inginocchiandosi sulle mattonelle fredde di quella camera.
La Chiesa diceva il contrario, Dio proclamava l’inverso dei suoi pensieri; le altre donne, quelle affamate d’ansia e insicurezza, vestivano di nero e la notte lacrimavano disperate con un rosario tra le mani. Alice non l’avrebbe fatto.
Alice era una donna speranzosa, ma cosa ancor più importante: era innamorata del suo uomo.
Sapeva che era lì, da qualche parte sotto il suo stesso cielo, che respirava chiudendo gli occhi e richiamava la sua immagine alla memoria.
Alice non avrebbe pregato quella notte, né quelle a venire. Lei era una donna piena di speranza, fiduciosa nell’amore.
Calò le palpebre, Alice, ascoltando il rumore della pioggia e, per un attimo, anche Gaius si ritrovò nello stesso letto a sorriderle teneramente.
Alice sapeva che l’amore della sua vita era ancora vivo. Gliel’avevano sussurrato il cuore e la pioggia.

*

Non si dormiva bene nelle tende militari, non si riusciva a gustare serenamente il sapore dell’ossigeno nei polmoni.
Gli spari, le bombe, il sangue e il temporale oscuravano tutto il resto, rendendo la speranza solo un vago ricordo di una vita andata. In molti si chiedevano se quella guerra sarebbe mai finita, la maggior parte aveva smesso di domandarselo da tempo.
Gaius, a dispetto di ogni logica, ascoltava malinconico il suono della pioggia. Tra quel picchiettare innocente, riconobbe qualcosa di familiare: Alice.
Lo stava chiamando. Gli stava ordinando di restare vivo.
Era bella come sempre, con quella ruga accanto alla bocca nata così presto. Spesso, il medico militare si chiedeva se la notte avesse sciolto i suoi capelli o li tenesse ancora stretti in una treccia armoniosa. Altre volte, tentava d’immaginarsela canticchiare nella cucina assolata, le mani sporche di farina e una fede al dito.
La pioggia continuava a scivolare dalle braccia del cielo, morendo in quell’angusto terreno privo di allegria. Ma un giorno il Sole avrebbe fatto capolino dalle nubi, Gaius lo sapeva.
Ci sarebbero state nuove albe, nuovi giorni e lui sarebbe ritornato a casa. Avrebbe assaporato ancora una volta il dolce profumo che sua moglie portava sulla pelle.

   
 
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