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Autore: The Writer Of The Stars    18/10/2015    2 recensioni
“Siamo ancora soli …” rispose, perché effettivamente, a parte il professor Kakashi che aveva già proposto loro concorsi e gare matematiche e Naruto, che era divenuto amico anche di Sakura, nessuno si era accorto di loro, continuavano ad essere la figlia dell’assassino e il nerd asociale, entrambi bravi in matematica.
“Ma siamo soli insieme …” disse Sakura e Sasuke non poté fare a meno che sorridere alla veridicità delle parole della ragazza.
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AU! |Sasusaku|
Ispirata da "Ci sono anch'io" tratta dal "Pianeta del tesoro"
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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~L’odore del sangue era acre, pungente, colpiva le narici e infettava il respiro di chi lo assaporava. Non era come il sangue che fuoriusciva dalle piccole ferite, quando da bambini ci si sbuccia un ginocchio e o si cade dall’altalena, graffiandosi le mani. Quelle piccole stille rosso carminio che imbrattavano leggermente la ghiaia del parco giochi e che si mescolavano con le lacrime di coccodrillo dei bambini, non avevano niente a che vedere con il vero sangue. Perché lo sapeva, lo sentiva, che quel fiotto scuro che imbrattava la camicia bianca di sua madre al centro del petto, non era come una delle sue sbucciature causate dalla sbadataggine. Quel sangue era scuro, viscido, puro. Tanto. C’era tanto sangue.

“Mamma!” vide sua madre accasciarsi in terra con ancora il coltello conficcato nella carne, gli occhi verdi come i suoi che diventavano vitrei e la bocca che si apriva esalando un gemito strozzato che le sarebbe dovuto bastare come ultime parole. Il tonfo rimbombò per tutta la casa con un riverbero di terrore tra le vecchie pareti decadenti, il pavimento in legno chiaro si impregnava della linfa vitale della donna con una celerità angosciosa, mentre una pozza di sangue accoglieva i capelli e la schiena inerme della sua adorata mamma.
Gridò il suo nome, correndo verso di lei e seppur terrorizzata da tutto quel vermiglio, si piegò sulle ginocchia e afferrò il corpo vuoto di sua madre, stringendolo con forza tra le sue braccine innocenti che portavano su di loro il peso di appena sei anni di vita. I capelli di sua madre, inzuppati di sangue, avevano assunto ora una macabra tonalità di viola e le labbra, che aveva imparato ad osservare schiudersi in dolci sorrisi, erano ora serrate in una linea sottile come il confine tra la vita e la morte, bluastre e di ghiaccio.

“Mamma!” sussurrò tra i singhiozzi frementi, le spalle che si abbassavano e si alzavano violentemente, la cassa toracica spezzata dal battito incessante del cuore.

“Mamma!” gridò tra un singulto e l’altro, constatando con orrore che sua madre non aveva ancora accennato il minimo movimento.

“Mamma, svegliati! Mamma, perché non ti svegli? Mamma … alzati …” sussurrò con la voce arrochita dalle lacrime e le guance diafane solcate dallo sconcerto e dal dolore. Abbassò il volto sul corpo inerme di sua madre, avvicinando la fronte al seno della donna e accoccolandosi su di esso, come faceva sempre quando si sentiva triste, e singhiozzando non disse niente, limitandosi a stringersi a quel corpo senza vita e a sporcarsi le mani e il volto del sangue che ancora caldo sgorgava dal petto prosperoso della genitrice.

Plic, plic, plic …

In un moto repentino alzò la testina di scatto dal petto cruento e spalancò con orrore gli occhioni verdi alla vista di ciò che si palesò dinanzi a lei. In quei pochi secondi in verità, si era persino scordata che ci fosse anche lui lì, non solo una madre, una bambina e un coltello nel petto. L’uomo che aveva imparato sin da piccola a chiamare “padre” la osservava ora con una folle espressione omicida, una luce assatanata negli occhi sfuggenti. Teneva le mani dinanzi a sé e dai palmi callosi e completamente aperti sgorgava sangue vermiglio, linfa vitale che si insinuava tra le linee della vita e sgocciolava poi in terra con un rumore sordo e agghiacciante, cadenzato quasi.
Il sangue di sua madre.

La bambina sgranò di scatto gli occhioni verdi e colmi di lacrime, abbandonando il corpo della madre e fissando con terrore l’uomo dinanzi a lei.

“T – tu … hai u-ucciso la mamma …” sussurrò con voce strozzata e lo sguardo perverso che l’uomo le lanciò, le fece intendere che anche lui era consapevole di ciò, e anzi, se ne compiaceva. Scuotendo la testa cercò di alzarsi in piedi, correndo verso l’ingresso dell’abitazione e inciampando più e più volte sui sulle sue stesse gambe. Percepì i passi pesanti dell’uomo rimbombare al suo seguito ma con un leggero moto di sollievo constatò che l’avanzata di quell’essere era stata interrotta da quello che sembrava essere il tavolo del soggiorno, offuscato alla vista a causa dell’alcol.

Lo sapeva che suo padre passava troppo tempo con quella bottiglia anziché con loro.

La piccola raggiunse la porta di ingresso, spalancandola di scatto e uscendo fuori in strada. Konoha era una cittadina di periferia poco estesa, con poche case e pochi abitanti, e la piccola non si sorprese quando vide un gruppo disomogeneo di gente passeggiare per la via dinanzi la sua casa. Era sabato pomeriggio, le famiglie trascorrevano così i loro weekend.

“Aiuto! Aiutatemi, per favore!” alcune persone si voltarono a guardarla, sgranando gli occhi alla vista di quella piccola bambina completamente imbrattata di sangue. Le manine piccole e paffute erano cruente, così come il volto, affondato fino a pochi secondi prima nel petto squarciato di sua madre, si presentava come un ritratto macabro e dell’orrore. Inorriditi a quella vista, molti dei presenti voltarono di scatto il capo, afferrando i propri figli per un braccio e strattonandoli via da quella scena raccapricciante, lontani dalla “figlia di
Satana” come avevano sibilato i più maligni. La piccola li guardò con espressione disperata, correndo verso il centro della piazza e afferrando con forza una signora sulla cinquantina.

“Signora mi aiuti, la mia mamma non si sveglia, mi aiuti!” supplicò con un fil di voce. La donna le rivolse uno sguardo inorridito, allontanandola da sé con una spinta e scappando via, seguita dalla moltitudine di ignoranti del paese.

Plic, plic, plic …

La bambina abbassò lo sguardo sulle sue manine, scoprendole con orrore imbrattate di sangue – il sangue della sua mamma – che cadeva in terra in stille rumorosamente silenziose, formando piccole pozze di sangue sul terreno ghiaioso del villaggio e piangendo, sentì la voce acuta e sprezzante della donna che le urlava da lontano quelle dannate parole.

“Mostro!”
“Mostro!”
“Sei un mostro!”

Sono un mostro …



Sakura spalancò di scatto gli occhi, respirando affannosamente. Per interminabili attimi rimase immobile, con lo sguardo  puntato al soffitto immacolato dell’orfanotrofio e una mano premuta con vigore sulla stoffa della camicia da notte, in corrispondenza del cuore. Inspirò ed espirò per una decina di volte, nel tentativo di regolarizzare il battito del muscolo al centro del petto e quando valutò la sua frequenza cardiaca accettabile, si portò a sedere lentamente, incrociando le gambe sul materasso duro del suo letto. Si passò con forza una mano sulla fronte enorme, percependola madida di sudore, e continuando la sua violenta carezza autoinflitta, portò la mano dal mento al collo niveo, scoprendolo nelle stesse identiche condizioni.

Un’altra volta quel sogno.

Sakura sospirò profondamente, affondando lo sguardo nel vuoto incommensurabile dell’oscurità della sua stanza. Erano anni ormai che quel dannato sogno la tormentava ogni notte e forse, la parte più drammatica e macabra della situazione, era che nella sua mente, quello non era solo un sogno, ma un ricordo indelebile, marchiato a caldo nelle sue meningi. Erano ancora troppo chiare, troppo vivide, le immagini di quel giorno, e ogni volta che chiudeva gli occhi, Sakura rivedeva i fotogrammi di quelle mani insanguinate offuscarle la vista. Credeva che col tempo avrebbe superato la cosa, ma invece sembrava solo essere peggiorata, o forse, dieci anni non bastano per dimenticare momenti del genere.

A parte il corpo inerme di sua madre stretto tra le sue braccia, gli occhi assettati di pazzia dell’assassino -perché da allora non ce la faceva a chiamarlo padre-, la donna che la additava come un mostro e le sue manine impregnate di sangue, Sakura aveva solo vaghi e frammentari ricordi di quel giorno. A fatica rivedeva la volante della polizia ferma dinanzi la sua casa – quella bella casa gialla con le tende azzurre- , se ci pensava intensamente riusciva quasi a sentire il tocco delicato di uno degli assistenti sociali che la portava via di lì, e se chiudeva gli occhi ancora più vigorosamente, lo sguardo sadico e irriconoscibile di suo padre che veniva portato in prigione dagli agenti di polizia, si riaffacciava nella sua memoria distrutta, costringendola a scuotere il capo e a prendere respiri profondi, nel tentativo di calmare una delle sue crisi.
Non avendo alcun parente a cui essere affidata, Sakura era stata abbandonata all’orfanotrofio del paese, da sola, senza un ma o un perché, che lei invece aveva capito perfettamente.

Sua madre era morta, suo pa … assassino era in prigione.

Era cresciuta in quelle mura sotto gli sguardi di pietà degli altri bambini e quelli di terrore dei responsabili, e mentre col tempo tutti i suoi compagni avevano lasciato la struttura decadente, accolti da nuove famiglie, per Sakura non era mai venuto nessuno. Aveva aspettato per nove lunghi anni di vedere quella porta cigolante spalancarsi e di sentire la voce calda e rassicurante di due persone che le dicevano, sorridendo, “Ciao, Sakura, noi siamo i tuoi nuovi genitori!” e quando allo scadere dei suoi quattordici anni si era ancora ritrovata confinata tra quelle mura false e ipocrite, si era rassegnata all’idea che no, nessuno l’avrebbe presa amorevolmente in braccio e portata via di lì.

Sakura sospirò profondamente, ringraziando il cielo che Hinata, la ragazzina con cui condivideva la stanza, avesse il sonno pesante e non si fosse mai accorta dei suoi incubi notturni. Scostandosi le coperte di dosso, Sakura mise i piedi in terra, rabbrividendo al contatto col marmo gelido e tastando con insistenza alla ricerca delle sue pantofole. Dopo averle finalmente trovate e infilate, Sakura si alzò dal letto, che cigolò rumorosamente, avvicinandosi così alla finestra della loro stanza. Appoggiò il volto al vetro, premendo il naso contro di esso e rabbrividendo leggermente per il freddo, alzò gli occhi verso l’alto, al cielo disseminato di stelle. In quelle notti insonni, Sakura aveva scoperto quasi per caso la bellezza del cielo notturno e senza nemmeno rendersene conto, negli anni aveva preso a fissare con malcelata ammirazione le stelle che ricoprivano la volta celeste, affidando alla luna i suoi più oscuri ricordi. In particolar modo, vi era stata una stella che aveva catturato particolarmente la sua attenzione.

Era una stella di piccole dimensioni, poco luccicante e anonima. Sakura l’aveva scoperta una notte, quando, vedendo quel puntino così piccolo brillare distante dalle altre stelle, che se ne stavano tutte unite e compatte, si era resa conto che lei e quella stella erano più simili di quanto credesse.
Entrambe isolate dal resto del mondo, emarginate, poco luminose e inesistenti agli occhi degli altri.
Ma c’era, anzi, c’erano entrambe, e anche se sembrava non essersene accorto nessuno, in quel mondo frenetico c’erano anche loro.

Si era innamorata talmente tanto di quella stella che aveva deciso di seguirla, ogni notte. Aveva dato fondo a tutti i libri di astrofisica trovati nella biblioteca del paese e sebbene avesse solo quindici anni e quei concetti erano troppo astrusi e complessi per la sua età, la sua mente si era dimostrata incredibilmente aperta e predisposta a quel tipo di attività scientifica. Aveva passato ore e ore china sui libri di astronomia e così facendo, era riuscita a calcolare la traiettoria precisa della sua stella, riemergendo da un complesso algoritmo che Hinata, un giorno, aveva scorto sul quaderno di Sakura e che l’aveva fatta impallidire già alla seconda cifra. Era un piccolo genio incompreso persino da se stessa, che non si era nemmeno accorta del suo talento, ma aveva concentrato tutta la sua attenzione al corpo celeste che la rappresentava.

Sakura lanciò uno sguardo alla pila di libri e quaderni colmi di schizzi ed equazioni abbandonati sulla sua scrivania, puntando nuovamente gli occhi alla volta celeste, ricercando la sua amata stella. Ormai non aveva più bisogno di quegli appunti, aveva osservato quel cielo ammantato di piccole luci talmente tante volte che ormai conosceva alla perfezione gli spostamenti della sua alter ego cosmica.
Sorrise mestamente, percependo le lacrime di poco prima seccarsi sulle guance diafane, illuminate appena dalla luce della luna.

“Non so se è soltanto fantasia, o forse è solo una follia, quella stella lontana laggiù …”



“Hey, ragazzi, guardate un po’ chi è arrivata!” Sakura abbassò lo sguardo ai libri stretti tra le sue mani, pregando ardentemente che quelle voci non fossero rivolte a lei.

“Haruno, buongiorno! Che ci racconti oggi, come se la passa tuo padre dietro le sbarre, eh?” Karin era sicuramente la persona che Sakura odiava di più al mondo. Quella sgualdrina dai capelli rossi sembrava divertirsi un mondo, insieme al suo gruppetto di amici, a deriderla costantemente e ad insultarla ogni dannato giorno. Non che fosse strano che la isolassero anche a scuola, anzi, ci aveva fatto l’abitudine, ma il problema era che Karin e gli altri non si limitavano solo ad emarginarla, bensì provavano un sadico gusto nel rinfacciarle sempre tutta quella situazione insostenibile che si ritrovava a vivere. Sakura abbassò lo sguardo, sentendo un brivido percorrerle la schiena e percependo il battito del suo cuore accelerare.

No, non ora, ti prego, no.

La campanella d’inizio lezioni fu la sua salvezza e prendendo un respiro profondo, Sakura si ordinò di calmarsi, fuggendo velocemente in classe, zigzagando tra gli studenti senza
nemmeno essere notata.



Sasuke Uchiha aveva poche certezze nella propria vita: una di queste era, senza ombra di dubbio, che presto o tardi avrebbe rifilato un rovescio estremamente potente sulla mascella di quell’idiota che si ritrovava come compagno di banco, se solo lui non avesse smesso di blaterare smodato.

“E poi, Sasuke, stavo pensando …”

“Dobe, vuoi stare zitto per un minuto?! Sto cercando di seguire!”

Naruto spalancò la bocca, zittito dal compagno, e con fare offeso rivolse la testa verso il resto della classe, borbottando un “Non capisco come faccia a piacerti questa roba” in direzione del vicino. Sasuke inarcò impercettibilmente gli angoli della bocca, puntando gli occhi alla complicata equazione che il professor Kakashi stava risolvendo alla lavagna.
Un’altra delle sue certezze era, per l’appunto, il fatto che lui amasse la matematica. Non si era mai curato più di tanto dei commenti di quegli idioti dei suoi compagni di classe, che osservavano i suoi voti eccellenti con invidia e lo additavano con termini privi di fondamenta come “Nerd” o “asociale” e a pensarci bene non se ne era mai curato perché effettivamente non gli interessavano. Sasuke non aveva amici, ad eccezione di quel dobe dell’Uzumaki – se amico poteva definirlo, anche se effettivamente era l’unico essere vivente all’infuori di suo fratello con cui avesse mai scambiato più di quattro parole- e francamente non aveva alcuna intenzione di averne. Semplicemente, stava benissimo così, impopolare a scuola, additato come nerd, chiuso nella sua stanza con i suoi numeri e la sua stella. Una luce impercettibile si accese nelle sue iridi di ossidana all’immagine di quel puntino luminoso così distante che brillava isolato da tutte le altre stelle, nel cielo notturno che si era incantato ad osservare. Non si sprecava ad ammirare il cielo per una qualche incomprensibile traccia di romanticheria o altro, ma semplicemente perché, anche se non lo avrebbe mai ammesso, quella stella gli ricordava tremendamente lui stesso. Così piccola, indifesa, lontana dal resto del mondo, quasi invisibile e che eppure c’era, era lì, esisteva anche lei. Come lui.

“Vediamo un po’ … Sakura?” Sakura alzò di scatto lo sguardo dal proprio libro, arrossendo nel sentirsi chiamare.

“S – si?” balbettò dal fondo della classe. Il professor Kakashi le sorrise benevolo, incoraggiandola con lo sguardo.

“Potresti venire alla lavagna e provare a risolvere questa equazione?” le disse gentilmente, sotto lo sguardo attonito del resto della classe. Il professor Kakashi era arrivato in quella scuola da appena una settimana, presentandosi come il loro nuovo insegnante di matematica e fisica, e probabilmente non aveva idea del fatto che nessuno avesse mai chiamato
Sakura, se non per un’interrogazione o per un compito in classe. La ragazza dai bizzarri capelli rosa annuì distrattamente, alzandosi tremante dal banco che occupava in solitudine in ultima fila, e percorrendo la distanza che la separava dalla cattedra con sguardo basso e vergognoso. Il professor Kakashi le sorrise bonariamente da sotto la maschera che gli copriva metà volto, porgendole il gessetto leggermente consumato.

“Vediamo come te la cavi.” Esclamò, lasciandola poi alla risoluzione del calcolo. Era un’equazione estremamente complessa, lo sapeva bene, e forse era stato un po’ troppo avventato a proporla a quella classe di quasi sedicenni, e soprattutto a quella ragazzina che non aveva mai aperto bocca e che se ne stava rintanata per conto suo infondo all’aula.
Però, osservandola rannicchiata sul libro di matematica silenziosamente, Kakashi aveva avuto l’impulso di chiamarla alla lavagna per risolvere l’equazione, sentendo inspiegabilmente il sospetto che quella ragazzina avesse qualcosa di speciale.

Sakura afferrò il gessetto con mano tremante, volgendo poi lo sguardo alla lavagna colma di numeri. Si morse distrattamente il labbro inferiore, scorrendo con gli occhi il testo dell’equazione e aggrottando lo sguardo per la concentrazione. Pochi secondi dopo, stavolta più sicura, Sakura avvicinò il gessetto alla lavagna, cominciando a scrivere sotto gli occhi attenti di Sasuke. Kakashi si sedette sulla propria sedia, afferrando il libro di matematica e sfogliandolo distrattamente, conscio che quel problema avrebbe impiegato un buon quarto d’ora per essere risolto. Non erano nemmeno passati due minuti allora, che Kakashi aggrottò lo sguardo, sentendosi chiamare.

“Professore?” la voce di Sakura lo distolse dai suoi pensieri.

Ecco, mi sbagliavo, non è in grado di risolverla.

“Dimmi, Sakura.” Rispose, senza staccare gli occhi dal libro.

  
x1= (-5+√45)/2= (-5±3√5)/2 
x2= (-5-√45)/2= -(5+3√5)/2 

 Kakashi strabuzzò gli occhi, voltandosi lentamente verso la ragazza.

“C- come scusa?” chiese confuso. Sakura abbassò timidamente lo sguardo, fissando il gessetto ancora stretto tra le sue dita.

“L- la soluzione all’equazione. È quella, no?” chiese timidamente la ragazza, additando la lavagna al suo fianco. Kakashi voltò lentamente il capo, osservando sconcertato la lavagna colma di complessi calcoli ordinati con una precisione disarmante, puntando poi lo sguardo su quel risultato finale, cerchiato timidamente per essere messo in evidenza.

L’ha risolta in soli due minuti …

Distolse nuovamente lo sguardo dalla lavagna, osservando la ragazzina ancora ferma in trepidante attesa dinanzi a lui. Le sorrise orgoglioso, annuendo leggermente.

“Esatto, è corretta. Brava, Sakura.” Disse, prima di congedarla al suo posto.

Sasuke osservò la ragazza tornare verso il fondo dell’aula con un’espressione incredula dipinta in viso. Quella ragazzina, Sakura, era sempre stata un mistero irrisolvibile per lui. Nonostante frequentassero la stessa classe dalle elementari, non si erano mai rivolti la parola in tutti quegli anni. Sakura era sempre stata una presenza silenziosa e quasi apatica nella sua vita, c’era ma non era mai stata considerata. Invisibile, un po’ come lui. Sapeva che Sakura era nulla agli occhi del mondo, che se ne stava sempre sola, senza amici, con la testa china sul banco, e in questo sapeva fossero incredibilmente simili, se non uguali. Due invisibili della società. Non avrebbe mai creduto però che quella ragazzina dai buffi capelli rosa potesse essere in grado di risolvere un’equazione di quel tipo in soli due minuti. Lui stesso era arrivato appena al terzo passaggio quando lei, con la sua timorosa richiesta d’attenzione, aveva rivelato di aver già completato l’esercizio – in maniera impeccabile, tra l’altro-. Incredibile. Sasuke voltò la testa in direzione del banco in ultima fila, osservando la ragazza seduta nuovamente al suo posto, con lo sguardo chino sul banco.

Incredibile …

Non appena la campanella suonò, segnando la fine delle lezioni, tutti gli studenti si alzarono di scatto dal proprio banco, precipitandosi fuori dall’aula. Come al solito, Sakura fu l’ultima a lasciare la classe e dopo aver raccolto i propri libri e averli riposti accuratamente nello zaino, si alzò dal posto, dirigendosi verso l’uscita. Sobbalzò spaventata, sentendo qualcuno afferrarla per il polso.

“Come hai fatto a risolvere l’equazione?” sussurrò una voce bassa e roca alle sue orecchie. Sakura trattenne il fiato, voltandosi con lentezza verso la provenienza di quella voce. Arrossì violentemente, scontrandosi con due pozze di petrolio che la fissavano da un volto diafano e senza imperfezioni.

Sasuke

Allora lui sapeva che esisto …


“I-  io … non lo so, mi è venuto naturale.” Rispose titubante, abbassando lo sguardo. Sasuke continuò a fissarla serio, stringendola delicatamente per un polso.

“Mphf.” Esclamò solamente, lasciandole finalmente la mano. Abbassando l’arto, Sasuke urtò per sbaglio il quaderno stretto da Sakura, che cadde così in terra con un tonfo. Sakura si piegò per raccoglierlo ma Sasuke fu più rapido di lei e non appena lo afferrò, notò come si fosse aperto su una pagina in particolare. Sgranò gli occhi al leggere quegli algoritmi e quegli appunti impressi alla perfezione nella sua mente, non capacitandosi di come fosse possibile che anche Sakura conoscesse quella stella.

“Come fai ad avere questi dati?” chiese brusco, indicando il quaderno stretto tra le sue mani. Sakura spalancò gli occhi, arrossendo timidamente.

“Sono le coordinate di una stella, niente di che. È – è una cosa stupida, lascia st …”

“Nella costellazione dei pesci, RA1h27m21.78s,” la interruppe Sasuke.

“DE+06 57'44.65 …” concluse Sakura con espressione incredula.

“Come fai a conoscere queste coordinate?” chiese subito dopo. Sasuke distolse lo sguardo, fissando la lavagna dove troneggiava, leggermente sbiadita, l’equazione di Sakura.

“Osservo spesso quella stella.” Rispose semplicemente. Sakura sorrise leggermente, meravigliata.

“Ma allora quella stella la vedi anche tu, non sono l’unica!” esclamò, colma di una nuova gioia. Sasuke la osservò, sentendo qualcosa di strano smuoversi in lui allo scontro delle sue iridi con quelle di Sakura e alla vista di quel sorriso così bello che non aveva mai visto.

“Già.” Rispose senza particolare intonazione nella voce. Allungò un braccio, porgendo il quaderno a Sakura.

“Tieni.” Le disse e nel momento in cui le loro dita si sfiorarono impercettibilmente, Sasuke percepì una scossa misteriosa percuotere il suo animo. Staccò subito la sua mano da quella di Sakura, come scottato.

“Ci vediamo, Sakura.” Esclamò a bassa voce, incamminandosi verso la porta e uscendo dall’aula. Sakura sorrise, abbassando lo sguardo sugli algoritmi nel suo quaderno.

“Ciao, Sasuke  …”



“Itachi? Sei a casa?” Sasuke si chiuse la porta di casa alle spalle, accompagnando il suo ingresso nell’abitazione con un cigolio lievemente inquietante. La casa era immersa nell’oscurità, ma dalla cucina, Sasuke vide apparire uno spiraglio di luce.

“Sono in cucina, otouto.” Si sentì rispondere dalla voce affabile di suo fratello. A passi misurati, Sasuke percorse la distanza che lo separava dalla cucina, raggiungendo  suo fratello intento ad apparecchiare la tavola.

“Hey, fratellino! Allora, com’è andata oggi?” lo salutò con un sorriso, mettendosi a sedere a tavola, seguito a ruota dal minore. Sasuke fissò per diversi secondi la fantasia sobria della tovaglia bianca, ripensando a Sakura e alla scoperta che quella ragazza, infondo, non era poi così diversa da lui.

“E’ andata bene.” Rispose semplicemente, accennando però un lievissimo sorriso che non sfuggì all’occhio fraterno di Itachi. Il maggiore infatti aggrottò lo sguardo, fissando Sasuke leggermente divertito.

“Ehi ehi ehi, aspetta, tu non me la racconti giusta, fratellino. Hai appena sorriso, e io non ti ho mai visto sorridere di ritorno da scuola. Cosa è successo?” chiese con fare indagatore. Sasuke distolse lo sguardo, sentendosi scoperto.

“Non è successo niente, nii san.” Rispose prontamente. Il sorriso di Itachi si allargò ancora di più, accompagnato da uno sguardo leggermente malizioso.

“Ah, ho capito, c’entra una ragazza! E sentiamo, chi è la fortunata?” chiese con tono ammiccante. Le guance di Sasuke si imporporarono di un’intensa tonalità di rosso e guardando altrove, il minore degli Uchiha borbottò qualcosa come un “non c’è nessuna ragazza, non dire idiozie.” Itachi sorrise, scuotendo il capo rassegnato.

“Va bene, ho capito, non vuoi dirmelo. Però poi quando sarà tutto ufficiale voglio conoscerla eh!” esclamò, ridacchiando dell’espressione oltremodo imbarazzata di Sasuke. Tornò serio dopo pochi secondi, ricomponendo l’espressione pacata di sempre.

“Comunque, ha chiamato papà, dice che questo fine settimana non torna come aveva previsto.” Disse con tono serio, osservando la reazione di Sasuke.  Il ragazzo abbassò lo sguardo sul proprio piatto di pomodori, prendendo a stuzzicare l’ortaggio con la posata e accennando un sorriso amaro.

“Ci scommettevo, sai? Ti aspettavi forse il contrario?” chiese retorico Sasuke, senza mai alzare lo sguardo dal piatto. Itachi lo osservò con serietà: la madre di Sasuke ed Itachi era morta da quattro anni ormai, a causa di un incidente stradale, e il fatto aveva sconvolto talmente tanto Sasuke da portarlo a rinchiudersi ancora maggiormente in se stesso di quanto già non facesse caratterialmente. Il signor Uchiha, tra l’altro, lavorando sempre all’estero ed essendo sempre lontano da casa, in compagnia di altre donne, per giunta, non aveva giovato alla situazione, anzi, tutto ciò aveva reso Sasuke – che ormai era stato cresciuto da lui- ancora più irrequieto nei confronti del mondo. Sapeva che il mondo di Sasuke fosse un mondo diverso, a parte, un universo fatto di numeri e stelle lontane anni luce, dove lui viveva e si rivedeva con amarezza.
Itachi sospirò pesantemente, abbassando lo sguardo anche lui sul proprio piatto.

“No, non mi aspettavo altro.”




“Come ci si sente ad avere un padre in prigione, eh Haruno?” Sakura soppresse un lamento, serrando gli occhi per ricacciare indietro le lacrime. Karin tirò con maggiore forza la lunga chioma rosa che aveva afferrato pochi minuti prima e in quel momento, Sakura si pentì amaramente di essersi seduta in quell’angolo deserto del cortile della scuola per la pausa pranzo. Non credeva che quelle oche venissero a perseguitarla anche lì, ma evidentemente si sbagliava.

“E questa bella chioma rosa maialino, Haruno? Cosa vogliamo farci?” continuò la rossa con un sorriso maligno in volto. Lanciò un cenno d’assenso ad una delle sue compagne, che in risposta le porse un paio di forbici in metallo. Sakura rabbrividì alla vista di quell’oggetto, pregando con tutta se stessa che quella tortura finisse presto.

“Direi di farci una bella parrucca, voi che dite? Infondo anche tua madre aveva i capelli come i tuoi, no Haruno?” chiese sprezzante Karin. Sakura strabuzzò gli occhi all’udir pronunciare la parola madre, mentre immediatamente il respiro si faceva pesante.

“Ma sì, un bel taglio secco è quello che ci vuole!”

Assassino.

“Dì ciao alla tua bella chioma, Haruno.”

“H – hai ucciso la mamma …”

“Vedi di darti una svegliata!”

“M – mamma, svegliati, alzati! Mamma, perché non apri gli occhi?

Sakura respirò a fatica, mentre le immagini di quel giorno maledetto le accecavano i sensi, rendendole impossibile capire cosa stava accadendo intorno a lei.

“L’assassino, l’ assassino, ha per figlia un maialino!”

“Sei un mostro! Un mostro!”

Sangue, coltello, alcol, vermiglio, carminio, morte.


“No!” gridò all’improvviso Sakura, spingendosi in avanti nel tentativo di liberarsi dalla presa di Karin, che proprio in quel momento chiuse le forbici attorno alla sua chioma, recidendola con un colpo secco. I sottili ciuffi rosa volteggiarono nell’aria come fiori di ciliegio, cadendo poi in terra, ai piedi di Sakura, i cui capelli raggiungevano ora le spalle. Karin rise sguaiatamente, non accennando a lasciarla andare, mentre Sakura, accecata da quella crisi, si dimenava, gridando tra le lacrime.

“Lasciala stare.” D’un tratto, Sakura percepì la presa su di lei allentarsi e dinanzi ai suoi occhi si palesò una maglietta blu di cui riconobbe subito il proprietario. Karin mollò la presa su Sakura, senza però smettere di ridere.

“Sasuke, ma come, difendi la figlia dell’assassino?” chiese con scherno, seguita a ruota dalle risate sguaiate delle compagne. Sasuke la fissò con espressione impassibile e dura, stringendo impercettibilmente i pugni.

“Andatevene.” Ordinò perentorio. Karin diminuì leggermente il suo sorriso, alzando le spalle.

“Tanto non avevamo più nulla da fare qui. Ciao ciao, fronte spaziosa.” Esclamò ridacchiando, allontanandosi poi verso la scuola, seguita a ruota dalle compagne. Sasuke le osservò allontanarsi con espressione disgustata, sentendo poi dei respiri affannosi dietro di lui. Subito di voltò, osservando Sakura che con gli occhi persi nel vuoto e il respiro incontrollato, sembrava sul punto di svenire.

“Sakura!” la richiamò, cercando di non infliggere alcun particolare inclinazione alla voce. Sakura non rispose continuando a fissare il vuoto con espressione disperata.

Sto rivedendo il sangue, Sasuke – kun.

“Sakura, rispondimi!” ripeté, non riuscendo stavolta a mascherare la preoccupazione. Sakura non disse nulla. Sasuke le si avvicinò leggermente e finalmente, senza freni inibitori,
Sakura si gettò contro il suo petto, abbandonandosi su di esso e singhiozzando come non faceva da quel giorno. Sgranando gli occhi incredulo, Sasuke trovò naturale cingere il corpo minuto di Sakura con le sue braccia e stringerla a sé, permettendole di sfogarsi e di inzuppare la sua maglietta con le lacrime.

La maglia si asciuga, il dolore non se ne va.



La radiosveglia segnava le 3,00 di notte quando Sasuke, afferrando il telefono che non smetteva di squillare poggiato sul comodino, intercettò l’occhio luminoso dell’oggetto poggiato al fianco del letto. Sospirando pesantemente, Sasuke aprì la chiamata senza nemmeno controllare il numero, sbottando scocciato:

“Che diavolo vuoi a quest’ora?!”

Sasuke represse immediatamente la rabbia non appena udì un singhiozzo rispondergli dall’altra parte della cornetta.

“S – Sasuke …” sussurrò una voce spezzata.

“Sakura! Che succede?” chiese, cercando di nascondere il tono leggermente allarmato. Sakura prese un profondo respiro, tirando su col naso.

“E’ tornato Orochimaru.” Sasuke si irrigidì al suono di quelle parole. Sakure gli aveva raccontato, in quei mesi, che Orochimaru era il direttore dell’orfanotrofio e non era certo quello che si può definire uno stinco di santo. Più volte infatti Sakura aveva confessato di come l’uomo mostrasse per i bambini della struttura una malata ossessione, che purtroppo, nei casi peggiori, era sfociata in gesti che Sakura non aveva avuto il coraggio di descrivere, ed inoltre denunciarlo era impossibile, in quanto nessuno dei bambini sarebbe stato in grado di testimoniare contro quell’uomo. Ne erano terrorizzati. Fortunatamente però, l’uomo viaggiava spesso e ultimamente mancava da un po’ di tempo dall’orfanotrofio. Ma a quanto pareva, quella sera era tornato.

“Che ti ha fatto?” chiese subito con serietà. Sakura deglutì.

“H – ha iniziato a toccarmi e a dirmi che negli ultimi anni sono diventata bellissima. Ho provato a scappare, ma lui mi aveva tappato la bocca e per fortuna è arrivata Hinata e lui mi ha lasciata, ma se non fosse arrivata lei, non so cosa avrebbe potuto farmi …” confessò in un sussurro. Sasuke strinse i pugni adirato; la sua Sakura non poteva essere toccata. Erano passati diversi mesi ormai, da quando Sakura era diventata la sua ragazza, ed era avvenuto tutto dopo quello spiacevole incontro con Karin in cui Sakura ne era uscita con i capelli lunghi a metà spalle. Il loro avvicinamento era stato graduale e lento, sebbene fossero entrambi ormai a conoscenza dei loro sentimenti, e solo quando una sera Sakura era rimasta estasiata a fissare il cielo notturno, le stelle – la loro stella- Sasuke aveva trovato il coraggio di avvicinarsi a lei e di baciarla.

Avevano un rapporto strano ma di una profondità di cui né Itachi, né il professor Kakashi – affezionatosi a quei due piccoli geni – riuscivano a capacitarsi. Spesso passavano il tempo a leggere insieme libri di matematica o di astronomia, esponendo ognuno le proprie ipotesi riguardo l’argomento. Osservavano la loro stella in silenzio, seduti sul tetto di villa Uchiha, tenendosi semplicemente per mano e trasmettendo, attraverso quella flebile stretta, tutte le parole che non erano in grado di dire. Molte volte Itachi li aveva beccati seduti ai piedi del letto di Sasuke, con una cuffietta del mp3 a testa infilata nell’orecchio, le mani poggiate sul pavimento che si sfioravano e Sakura, col capo poggiato alla spalla di Sasuke, chiudeva gli occhi, sorridendo rilassata. E Itachi non poté fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso intenerito, nel vedere l’espressione serena dipinta sul volto di Sasuke in quei momenti di intimità, quando chiudeva gli occhi e si abbandonava alle note delle loro canzoni preferite, inspirando il dolce profumo dei capelli di Sakura e sorridendo lievemente, godendosi il momento.

Una volta, Itachi li aveva anche beccati intenti a scambiarsi qualche effusione sul divano di casa, convinti di essere soli, e non appena si erano accorti della presenza del ragazzo si erano staccati imbarazzati, rossi come due pomodori, Sasuke forse più di Sakura.

Sasuke sospirò, passandosi una mano sul viso.

“Come ti senti ora?” le chiese. Sakura sospirò.

“Non ne ho idea …” confessò in un sussurro. L’espressione di Sasuke si addolcì impercettibilmente nell’oscurità e fu grato che Sakura non si trovasse lì con lui, o avrebbe sicuramente cominciato a decantare epiteti smielati su di lui. Sorrise impercettibilmente a quel pensiero.

“Sento ancora la sensazione delle sue mani sul mio corpo e mi sento uno schifo, ho paura che domani ci riprovi e …”

“Sakura.” La interruppe subito Sasuke.

“Domani vieni a dormire da me, intesi?” Sakura spalancò gli occhi al suono di quelle parole.

“Ma …”

“Niente ma, ho già deciso.” La interruppe duro, per poi addolcirsi.

“Non voglio che ti accada niente, Saku. Io …”

“Lo so, Sasuke. Anche io.” Sussurrò Sakura, sorridendo dolcemente.

“Quanto sei noiosa, non mi fai nemmeno finire di parlare!” rispose con tono fintamente offeso Sasuke. Sentì Sakura sciogliersi in una risata e a quella melodia cristallina sospirò rilassato, sollevato nell’essere riuscito a calmarla.

“Comunque scusa se ti ho chiamato a quest’ora. So che stavi dormendo, ma avevo bisogno di parlare con qualcuno, e ho solo te e il professor Kakashi … non potevo chiamare lui, però scusami, so quanto ti piaccia dormire e …”

“Sakura, smettila, sei noiosa. Era ovvio che dovevi chiamare me, sono io il tuo fidanzato.” Esclamò in un borbottio. Sakura sorrise leggermente, ormai rilassata.

“Sei geloso, Sasuke – Kun?” chiese con tono incredulo e divertito. Sentì Sasuke borbottare qualcosa di incomprensibile e se lo immaginò arrossire come un pomodoro maturo, uno di quelli che lui amava.

“Non sono geloso.” Riuscì a comprendere solo quello di tutto il suo inutile soliloquio. Sospirò più tranquilla, accennando un lieve sorriso.

“Buonanotte, Sasuke – kun”

“Buonanotte, piccola.”




“Stai bene?” Sakura annuì, stringendosi maggiormente a Sasuke e sorridendo felice. Sasuke in risposta aumentò la presa su di lei, afferrando con l’altra mano il lenzuolo blu con cui coprì entrambi. Come deciso da Sasuke, quella notte Sakura non era rimasta all’orfanotrofio, ma era scappata via attraverso la finestra della propria stanza, correndo verso villa Uchiha. Quando Sasuke l’aveva accolta dicendole che Itachi non era in casa quella sera e che sarebbero rimasti soli, Sakura era arrossita incredibilmente e ancora non riusciva bene a capacitarsi del come lei e Sasuke si fossero ritrovati sul letto di quest’ultimo, teneramente avvinghiati e concedendosi l’uno all’altro, per la prima volta. Erano stati impacciati, timidi, timorosi, all’inizio Sakura aveva sofferto e Sasuke non aveva smesso un attimo di baciarle le guance, la fronte e il naso con dolcezza per cercare di calmarla, sebbene nemmeno lui sapesse come funzionassero quelle cose. Ma si erano amati, diventando uno proprietà dell’altro anche carnalmente, e nonostante le loro mani timidamente intrecciate, per entrambi quella prima volta era stata perfetta. Sakura osservò il cielo scuro che si stagliava oltre la finestra della camera di Sasuke, ricercando spontaneamente la loro stella. Era divenuta un’abitudine ormai.

“Sai, non è stato facile vivere perché nessuno ha mai creduto in me. Però ora so che tu vedi quello che vedo io, so che il tuo mondo è come il mio e non mi sento più tanto sola come prima …” sussurrò Sakura, senza staccare gli occhi dal cielo. Sasuke le baciò una tempia, inebriandosi del dolce profumo dei capelli rosati della ragazza.

“Siamo ancora soli …” rispose, perché effettivamente, a parte il professor Kakashi che aveva già proposto loro concorsi e gare matematiche e Naruto, che era divenuto amico anche di Sakura, nessuno si era accorto di loro, continuavano ad essere la figlia dell’assassino e il nerd asociale, entrambi bravi in matematica.

“Ma siamo soli insieme …” disse Sakura e Sasuke non poté fare a meno che sorridere alla veridicità delle parole della ragazza. Entrambi puntarono i loro occhi alla stella lontana nel cielo, che se ne stava ancora isolata dalle altre e dal resto del mondo, ma con un moto di sorpresa, entrambi si resero conto di come quella notte brillasse più del solito, come se fosse anche lei a conoscenza di come le vite dei due ragazzi si fossero unite per sempre, inglobando in sé la lucentezza di due corpi più piccoli. Sakura sorrise, intrecciando la propria mano con quella di Sasuke.

“Adesso lo so, Sasuke. Esisto anche io. Continuerò a seguire quella stella, perché al mondo …”

“Ci sono anch’io …” sussurrarono all’unisono, sorridendo alla loro stella, che era diventata ancora più bella.


“E so
che non è una fantasia
Non è stata una follia
quella stella
la vedi anche tu
perciò
io la seguo ed adesso so
che io la raggiungerò
perché al mondo
ci sono anch'io …”

   
 
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