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Autore: Ater_Hailie    18/10/2015    0 recensioni
William è sempre stata diversa rispetto agli altri, anche solo attraverso quel nome, e mai avrebbe desiderato diventare come i suoi coetanei, evitando ogni loro contatto e ogni opportunità.
Semplicemente lei voleva esser così.
Diversa. Strana. Nerd. Chiamatela come volete, visto che anche i suoi chili di troppo e la bellezza non troppo invidiabile accentuavano quel suo modo di essere.
Ma purtroppo, come le Leggi Universali spiegano, nella sua vita subentra, senza preavviso, una forza che scatenerà una serie di eventi per lei apocalittici.
Il suo nome? Fidanzato di suo fratello, il Centro di Gravità.
Genere: Comico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Per l'Amore non esiste Rimedio

Ma se ci penso io, vedi come cambia tutto
 
Non ho mai creduto nell’amore e a cose simili come l’amicizia, la fiducia o quello che volete voi. Un po’ per esperienze infantili poco piacevoli, un po’ per la mia attenzione nei particolari sbagliati che mi portavano sempre alla deduzione sbagliata.
Immaginatevi anche solo quello che mi era capitato quell’esatto giorno di cui non ricordo la data: avevo sempre notato la cura di mio fratello nel vestire, ma a parte quello, non avevo mai notato nulla che indicasse una sua appartenenza alla sponda femminile. E, per quanto non mi importasse, sapere di avere un fratello molto più donna e apprezzato rispetto a me era stato come una specie di shock. Per fortuna io ancora ascoltavo musica decente, mentre lui era fissato con quelle cretinate dei tormentoni estivi. Non sembra, ma nella vita anche la musica che si ascolta è fondamentale.
Comunque, tornando a noi, pensavo all’inizio che fosse quasi come un sogno nato dalla mia mente troppo stanca e liquefatta dal caldo, ma quel deficiente del mio stesso sangue, per tutta l’estate, mi pregò di non dir nulla ai nostri genitori.
Quello di cui nessuno dei due si era reso conto era che il rischio maggiore che correvano era a scuola, e io non avevo nessuna intenzione di svelar quel piccolo particolare.
E così estate di quell’anno passò abbastanza tranquillamente, senza realmente curare quella situazione nella quale mi trovavo complice senza nemmeno volerlo, e onestamente non capivo se quello fosse vero amore o solo una specie di prova per il proprio orientamento sessuale: non perché non fossero teneri assieme, ma ogni due giorni che uscivano insieme, Luke usciva un giorno con una ragazza diversa, e ogni volta che vagavo nella città per far rifornimento di schifezze e libri da leggere, incontravo quel ritardato biondo con il proprio Harem. Forse lo facevano per nascondere la loro reale essenza, ma sembravano come delle specie di prostitute. Almeno potevano sceglierne una definitiva da illudere, e non intrattenere tutta la popolazione femminile di quella città.
Comunque, tralasciando quel mio estremo giudizio molto di parte verso due individui non particolarmente simpatici, settembre arrivò molto velocemente, iniziando il quarto anno di Liceo.
Da qui diciamo che iniziò realmente la serie di sfortunati eventi che mi hanno portata qui a scriverne.
 
Quel giorno, di cui naturalmente non mi ricordo la data vista la mia memoria da criceto ritardato, mi ero svegliata con i primi suoni della sveglia, e, ormai una routine dimenticata, mi preparai, sacrificando tutta la mia sezione di armadio con tutte le tonalità di nero, pelle e pizzo per dei vestiti che dir “osceni” era poco, mantenendo l’accordo con mia mamma sul mio look poco apprezzato e visto di mal occhio.
Avrei dovuto subito notar quanto sarebbe andato storto quel giorno dai segni funesti di quel destino, come la fetta di pane tostata bruciata e il sole che riscaldava con la sua dolce morsa letale di caldo, eppure il sonno fa far di tutto. Onestamente, non ne sono sorpresa, conoscendomi.
Così, da morto vivente con intelligenza sotto la media, mi ero ritrovata partecipe al riassemblamento dei giovani cervelli fusi. Il C.E.R.O. si stava ricomponendo lentamente nelle strade, sui pullman, e intorno alla scuola, quasi fosse un qualcosa di così straordinario, e tutti parlavano, sbadigliavano, si lamentavano così fintamente da urlare per ingrandire il disagio mentale che li turbava, e io, con una canzone dei Nirvana qualsiasi, che solitamente era come un rituale per iniziare bene la giornata, riuscivo solo a camminare con gli occhi ancora annebbiati e con la mente simile a quella di una mestruata isterica.
Cosa cazzo ci vedevano di così entusiasmante nel tornare a scuola?
Lo studente medio, mezzo ritardato della categoria dei paracarri spaziali, avrebbe sicuramente risposto con una solita frase mezza fatta nella quale esprimeva la sua gioia, finta, nel rivedere tutti.
L’unica cosa decente di quella scuola erano le macchinette e il professore di ginnastica arrivato l’anno scorso, la quale gnoccaggine, termine ormai diffuso da rientrare nel mio vocabolario da nerd asociale, era spettacolare. Di sicuro quel Complesso, che assomigliava a un branco di scimmie vittime di un esperimento uscito male, avrebbe ripetuto sempre e solo le solite routine, e io manco mi rendevo conto che il dubbio che mi era sorto durante l’estate su una ipotetica vita rovinata avrebbe potuto anche cambiare molte cose in quella scuola.
Diciamolo, la mattina è meglio non aver a che fare con me.
Così, dopo una camminata degna di non esser trascritta, mi ritrovai esattamente al bar della mia scuola a prendere un pacchetto di cibo spazzatura per riempire il mio stomaco mai sazio, quando sentii dietro di me un gruppo di persone che urlavano così tanto da far rimbombare la loro voce sulle altre. Sfortuna volle quel giorno che il mio primo incontro, che avrei preferito fare con la cara Shelob affamata, fosse proprio con un tizio di cui ormai credo abbiate capito il nome.
Biondo. Pallido. Con gli occhi sgranati come quelli del Gatto con gli Stivali, mentre leggevo con estrema indifferenza quella sua enorme paura poco nascosta.
Fu una delle più grandi soddisfazioni della mia vita
 Lui era zitto, che mi guardava, e io ero zitta, che lo ignoravo e scappavo via da quella fila maledetta, con ancora la testa tra le nuvole. Ero nella suddetta, e ancora non me ne rendevo conto.
Darmi della ritardata non sarebbe nemmeno un insulto.
Così, sicura della non presenza di determinati compagni di classe per forze superiori chiamate “Bocciature”, mi sedetti in classe in uno dei banchi in fondo, e rimasi lì, senza curarmi se esser sola o meno, ad ascoltare musica fino all’inizio delle lezioni senza esser interrotta.
Dovete sapere, per quanto possa esser osceno e al quanto crudele, che a quel liceo i professori non frega nulla se è il primo giorno o l’ultimo, loro hanno il compito di massacrare vite su vite con verifiche, interrogazioni e Battaglie delle Cinque armate. Ma questo, nel nostro istituto, succedeva perfino ai geometri, quindi vi lascio riflettere sulle tecniche dittatoriali della preside.
Passai così, tra professori di dubbia esistenza e ultrasuoni assordanti la prima mattinata, suddivisa in tre ore di latino, matematica e filosofia.
Poi la fine.
Io rimasi in classe, a nutrirmi con il cibo spazzatura, ignorando tutto e tutto, ad ascoltare la musica e leggere un libro qualsiasi, e fu così per circa cinque minuti, convinta di esser sola. Poi, mentre giravo la pagina, qualcosa la fermò, e subito alzai lo sguardo. Indovinate.
Era lì, l’unica esistenza di quella scuola, a guardarmi infuriato come se fosse stata colpa mia per quella situazione, anche se in parte lo era, e nemmeno il tempo di togliermi le cuffie che lui me le strappò via.
Parolaccia, insieme a qualche parola messa insieme a caso. Non ero la finezza in persona.
- Perché non mi hai detto che frequentavamo la stessa scuola? –
Era la prima volta che sentivo la sua voce. In quattro anni mai l’avevo sentita davvero, e ora era lì, a presentarsi a me come un comune mortale a cui veniva posta la salvezza per una qualche forma di ricatto. Quasi come una piccola soddisfazione personale, visto che non capita tutti i giorni di vedere la creatura più arrogante esser lì a togliere tutto il suo orgoglio per un silenzio.
- Buongiorno anche a te, piccola Alexandra- Risposi, ignorandolo e tornando a guardare il mio libro per evitare il suo sguardo. Era divertente istigarlo, conoscendo la sua posizione di estrema inferiorità verso di me. Ditelo, ditelo, ero una specie di sadica.
- Zitta! – Disse, forse un po’ troppo ad alta voce, e, mentre mi tappava la bocca con la sua mano più candida di quella di un morto, si guardò in torno. Era teso, molto, e non gli piaceva la situazione. Lo si leggeva nel suo volto, soprattutto su quelle piccole rughe che si creavano tra una sopracciglia e l’altra, e il suo modo di comportarsi non lo aiutava per nulla.
- Perché non mi hai detto che mi conoscevi? – La sua voce tremava leggermente e, con tutta la sua essenza da uomo che non aveva, cercò comunque di darsi una specie di aria da figo.
Ripeto, vederlo in quelle condizioni era davvero gratificante all’inizio, e mai avrei sentito il senso di colpa. Era troppo divertente quella commedia al quanto tragica.
- Ma chi ti conosce! Sveglia, non sei un dio sceso in terra, ossigenato ritardato-
Cinque secondi di puro silenzio, mentre nella mia testa sentivo ancora la mia voce che ribatteva con estrema arroganza a quella che sembrava un’anima disperata, e subito una piccola e dannata parolina nella mia testa ruotava, radunandone delle altre.
“Chiedi scusa, non è colpa sua se lo hai visto mentre si faceva tuo fratello”
Già, non era colpa sua, ma chi mai andrebbe sotto casa propria a baciarsi con qualcun altro senza aver fatto ancora coming out?
Poi, nonostante la mia antipatia verso di lui, quei piccoli occhi da gatto sperduto e investito erano puntati su di me, quasi a supplicarmi di non proferirne parola. Come se avessi detto qualcosa, poi.
- Farò tutto quello che vuoi – Propose lui, quasi come un patto con il diavolo, che in quel caso sarei stata io.
Era davvero ridotto male a dire a una come me una cosa simile. Faceva fin pena.
- Ma secondo te una come me ne parla in giro di ‘ste cose? Sveglia! Io vivo bene così, non voglio certi problemi nella mia vita. –
Non so con quale anima pia stavo dicendo queste cose, senza nemmeno chiedere un minimo di interessi nel mio silenzio poco innocente, ma ciò che avevo detto con la mia voce di natura bassa lo avevano subito animato, e reso anche più sé stesso. No, non la parte da gatto investito, ma la parte del pavone con la testa da Troll, quella che gli veniva meglio.
Era irritante, ma ancora non sapevo dei guai a cui stavamo andando in contro, e così, senza notare nulla dalla finestra o dalla porta, ripresi le mie cuffie mentre lui stava per aprire bocca. Stava per dire una delle sue, avevo anche quasi sentito un aggettivo come “Asociale” rivolto a una persona che lo aveva appena salvato.
- Sparisci, prima che cambi idea- Troncai subito, tornando ad ascoltare una canzone delle tante di quel nuovo MP3, e osservai il libro, pensando se quel che avevo fatto era giusto o meno.
Quel ragazzo aveva un cervello o era realmente avariato?
E così, persa tra una nota e l’altra di quei pensieri confusi, il primo giorno di scuola finì, senza nemmeno riuscire a capire che durante la quarta, e ultima ora, la fisica aveva ripassato nuovamente i Principi della Dinamica.
 
Quello stesso giorno, dopo esser tornata da scuola e ignorato con estrema gentilezza le domande di quella madre petulante, avevo osservato per molto tempo il comportamento di mio fratello, cercando di capire cosa realmente pensasse di quella relazione con l’egocentrico.
Era arrivato dall’istituto che si trovava dalla parte opposta della città, e, a parte mangiare e parlare di cose da tutti i giorni, non aveva fatto nulla. A volte messaggiava, a volte rideva, ma mai sul suo screen, per quanto io potessi vedere, era comparso il nome di Alexander James, e mai avevo visto il suo sguardo.
Non so nulla dell’amore, e all’epoca ne sapevo quanto meno, ma ricordo perfettamente uno strano luccichio negli occhi di Luke la prima volta che mi aveva detto del suo rapporto con lui, visto che ormai non poteva negar nulla. Nei suoi occhi, che per strana grazia divina erano un azzurro color cielo, non avevo mai visto un qualcosa di simile, e nemmeno le parole potrebbero descrivere ciò che avevo visto. Erano come pieni di brividi, di baci, di paure e di pensieri, e tutti erano lì, a riversarsi sull’osservatore, e io ero solo riuscita a tremare, a sorridere, ed accettare la sua situazione con un semplice silenzio. All’inizio pensai che fosse solo la paura del momento di esser scoperto, ma mai, nemmeno quando veniva trovato da me con una ragazza qualsiasi nel letto, avevo provato tutti quei sentimenti.
Luke era bravo a mentire, ma con me quella volta non era riuscito nemmeno a respirare. Non era un segno, solo che io non ero riuscita a capirlo. E James?
In lui avevo visto la freddezza quel giorno. Avevo visto il silenzio, l’oscurità, la sua arroganza piena di sé.
Per questo intesi che fosse paura, ma quel giorno, dopo quel discorso con quel mezzo ragazzo, avevo incominciato a temere per qualcosa che non mi riguardasse. Ma per cosa?
Non sapevo nemmeno se mio fratello fosse innamorato, figuriamoci quella testa di aria e flatulenze.
Eppure, avevo il timore che qualcuno potesse ferirsi, e non solo mio fratello.
Non è facile da spiegare, ma anche solo osservando quelle sue piccole routine, mi sentivo ancor più lontana dalla sua vita. E la questione non era solo stare zitta o meno, ma era se quello fosse davvero giusto. Se quello fosse realmente amore, e chi sarebbe crollato, se sarebbe crollato.
Però, dopo circa tre mesi, sembrava tutto esattamente come prima della mia scoperta, e la situazione sembrava stabile nel suo segreto, solo con un intrusa con strane e inappropriate curiosità.
Il pomeriggio passò, anzi, non lo vissi neanche talmente ero presa nel pensare ad affari non miei.
E Luke non aveva rifatto quello sguardo, ne aveva parlato con me di quell'incontro.
   
 
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