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Autore: _Sherazade_    18/10/2015    2 recensioni
Tutti conosciamo la storia di Ade, misterioso e tenebroso signore dell'Oltretomba che un giorno rapì la bella Persefone, figlia di Demetra, per portarla nel suo regno e farne la sua sposa.
Tutti conoscono questa storia, eppure solo in pochi conoscono cosa sia successo veramente.
Solo in pochi conoscono ciò che realmente accadde molti anni prima di quegli avvenimenti, cosa spinse davvero Ade a fare di Persefone la sua Regina, cosa si celasse davvero nei loro cuori.
Questa è la storia di come la luce di superficie riuscì a toccare le tenebre dell'Averno.
Dal prologo:
- E dunque? Cosa vuoi in cambio? - chiese lei mandando le ninfe a prendere quello che gli serviva.
- Non ti chiedo nulla. Sarà l'Averno a chiedere qualcosa quando lo vorrà, perché ricordalo: niente di ciò che appartiene all'Averno, può essergli tolto. Un giorno, ciò che oggi mi hai chiesto e mi hai sottratto, troverà il modo di ritornare.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Demetra, Gea, Persefone, Zeus
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Voglia di vivere, voglia di amare -





Kore fissò immobile Thanatos che le sorrideva, mentre il lupo le si sedette accanto.
- Hypnos te ne aveva parlato ieri sera, lo hai già scordato? - La giovane Dea allora ricordò le parole del Dio del Sonno. Non ci stava più pensando.
Quel bel prato in cui l'aveva condotta il lupo le sembrava così bello, il cielo era così limpido e il sole sembrava così meraviglioso...
- Se siamo nei Campi Elisi, come mai riesco a vedere il sole?Non siamo più nell'Averno? - Thanatos scosse la testa.
- Certo che siamo nell'Averno. I Campi Elisi fanno parte dell'immenso regno del nostro Signore, esistono solo in un'area lontana dal regno che voi conoscete. Quello che vedi non è il sole, ma solo un'illusione. -la delusione sul bel volto della giovane intenerì Thanatos. - Speravi di essere tornata in superficie, vero? - Kore non gli rispose. Imbarazzata com'era, non voleva dargli alcuna soddisfazione. - Lo prenderò per un sì.
- Perché mi avete portata qui?
- Dovresti conoscere ogni angolo del nostro regno, dato che diventerai presto la nostra Regina. - Kore si alzò in piedi e fissò intensamente il Dio della Morte.
- Non ricordavo di avere detto che avrei accettato il lavoro.
- Lavoro? - chiese lui sorridendo.
- Sì, quello che vi serve è una Regina, che in questo caso non è che un oggetto, un orpello un... - il lupo che fino a quel momento se ne era stato tranquillo e seduto si alzò e strattonò il vestito di lei.
- Pare che anche a lui diano fastidio queste aspre parole. - Thanatos sospirò. - E dire che avevo sperato in un vostro cambiamento. Forse siete davvero solo una kore.
La Dea gli rivolse uno sguardo glaciale.
- Forse, Thanatos. Forse sono solo davvero una fanciulla, e forse dovreste trovarvi una persona più matura per il vostro Signore. - la sua risposta stizzita colpì il Dio.
- Sai perché mio fratello viene chiamato il Dio del Sonno?
- Perché fa addormentare tutti, regalando sogni meravigliosi e anche gli incubi che ci terrorizzano?
- Lui regala i bei sogni, e veglia su di noi fino al risveglio. Ma una cosa bella dei suoi poteri è che può sentire e vedere quasi tutto. E lui mi ha detto che tu parli spesso nel sonno, e c'è un solo nome che invochi dolcemente. - l'espressione sorniona del Dio fece imbarazzare nuovamente la Dea. Lei lo sapeva, perché anche prima di essere rapita, Anthea glielo aveva detto.
Da tempo sognava Ade, e spesso lo chiamava nel dormiveglia. Un vero peccato che i suoi bei sogni fossero così lontani da quella dura realtà che stava vivendo.
Kore si schiarì la voce e chiese a Thanatos di mostrarle quella parte del regno. Non era la superficie, ma anche se era solo un'illusione, finalmente, dopo tutti quei giorni, poteva bearsi di quella luce meravigliosa.
Il grosso lupo camminava al suo fianco, mentre risalivano la verde collina, arrivando in cima a quella che pareva una sconfinata vallata. Non vi erano edifici sparsi, ma solo un'immensa distesa verde, e uno scintillante lago che i tre videro non molto distante da loro. Le anime dei beati passeggiavano tranquille per quei luoghi incontaminati. Le anime avevano riacquistato forma umana, ma Kore sapeva che erano solo degli spiriti.
Al loro passaggio, le anime volgevano un lieve inchino e salutavano la loro Regina. Kore avrebbe voluto rispondergli che non lo era, ma qualcosa la fece desistere, anzi, qualcuno.
L'anima di una bambina le si avvicinò porgendole un piccolo mazzetto di fiori. Con le gote rosse per la vergogna, la piccola la ringraziò, per averle restituito la madre.
La bimba era morta per una grave epidemia che aveva colpito il suo villaggio, lasciandosi alle spalle la madre, anche lei gravemente malata.
Al suo arrivo nell'Averno venne immediatamente inviata nei Campi Elisi, ma la piccina non voleva muoversi, era ancora molto spaventata, e voleva vicino la propria mamma.
Ade intervenne, dicendole che sua madre presto l'avrebbe raggiunta, e che non avrebbero più sofferto.
- Davvero ti ha detto questo?
- Sì. Gli altri abitanti dei Campi Elisi mi hanno detto che di rado interviene, ma che è molto buono e giusto con tutti quanti. Ero triste al pensiero che mia madre morisse, ma era tanto malata, e soffriva così tanto che il Dio della morte le ha finalmente donato il sollievo. - Kore sorrise, e ripensò i momenti che lei aveva trascorso con Ade prima che Demetra li separasse. Nelle ingenue parole della bambina, la Dea ritrovò un po' di quell'affetto che aveva provato per il Dio di quelle terre.
- Allora non è me che devi ringraziare, ma Thanatos e Ade. - La piccola le rispose che lo aveva già fatto, ma che se sua madre e lei si erano ricongiunte, il merito era solo della Regina.
- Perché dici questo? Io non ho fatto nulla.
- Quando la mamma è morta, l'Averno era sottosopra, e le anime risalivano in superficie, facendo del male alle persone... Finché voi non siete tornata, non ho potuto vederla. - Kore annuì. Quando Gaia l'aveva riportata nell'Averno, il regno si era acquietato, e le anime erano tornate dove avrebbero dovuto essere. Così madre e figlia si erano potute ricongiungere.
“Mi chiedo come stia mia madre. Potrò mai riabbracciarla?” sentire la storia di quella bambina la fece pensare alla sua situazione. Grazie a lei, altre famiglie si erano riunite. Benché le loro vite erano state stroncate nel mondo di superficie, in quel meraviglioso paradiso, avevano potuto ricongiungersi.
Però, il prezzo da pagare per poter aiutare tutte quelle anime, richiedeva che Kore non ritornasse più in superficie.
- Grazie, mia Regina. Grazie per avermi restituito la mamma. - la salutò infine la piccola.
- Ciao, piccina.
Thanatos e il lupo erano rimasti in disparte ad osservare la scena, e quando la piccola se ne andò, il Dio prese per mano Kore.
- Credo che sia ora per noi di tornare. - Kore però sembrava dispiaciuta all'idea di dover lasciare quella parte del regno. - Ma se vuoi domani potremo tornare.
- Posso farlo? - Il Dio scoppiò a ridere.
- Questo regno è anche tuo, mia Regina.
Kore si lasciò condurre dal Dio, ritornando nel luogo dove lei era comparsa dopo aver seguito il lupo. Thanatos schioccò le dita, e comparve dinnanzi a loro un portone in marmo, il quale li avrebbe ricondotti al castello.
- Tu non vieni? - Kore stava per varcarlo, ma il lupo sembrava non volersi muovere. - Ti vedrò domani? - la belva annuì, e la Dea sorrise, svanendo nel portone che lentamente si dissolveva.
Kore e Thanatos si ritrovarono non a palazzo, ma davanti all'ingresso degli Inferi, dove c'era Cerbero ad aspettarli.
- Ma non avevi detto che...
- Tu ieri avevi promesso a Cerbero che saresti passata per salutarlo. - Thanatos distolse lo sguardo dalla Dea. - Ho pensato che avresti avuto più piacere nel passare prima di lui, prima di tornare a palazzo.
- Thanatos... - Kore ringraziò il Dio, e si gettò verso il grosso mastino, che era davvero molto impaziente di vederla e di farsi coccolare da lei.


Nei giorni successivi, Kore, si recò ancora nei campi Elisi, facendo così la conoscenza di altre anime, soprattutto dei bambini.
Kore si divertiva a passare del tempo con loro, e con le bambine intrecciava insieme i fiori per formare delle ghirlande o delle coroncine.
Thanatos e Hypnos si davano il cambio nel condurla attraverso quella vasta vallata. Il lupo non si faceva sempre trovare, e Kore ne sentiva la mancanza. C'erano dei momenti in cui le sembrava di sentire il profumo di Ade quando l'animale le si accostava.
“Probabilmente saranno i suoi occhi”, pensò la giovane “Hanno la stessa identica tonalità di viola”.
Kore non aveva visto il Dio, neanche di ritorno dalle sue visite a Cerbero.
Sentiva ogni tanto le ancelle parlare, e sembrava che il Dio fosse particolarmente stanco, anche quando presenziava alla sedute del tribunale.
“Che sia colpa mia?” si chiedeva la giovane. Anche se si stava lentamente riabituando a quei luoghi, riscoprendoli ogni giorno, e innamorandosene come la prima volta che era scesa negli Inferi, Kore non riusciva ancora a rinunciare per sempre alla sua amata superficie.
“Se io decidessi di diventare davvero Regina dell'Averno, Lui starebbe meglio?”
Kore cercava di non pensarci, ma sia di giorno, che di notte, si tormentava, pensando e ripensando ad Ade e a quello che le anime le avevano detto.
Già da quando aveva fatto visita a Cerbero la prima volta, sembrava che quelle terre fossero migliorate, ma dal suo trasferimento, voluto da Madre Gaia, l'Averno era letteralmente rifiorito.
C'era una piccola valle, non molto lontana dal palazzo, dove, secoli prima, crescevano dei particolari frutti, molto buoni e succosi, di cui si nutrivano le creature avernali.
Gli alberi erano rimasti spogli a lungo, fino all'arrivo di Kore. Improvvisamente, questi si erano risvegliati, cominciando a produrre nuovamente quelle prelibatezze.
Uno dei tanti giorni in cui Thanathos l'aveva condotta da Cerbero, la giovane aveva visto entrambi cibarsi del frutto.
Sembrava così buono che lei stessa avrebbe voluto poterlo assaggiare, ma sapeva che qualora se ne fosse cibata, non avrebbe davvero più potuto vedere la sua terra.
Kore era sempre più combattuta, il suo cuore si era ammorbidito, e non si sentiva più in trappola. Non si sentiva più prigioniera. Non vedere più Ade, quel Dio oscuro e traditore, cominciava a pesarle sempre più, tanto che quella notte pianse.
Fu la prima volta che la giovane pianse, non ripiangendo la terra che le mancava, ma rimpiangendo il rapporto che temeva di avere compromesso per sempre.
Kore aveva capito che Ade la stava evitando, e forse era davvero troppo tardi per ricucire lo strappo che lei aveva procurato.
Un giorno, mentre Kore e Hypnos passeggiavano nei boschi dell'Elisio seguiti dal lupo, Kore avvertì una strana sensazione quando incrociò lo sguardo di una delle anime che vi dimoravano.
Inizialmente la Dea non disse nulla, ma il Dio capì immediatamente che qualcosa la inquietava.
- Mia Signora, c'è qualcosa che vi turba?
- Solo una sensazione strana.
- Una sensazione strana?
- Sì. Quando ho incrociato lo sguardo di quella donna lungo il lago, è stato come se avessi rivisto una vecchia amica dopo tanto tempo. Ma io son sicura di non avere mai incontrato quella donna.
Kore, non appena vide i bei fiori del prato di fronte a loro, lasciò indietro il Dio e il lupo, per poter coglierli e portarli nella sua stanza. Hypnos e l'animale si scambiarono uno sguardo, il secondo annuì, e con passo lento, il Dio del Sonno si avvicinò alla Dea.
- Forse avete provato quella sensazione perché c'è un profondo legame che vi lega. - Kore lo fissò senza capire cosa Hypnos stesse cercando di dirle. - Quella donna si chiamava Cloe. Quella donna è colei che vi ha messo al mondo e affidata a Demetra. Lei è vostra madre.
Kore lasciò cadere i fiori che aveva appena colto.
- Volete forse andarle a parlare. Conoscerla o...
- Hypnos, - l'interruppe lei, - portami a palazzo. Non credo di sentirmi bene.


- Orfeo, suona ancora per me! - Afrodite incalzò ancora una volta il bel cantore.
Afrodite non si era ancora stancata di correre dietro all'uomo che continuava a rifiutarla. Per lei era diventata una piacevole sfida che era sicura di poter vincere.
Per quanto Ares potesse chiederle di lasciar perdere, arrivando anche a violenti liti, la Dea non si lasciava abbattere.
Lei continuava, di giorno in giorno, a scendere sulla terra e pagare il giovane pur di avere la sua compagnia. Lei provava a sedurlo in ogni maniera, ma lui non ne voleva sapere.
Qualunque altro uomo sarebbe caduto ai suoi piedi, ma Orfeo non le si piegava. E questo rendeva la Dea sempre più agguerrita, era una sfida che lei aveva deciso di cogliere.
Era sempre stato facile per lei ammaliare gli uomini. Conquistare il cuore di quel ragazzo era diventato essenziale per lei.
- Perdonatemi, mia signora, ma devo andare. Ho un altro lavoro che mi attende. - Afrodite si mescolava ai mortali, ma assumeva sempre l'identità di una nobildonna.
Orfeo, dai corti capelli mossi, neri come l'ebano, e dagli occhi blu come il profondo oceano, era da tempo innamorato della ninfa Euridice. I due stavano per sposarsi, e il giovane stava cercando di racimolare quanti più soldi per offrire a lui e alla futura moglie un futuro più stabile.
Quando quella nobile aveva richiesto i suoi servigi, Orfeo ne era rimasto non solo sorpreso, ma anche contento, perché la paga offerta era davvero ottima. Le continue insistenze della donna però lo avevano messo a disagio.
“Non preoccuparti, amore mio” gli aveva detto Euridice, “Presto si stancherà. A nessuno piace essere continuamente rifiutato. Si stancherà, vedrai”. Ma quella donna sembrava invece decisa a non cedere.
Orfeo ignorava le lusinghe di lei, le proposte lascive e quelle mani che cercavano sempre di toccarlo, declinando sempre con educazione, ma un giorno quella donna superò il limite.
Orfeo fece per andarsene, ma le guardie del corpo di lei lo immobilizzarono e spogliarono, mentre quella donna si avvicinava a lui, con un terribile fuoco selvaggio dentro i suoi occhi lascivi. Orfeo non era un uomo violento, ma in quel momento fece ricorso alla sua forza per liberarsi dei due uomini, e con disprezzo fissò lei, lanciandole ai piedi il compenso del mese che lei gli aveva già pagato.
- Il mio corpo, il mio amore, la mia anima, non sono in vendita. Io appartengo solo ad una donna. Solo alla mia amata Euridice. - Orfeo si allontanò a passo spedito dalla donna che aveva cercato di tentarlo e di comprarlo con ogni mezzo a sua disposizione.
- Fermati! Tu non puoi resistermi. Io sono bellissima! Non c'è nessuna donna al mondo come me. - piagnucolò lei.
- Addio. - fu l'ultima parola che lui le rivolse.
- Io ottengo sempre ciò che voglio, Orfeo. Sempre! - disse lei con tanta convinzione e sicurezza. L'uomo non le rispose, e sparì dalla sua vista.
Afrodite non si disperò come aveva fatto invece altre volte. La Dea pensò che il problema non era lei, e nemmeno Orfeo.
Il problema era Euridice. Lei doveva solo eliminare quel piccolo inconveniente, e Orfeo sarebbe stato finalmente suo.
La Dea attese con impazienza, e il giorno del matrimonio dei due, si travestì da ancella, e aiutò la giovane a prepararsi.
Senza farsi vedere da nessuno, impregnò le vesti di lei di un profumo che avrebbe attirato su di sé i serpenti velenosi che Afrodite aveva portato, e che avrebbe poi liberato durante il banchetto.
Con Kore, i suoi piani non avevano avuto buon esito, anche se alla fine, era stata la stessa Gaia a regalare quella vittoria inaspettata alla Dea dell'amore. Con Euridice, invece, ebbe il successo sperato.
- Sono così felice, amore mio. - L'espressione di pure gioia che illuminava il viso della bella Euridice, fece sorridere Afrodite. “Non sai ancora cosa ti aspetta”.
Aspettò con calma che la cerimonia finisse, e dall'alto della sua grande generosità, decise di lasciare che i due si potessero baciare un'ultima volta, prima di reclamare per sé l'amato Orfeo.
Amici e parenti brindavano allegramente, mentre musiche gioiose si perdevano nell'aria.
I due freschi sposi si beavano l'uno della presenza dell'altra, e si perdevano negli sguardi di quel dolcissimo amore che li aveva uniti già da tempo.
Euridice si alzò e portandosi al centro del banchetto, ringraziò tutti i presenti, recitando una poesia d'amore che aveva composto per il suo, finalmente, amato marito.
Non fece però tempo a concludere la sua poesia, che delle grida terrorizzate fecero cessare i festeggiamenti.
Afrodite aveva fatto la sua mossa, e liberato i terribili predatori che si mescolarono alla folla, finendo col mordere alcuni dei presenti, che terrorizzati, gridarono creando ancora più confusione.
Orfeo si era gettato nella mischia per raggiungere la sua amata, ma più di un serpente l'aveva raggiunta e già morsa. Lui provò a succhiarle via il veleno, ma era troppo, e per la giovane non c'era più niente da fare.
Tra le grida generali per la tragedia che si era consumata, tremante fra le braccia del suo amato, la giovane spirò, lasciando un affranto Orfeo, che ne cullava il corpo sempre più freddo, sempre più rigido.
Quando tutto cessò, e ogni serpente venne abbattuto, Afrodite, celata ancora dalla maschera di ancella che si era creata, si avvicinò all'addolorato Orfeo.
- Mi dispiace, caro Orfeo. - Il giovane piangeva silenzioso, tenendo stretto il corpo della sua Euridice. - Di sicuro, buona com'era, Euridice starà presto per correre spensierata fra i Campi Elisi. Libera da ogni dolore e per sempre felice.
Afrodite accarezzò la testa del giovane, che si scostò a quell'indesiderato tocco.
- Credo che anche lei non vorrebbe vederti così affranto. So che è difficile, ma devi passare oltre. Magari potresti trovare un'altra donna che potrebbe renderti felice...
Orfeo si voltò per fissarla, con un'espressione di odio tale da far tremare la Dea.
- Con quale coraggio tu mi dici di dimenticare la donna che amo, di cercarne subito un'altra, dopo neanche poche ore dal nostro matrimonio? Che razza di donna sei?
Afrodite gli sorrise.
- Io ottengo sempre ciò che voglio, Orfeo. Sempre! - a quelle parole l'uomo spalancò gli occhi, e la Dea svanì, sussurrandogli che sarebbe tornata per reclamarlo. Lei aveva tutto il tempo del mondo, e lo avrebbe atteso fino a che non avrebbe ceduto di sua spontanea volontà.
Dopo l'accaduto, Orfeo si era chiuso nel silenzio, per giorni non parlò né uscì di casa.
Afrodite vegliava su di lui, pensando non al dolore che aveva causato, ma a quanto fosse ancora più bello il suo Orfeo, dilaniato dal dolore.


Dopo aver incontrato Cloe, la giovane Dea non aveva più avuto l'intenzione di recarsi nei Campi Elisi. Per qualche strano motivo, aveva il timore di poterla di nuovo incontrare.
“Lei lo sa che io sono sua figlia?”, si chiedeva titubante. “Che ne penserà di me e di quello che sono diventata? Mi muoverebbe rimproveri per come mi sto comportando?” pensare a Demetra era inevitabile.
“Madre, dove sei? Se ti chiamassi, udiresti la mia voce?” col cuore che le ballava nel petto, un'altra domanda, ancora più spinosa, si faceva largo: “Se le parlassi, tu come la prenderesti? Mi odieresti?”.
In quel regno dove il tempo non esisteva, sembrava essere trascorsa un'eternità da quel giorno in cui Gaia le separò così crudelmente.
Kore continuava ad andare a trovare Cerbero, e ogni tanto si recava nel piccolo giardino del palazzo.
I fiori che adornavano quel giardino non erano particolarmente variopinti, ma i giardinieri che li curavano, ne andavano molto fieri.
Ascalafo, il loro capo, si intratteneva spesso a parlare con Kore, con la quale avrebbe discusso per ore sulle bellezze nascoste dell'Averno. C'erano ancora tante cose che la Dea non conosceva di quei luoghi, né delle piante o dei fiori straordinari che in superficie non esistevano.
Un giorno, passeggiando con il giardiniere, Kore si imbatté in Ade. La giovane abbassò il capo, e Ascalafo, dopo aver salutato il suo Signore, si congedò, lasciando sole le due divinità.
- Mi hanno riferito che l'hai incontrata. - Kore annuì. Nei giorni successivi al suo rapimento da parte di Madre Gaia, lei gli aveva rivolto solo parole orribili, eppure lui non le aveva mai fatto pesare l'ostinato comportamento della giovane.
L'aveva fatta seguire e sorvegliare, soprattutto per la sua incolumità, dato che esistevano ancora zone del regno che non conosceva.
Nonostante vivessero nello stesso palazzo, erano passati parecchi giorni senza che si incontrassero. Kore si aspettava che lui le chiedesse o le dicesse tutt'altro. Di certo non pensava che lui si sarebbe preoccupato di parlarle della donna che l'aveva partorita.
- Sapevi che era nei Campi Elisi?
- Sì, è il mio regno dopotutto. Conosco ogni singola anima che ne varca la soglia. - Kore ripensò a quando lui le aveva parlato dei Campi Elisi, e di come, a una sua richiesta di visitarli, lui l'aveva invece portata ad ammirare altri luoghi del suo regno. La Dea cominciò a pensare che lui lo avesse fatto perché voleva evitarle quel dispiacere.
- È per questo che non me li hai mai mostrati? - lui non le rispose.
- Ora che lo sai, spetta a te scegliere che cosa fare. - Con quelle parole schiette e distaccate, Ade la lasciò sola nel parco. Sola coi suoi pensieri e i dubbi che Kore non riusciva a dissipare.


Il giorno successivo, qualcuno bussò alla porta della sua stanza, e fu per Kore una sorpresa enorme, dato che raramente lo aveva visto muoversi al di fuori del tribunale.
- Mia Signora. - Eaco, il più giovane dei giudici, si presentò di fronte alle stanze di Kore. Era la prima volta che un giudice la avvicinava. In genere, Kore li incontrava solo nella sala del giudizio, e oltre a qualche timido saluto, non si erano mai rivolti parola. Con nessuno dei tre.
- Normalmente avrebbe dovuto accompagnarvi Radamanto, ma c'è molto lavoro, e anche Hypnos e Thanatos sono impegnati. Per oggi vi scorterò io nei Campi Elisi.
- Vi ringrazio per il disturbo che vi siete preso, mi spiace che vi abbiano scomodato per questo, ma non intendo recarmi nei Campi Elisi, oggi.
- Noi crediamo invece che vi farebbe bene. - Il suo tono, seppur non secco e al contempo tagliente come quello di Ade, nella sua gentile offerta, non ammetteva alcuna replica da parte sua.
- Vi aspetterò qui fuori fino a che non sarete pronta, vi prego però di non impiegarci troppo tempo. Non sarebbe molto cortese. - Kore immaginò che quelli fossero gli ordini di Ade. Il giorno prima le aveva semplicemente detto che avrebbe dovuto decidere lei cosa fare. Eppure, in quel momento, fuori dalla porta della sua stanza c'era uno dei suoi giudici che le stava intimando di muoversi per andare nei Campi Elisi.
- Avete finito? - la chiamò il giudice.
- Un momento. - in fretta si mise una delle vesti più comode che aveva a disposizione e raggiunse Eaco.
Il giovane giudice non era di molte parole, ma Kore aveva la sensazione che non appena ne avesse avuto l'opportunità, le avrebbe parlato.
Non conosceva bene nessuno dei tre, ma ne conosceva la fama, senza contare che entrambi gli Dei gemelli gliene avevano parlato.
Lei sapeva bene che per come si era comportata, non meritava certo di essere elogiata o premiata, ma non voleva che gli altri la sgridassero. Aveva avuto tutte le ragioni per prendersela a morte per come era stata trattata. Strappata ingiustamente alla vita, con una violenza e una crudeltà pari solo a quella che aveva portato Crono a ingoiare i suoi stessi figli.
- Eccoci arrivati. - disse lui fermandosi di fronte al portone in marmo. - Dopo di voi. - Le aprì la porta.
- Grazie.
Una volta arrivati, Kore si era aspettata di vedere il lupo. Uno degli aspetti positivi del recarsi in quei luoghi era la certezza di poterlo incontrare. A parte il primo giorno in cui vi si era recata, quel lupo non era più andato a chiamarla nelle sue stanze, ma si era sempre fatto trovare nell'Elisio.
Con così tanti giorni di lontananza, la giovane era sicura che lo avrebbe trovato immediatamente subito dopo essere arrivata. Fu delusa nel non vederlo. “Sarà in giro, presto ci imbatteremo in lui”.
- Ha altri compiti da svolgere in questo momento.
- Come?
- Cercavate il lupo. Non è vero?
- Come facevate a saperlo?
- Intuizione.
- Capisco... - Kore non sapeva di cosa parlare con lui. Non c'era lo stesso legame che lei aveva stretto con Hypnos e Thanatos; e anche se quest'ultimo a volte era un po' invadente e la sua lingua eccessivamente tagliente, lei aveva finito con l'abituarsi a quei modi di fare discutibili.
- Avete dunque preso una decisione? - chiese dal nulla il giudice dai capelli color del mogano.
- Riguardo cosa?
- Il vostro ruolo nel mondo. - La Dea rimase stupita dal modo naturale col quale lui le aveva posto quella domanda così delicata e personale. Considerando che non si conoscevano bene, era piuttosto inopportuno quel comportamento quasi confidenziale.
- Sebbene io non viva male nell'Averno, questa non è casa mia. - disse lei con una punta d'orgoglio. - Anche se molti mi chiamano Regina, io non mi sento tale. - lei lo scrutò cercando di capire cosa l'uomo stesse pensando. - È così sbagliato anelare alla propria libertà? È forse sbagliato voler ancora sentire l'aria fresca e i tiepidi raggi del sole che baciano la terra e permettono alle piante di crescere sane e forti? È sbagliato che io voglia ancora poter vivere come se nulla di tutto questo non fosse mai accaduto? - L'espressione di lui sembrava imperturbabile.
- No, non è sbagliato volersi aggrappare alla vita che vorremmo. È però sbagliato privarsi di qualcosa solo per orgoglio, solo perché riteniamo che sia un'imposizione voluta da altri, e non un nostro stesso desiderio quello di seguire un determinato cammino. - le rispose lui cogliendo una calla e gliela porse. - Io credo che una parte di voi vorrebbe cercare di fare ammenda per come vi siete comportata col nostro Signore, ma la paura vi trattiene. La paura del giudizio che lui vi potrebbe dare, o in quello di vostra madre Demetra. Lei non approverebbe, lo sanno tutti, ma credo che sia più importante quello che voi desiderate, e non quello che desidera lei.
Inoltre... - il giudice prese un profondo respiro, e le lanciò uno sguardo magnetico. Uno sguardo che sembrava leggerle dentro tutti i suoi dubbi. - Inoltre, io credo che voi non vogliate accettare di diventare Regina, solo per non dare la soddisfazione a Madre Gaia. Accettare di essere ciò che siete, accettare di essere ciò che in cuor vostro volete essere, non è piegarsi al volere degli altri. Non significa piegarsi al destino, significa solo seguire il proprio cuore.
I due raggiunsero la cima di una delle collinette che guardavano uno dei tanti laghetti presenti nell'Elisio.
Eaco prese Kore per le spalle e la fece voltare verso il lago. Lei era laggiù, non molto distante da loro, seduta a raccogliere degli iris, con un'aura di serenità tale, da incantare chiunque la guardasse. Cloe, quella madre che Kore non aveva mai avuto modo di conoscere.
- Fossi in te ne approfitterei. Forse quello di cui hai bisogno è parlare con lei. - Kore avrebbe voluto voltarsi e tornare indietro sui suoi passi per raggiungere il palazzo, ma i suoi piedi erano come ancorati a terra.
- Se non volete esternare a me, o ad altri, i vostri dubbi e inquietudini... perché non farlo con lei? - di fronte al suo silenzio, il giudice proseguì. - Stareste senz'altro meglio.
Eaco le diede una lieve spinta, e passo dopo passo, la giovane Dea raggiunse le sponde del lago, restando a pochi metri da Cloe.
“Che mai potrei dirle?” si chiedeva posando discretamente lo sguardo sull'anima della donna che l'aveva partorita. “Non riesco a pensare a nulla...”. L'anima di Cloe si accorse di lei e non appena i loro sguardi si incontrarono, lei le sorrise con immensa dolcezza.
Si alzò, sistemandosi le vesti stropicciate, e si avvicinò a Kore.
- Buongiorno, mia Regina. - disse con un sorriso. “Non mi ha riconosciuta”, pensò Kore con un misto di sollievo e delusione. - Tenete, - disse porgendole il mazzo di fiori, - mi rendo conto che non è un presente dei più regali, ma io ho sempre trovato questi fiori meravigliosi. Non trovate?
- S-sì, sono molto belli. Vi ringrazio. - rispose lei imbarazzata.
- Era da qualche giorno che non vi vedevamo passeggiare nell'Elisio. - disse quasi con tristezza. - Immagino che abbiate molto da fare a palazzo. Essere regina comporta molte responsabilità. - aggiunse infine.
- A dire il vero no. Io non sono ancora formalmente la Regina. Ancora non capisco perché tutti mi definiate tale. - ammise Kore, e la donna la guardò con compassione e dolcezza.
- È un qualcosa che va al di là di quello che gli occhi possono vedere. Non posso sapere cosa comporti essere divino, ma, una volta morta, sono stata in grado di vedere molte più cose che fino a quel momento mi erano state celate. - la sua voce era quasi un sussurro. - Da viva avevo così tanto sotto gli occhi, che avevo finito col dare per scontato tutto. Solo alla fine ho compreso, e solo quando la mia anima ha abbandonato il mio corpo la mia vista è stata purificata. E io, come le altre anime, sono ora in grado di vedere la vostra natura divina. Splendente e radiosa, anche se sembra che la vostra luce sia ora offuscata. - Kore la ascoltò sorpresa. Non sapeva, non poteva immaginare che le anime potessero essere così acute. Ade di sicuro lo sapeva, chiunque là sotto doveva esserne a conoscenza. Perché nessuno glielo aveva mai detto? Le avevano spiegato tante cose di quel mondo, eppure c'era ancora così tanto che non conosceva, così tanto che avrebbe voluto conoscere.
- Noi percepiamo chi voi siate in realtà, noi sentiamo di appartenervi, così come sentiamo di appartenere al nostro Signore, e all'Averno stesso.
- Non mi sembra una cosa bella. Appartenere a qualcun altro. Non vorreste essere liberi?
- Ma noi lo siamo. Vi sentite prigioniera? - chiese con una naturalezza pari solo a quella dei bambini che pongono in buona fede domande realmente scomode per chiunque. A Kore non sembrava di scorgere provocazioni in quella domanda, ma solo la semplice curiosità.
- A volte. Io non mi sento Regina di questo posto. Non posso dire di odiarlo, - ammise, - ma mi sento come obbligata a doverlo accettare. E questo lo odio.
- Dalle vostre parole, sembra che in altre circostanze avreste accettato questo regno come vostro.
- In effetti, - arrossì la Dea, - ero stata sul punto di accettare di diventare regina. Poi però son cambiate tante cose. Ho scoperto delle verità che mi erano state tenute nascoste, e che non sono stata in grado di perdonare. - Cloe sospirò con aria preoccupata, fissando le Dea che le stava aprendo il proprio cuore. - Quel mio mondo imperfetto, ma che io amavo profondamente, è stato scosso con violenza, e non so se e quando riuscirò mai a riprendermi del tutto.
Cloe si guardò intorno, si accovacciò sulle sponde del lago, e quando si alzò mostrò alla Dea un piccolo sasso, dopodiché lo lanciò.
- Adesso anche il lago è stato scosso, vedi? - disse indicandole il punto dove il sasso era sprofondato, dove l'acqua si era increspata. - Sembra che il lago non ritroverà più la sua placida quiete, ma se una persona ha la pazienza di attendere, potrà notare che la quiete tornerà di nuovo, e scoprirà le scosse superficiali sono state solo passeggere.
- E se le mie non fossero solo delle scosse passeggere? Se il mio turbamento fosse maggiore? - chiese Kore con una lieve punta d'astio. Le parole di Cloe sembravano essere di rimprovero, e la giovane non riusciva a comprendere come una perfetta estranea potesse parlarle in quel modo.
- Lo sarà solo se voi lo vorrete. Odiare qualcuno per sempre richiede un certo sforzo, e anche una certa cattiveria di fondo. Scegliere se diventare o meno regina di questo regno sarà una vostra decisione. Vostra, e di nessun altro. - Kore si lasciò scappare una risata sarcastica.
- Vorrei che anche altri la pensassero come voi. Qui tutti si aspettano che io indossi quella corona e che diventi Regina. Nessuno mi ha chiesto cosa voglio io.
- Cosa desiderate? - in quel momento Kore non riuscì a dire che desiderava semplicemente la propria libertà. Perché non era solo quello il suo desiderio. Voleva essere libera di scegliere chi essere, che divinità diventare, chi amare... Kore sapeva di essere legata ad Ade, ma oltre a non essere del tutto sicura dei propri sentimenti, non era nemmeno più certa del fatto che lui la contraccambiasse.
- C'è già qualcuno nel vostro cuore?
- Sì. - le rispose immediatamente la Dea.
- Per questo non potete accettare di diventare regina? - le chiese Cloe fissandola negli occhi. Guardandola con attenzione, Kore non ebbe dubbi sul fatto che quella fosse la sua vera madre.
- Io... non so se posso ancora fidarmi di lui. - sospirò, e gli occhi si inumidirono. Kore però ricacciò indietro le lacrime che altrimenti le avrebbero rigato il volto. - In realtà, non so nemmeno se lui mi ami più.
- Ve lo ha detto?
- No.
Cloe prese uno degli iris dalle mani della Dea, e glielo infilò tra i capelli. - Se ci tenete a lui, dovete almeno provarci.
- Ma io non sono stata molto cortese con lui in quest'ultimo periodo... - disse mordendosi il labbro e abbassando, colpevole, lo sguardo, temendo di essere ancora giudicata. - Credo davvero che oramai sia finita fra noi.
- Ci tieni davvero a lui? - Kore non riuscì a trattenere le lacrime silenziose, e senza dire nulla annuì.
- Allora non dovreste piangervi addosso. Se ci tenete a lui, vale la pena di provarci. Potrebbe andare bene, o forse no... - disse Cloe asciugandole le lacrime con le dita che le accarezzavano il volto. - ma almeno potrete dire di averci provato. E comunque... se il vostro cuore lo desidera per davvero, non dovete arrendervi, e lottare per lui e per voi.
Kore annuì, e la ringraziò. Eaco, che non si era mai spostato dall'alto della collina dalla quale la giovane era scesa, le fece cenno di risalire.
- È stato un piacere parlare con voi, Cloe. - disse la Dea. - Grazie per i vostri preziosi consigli. Ci rivedremo presto.
- Sì. Ci rivedremo. - le rispose lei con un sorriso. Kore si era avviata per risalire la collinetta, e Cloe la richiamò: - Quando rivedrai Demetra, ringraziala da parte mia.
Kore capì solo in quel momento che la donna aveva sempre saputo chi lei fosse.
- Lo farò.
Kore risalì sorridendo la collina, e quando raggiunse Eaco, l'uomo non le disse nulla. Lui era rimasto a vegliarla impassibile, l'aveva semplicemente spinta a raggiungere la madre.
- Grazie, Eaco.
- Di cosa, mia Regina?
- Da sola non ci sarei riuscita. - ammise lei, vedendolo accennare un sorriso.
- Dovere. - ma Kore sapeva che non era solo per quello. Le era parso che il giudice provasse della simpatia nei suoi riguardi. Non aveva avuto l'impressione che lui la volesse spingere a parlare con la madre, solo nella speranza che poi lei esaudisse ciò che gli abitanti dell'Averno aspettavano ormai da tempo. - Mi è spiaciuto interrompervi, ma è ora di tornare.
- Lo so.
Quando i due attraversarono il portone di marmo che collegava il castello ai Campi Elisi, furono colpiti da una musica soave, e da un canto così triste da riempire d'angoscia il cuore di entrambi.
- Da dove proviene questo canto? È la prima volta che sento qualcuno cantare nel palazzo. - Kore si guardò attorno, e cercò di capire da dove provenisse quel canto così addolorato.
- Seguitemi.
Kore riconobbe quella strada: Eaco la stava conducendo alla sala del giudizio. Più si avvicinavano e più il suono era netto, e la voce cristallina, ma non solo. Ad accompagnare la bellezza struggente di quel canto, vi erano anche i pianti disperati di alcune creature avernali. Essi stessi stavano provando quella stessa pena che la fonte di quel pianto doveva aver provato.
Quando entrarono nella sala, videro gli altri due giudici scossi dai singhiozzi, così come le Erinni, le ninfe, Cerbero e le altre creature che abitavano quei luoghi. Tutti erano rimasti colpiti dall'uomo in carne ed ossa che Kore vide inginocchiato lì, nell'Oltretomba, al cospetto di Ade. E persino l'imperturbabile Dio pareva scosso dal canto del mortale, tanto che il suo corpo tremava lievemente per l'emozione.
- Vi prego, Mio Signore, ora che avete udito il mio canto, e percepito il mio dolore, lasciate che riconduca con me la mia amata moglie. Per favore, restituitemi la mia amata Euridice.

 




 
L'angolo di Shera ^_^

Salve a tutti, mi avevate dato per morta? Tranquilli, sono ancora viva e vegeta XD
Ringrazio subito __aris__Soleil_3 e Sha_17 per aver aggiunto la storia fra le seguite e writer01 fra le preferite.

In una maniera o nell'altra la storia procede. Ho penato non poco per scrivere questo capitolo, ammetto che ero un poco scoraggiata ultimamente, e temevo di non farcela a preoseguire, ma poi mi son ripresa. Anche grazie all'aiuto del mio fidanzato ♥. Il suo sostegno è vitale ^^. Non lo dico per fare la zuccherosa, io son così, non posso farci nulla.

Finalmente Kore ha "perdonato Ade", solo che ora deve scendere a patti coi suoi comportamenti. Nulla di ciò che facciamo a questo mondo è privo di rischi o conseguenze. Ade ha già dimostrato un certo distacco, ma sarà davvero così? Bah, intanto il prossimo capitolo sarà decisivo per la nostra Dea della primavera.
È uno di quei capitoli fissi, una di quelle cose che avevo in mente fin dal concepimento della storia così come la conoscete. E non vedo l'ora di scriverlo.
Sarà molto più impegnativo degli altri, in quanto sarà cruciale per la mia "fiaba mitologica". Inutile dire che fremo al pensiero di mettermi giù a scrivere XD.
Il mito di orfeo e Euridice l'ho sempre amato moltissimo, e qui ho voluto proporre la mia versione, con una sempre più stronza Afrodite che ha dato sfoggio di umanità (?!), liberando Orfeo di un peso morto XD.
Nel prossimo capitolo dovremmo davvero liberarcene, spero che non mi stiate odiando.

Eaco lo sto amando. Ero indecisa su quale persona avrebbe accompagnato Kore da Cloe. All'inizio doveva essere Ade, ma era fin troppo scontato. Volevo che fosse qualcun altro ad aiutarla. Secondo la mitologia, Eaco era stato un uomo saggio e giusto. Per questo ho voluto far parlare lui. Sarebbe andato bene anche Radamanto, dato che è il custode dei Campi Elisi, ma il mio cuore mi ha guidata altrove.
Potrebbe sembrare che la gente voglia costringere Kore a scegliere l'Averno, ma alla fine sarà una decisione che spetterà soltanto a lei, come le ha giustamente detto Cloe.
Spero vivamente che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, non vi nego che sono un po' tesa, dato che ho penato moltissimo per arrivare alla fine XD.

Ringrazio tutti voi che continuate a sostenermi, seguirmi e a lasciarmi dei commentini. Non solo fa piacere, ma è anche utile sapere che cosa ne pensate.

Un abbraccio e a presto (tranquilli, dovrei essere in grado di aggiornare più rapidamente XD).

Vostra Shera ♥

 
  
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