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Autore: Word_shaker    19/10/2015    3 recensioni
Jane Foster, dopo aver guardato il telegiornale ed aver scoperto che Thor è stato a Midgard (ma non è neanche passato a salutarla), cerca di scoprire qualcosa di più su di lui da chi è rimasto accanto a lui durante quella folle battaglia tenutasi a New York. L'unico che si sforza di raggiungere è Tony Stark, ma Jane non sa che il destino, cercando di accontentarla, le offrirà diverse occasioni di parlare con gli Avengers per sapere di più su Thor. Cercando i Vendicatori, imparerà a difendere e coltivare il suo amore, nonostante tutto.
Genere: Comico, Commedia, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Los Angeles, California.

Qualche mese dopo l’incontro con Tony Stark, Jane Foster aveva ripreso la sua vita: studiava, aspettava, lavorava, aspettava, studiava, aspettava, lavorava, aspettava… E Thor non arrivava. Il suo cervello stava cominciando a consigliarle di nuovo di non sperarci più, mentre il suo cuore, ogni volta che lei tornava al suo appartamento - aveva temporaneamente rinunciato alla sua casa su quattro ruote -, moriva un po’ e smetteva di battere per una frazione di secondo, quasi aspettando che lui, sbucando da dietro la porta, potesse saltarle addosso. Non sapeva perché, ma si sentiva in dovere di essere pronta a tutto ciò.
Si era recata a Los Angeles con Darcy ed Erik, che, da quando Loki era entrato nella sua testa, contaminando la sua mente con il venefico potere del Tesseract, era lucido soltanto quando parlava di scienza; faceva un uso abbondante di farmaci che lo stordivano, gli facevano perdere la cognizione del tempo, dello spazio e della realtà, per non dire che spesso e volentieri parlava da solo, dimenticava i vestiti qua e là e si ubriacava ogni volta che poteva. 
Jane, preoccupata per lui - Erik era pur sempre quanto di più vicino avesse ad un padre -, aveva pensato che gli avrebbe fatto bene un cambio d’aria; così, approfittando del fatto che avesse ricevuto l’invito a prendere parte ad una conferenza nella quale si sarebbe espresso il celebre fisico Roger Penrose, aveva prenotato tre biglietti aerei: uno per sé, uno per Erik ed uno per la sua stagista.
Il viaggio fu abbastanza tranquillo: poiché l’aereo era decollato alle cinque del mattino, tutti e tre ebbero a stento il tempo di sedersi che si addormentarono come degli angioletti; anzi, probabilmente fu solo per l’intervento di chissà quale forza divina che sentirono la voce del pilota mentre annunciava l’atterraggio ben riuscito.
Una volta arrivati in albergo, Jane sistemò sul suo letto il vestito che avrebbe indossato in occasione della conferenza («Darcy, non è possibile! Non siamo neanche arrivati! Aspetta almeno un minuto prima di chiuderti in bagno!» gridò, nervosa), mentre Erik si mise a pancia in giù su uno dei tre letti, farfugliando qualcosa riguardante il Tesseract. 
Nel pomeriggio, vestiti di tutto punto, gli scienziati (e la stagista) uscirono dall’albergo per dirigersi alla Sala Conferenze situata a qualche isolato da loro. 
Dato che a Jane non andava a genio l’idea di vedere Erik barcollare lungo il marciapiede, decise che avrebbero preso un taxi.
Una volta arrivati alla Sala Conferenze, con grande gioia scoprì che loro tre avevano un posto riservato in prima fila. Per una persona che era pazza di Penrose da quando aveva all’incirca dieci anni, quella era una valida ragione per farsi venire un infarto.
La conferenza iniziò con un’inconsueta puntualità. Jane, eccitata come una bambina davanti ad un cosplay della sua principessa preferita al Walt Disney World, fissò Roger Penrose con gli occhi lucidi, le mani giunte ed un ampio sorriso, pronta a snocciolare domande su domande. Non si curò minimamente dei fotografi che proiettavano i loro flash su di lei e sugli altri scienziati: lei era lì per ascoltare e per guardare, non per essere ascoltata e guardata.
Purtroppo la sua gloria durò poco, perché un minuto dopo che il fisico si fu alzato qualcuno sparò un colpo proprio sopra di lui e mancò la sua testa soltanto per un grossissimo colpo di fortuna. 
Il colpo non ebbe neanche il tempo di risuonare che gli altoparlanti installati sul soffitto della stanza cominciarono a ripetere nervosamente: «Evacuare l’edificio! Evacuare l’edificio! Tutti i civili evacuino l’edificio all’istante!».
Darcy si alzò in piedi e strattonò con forza il braccio di Erik, il quale aveva un enorme, stralunato sorriso dipinto sul volto.
«La terra trema!» osservò languidamente.
«Lo so che la terra trema, idiota! Muoviamoci, Jane!» strillò Darcy, ormai in preda al panico. La terra tremava perché tutti gli ospiti della conferenza avevano cominciato a correre disordinatamente verso le uscite di emergenza, intasando tutta la sala.
«JANE! JANE! TU SEI FUORI!» la stagista quasi sputò un polmone per pronunciare quella frase, ma non c’era verso di smuovere l’amica dalle sue intenzioni; infatti dopo qualche secondo la sua voce non fu più udibile. 
Jane, disobbedendo a tutte le leggi di questo mondo, persino a quella di sopravvivenza, con il cuore che batteva alla velocità della luce, si avvicinò ai tavoli ai quali, fino a qualche secondo prima, erano seduti i personaggi importanti che avrebbero parlato - o meglio, avrebbero dovuto parlare - durante quel dibattito.
Andare controcorrente era quasi impossibile, eppure lei lo stava facendo: la gente che correva la schiaffeggiava e la sballottava da una parte all’altra, cercando di raggiungere le porte laterali; centinaia di teste che le si paravano davanti offuscavano la sua vista e, quando fu di fronte a quei tavoli tanto agognati, si guardò attorno, incerta. Penrose era fuggito.
Ad un certo punto sentì qualcuno che la afferrava bruscamente per la vita e se la caricava in spalla come un sacco di patate mentre correva via, usciva da quella sala, si precipitava per strada, lontano, attraversava il marciapiede. Tutto quello che era visibile di lui da quell’angolazione era la faretra piena di frecce che lui portava sulla schiena.
«Coulson, Foster è al sicuro. Ripeto: Foster è al sicuro» pronunciò chiaramente portandosi un indice all’orecchio, per poi rivolgersi a lei con un: «Si può sapere che diavolo avevi intenzione di fare?» domandò lui, leggermente alterato.
«Roger Penrose! Dov’è Roger Penrose? Lo hanno quasi colpito!» urlò Jane con tutta la forza che aveva in corpo, non sapendo se essere felice per essere stata a qualche metro da Roger Penrose o impaurita per aver rischiato la vita nella sua disperata ricerca del fisico nel momento più inopportuno di tutti. Stava tremando.
«Quindi speravi di poterlo salvare? E come? Con il potere della scienza?» l’uomo davanti a lei sembrava essere un tipo che non ammetteva delle domande come risposta. 
Dopo aver ascoltato la sua domanda, la donna si fermò ad ascoltare i colpi di pistola che provenivano dall’interno dell’edificio. Gli occhi sbarrati, la bocca spalancata, non sapeva che cosa dire. Avrebbe voluto mostrare stizza per la sua domanda un po’ sarcastica, ma quella fu subito sostituita dall’orrido stupore che stava udendo.
«James, vieni qui un momento. Ho bisogno di te» disse quello premendo di nuovo un dito sul suo orecchio. Guardando attentamente la sua divisa, l’astrofisica colse sei lettere familiari e poco piacevoli che, involontariamente, pronunciò ad alta voce: «S.H.I.E.L.D. Che cosa vuol dire tutto ciò?» domandò, stavolta un po’ interdetta. Che lo S.H.I.E.L.D. volesse rubare le sue ricerche in un momento critico come quello? O a Penrose, cercando persino di ucciderlo?
Istintivamente, fece un passo indietro per allontanarsi da quell’uomo. Lui sorrise appena.
«Clint, che diavolo è successo?» chiese nientemeno che Roger Penrose sbucando dietro il misterioso arciere.
«Avevo bisogno di te, James.» rispose Clint  «Ti smaschereresti?».
Penrose, con grande stupore di Jane, afferrò la propria fronte fra pollice ed indice e la tirò via da sé, mostrando il viso di un giovane uomo che le sorrideva, divertito dalla sua espressione sconcertata. Aveva rischiato la vita per un impostore. Quella sì che era una bella giornata!
«Ti ringrazio» fece l’altro, per poi dirle: «Io sono Clint Barton, conosciuto anche come Occhio di Falco».
«Tu sei negli Avengers!» esclamò lei. Il fatto che quel  tizio facesse parte dei Vendicatori - e che, quindi, conoscesse Thor - le fece momentaneamente mettere da parte l’enorme delusione per il falso Penrose.
«Sì, esatto. Sono stato controllato da Loki esattamente come il tuo amico Erik. Thor ha chiesto a Phil Coulson che tu fossi protetta in tutte le azioni che coinvolgono in qualche modo lo S.H.I.E.L.D. e i Vendicatori, e questa è una di quelle».
A quelle parole, intenerita, Jane sorrise. Anche se non poteva essere presente, Thor si preoccupava per lei e, durante un momento cruciale quale poteva essere l’ingresso dei Chitauri sulla Terra, lui aveva pensato ad assicurarsi che la sua amata stesse bene. Quella notizia, nel modo più silente e delicato possibile, riempì il suo cuore di gioia. Adesso sapeva che, piena di gratitudine, non avrebbe potuto fare altro che sperare. Sicuramente lo S.H.I.E.L.D. era ancora in debito con lei, poiché la donna non aveva dimenticato il furto a mano libera subito in New Mexico, ma per ora - per ora - avrebbe fatto bene a seppellire l’ascia di guerra. 
«Sai altro riguardo a lui?» 
«Non ho avuto modo di conoscerlo granché. In compenso, ho conosciuto bene suo fratello… Non ti invidierò per niente, quando andrai alla prima riunione di famiglia!» affermò con una smorfia di disapprovazione.
«Quando ne avrò l’occasione, gliene dirò quattro anche per te!» promise Jane. In fondo, lui le aveva dato una bella notizia - anche se il cruccio per la maschera di Roger Penrose persisteva nella sua mente -; chiuso l’argomento “Thor”, decise di chiedergli: «Se Roger Penrose non è qui, allora dov’è? E chi mi ha invitata?».
«Penrose è al sicuro, sotto scorta, e adesso sta dialogando con Nick Fury in persona» spiegò James «e ti abbiamo invitata perché, essendo un’astrofisica di successo, sicuramente la tua presenza sarebbe stata ben accetta e, anzi, non ci avresti smascherati. Abbiamo pensato a gente come te per essere sicuri che l’HYDRA agisse come sempre. Siamo stati noi ad organizzare la conferenza perché sapevamo che l’HYDRA avrebbe attentato alla vita del fisico».
Le informazioni correvano veloci nella mente di Jane, si sovrapponevano, la sconvolgevano. Non era sicura di aver capito tutto.
«In pratica, sono servita da copertura senza saperlo» dedusse per poi domandare:  «Che cos’è l’HYDRA?».
«Meglio che tu non lo sappia. Chi ne viene a conoscenza non fa mai una bella fine» fece Clint, laconico.
«Jane! Ecco dov’eri finita!» esclamò Darcy con l’aria distrutta  «Fra te che ti sei messa a inseguire Penrose ed Erik che si è messo a saltare quando quegli imbecilli hanno cominciato a sparare, non so chi stia messo peggio! Chi sono questi due tizi?».
Jane guardò Erik, che aveva la camicia semi-sbottonata e la cravatta sciolta lungo le spalle, l’aria di chi non sa dove la sanità mentale stia di casa.
«Selvig!» Clint sussultò.
«Clint! Fratello!» Erik si buttò fra le braccia dell’arciere che, con uno sguardo a metà fra compassione ed orrore, ricambiò l’abbraccio.
«Non si è ancora ripreso…» spiegò l’astrofisica con un sospiro. James osservò la scena raccolto in un apprensivo silenzio, la maschera di Roger Penrose ancora stretta in mano.
«Ce la farai, Erik. Abbi forza» lo consolò lui, per poi sorridergli. Dopodiché, rivolgendosi di nuovo a lei, disse: «E’ stato un piacere conoscerti, Jane Foster. Spero che le tue ricerche proseguiranno al meglio… E che non ci sia rimasta troppo male per Penrose!».
«Mi passerà, prima o poi. Anche a te auguro il meglio».

Dopo tutto quel trambusto, il grande timore e la titanica delusione, Jane, coccolata dalle coperte dell’hotel in cui si trovava, si consolò pensando al fatto che Thor, ovunque si trovasse, avrebbe sempre impedito che lei si facesse del male. Anche se indirettamente, lui l’aveva salvata, quel giorno. Proprio come lei, in New Mexico, aveva salvato lui. 
   
 
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