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Autore: lilac_sky    20/10/2015    2 recensioni
A Galway certe vite sono fatte per intrecciarsi tra loro.
Thelma ha vent'anni e anche i piedi abbastanza per terra.
La sua vita non è mai stata troppo noiosa, e non lo diventerá certo adesso che Agnes ha compiuto vent'anni anche lei, Luke si rivela sempre più ansioso, Calum è come se le rivolgesse la parola per la prima volta e Ashton riesce ad affascinare anche solo stando in silenzio.
No, a Thelma non sono mai piaciute le situazioni complicate: eppure ha la netta sensazione che ci si ritroverà in mezzo, da un momento all'altro.
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Consiglio la lettura delle OS dedicate ai singoli personaggi
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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*se non vi scoccia leggete lo space author in fondo, ci terrei un pochino*


Ogni mattina, Calum sorride.
Prima di scendere al piano di sotto, appena sveglio, si alza dal letto poggiando i piedi sul pavimento freddo, si guarda allo specchio attaccato al muro. E sorride. Gli piace guardare ogni espressione del suo viso prima di cominciare un’altra lunga giornata, con le guance ricoperte da quel leggero strato di barba che lui puntualmente toglie, gli occhi socchiusi di chi non ha dormito il numero di ore previste e i capelli neri che sembrano voler seguire mille direzioni.
E quella mattina non fa eccezione.
Nota divertito che le occhiaie sotto gli occhi gli danno un'aria più da bambino, assonnato com'è, e infila le pantofole ai piedi per scendere al piano di sotto, da cui proviene profumo di caffè e pane tostato: non sa cosa farebbe se non ci fosse sua madre che prepara sempre la colazione anche per lui, nonostante sia ormai grande e vaccinato. La vede sorridere, appena mette piede in cucina, e non può non ricambiare con un bacio.
«Ciao mamma»
«Buongiorno, tesoro» continua a sorridergli «Dormito bene?»
«Una meraviglia» risponde frettolosamente per precipitarsi a stritolare le bambine sedute già a tavola «E le mie due marmocchie preferite come hanno dormito?» esclama sollevandole entrambe, facendole scoppiare a ridere. Una risata cristallina, allegra, quella risata bambina che lo rende veramente felice. Iris e Cora sono le due persone per cui farebbe davvero di tutto.
«Calum, mettici giù!» ride Cora scalciando con i piedini, mentre Iris gli morde un braccio e lo costringe a lasciarle a terra.
«Sempre più belva tu, eh?» esclama scompigliandole la frangetta, e ricevendo una linguaccia e un sorrisetto sdentato come risposta. Prende una tazza di caffè e afferra una mela al volo, prima di sedersi di fronte alle due gemelle, che hanno ricominciato a mangiare il loro pane con la marmellata. Come ogni mattina. Una mano morbida gli sfiora piano i capelli, e quando alza lo sguardo incontra quello profondo ed eloquente della madre.
Joy è sempre stata il suo punto di riferimento, anche se quando il padre se n'è andato senza più dare notizie di sé i ruoli si sono invertiti, e le due bambine - allora di soli due anni - sono diventate il motivo per cui lui è dovuto andare avanti a testa alta.
«Oggi puoi accompagnare tu le bambine a scuola?» gli chiede lavando le tazze vuote che le piccole hanno lasciato sul tavolo per andare a vestirsi. Lui annuisce, dando gli ultimi, veloci morsi alla mela e correndo di sopra a lavarsi. Non ha nemmeno il tempo di tagliarsi quel minimo di barba cresciuta durante la notte, o fará tardi: l'acqua fredda del rubinetto lo aiuta a svegliarsi un minimo e trovare la lucidità necessaria per indossare dei vestiti decenti e non dimenticare i quaderni per gli appunti che infila nella borsa a tracolla nera: quando torna al piano di sotto, Iris e Cora stanno già litigando su chi tra loro ha lo zainetto più bello, e gli piace sentire le loro vocine squillanti mentre si infila il giaccone pesante e il cappello grigio. Fa freddo, quella mattina.
«Andiamo, pesti» annuncia per richiamare la loro attenzione, e dopo aver salutato la madre con un cenno della mano, le fa sedere in macchina facendo loro allacciare bene le cinture.
«Allora, che cosa farete oggi a scuola?» chiede abbassando il volume della radio, perché far sentire a due bambine di sette anni una canzone come Platypus dei Green Day, non è esattamente la cosa migliore che un fratello maggiore e responsabile possa fare.
«Il maestro Luke ha detto che ci fa inventare una storia»
«Che bello il maestro..!» sospira Iris sognante.
«Ma Calum è più bello!» esclama piccata Cora, smettendo di giocare con le punte dei capelli «È vero, Cal?»
«Non lo so, Cora, non posso dirlo io» risponde divertito, evitando per un soffio una macchina che è passata col semaforo rosso: le due bambine ricominciano a parlare tra loro, fino a quando non arrivano sani e salvi nel parcheggio della scuola. Calum scende e slaccia le cinture alle sorelline, che impazienti corrono verso i compagnetti poco più avanti.
O almeno, Cora corre. Una manina picchietta dolcemente sulla coscia del ragazzo, e gli occhioni scuri di Iris sembrano trapassarlo da una parte all'altra.
«Cal, ma la tua fidanzata dice che tu sei più bello del maestro Luke?» chiede con la sua vocina. E a Calum quasi viene da piangere per la sinceritá con cui gli è stata posta quella domanda così ingenua. Le accarezza la testolina coperta dal cappello di lana a forma di panda che a lei piace tanto, e si piega per darle un bacio sulla fronte e sistemarle meglio la sciarpa sul collo perché non prenda freddo.
«Io non ho una fidanzata, Iris: ma quando ne avrò una, lo dirà senz'altro». Lei annuisce soddisfatta, e lo saluta con un delicato bacino sulla guancia.
La guarda raggiungere la sorella e abbracciare gli altri bambini. E sospira.
E pensa che forse, di una ragazza nella sua vita, lui ne avrebbe proprio bisogno.
 
«Sì, Mr Swan, le dico che l'affitto è stato pagato: potrei anche controllare tra le ricevute, ma ora non sono a casa e mia madre è in negozio. Sì. Sì, certo, grazie mille. A presto»
Calum butta il telefono nella borsa con uno sbuffo e si passa una mano tra i capelli, andando indietro ad appoggiarsi allo schienale della sedia su cui si è buttato non appena è entrato nel bar vicino l'accademia. Sbrigare le faccende economiche della famiglia non lo entusiasma per niente, ma è necessario che lui aiuti sua madre, che non sarebbe capace di risolverle da sola.
Sono le nove e quella mattina Agnes non ha ancora dato notizie di sé, ma non è una cosa di cui preoccuparsi tanto: spesso lei fa così, non si fa sentire. Ed è per questo che sarà Calum a chiamarla e chiederle cosa sia successo, perché un motivo per Agnes c'è sempre.
«Cosa prendi?»
La voce scomoda, annoiata, totalmente inespressiva della cameriera gli arriva alle orecchie come la cosa più inopportuna che gli potesse capitare: ma lui non ha la stoffa del ragazzo scortese, ed è per questo che le sorride senza troppe difficoltà. D'altronde, con le ragazze lui se l'è cavata sempre piuttosto bene.
«Un cappuccino con schiuma, e un cornetto, per favore».
Ah, le buone maniere: Joy l'ha educato bene, su questo non c’è alcun dubbio. Calum sbadiglia e si stropiccia gli occhi con una mano, e subito dopo la sua attenzione viene richiamata dallo scampanellio della porta d'ingresso del bar, da cui entra il titubante ricciolino di cui hanno parlato tanto lui e Agnes.
Lo guarda, scrutandolo attentamente: gli è sempre piaciuto osservare ogni minimo dettaglio di quello che lo circonda, e guardare quel tipo è il massimo. È buffo, impacciato, timido nei movimenti, che rischia di inciampare ad ogni passo: eppure ha capito che ad Agnes piace, è palese.
Ashton si guarda intorno, e quando si gira dal lato del ragazzo seduto al tavolino nell'angolo, alza le sopracciglia assumendo un'espressione decisamente stupita: che lo diventa ancora di più quando Calum gli sorride ampiamente e gli fa cenno di raggiungerlo.
«Ciao!» esclama, e rischia di scoppiare a ridere da un momento all'altro per la faccia da pesce lesso del biondo ora seduto di fronte a lui «Sono Calum»
«Ashton» mormora visibilmente confuso. E come biasimarlo.
Ha i capelli ricci raccolti in un codino, e una bella barba gli incornicia le guance e il mento: mentirebbe a se stesso, Calum, se dicesse di non essere un po' invidioso.
«Ti sembro uno sfacciato, vero?» gli chiede con un mezzo sorriso, addentando il cornetto che la cameriera gli ha appena portato su un piattino.
«Oh, beh, io...» mormora. Calum si chiede se quel ragazzo sia capace di formulare un'intera frase di senso compiuto senza balbettare «No, non sei uno sfacciato. Cioè, non secondo me: io non sarei comunque capace di parlare ad uno sconosciuto in questo modo»
«Però ora lo stai facendo» lo interrompe Calum «E poi non siamo così tanto sconosciuti, noi due. Ti vedo tutte le mattine lì, seduto a quel tavolo» dice indicando con la testa un tavolino poco distante, addossato al muro. Lo sguardo di Ashton sembra illuminarsi.
«Tu sei...sei sempre insieme ad Agn-»
«Ad Agnes, sì» lo interrompe per la seconda volta, eppure al suo interlocutore sembra non dispiacere. «Lei ti piace. Tanto. Si vede».
Nessuna frase è mai stata così vera, e lo sanno entrambi: perché Calum sorride, e le guance di Ashton arrossiscono di poco in un secondo. Il moro guarda l'ora segnata sul telefono e trangugia la sua colazione in un attimo: è la volta che arriva tardi a lezione. Raccoglie le sue cose sotto lo sguardo confuso del ragazzo che gli sta di fronte.
«Piaci tanto, a lei: merita proprio qualcuno come te» dice guardandolo fisso negli occhi, poi se ne va, lasciando Ashton seduto al tavolino di un bar qualunque, a pensare a due occhi blu come il mare di notte e ad un sorriso timido sulle labbra screpolate.
E sì, a lui Agnes piace. Da morire.
 
Esce dall’aula di storia della musica contemporanea che ha il cervello ridotto in una strana marmellata di natura indefinita, ma con il sorriso sulle labbra perché anche quella mattina ha finito la sua routine di lezioni lì all’accademia: adesso nessuno può impedirgli di tornare a casa e buttare giù qualche riga della canzone che ha cominciato a scrivere la sera prima.
Uscito nel cortile per accendersi la tanto desiderata prima sigaretta della giornata, prova a pensare a delle frasi sensate da inserire nel testo di quella bozza di canzone senza titolo.
«See a match, no, a war…pronto, mamma?» risponde al telefono notando poco lontano un gruppetto di ragazze che lo guardano di sottecchi e ridacchiano. Proprio come tante oche.
«Calum, hai finito la lezione? Ti ho disturbato?». Le domande a raffica della mamma non mancano mai.
«Sono uscito ora, dimmi»
«Ho tutta la giornata da fare qui in negozio, ho dimenticato di dirtelo: puoi andare a prendere le bambine all’uscita da scuola e le porti a casa? La campana suona tra dieci minuti»
«Va bene, adesso vado: ci vediamo stasera?»
«Sì, torno per le otto: per il pranzo avevo preparato ieri qualcosa, è tutto in frigo»
«Ok, ciao ma’»
«Ciao tesoro». Infila il telefono nella tasca del jeans, e nella strada da lì alla macchina fa finta di non sentire le risate acute di quelle ragazze con i capelli tinti e le borse firmate: gli viene un po’ da ridere, perché a lui mica interessa di essere trovato “figo” da quelle là. Non sa nemmeno se si possa reputare un ragazzo di bell’aspetto, a dire il vero.
Entra in macchina e parte senza nemmeno allacciarsi la cintura, perché tanto la scuola elementare è solo a pochi isolati di distanza. Butta la cicca della sigaretta finita dal finestrino, si ferma per far passare una vecchietta sulle strisce pedonali e alza il volume della radio sentendo le prime note di “I’m gonna be” dei The Proclaimers.
«When I wake up, well I know I’m gonna be the man who wakes up next to you…» canta tenendo il ritmo della canzone con le mani sul volante: alla fine del primo ritornello è già arrivato davanti al cortile della scuola, brulicante di genitori impazienti di vedere uscire i propri figli da quell’edificio per portarli a casa. Chiude la portiera con un calcio e, le mani nelle tasche del giaccone, si appoggia comodamente al cofano aspettando che la campanella suoni.
Driiiiiin
Che fastidioso suono, e che rumoroso brusio da parte di quella massa di persone che, Calum ci scommette, vorrebbero essere da tutt’altra parte piuttosto che stare in piedi, al freddo, ad aspettare che i propri lamentosi figli afferrino le loro mani di pietra e li trascinino verso casa.
Inizialmente non riesce a vedere le due gemelle: solo dopo un paio di minuti, i loro bei faccini stanchi fanno capolino dal portone principale. Il volto di Cora si illumina tutto a un tratto non appena vede Calum che le saluta con entrambe le mani e un sorrisone sul volto, e corrono verso di lui venendo acchiappate dalle sue braccia calde e accoglienti. Proprio come quelle di un papà.
«Fratellone!» esclama Iris.
«Ciao, marmocchie»
«Dov’è la mamma?» chiede Cora facendo prendere il suo zainetto in spalla al ragazzo alto il doppio di lei.
«La mamma è a lavoro, tornerà stasera: andiamo a casa?» chiede retoricamente, mettendole entrambe a sedere con le cinture allacciate. Vede in lontananza Luke che lo saluta con un gesto della mano, che lui ricambia sorridendo, poi sale anche lui in macchina e mette in moto. Direzione, casa.
 
Hanno finito di pranzare da un paio d’ore, lì a casa Hood, e le due gemelle si sono addormentate sul divano mentre giocavano i loro orsetti di pezza: Calum le ha coperte con un plaid ed è rimasto a guardarle per un po’, così, in piedi davanti alla porta del salone.
Sono così belle, Iris e Cora, e meritano di essere trattate come principesse, e Calum ci prova, a fare la parte del loro principe: per loro farebbe davvero di tutto. Porterebbe loro la luna, se solo potesse.
Ora è seduto sulla penisola della cucina, anche se sa che è una cosa che Joy proprio non sopporta: ha completato un’altra strofa della canzone, e gli accordi alla chitarra la fanno sembrare anche più bella.
Gli piace comporre canzoni, è una delle cose che gli vengono meglio. I suoi testi parlano di amori impossibili, di riscatti, di quella forza necessaria per affrontare tutti i problemi: le sue musiche sono dure, incisive, spesso anche un po’ aspre, che descrivono luoghi e giorni ed esperienze mai vissute.
Gli piace immaginare, perché a lui sarebbe piaciuto andare a studiare a Londra, ma non se la sarebbe mai sentita di lasciare sua madre da sola insieme a due bambine che ancora hanno tanto da vivere e vedere. Gli sarebbe piaciuto fare così tante cose che ormai ha anche perso il conto: eppure, beh, tutto quello che fa, lo fa perché gli piace. E ogni volta riesce a metterci tutto se stesso.
È soddisfatto della sua vita? Sì, lo è eccome: a Galway ha trovato tutto. Una città tranquilla, il mare, la passione per la musica, degli amici stupendi. Pensa a tutti quelli che ha potuto conoscere nei suoi ventun anni di vita.
Agnes, la biondina con cui ha stretto quell’amicizia che sembra non finire mai.
Luke, che è il fratello grande un po’ di tutti.
Poi…
Poi sorride, pensando a Thelma Morton: non sa neanche lui il perché.
 











ALLORA.
*si nasconde un angolo e alza timidamente una mano in segno di saluto* ehilà………!
Guardate un po’ chi si rivede, la stronza che, oltre ad aver cambiato nickname, non aggiorna da circa un’era geologica. Dolcezze, stelle splendenti del cielo, brillantini sbriluccicanti, io vi voglio bene, e chiedo il vostro perdono. Mi prostro ai vostri piedi e cospargo di lacrime il pavimento: scusatemi. Davvero.
Quasi inutile dirvi che la colpa è tutta della scuola, che mi prende un sacco di tempo ecc ecc.
 
*scusa di merda* *EPIC FAIL*
 
Sì, beh, non è vero che è colpa della scuola. Cioè, solo in parte: il problema sono io, che sono un lurido verme verminoso che non riesce ad andare avanti con i capitoli e scrivo e cancello diecimila volte. MA il prossimo capitolo è finito e non ho intenzione di modificarlo perché NO, e ho anche iniziato il settimo. Mi porto avanti col lavoro mhmh, sono una brava bambina (non è vero)
Tralasciando questa schifosa introduzione, passiamo allo schifoso capitolo che avete appena letto. Non posso farci niente, non sono sicura della riuscita di questa, uhm, cosa, anche perché allo scorso capitolo non ci sono state recensioni. E no, non sono una di quelle che muore se non ha recensioni, solo che mi aiuterebbero a recuperare un po’ di autostima e a darmi la voglia di continuare la storia. Ecco tutto.
Calum Thomas Hood è il vero protagonista del capitolo, come avete potuto constatare: non è troppo carino? *versi incomprensibili che dovrebbero descrivere il mio reale entusiasmo*
Dai, è un tenerone, il fratello maggiore perfetto: e poi BOOM, Iris e Cora. Che non vedevo l’ora di inserire nella storia, aggiungo anche.
 
Mi sto dilungando (come sempre), vorrei dirvi un sacco di cose ma sono troppe e non le ricordo. Beh, restando in tema 5sos, Hey Everybody! è una canzone favolosa. E il video è veramente troppo troppo trash ma WHO CARES.
Poi, super notiziona: (molto probabilmente) VADO AL LORO CONCERTO A ROMA IL 14 MAGGIO.
Cioè, la prevendita dei biglietti è domani, ma MOLTO molto probabilmente ci vado ed è questo l’importante: dopo più di un anno che li ascolto e circa un anno che li seguo seriamente, finalmente il mio momento è arrivato. Non ho parole per descrivere la mia felicità estrema in questo momento.
 
Va bene, va bene, vi lascio.
Lasciate un parere, se vi va. Tanti bacini,
elena
  
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