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Autore: Laura Sparrow    20/10/2015    5 recensioni
Quinto capitolo della saga di Caribbean Tales. - La Perla è perduta. Jack è perduto. Una tempesta separa Laura Evans dalla sua ciurma e dal suo capitano, per gettarla sola su coste sconosciute. Devono ritrovarsi, mentre il pericolo incombe sottoforma di uno spietato cacciatore di pirati incaricato di trovare proprio loro...
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Swann, Hector Barbossa, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Will Turner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11



Caos.
Ogni anfratto sottocoperta era improvvisamente ingombro di persone, più di quante la Perla Nera ne avesse mai imbarcate. Mano a mano che la nave si era allontanata dalla costa, siglando definitivamente il nostro abbandono dell’isola, il canto a più voci dei fuggitivi era andato spegnendosi al pari del boato dei cannoni.
Jack non aveva dato disposizioni.
Aveva lasciato che Nathaniel cantasse la canzone e poi si ritirasse in disparte, senza dirgli che cosa avesse appena scatenato. Ma sicuramente già lo sapeva.
Quello che di certo il giovane non immaginava, prima di lanciare il richiamo della Fratellanza, era che tre dei Pirati Nobili che voleva radunare si trovavano già lì.
Almeno quaranta persone ora erano stipate sottocoperta, una buona fetta delle quali erano i bambini della Sirena. Mentre facevo il giro per aiutare a distribuire l’acqua mi fermai vicino a loro e chiesi se stessero bene. Erano in nove: il più grande doveva essere sui dodici anni al massimo, mentre il più piccolo poteva avere l’età di David Turner.
Ricordare il piccolo Turner mi fece pensare che forse avremmo dovuto trasferire un po’ dei nostri passeggeri in eccesso sulla Sputafuoco, almeno per smezzare il carico e le bocche da sfamare. E poi, quale rotta stavamo facendo? Urgeva sicuramente un raduno con William, Elizabeth e Barbossa, ma per il momento era stato deciso che fermarsi prima di aver messo una buona distanza fra noi e la nave di Balthazar sarebbe stato troppo pericoloso.
Nove visi sporchi di bambini mi scrutavano nel buio rischiarato dalle lampade gialle di sottocoperta. Se ne stavano a gruppetto, rintanati tra due casse di legno, sotto ad un boccaporto che faceva entrare un poco d’aria salmastra in quello spazio ristretto.
- Andrà tutto bene. – dissi loro, d’istinto, mentre si passavano l’un l’altro il boccale per bere. – Mi raccomando, cercate di restare vicini e di non dividervi. Abbiamo ancora qualche giorno di viaggio, ma vi porteremo in un posto sicuro. –
Le stesse raccomandazioni a tutti, le stesse parole a tutti i visi conosciuti o meno che mi chiedessero spiegazioni.
Più vedevo l’ingombro di sottocoperta, che ora l’intera ciurma stava cercando di riorganizzare in modo da dare a tutti un angolo dove dormire, più mi domandavo perché lo avessi fatto. Avevamo salvato quella gente, portandola sulla Perla, o li avevo trascinati tutti verso un destino peggiore?
- È vietato perdersi d’animo, signori!-
Mi voltai di scatto come se quelle parole fossero state dirette a me.
Anche miss Hawk si stava aggirando tra i rifugiati di sottocoperta, aiutando la ciurma a distribuire acqua, coperte e cibo, e sembrava che la sua parlantina stesse riuscendo dove mi sentivo fallire io: passava da una persona all’altra, e per ognuna aveva una parola di conforto, o riusciva a strapparle una risata. Mentre la osservavo, notai che la sua tempia destra era ancora livida e gonfia, ma lei sembrava non badarci affatto.
Incrociammo lo sguardo per un momento, e vedendomi lei mi scoccò un sorriso duro, quasi fiero. Pareva perfettamente a suo agio anche là sotto. Ricambiai, poi indicai prima la mia tempia e poi lei.
- Come state?-
Sylvie Hawk si sfiorò la testa con noncuranza e fece una smorfia, stringendo le labbra.
- Niente che non abbia già passato, per carità… Ma mio figlio farà meglio a non capitarmi a portata di mano per almeno un paio di secoli. –
Sorrisi, ma mi sentii in dovere di difenderlo.
- Non vi avrebbe mai lasciata lì da sola, lo sapete anche voi. –
- Lo so. – replicò bruscamente lei, e seppi che capiva.
Dopo il nostro breve scambio di battute mi voltai, solo per trovarmi nuovamente in mezzo alla confusione. I pirati andavano avanti e indietro; se si accorgevano di me mi lasciavano passare, altrimenti mi tagliavano la strada senza tanti complimenti, troppo occupati nelle loro mansioni.
L’aria era umida e viziata, e cominciava a girarmi la testa. Di nuovo. Ero in piedi da tutto il giorno.
Avevo teso le braccia avanti per farmi strada, quando ad un tratto una mano sembrò sbucare dal nulla e senza alcun indugio prese la mia, tirandola gentilmente e guidandomi fuori dal caos.
Jack era davanti a me, nella semioscurità del primo ponte. Mentre mi precedeva, senza che mi lasciasse mai la mano, insieme ci facemmo strada con discrezione in mezzo al viavai incessante di pirati e di rifugiati. Poco a poco ci allontanammo dalla zona più affollata per poi infilarci in un angolo ristretto verso prua, esattamente in mezzo a due cannoni: il soffitto era talmente basso da sfiorare le nostre teste, l’oscurità era diventata quasi totale perché lì non arrivava la luce delle lampade, ma solo il chiarore esterno che riusciva a filtrare dal contorno dei boccaporti socchiusi.
Solo allora Jack si fermò, si voltò verso di me e mi abbracciò in silenzio. Io gli strinsi le braccia al collo e nascosi il viso contro la sua spalla, tirandomelo più vicino. Era così bello averlo di nuovo lì…
Le sue mani mi accarezzarono la schiena, rassicuranti, poi lui si spostò per cercare il mio viso e sempre senza parlare premette le labbra sulle mie. Lo baciai di rimando, e per un lungo momento ce ne restammo così, quasi immobili contro la parete legnosa ad ascoltare i nostri respiri.
Sollevai le mani per toccargli il viso, mentre appoggiavo la fronte contro la sua. Qualunque cosa succedesse, almeno ero a casa.
- Sono così contento che tu stia bene. – mi sussurrò infine Jack, facendo un sorrisetto. Ci fu il debole luccichio di uno dei suoi denti d’oro nella penombra. Mi appoggiò le mani sui fianchi per tirarmi ancora contro di sé, con un gesto protettivo.
- Anche io. – coi pollici gli accarezzai piano gli zigomi pronunciati, la barba pungente. – Che cosa faremo adesso?-
- Baia dei Relitti. – mi annunciò lui, con un sospiro e una scrollata di spalle. – Non abbiamo molta scelta, e forse quello è l’unico posto dove potremmo lasciare questa gente offrendo loro anche un minimo di protezione, comprendi?-
Annuii, continuando a stare appoggiata a lui. Jack rimase zitto e fermo ancora per un po’, prima di riprendere ad un tratto la parola.
- Perché il signor Hawk ha… uhm… cantato la canzone, che tu sappia?-
- Per quale motivo, secondo te? Sa che cosa significa. Mi aveva parlato dei Pirati Nobili già da un po’ di tempo, sapevo che era intenzionato ad attirare la loro attenzione per chiedere aiuto, prima o poi. Vuole che la Fratellanza si riunisca. E se ora voi riuscirete a trovare una soluzione per quello che sta succedendo, tanto meglio, no?-
- Lo so. È solo che dubito che il giovane Hawk sappia esattamente che cosa comporta in genere un raduno di pirati tutti quanti rinchiusi nello stesso posto. – fece una smorfia divertita e scosse il capo, facendo tintinnare le perline attaccate ai suoi capelli. Poi mi appoggiò le mani sulle spalle per guardarmi dritta negli occhi. – Ci siamo cacciati in un bel guaio, cara. Mi spiace. E francamente avere tutta questa gente a bordo così alla sprovvista, e in evidente violazione di quello che sarebbe non solo il Codice ma anche le più elementari regole della sacrosanta logica del “ognun per sé”... Oh, ma non importa. Adesso voglio che tu stia il più possibile al sicuro, capito? Lo so che è difficile per te, ma ti prego, resta al sicuro. Non voglio che nessuno di noi due faccia niente di stupido… almeno, non senza consultare l’altro. Va bene?-
Lo fissai mentre mi parlava. E mentre lo fissavo ebbi una sensazione strana, dal sapore di qualcosa di inevitabile, come se i mesi di separazione mi avessero fatto capire quanto le cose potevano andare male senza il minimo preavviso.
- Jack, c’è una cosa che devo dirti. –
Un momento. Lo stavo facendo davvero? Di tutte le occasioni che potevo scegliere, stavo per scegliere quella e dirglielo adesso, tra una sparatoria e una fuga con tanto di profughi al seguito?
Jack inarcò le sopracciglia e inclinò il capo, pronto ad ascoltarmi.
- Tranquillo, è… una cosa buona. Almeno, io penso che sia una cosa buona, ma… -
Che stavo dicendo?
- Jack, io… -
Il viso di Jack si corrucciò, mentre lui continuava a fissarmi senza capire il perché di tutta quella mia ridicola esitazione. – Ti ascolto. – mi incoraggiò, stringendomi appena di più le spalle, ma ora c’era un’ombra vagamente preoccupata nella sua voce.
- Sì, lo so. Adesso te lo dico, è solo che… -
- C’entra Hawk?-
Quella era l’ultima domanda che mi sarei aspettata di sentire: infatti impiegai più di qualche istante per capire il senso della frase, e che cosa avesse a che fare quel nome con la nostra conversazione. Dimenticando completamente ciò che stavo cercando di dire con le parole più adatte, alzai di scatto il capo e lo fissai, stranita.
- Cosa? Hawk? Nathaniel?- ripetei, sgranando gli occhi senza capire. – No! Cosa diavolo dovrei avere da dirti su Hawk?-
- Beh… Non lo so. – Jack distolse convenientemente gli occhi dai miei, strascicando le ultime parole in modo fin troppo eloquente.
Soffiai un sibilo irritato tra i denti, e poi la mia mano scattò ad agguantarlo per le treccine della barba, strappandogli un guaito.
- Dio, se ve lo meritereste uno schiaffo, capitan Sparrow. Non ho niente da dire su Nathaniel! Ma davvero credi che mi basti così poco per finire con qualcun altro? O forse… - esitai, scrutandolo da sotto in su. – Se invece ne sei davvero convinto, allora forse dovrei chiederti se tu non ti sia preso qualche distrazione, visto che ti mancavo così tanto e che, a quanto pare, il tempo è una scusa sufficiente. –
A quelle parole Jack si inalberò, e il suo volto si contrasse in una smorfia oltraggiata.
- Signora Sparrow. – sillabò, digrignando i denti mentre i suoi occhi si allargavano tanto da mostrare il bianco. – Senza di voi mi ero ridotto talmente male che qualsiasi donna avrebbe preteso di essere pagata più che profumatamente anche solo per prendermi in considerazione. E, trattandosi del sottoscritto, mi perdonerete la vanità se mi permetto di affermare che già questa è grossa. Ma, a parte questo… - zittì la mia protesta sul nascere. – Non ho mai desiderato neanche per un momento qualcuna che non fossi tu. Ho passato la cosa più simile a due mesi di vedovanza che abbia mai provato. Non è stato bello. Chiaro?-
- … Chiaro. –
Lasciai andare il fiato in un sospiro profondo, e poi, lentamente, lo abbracciai di nuovo.
Stavolta lui esitò per un attimo come se non avesse ancora digerito l'offesa e non fosse certo di volermelo permettere, poi però si arrese e lo sentii rilassarsi contro di me. Tenni la testa sul suo petto per un po’, poi mi scostai, sapendo che avrei avuto bisogno di guardarlo in faccia mentre gli dicevo ciò che mi apprestavo a pronunciare.
- Ascolta, avrei tanto voluto dirtelo in un momento migliore per entrambi, ma non me la sento di continuare a rimandarlo senza sapere che cosa ci aspetta. Sono incinta. –
Jack non parlò. Non si mosse, non emise un fiato, aveva perfino smesso di barcollare mentre restava semplicemente impalato a guardarmi. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma subito dopo se ne dimenticò, così per qualche lunghissimo istante se ne rimase come un pesce con la bocca aperta in una O perfetta.
Non sapevo nemmeno che cosa sperare, se di sentirlo dire qualcosa o che restasse in silenzio. Quando si riprese, fu solo per voltare il capo a destra e a sinistra come se cercasse qualcosa nel buio del ponte, e poi la voce finalmente gli uscì, incerta.
- Incinta nel senso…? -
- In che senso, secondo te?- giuro che per un attimo, per colpa del nervosismo, ebbi la tentazione di scoppiare a ridere come un’isterica… ma mi trattenni, perché sarebbe stato davvero inappropriato. – Aspetto un bambino, Jack. Ero incinta appena prima della tempesta, e lui è sopravvissuto a… a tutto. – mi inumidii le labbra, sentendomi la gola completamente asciutta. – Insomma, è così. Avremo un bambino. –
Per un momento la mandibola di Jack annaspò, e la sua bocca si aprì e si richiuse un paio di volte. Abbassò gli occhi.
Io stavo continuando a guardarlo dritto in faccia, e ad un tratto vidi dipingersi sul suo volto un’espressione che non gli avevo visto quasi mai: qualcosa di intenso, quasi doloroso, che distese i tratti del suo viso di solito espressivo fino all’eccesso. I suoi occhi scuri fissavano il vuoto, ma ora erano carichi di un’intensità strana. Distinsi un brillio e capii che erano lucidi.
Poi ad un tratto gli si incresparono le labbra e lui emise un basso sibilo divertito, simile ad una risatina nervosa trattenuta a stento. Dopodiché, finalmente, rialzò gli occhi su di me.
- Tesoro, è… -
Inciampò sulle parole, e ci rinunciò. Ma, con una cautela che era quasi commovente, spostò una mano per poggiarmela contro la pancia, molto delicatamente, come se la stesse esplorando. Tenne una mano appoggiata sul mio ventre poi con l’altra mi circondò la nuca e mi strinse a sé, premendo le labbra contro la mia fronte. Io lo strinsi forte a mia volta e di nuovo restammo semplicemente così, a lungo, nel buio di sottocoperta.

*


- Incinta e non dici nulla? Incinta e ti metti a tirare di spada, per l’amor di Dio?!-
- Buongiorno anche a te, Faith… -
Quando finalmente mi risvegliai nella mia cabina, nel mio letto, non trovai Jack. Non sapevo nemmeno se fosse venuto a dormire: io mi ero messa a letto appena dopo la nostra conversazione della sera precedente, vinta dalla spossatezza e dal bisogno assoluto di riposare, mentre lui aveva continuato a dirigere la Perla senza di me.
E, al risveglio, in cabina mi ero trovata a fronteggiare il micidiale cipiglio della mia migliore amica che era stata mandata da me nelle temibili vesti di medico.
Faith scosse bruscamente il capo e si piazzò a sedere davanti a me sul materasso, incurante del fatto che fossi o non fossi completamente sveglia, e cominciò a svolgere sopra alle coperte il suo astuccio di cuoio dove teneva tutto il suo armamentario. Strizzai le palpebre e mi guardai in giro: dalle vetrate entrava la luce del giorno, disegnando una scacchiera sul pavimento di legno della cabina e sul mio letto.
Quando ero andata a dormire non mi ero accorta dello stato in cui si trovava la mia vecchia stanza: ero abituata al fatto che Jack fosse tutto meno che ordinato, ma per la prima volta vedevo il pavimento ingombro di carta straccia, bottiglie vuote, residui di cibo e abiti buttati per terra, più di quanto lo avessi mai visto prima di allora.
- Dimmi almeno che non hai bevuto alcol, nelle ultime settimane!- continuò Faith.
- È stata una grossa rinuncia, lo ammetto, ma no, Faith, non ho cercato di affogare mio figlio nel rum. – replicai, mentre mi mettevo a sedere. – Ehi ehi ehi, che cosa credi di fare con tutta quella ferraglia? Non scherziamo. –
- Ti pare che stia scherzando?- sbottò la mia amica, lanciandomi un’occhiata truce. – Tu ora te ne stai buona e ascolti il parere di un medico, per una volta. –
Mi rassegnai e non fiatai più, lasciando che mi controllasse. In realtà, dopo un po’ mi accorsi di sentirmi molto sollevata all’idea che fosse proprio Faith ad accertarsi che andasse tutto bene: non solo mi fidavo di lei, ma era letteralmente tutto ciò che di meglio avrei potuto chiedere da un medico e da un'amica. Mi ero appena alleggerita di un grosso peso, non dovendo più tacere il motivo della mia ansia.
Nel complesso almeno all'esterno non c’era molto da vedere, anche perché la mia pancia continuava a sembrare normale eccetto per un leggerissimo arrotondamento che io e Faith riuscimmo a distinguere solo dopo minuziose osservazioni.
- Ma è normale che si veda così… poco?-
- Sei solo al secondo mese, e sei pur sempre una donna al suo primo figlio. – Faith mi sorrise per la prima volta da quando era entrata in cabina. – Sembri quasi delusa. –
Io risi e scossi il capo. – Siccome dovrò portarmi tutta questa zavorra, vorrei almeno avere la soddisfazione di vederla. –
Il sorriso della mia amica si fece più largo, e lei si avvicinò per poi prendermi le mani tra le sue.
- Sono veramente felice per te. – mi fece, e poi di colpo il suo tono tornò bruscamente quello di un medico di bordo. – E non posso assolutamente permettere che tu adesso ti esponga a troppi sforzi. È già un miracolo che tu le la sia cavata dopo il naufragio, te ne rendi conto? Non hai dormito nemmeno cinque ore: per stamattina puoi continuare a dormire, mentre Jack e il signor Gibbs penseranno alla nave e alla ciurma. –
- Sono il capitano in seconda, non potete depormi!- brontolai anche se, ad essere sincera, il pensiero di potermi fare qualche altra ora di sonno indisturbata non mi dispiacesse affatto.
- Possiamo, quando miss Sparrow porta in grembo il futuro terzo capitano in carica. – Faith rise e mi mise una mano sulla spalla, incoraggiante. – Devi riposare, Laura. Non c’è niente di disonorevole in questo. –
- Oh, d’accordo. Ma svegliatemi al cambio del turno. –
Mi misi a letto, e Faith mi lasciò dormire per otto ore filate.
L’infame.

*

Solo dopo che Faith mi ebbe convenientemente drogato con la mia cura del sonno, lasciando che mi crogiolassi in ben più ore di riposo di quante avrei mai potuto sperare di avere, cominciai a sospettare di essere appena stata incarcerata nella mia cabina per tacito accordo tra il capitano e la mia amica.
Era già notte quando mi risvegliai di soprassalto per la prima volta.
Ero ben avvolta nelle coperte, eppure mi sentivo addosso una sensazione di freddo strisciante che non riuscivo in nessun modo a scacciare. Poi di colpo mi sentii annodare lo stomaco.
“Oh no...”
Rotolai verso il bordo del letto, e ci misi tanto impeto che per poco non caddi sul serio: non avevo considerato il lieve rollio della nave, che manteneva in perenne movimento la cabina, il pavimento, e in pratica tutto ciò che mi circondava. La stretta allo stomaco si fece più intensa, e mentre annaspavo per rimettermi in piedi seppi con certezza che non sarei mai riuscita a raggiungere l'esterno.
In quel momento mi accorsi che, in mezzo al marasma di indumenti buttati a terra e bottiglie vuote, sul pavimento, proprio accanto al letto, c'era un secchio. Non ebbi nemmeno il tempo di benedire Faith per la sua lungimiranza: mi buttai carponi a terra e vomitai dentro al secchio.
Solo quando il mio respiro tornò regolare e la stretta si allentò, lasciandomi soltanto un sapore acre in bocca, i contorni della stanza mi sembrarono di nuovo familiari.
Ero ancora carponi, a rabbrividire con le gambe nude contro le assi del pavimento e con il secchio tra le ginocchia, quando mi sembrò di percepire qualcosa: uno sfarfallio, nulla più che un debole sussulto, o un sospiro represso. Niente in confronto alla morsa che mi aveva appena fatto ribaltare le viscere, tuttavia lo sentii e mi paralizzai, dimenticando all'istante il brusco risveglio e il sapore di bile.
Lo sciabordio della marea al di là delle pareti di legno continuava, il rollio leggero del pavimento non si era mai interrotto, ed io restavo lì in ginocchio con le mani sul ventre nella speranza di sentirlo di nuovo, qualunque cosa fosse stato. Non si ripeté, e non potevo nemmeno essere certa di averlo percepito sul serio o di essermi semplicemente fatta suggestionare... Tuttavia, quella fu la prima volta in cui ebbi la netta sensazione di una presenza estranea. Pensiero che sul momento mi gelò, poi, lentamente, cominciò a lasciare il posto invece ad uno strano calore.
“Ehi.” pensai, con la mano infilata sotto la camicia premuta contro la pelle calda e tesa del mio ventre. “Siamo a casa, non ti preoccupare. Siamo al sicuro. Hai conosciuto tuo padre? Dagli un po' di tempo, ho la sensazione che voi due finirete per andare molto d'accordo.”
Mi rialzai con un sorriso sulle labbra, guardandomi attorno.
Chissà se il suddetto padre aveva avuto modo di toccare il nostro letto nelle ultime ore. Se anche lo aveva fatto, ancora una volta io avevo dormito troppo profondamente per accorgermene.
Non c'era nessuno con me in camera, ma, almeno a giudicare dai flebili suoni che cominciai ad udire da oltre la porta, c'era più di una persona nella cabina degli ufficiali. Tesi l'orecchio. Voci di persone che parlottavano tra loro, e di tanto in tanto lo scricchiolio di sedie che grattavano contro le assi del ponte. A meno di non sbagliarmi di grosso mi parve di riconoscere chiaramente la voce di William, anche se non riuscii a distinguere le singole parole.
Feci per avvicinarmi alla porta, ma mi trattenni. Mi piaceva pensare di avere ancora la mia dignità di capitano: non mi sarei precipitata fuori dalla stanza come una bambina svegliata in piena notte che pretendesse di piombare nel bel mezzo di una riunione di adulti. Anche perché non era consigliabile correre fuori dalla mia cabina in deshabillé senza avere un'idea precisa di chi occupasse la sala degli ufficiali in quel momento.
Recuperai i pantaloni dalla sedia sopra cui li avevo abbandonati e li indossai, e mi stavo infilando gli stivali quando la voce del giovane Turner si alzò improvvisamente di tono, permettendomi di sentire di cosa si stava discutendo nella stanza accanto.
- Rifugiarci alla Baia dei Relitti potrebbe rappresentare la nostra migliore opzione, al momento. - stava dicendo William. - Il posto è una fortezza, la città è ben difesa. Questa gente potrà stare al sicuro il tempo necessario per riprendersi e decidere che cosa fare. -
La suola spessa dei miei stivali aveva ora reso i miei passi estremamente rumorosi, e mentre mi avvicinavo all'uscio ebbi la sensazione che nell'altra stanza mi avessero sentita e che la conversazione si fosse interrotta per un momento. Aprii la porta.
Sotto le lanterne che dondolavano appese al soffitto, era radunata attorno al tavolo degli ufficiali l'intera elite della nostra piccola flotta. Jack sedeva esattamente di fronte alla porta della nostra cabina, dandomi le spalle: era semisdraiato sulla sedia con le gambe tese per poggiare i piedi sul bordo del tavolo, e si voltò verso di me quando mi sentì entrare. Dalla parte opposta stava Elizabeth, china sulle proprie braccia incrociate, con i lunghi capelli biondo cenere che ricadevano in bande ordinate al lato del suo viso incorniciando la sua espressione corrucciata. Accanto a lei c'era William, che non si era seduto ma teneva una mano poggiata sul tavolo, con il pugno chiuso stretto contro il legno.
Discosto da loro due, e al contempo accuratamente posizionato dalla parte opposta rispetto a Jack, Hector Barbossa si era appropriato di una delle seggiole più grandi e vi stava seduto sopra con innegabile orgoglio, con le dita rugose e inanellate strette sopra ai braccioli e la sua immancabile scimmietta dalla pelliccia nera che camminava avanti e indietro in cima allo schienale. Ammetto che per un momento fui felice di rivedere anche quella scimmia.
Quasi sperai di poter trovare anche Faith ed Ettore a quel raduno notturno, ma il medico di bordo non aveva motivo di trovarsi lì, mentre sapevo che Ettore tendeva ad evitare accuratamente tutte le circostanze che lo avrebbero portato a stare nella stessa stanza con Barbossa.
C'era invece un ultimo elemento che non mi aspettavo di trovare lì, e che stava seduto tra l'anziano ufficiale e William: Nathaniel.
Neppure lui doveva avere dormito molto, di recente, a giudicare da quanto tirato apparisse il suo viso.
Nessuno di loro si era aspettato il mio arrivo, o almeno questo mi parve di intuire dalle loro espressioni. Elizabeth ebbe un piccolo sussulto e sollevò lo sguardo verso di me, scambiammo una fuggevole occhiata che avrebbe dovuto bastare per confermare che, sì, stavo bene, e che eravamo entrambe felici di rivederci tutte intere. William si era interrotto, perciò feci un cenno con la mano nella sua direzione.
- Perdonate il ritardo. - scherzai, e mi avvicinai per prendere posto sulla sedia accanto a Jack. Lui mi stava ancora fissando, e quando mi accostai a lui si sporse nella mia direzione con un che di apprensivo, anche se riuscì a farlo passare per un gesto perfettamente casuale.
- Va tutto bene?- mi domandò, mentre mi scoccava un'occhiata allusiva come se temesse che da un momento all'altro potessi, che so, sgretolarmi in mille pezzi come ceramica o prendere fuoco spontaneamente. Mi sedetti.
- Certo che va tutto bene. Vi avrei raggiunti prima se avessi saputo che era prevista una riunione. -
- Era più importante che tu riposassi. - ribatté il capitano.
- Mi sono riposata a sufficienza per almeno una settimana intera. -
- Oooh, questo lo deciderà solo la nostra miss Westley, e sai che lei sa essere ben più spietata di me... -
- Abbiamo cose più importanti di cui parlare. - tagliai corto. Non solo il nostro battibecco non era sicuramente appropriato, ma ero anche sicura che nessun altro in quella stanza a parte noi sapesse il vero motivo della premura di Jack nei miei confronti. Tornai a guardare Will ed Elizabeth. - Quanto dista la Baia dei Relitti?-
- Ormai meno di un giorno di viaggio, se continueremo ad avere il vento a favore e il mare così calmo. - rispose il giovane Turner.
- Quello su cui ci stavamo concentrando, miss Sparrow... - lo interruppe Barbossa, con la mano destra che tamburellava pigramente con le dita sul bracciolo della sua sedia. - ...è il fatto che non potremo considerare finiti i nostri problemi una volta che arriveremo laggiù. Tutto il contrario, invece. Ora che la canzone è stata cantata -devo ammettere, a ragion veduta- molto presto la Fratellanza si radunerà. Ma temo che questo non sarà sufficiente a far desistere Balthazar. Scorrerà del sangue. Ritenevo che il qui presente signor Hawk dovesse sapere dove stiamo conducendo lui e i suoi rifugiati. -
L'attenzione di tutti i presenti si spostò allora su Nathaniel, il quale teneva gli occhi fissi sul ripiano nero lucido del tavolo e alzò a malapena lo sguardo quando si sentì interpellare dall'anziano pirata.
- I rifugiati della Sirena sono civili. Donne e bambini, e uomini non abituati a combattere. - replicai, fissando Barbossa. - Ci sarà nella Città dei Relitti un luogo in cui possiamo tenerli al sicuro anche nel caso di un attacco dal mare. -
- Vi siete forse preoccupata di chiederlo prima di imbarcare tutti quei bisognosi, miss?- sul viso solcato dalle rughe dell'ufficiale si dipinse uno sgradevole sorriso storto.
- Certo che c'è. - sbottò Jack, spostando bruscamente i propri piedi dal tavolo mentre scoccava a Barbossa un'occhiata torva. - Suppongo che il quartier generale della Fratellanza dei pirati debba essere considerato il luogo più sicuro in circostanze come questa, non pensi, Hector? Altrimenti sarebbe una follia radunarvi tutti i più importanti rappresentanti della pirateria. -
- Dovrebbe esserlo, hai detto bene. - il tono di Barbossa si inasprì al pari della piega delle sue sopracciglia cespugliose. - Altrimenti non facciamo che offrire ad un cacciatore di pirati la ghiotta occasione di trovarsi tutti i pirati nobili riuniti in un unico luogo apposta per lui. -
- Lui è da solo. - sbottò Elizabeth, con una scrollata del capo. - Cutler Beckett non è riuscito a sconfiggere la Fratellanza anni fa, e lui aveva dalla sua un'intera flotta e l'Olandese Volante. Che cos'ha Balthazar?-
Per un momento mi parve di scorgere uno scambio di sguardi tra Jack e Barbossa, e non erano le solite occhiate di reciproco astio. Durò solo per un momento, poi fu il pirata più anziano a scrollare le spalle ed emettere un sospiro rauco.
- Questo è il punto, miss Turner. Non lo sappiamo ancora. -
Prima che qualcuno di noi potesse aggiungere qualcosa, Nathaniel serrò i pugni contro il ripiano del tavolo e sollevò lo sguardo.
- Isla Muelle diventerà un nido di soldati inglesi ora che è passato Balthazar a raderla al suolo. - disse in tono amaro. - Non posso tornare, e non posso riportare la mia gente là promettendo loro che saranno al sicuro. Ho accettato di imbarcare i miei con la promessa che sarebbero stati condotti in un posto sicuro. Mi state dicendo che non è così?-
- No. - rispose Will, facendo un deciso cenno di diniego col capo. - La vostra gente non verrà mai abbandonata, questo posso promettervelo. Alla città dei Relitti ci sarà sicuramente posto per tutti voi, ma non possiamo garantirvi che saranno al sicuro da qualsiasi cosa. Dovremo difenderci, se Balthazar continuerà ad inseguirci e dovesse perfino decidere di tentare di attaccare la baia. Ma sarete certamente più al sicuro lì di quanto li sareste ad Isla Muelle. -
- Allora va bene. - per un momento gli occhi scuri di Nathaniel incontrarono i miei al di là del tavolo, e per una volta non passarono oltre ma rimasero fermi, squadrandomi con un'intensità strana. - La mia gente ne ha già passate parecchie, ma questo non vuol dire che non possiamo cavarcela. È vero, abbiamo donne e bambini. Tuttavia non è vero che i nostri uomini non siano abituati a combattere, o che non lo siano le nostre donne. E anche il vostro capitano in seconda dovrebbe saperlo. - le sue labbra si incresparono per un momento in una piega indefinibile, poteva essere di scherno o di amarezza senza alcuna distinzione.
- Non ho paura, signori. Né io, né mio fratello o mia madre, nessuna delle brave persone che avete imbarcato si tirerà indietro. Che cosa vi aspettate che vi dica? Se ci sarà da combattere saremo pronti. Farò quello che vorrete. -

*

La mattina seguente, quando mi svegliai, ebbi finalmente una piacevole sorpresa. Jack era accanto a me, profondamente addormentato.
Ero schiacciata contro la sua schiena, col naso piantato tra le sue scapole e la fronte affondata nei suoi capelli. Mi riscossi completamente dal sonno e mi sollevai sul gomito per poterlo guardare. Infine i suoi doveri di capitano gli permettevano anche di dormire, ogni tanto!
A proposito…
Mi avvicinai un po’ di più, affondando il gomito nel materasso senza smettere di divorarlo con gli occhi. Stavo godendo del suo calore e della sua vicinanza in maniera quasi indecente. Era in camicia e pantaloni, segno che aveva avuto almeno la forza per non piombare a letto completamente vestito. Mi sporsi da sopra la sua spalla per sbirciare il suo viso rilassato nel sonno.
Sì, doveva essere veramente stanco quando infine era riuscito a raggiungermi. Con più di una punta di rammarico mi dissi che, forse, avrei dovuto lasciarlo dormire.
Feci un sospiro rassegnato e tornai ad appoggiarmi al cuscino. Le mani, però, non potei davvero tenerle al loro posto e le posai sui fianchi di Jack mentre aderivo contro la sua schiena sentendola gonfiarsi nel respiro, scostando le lunghe ciocche di arruffati capelli castani. Dio, dava alla testa sentirlo di nuovo tanto vicino e deliziosamente reale.
“Lo lascio dormire. Faccio la brava. Lo lascio dormire ancora un po’ e…”
Riuscii a “fare la brava” per pochi minuti, poi sentii i miei nervi cedere e mandare al diavolo tutti i buoni propositi. Gli strinse le mani sui fianchi e mi addossai ancora di più alla sua schiena calda: in quel momento lui emise ad un tratto un grugnito sonnolento come se si fosse svegliato, e quello fu sufficiente a convincermi del tutto.
Jack aprì pigramente gli occhi, e io lo circondai con le braccia. Lui si voltò a guardarmi mentre strofinavo il mento contro la sua spalla, le nostre facce alla distanza di un respiro, e mi sorrise in silenzio.
Ora davvero non aveva più speranze di fermarmi. Con una mano scesi a carezzargli il petto, cercando la via più rapida per farmi strada sotto la sua camicia, e con l’altra risalii ad accarezzargli il collo, fino alla mandibola. Lui fece un respiro frettoloso, come un gemito trattenuto, mentre con lentezza reclinava il capo all’indietro per schiacciarsi contro di me.
La mia bocca scese sul suo collo, cominciando a baciarlo delicatamente dappertutto: sotto l’orecchio, sulla gola, a un soffio dalla sua bocca. Mugolò di nuovo mentre lo sentivo rilassarsi contro di me: ora gli stavo addosso con tutto il mio peso.
Una delle sue mani finì ad accarezzarmi la coscia. Io avvolsi la gamba attorno alle sue, infilando un piede tra le sue ginocchia.
- Hm… - fece un sospiro, con più decisione. Con una mano continuai a carezzarlo sotto il mento, mentre l’altra scendeva giù sui muscoli del petto, del torace, fino al suo ventre.
Stavo per tirarlo verso di me per farlo stendere di schiena, quando lui mi precedette e invece fece tutto il contrario, rivoltandosi a pancia in giù sul materasso. Io gli stavo ancora abbarbicata, così che finii a cavalcioni sopra di lui, con una gamba ancora avvinghiata alla sua.
D’accordo, non aveva intenzione di rendermi le cose facili, anche se il basso verso di soddisfazione che soffocò sul cuscino diceva tutt’altro.
Con la mano sinistra, quella che non era impegnata a scendere come un ragno giù per il suo ventre, gli spostai la camicia per scoprire la spalla nuda. Mi chinai su di lui e presi a mordicchiare la pelle brunita della sua spalla, molto gentilmente: lui invece sussultò come se l’avessi morso per davvero, mentre facevo scorrere la bocca fino alla sua nuca. La mano destra intanto aveva trovato quello che cercava.
Forse finalmente ero riuscita a scioglierlo: lo vidi serrare i pugni sulle lenzuola e voltare bruscamente la testa, incollando la guancia al cuscino. Mentre continuavo imperterrita il mio lavoro mi allungai su di lui per chinarmi sul suo viso e gli baciai le labbra, schiacciandomi ancora di più contro la sua schiena.
Mi accorsi dell’improvviso baccano in coperta solo perché qualcuno cominciò a battere dei colpi violenti sulla porta della cabina, che risuonarono come una gragnola di colpi di cannone.
Riconobbi la voce di Gibbs, ma riuscii a cogliere solo parole insistenti come “attraccare”, “ordini” e “immediatamente”.
Jack si rizzò sulle braccia e sollevò di scatto il capo, confuso come se si fosse svegliato solo in quel momento. Ci guardammo l’un l’altra per qualche istante con un certo disappunto, poi, goffamente, lui slacciò le gambe dalle mie e si scostò da me mentre cercavamo di liberarci dal groviglio delle coperte.
Mi feci da parte, delusa a dir poco. Solo la nostra ciurma poteva avere un tempismo “talmente” perfetto!
- Scusami… - biascicò lui mentre scendeva dal letto, improvvisamente quasi incerto sulle gambe intanto che si sistemava ripetutamente e con un certo imbarazzo il cavallo dei pantaloni.
Io mi strinsi nelle spalle, alzando gli occhi al cielo.
“E va bene…”
Notai che Jack evitava di guardarmi negli occhi mentre recuperava precipitosamente stivali, cintura e cappello e usciva dalla cabina barcollando perfino più del solito. Mi chiesi perché mai. Gli avevo dato fastidio? Non mi sembrava proprio. La porta si aprì e si richiuse dietro di lui con un cigolio, lasciandomi sola nel bel mezzo del nostro letto sfatto.
Piuttosto, la faccenda oltre che snervante era sospetta.
Qualche notte sfumata per mancanza di occasioni le potevo capire, ma anche questo? Sembrava che lo facesse apposta.
Calciai via le coperte e mi misi a cercare i miei vestiti. Non avevo più voglia di restare lì, ero stufa di riposarmi, checché ne dicessero tutti gli altri. In mezzo al caos della cabina, sopra ad una delle sedie spiccava qualcosa che invece sembrava essere stato appoggiato con una certa cura: il mio cappello di pelle marrone, decorato con il pennacchio di piume azzurre. Lo riconobbi in quel momento e lo agguantai, felice di poterlo tenere di nuovo tra le mani.
Non capivo il comportamento di Jack. Non poteva neanche dire che non ne avesse voglia, perché la sua reazione di poco prima a tutta la faccenda era stata… beh, visibilissima. Allora perché era scappato così, come se la chiamata di Gibbs gli avesse dato la scusa perfetta?
Mi misi in testa il cappello. Mentre mi infilavo i pantaloni decisi di non pensarci più, ma quella faccenda doveva risolversi, e in fretta anche.
Un’altra occasione sfumata come quella e avrei letteralmente dato i numeri, me lo sentivo.



Note dell'autrice:
Ciò che ha portato alla pubblicazione di questo capitolo è stata una serie di coincidenze sempre più curiose. Non ultima il fatto di essermi accorta –rigorosamente a scrittura già completata, non ci avevo pensato prima- che domani, il 21 ottobre, avrebbe segnato esattamente un anno dall’ultimo aggiornamento della fan fiction. Era il momento.
Questa storia è ancora qui, e questo capitolo mi ha insegnato a ricordarmi un paio di cose sul metodo e anche sul piacere di scrivere. Forse con questa lunga pausa mi sarò persa dei lettori, e mi scuso perché ho mancato ad alcuni dei miei doveri nei loro riguardi: mi dispiace, ma proprio non avrei potuto fare altrimenti. Ma se ancora avete voglia di seguire le avventure dei miei capitani, sappiate che non ho ancora smesso di raccontarle. Anzi, credo di avere appena rispolverato un periodo della mia vita pieno di una positività che adesso mi manca, e non mi dispiace proprio averlo fatto.

Ritornare alle origini potrebbe essere una boccata d’aria fresca o una doccia gelata, impossibile prevederlo.
Per fortuna, stavolta è stato qualcosa di molto piacevole.
Posso dirlo ancora una volta...? Wind in your sails!


  
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