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Autore: Lost In Donbass    20/10/2015    1 recensioni
Tom è un agente dell'Anticrimine, squattrinato, con poca fortuna nelle relazioni, trasognato e tropo romantico. Bill è un mercenario, tossico, ficcanaso, malizioso e dannatamente sexy.
In una Berlino troppo calda, in mezzo a serial Killer psicotici, poliziotti indolenti, trafficanti poco raccomandabili e coinquilini fuori di testa, sarà mai amore tra i due ragazzi? O finiranno anche loro vittime del giro di sangue che ha avvolto Berlino nella sua morsa?
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
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CAPITOLO DODICI: HA UN VOLTO, FINALMENTE!

Tom osservò con una dolcezza che gli fece quasi schifo il corpo di Bill sdraiato accanto al suo, che lo teneva bloccato per un braccio, i lunghi capelli corvini che gli facevano da aureola maledetta attorno al visino addormentato, gli occhi chiusi toglievano ogni sorta di malizia proveniente da quelle pupille da gatto. Era una cosa così dolce, così pura, così eterea, che a Tom venne da sospirare rumorosamente. Gli sembrava ancora un sogno troppo bello quello di poter avere un tale splendore divino al proprio fianco, avvolti in un abbraccio quasi infantile tra quelle coperte fresche e aggrovigliate, le fronti poggiate una contra l’altra, lo stesso sorriso beato su entrambe le labbra, le mani intrecciate. L’unica differenza, era che uno dormiva profondamente, perso in chissà quali sogni, e l’altro era sveglio, incantato a fissarlo.
Si riscosse di colpo, cercando di sciogliersi il più silenziosamente possibile dalla stretta di Bill; si era prefissato una missione da compiere, non poteva fallire proprio in quel momento. Se si trovava a dover stare con una specie di ninja ultra addestrato e lui altro non era che un povero agente sfigato, allora doveva giocare d’astuzia. Anche se probabilmente Bill lo era molto più di lui.
Tom sospirò, passandosi una mano tra i dread e scostandosi controvoglia dalle braccia del ragazzo, sentendo mugolare leggermente nel sonno. Si bloccò, attento che non si svegliasse, ma Bill sembrava intenzionato a dormire per bene ancora per un po’. Tom fece un sospiro di sollievo, alzandosi con estrema lentezza e rischiando di inciamparsi nelle coperte che erano finite mezze giù dal letto, insieme ai loro vestiti. Imprecò tra i denti per il proprio impedimento di non saper camminare senza cadere miseramente per terra, facendosi anche un male cane. Era alle solite comunque: poteva anche essere vicino a un diavolo, ma la sua sfortuna proverbiale non sarebbe mai cambiata. Cercò di tenersi in equilibrio su un piede solo mentre tentava di togliersi quelle stupide coperte dal piede senza svegliare Bill. Uffa, poteva anche assicurarsi che era impedito al massimo a camminare.
Quando riuscì a eludere la morsa della coperta, lanciò un’ultima occhiata al suo Bello Addormentato (e a quel punto gli sarebbe tanto piaciuto poterlo svegliare per sempre con un bacio appassionato, e ricevere in risposta un “Oh, mio eroe, mi hai salvato la vita dalla terribile matrigna”, esattamente come nella favola. Lui, Tom, il coraggioso principe che affrontò le mille peripezie per salvare il principino Bill dal suo infausto e sonnolento destino. Anche se forse nella storia il principe Tom sarebbe dovuto essere accuratamente abbigliato e con una spada la fianco, non completamente nudo e con i dread sugli occhi.) e si diresse il più silenziosamente possibile in corridoio, i piedi congelati a causa del pavimento freddo, le assi del parquet che scricchiolavano in modo troppo rumoroso per i suoi gusti, gli occhi vigili alla ricerca di quello che avrebbe potuto essere uno studio, una stanza dove trovare qualche indizio per il caso. Quello sì che era una cosa dannatamente importante. E doveva sacrificare un po’ di sonno tra le braccia di Bill, per quello. Sgattaiolò, un po’ come faceva la Pantera Rosa e l’ispettore Clouseau nei film che puntualmente Claudia costringeva loro a vedere. Perché puntualmente, ogni mercoledì era dedicato a “Serata Cinema”, e a rotazione sceglievano un film da vedere tutti assieme e da commentare, come fossero un piccolo e scassato club di cinefili mal riusciti. Beh, ogni volta che toccava a Claudia ci si doveva sorbire o la Pantera Rosa o Uccelli di Rovo. Tom era più che sicuro di sapere le battute di Padre Raphael a memoria, dopo la ventesima volta che lo vedeva.
Si avvicinò facendo il meno rumore possibile all’unica porta chiusa del piccolo appartamento, appoggiando delicatamente la mano sulla maniglia e sentendola aprirsi sotto il suo tocco. Sorrise felice, infilandosi nella stanzetta piuttosto calda rispetto alle altre, senza azzardarsi ad accendere la luce e pregando che Bill fosse ancora tra le braccia di Morfeo e ci restasse per un bel po’. Si guardò attorno, notando alcuni quadri alle pareti che, ma guarda, ritraevano Bill in pose a dir poco oscene. Tom si chiese, senza riuscire a trattenere un brivido, chi diavolo potesse essere un simile perverso. Cioè, ma ce ne voleva per inventarsi quella roba! E gli parve anche così strano il fatto che Bill fosse stato così remissivo nei confronti di quest’uomo, lui, che pareva un’anima così libera e orgogliosa … ma cosa nascondi dietro agli occhi, Bill?
Avanzò circospetto fino a una scrivania di legno scuro, illuminata da un pallido raggio di luna che fendeva perpendicolarmente la tenda bianco trasparente, dove giacevano grossi pacchi di fogli disordinati. Si sedette piano sulla sedia di legno chiaro, sprofondando in un cuscino verde come il divano, cercando di acuire la vista al buio pesto della stanza. Non aveva il coraggio di accendere la luce, temendo che Bill potesse vederla. Prese qualche foglio con delicatezza, usando la luna come torcia provvidenziale. Si rese conto che molti erano scritti in caratteri coreani, quindi incomprensibili per lui, come altri in cirillico e certi altri in inglese; non perse tempo a cercare di capire che roba fosse: sicuramente qualcosa legato ai traffici internazionali di July. Cercò qualcosa in tedesco, qualcosa che potesse fregare in qualche modo Bill, spostando molto delicatamente tutti quei pacchi di fogli inutili per la sua indagine, e incappando dopo molte interruzioni dovute a rumori probabilmente immaginari che l’avevano bloccato col terrore che Bill si fosse accorto della sua assenza nel letto, in un qualcosa di freddo. Spostò i vari documenti con calma, per arrivare a quella cosa dura che le sue dita avevano colpito. Al tatto poteva essere qualcosa dalla consistenza vetrosa e infatti … il rasta soffocò a stento un urlo emozionato quando incappò in una fotografia. Non avrebbe mai sperato di trovare una simile fortuna! La prese delicatamente in mano, spostandola verso la luce lunare, e si avvide che il vetro era completamente rigato, come se fosse stata gettata a terra e calpestata furiosamente, come la cornicetta mezza distrutta. Strinse gli occhi per riuscire a distinguere al buio i soggetti della foto, e soffocò un altro urlo, mettendosi quasi a ridere. C’era un divano, e su quel divano un ragazzo eccessivamente magro, vestito completamente di nero, con i capelli platino che gli ricadevano fin sotto le spalle, tenuti ordinatamente a coprirgli parte del viso, un sogghigno che solo dalla foto fece rabbrividire Tom, e, timidamente accoccolato vicino al ragazzo, Bill. Più giovane, con un sorriso più innocente e aperto, i capelli sparati invece che lisci, conciato in maniera ancora più appariscente, raggomitolato come se fosse un gatto, con la testa in grembo a quella specie di demonio.
Allora era lui il serial killer delle croci. Aveva il volto, finalmente! Anche se mancava nome e movente. Avrebbe voluto mettersi a saltare e a urlare, chiamare tutti i suoi conoscenti e dire che aveva scoperto che faccia aveva il loro assassino. Lo fissò ancora per un secondo, incrociando un paio di occhi quasi a mandorla, accuratamente truccati, con più sobrietà rispetto a Bill. Non ne distingueva il colore, ma la freddezza la poteva comunque percepire nella spina dorsale, come se davvero fosse un demonio la cui sola foto poteva dannare una persona. La girò di scatto, come volendo interrompere quell’assurdo gioco di sguardi che si era instaurato tra lui e la foto. Era veramente troppo suggestionabile, doveva smetterla di leggere tutti quei libri urban fantasy per ragazzine. Cercò qualche noticina sul retro, e poté vedere, anche se ormai quasi sbiadita dall’usura, una piccola scritta nell’angolino. Strinse gli occhi più che poté e riuscì a leggere, con estrema fatica, qualcosa che sembrava “Will e Bill, l’unica foto che io sia mai riuscito a fare loro”. Ma che strano modo di datare un ricordo … la ripose delicatamente sotto i fogli, dove l’aveva trovata e frugò il più rapidamente possibile, cercando almeno qualcosa che potesse ricondurre al nome “Will”, sempre che avesse letto bene. Quasi ironico, avere Bill e Will, entrambi diminutivi dello stesso nome. Si scostò qualche dread dalla fronte, ripescando per caso quello che sembrava un piccolo post-it giallo dimenticato sotto la lampada da tavolo, dove sembrava esserci scritto a caratteri piccolissimi e un  po’ infantili un indirizzo “Nietzsche Strasse, 13 b.” e poi, più sotto, un piccolo appunto “Porta i colori a Will” e quello che poteva essere un cuore stilizzato. Benissimo! Sorrise entusiasta di aver trovato tutto quello che cercava. Memorizzò l’indirizzo, rimettendo il post-it dove l’aveva trovato, cercando di trattenersi dal correre a svegliare Bill e urlargli “Tranquillo, tesoro, l’abbiamo trovato! Non ammazzerà più nessun innocente”. Non lo fece perché comunque non sapeva come potesse comportarsi di fronte a una tale scoperta.
Sgattaiolò di nuovo in camera da letto, pian pianino, guardando dall’alto Bill che dormiva beato, allargato tra le coperte, come un bambino. E quasi gli venne da piangere: perché non riusciva a capire come una tale meraviglia potesse essere stata vittima di un essere così terribile come il fantomatico Will alias Hansi. Come avesse potuto anche solo concedersi a quell’orrore, per quale prezzo, per quale scelta. Bill sospirò rumorosamente nel sonno, girandosi, lasciando intravedere il tatuaggio dei triangoli. Un piccolo, splendido schiavo fatto di polvere stellare al servizio di un messo di Satana gonfio di tutti i peccati di quella Terra. Tom fece un verso strano, quasi un miagolio, e di rimise a letto, sentendo meccanicamente le braccia esili ma forti di Bill attaccarsi a lui con possessività, mentre un leggero filo di bava infantile colava giù dalla bocca perfetta, come se fosse ancora un bambino piccolo. Tom lo abbracciò delicatamente a sua volta, sentendo le gambe dell’angelo circondargli il bacino, un vago sorriso addormentato farsi largo sul viso e una vocina impastata dal sonno mormorare
-Toooooom …
-Shh, sono qui, dormi cucciolo, dormi … - mormorò a sua volta Tom, accarezzandogli i capelli, posandogli un delicatissimo bacio sulla fronte.
Bill si riaddormentò, accoccolandosi tra le sue braccia, ignaro di tutte le geniali scoperte del rasta poco prima.
Tom si limitò a sospirare, e a cercare di addormentarsi una volta per tutte, cullato dal respiro regolare dell’angelo, ignaro completamente della figura che si stagliava nitida nella notte sul tetto spiovente quasi attaccato alla finestra di Bill che li fissava con un sogghigno cattivo, illuminata dalla pallida luce lunare.
****
-Cioè, fammi capire, il nostro nuovo Christian Grey dovrebbe stare nella Nietzsche Strasse?- Georg alzò un sopracciglio, sorbendo rumorosamente il caffè al caramello con cui iniziava ogni giornata.
-E smettila di tirare in ballo quella bufalata delle 50 sfumature.- grugnì Gustav, addentando con gusta una grossa ciambella alla crema chantilly.
-Beh, è l’unico indirizzo che ho trovato in casa di Bill- disse Tom, grattandosi distrattamente il collo nel ricordare la sua seconda fuga a gambe levate dalle braccia dell’angelo, piuttosto da cafone, ma dettata dall’urgenza di non beccarsi un richiamo sul lavoro. La risatina di Bill che riverberava giù dalle scale dopo la battuta sconcissima che gli aveva fatto prima che si precipitasse rotolando giù dalla scale lo faceva ancora arrossire.
-Vedremo di darci un’occhiata, allora.- Georg si sfregò la mani, prendendo le chiavi di Berta, abilmente nascoste sotto la stampante dove dormiva il grosso gatto nero che portava fortuna al Distretto 10. Per qualche motivo, gli agenti del 10 erano convintissimi che presto qualcuno gli avrebbe rubato Berta, e quindi con lei tutto il “Mox Maiores” dell’Anticrimini.
Gustav sputò un po’ di crema chantilly quando gli venne ricordato da Heike che quel giorno sarebbe toccato a lui fare da balia asciutta a quel “grasso, sfatto, odioso felino approfittatore”, o più semplicemente Mr.Mistake, trovato da Tom una cupa sera di gennaio quando era ancora un cucciolino cieco e cresciuto da tutta la centrale all’insaputa dei grandi capi della Polizia tedesca. Fondamentalmente, il biondo agente non lo sopportava per il fatto che Heike faceva più moine al gatto o a quella checca isterica di Tom che a lui. Solo che Tom era un conto, ma quell’animale! Lo sapeva che in realtà era un demone venuto per rovinargli la vita e per rubargli la porchetta da sotto il naso.
-Allora muoviamoci, il tempo stringe.- Tom diede un calcio alla portiera mezza scassa di Berta, ansioso come pochi di scoprire cosa potesse nascondersi a quell’indirizzo.
 
-Ahia, smettila, ti prego.
Ormai non aveva nemmeno più la forza di piangere, raggomitolato sul pavimento, il sangue che colava dal naso, il corpo talmente indolenzito da non sentirlo nemmeno più, i capelli appiccicaticci di sangue dove aveva sbattuto la testa contro lo spigolo del mobile. Si sentiva uno straccio, un inutile pezzo di stoffa.
-Ma tesoro, cosa ti è successo?
Lo stava fissando con la testa piegata da un lato, un ghigno di un sadismo quasi assurdo stampato sulle labbra, gli occhi spalancati sulla sua figura dolorante, famelici, maligni. Si limitò a gemere ancora, raggomitolandosi di più se stesso sentendolo avvicinarsi. Chiuse gli occhi, cercando di immaginare che fosse tutto un brutto sogno, che prima o poi l’avrebbe smessa di picchiarlo come se fosse una bambola. Che l’avrebbe di nuovo preso tra le braccia, dicendogli che andava tutto bene, che finché erano insieme sarebbe andato tutto bene.
-Chi ti ha ridotto così?- la sua mano gelida gli accarezzò i capelli, facendolo tremare da capo a piedi.
-T … tu.- sussurrò, anche se sapeva che non sarebbe servito a niente. Lo sentiva ridere, nella sua testa. Lo sentiva bearsi del sangue che gli faceva versare.
-Su, tesoro, vieni qui. È stato solo un incubo. Solo un sogno.
Si ritrovò di nuovo stretto tra le sue braccia, il viso ricoperto di lacrime premuto contro la sua camicia slacciata, le mani aggrappate alle sue spalle sottili. Avrebbe tanto voluto che fosse stato un sogno, che non fosse veramente lui la stessa cosa che lo picchiava senza motivo, quasi per sfogarsi se qualcosa non andava per il verso giusto, per poi ritirarlo in piedi ancora più brillante di prima, come se fosse una bambola che cade e viene ricostruita fino a raggiungere l’apice della perfezione. Lui era una bambola, la sua bambola. Ed era speciale, glielo aveva sempre detto.
 
Quando Berta, con un sordo scoppio, li depositò di fronte al 13 della Nietzsche Strasse, Tom aveva i nervi a fiori di pelle, un braccio addormentato per aver dovuto reggere la portiera rotta per tutto il tragitto, e un brutto presentimento che non riusciva a scacciare dalle scoperte della notte prima ma che sfortunatamente non metteva a fuoco adeguatamente. Sarebbe tanto volentieri rimasto tra le braccia di Bill quella mattina, a dormire quello che non aveva dormito la notte, a bearsi della sua vocina soave, a non pensare a niente che non fosse lui.
-Ma questo è uno studio di restaurazione di quadri nonché galleria d’arte!- sbottò Georg, fermandosi come un palo davanti all’insegna piuttosto colorata che citava “Galleria del Vecchio Vascello”, e più sotto, un piccolo “Restaurazione quadri, sculture e qualsiasi opera d’arte”.
-Beh, evidentemente … ti preoccupa?- Tom si sistemò il berretto in testa, perché anche quel giorno non era in divisa. A ben vedere, le volte in cui si era degnato di fare la persona seria si potevano contare sulle dita di una mano.
-Dai, lo sai meglio di me, questa gente, gli artisti, sono gente strana, malata di cervello … - Georg abbassò la voce, guardandosi attorno come se da un momento all’altro Gli Artisti li potessero attaccare con forconi e pugnali.
-Ma piantala! Sei sempre il solito prevenuto!- Tom scosse la testa alzando gli occhi al cielo, mentre Georg sbuffava. Non era mica colpa sua se l’ultimo omicidio che erano riusciti a sventare era durante l’inaugurazione di una mostra e che un’ ottantenne pittrice piuttosto arrapata  aveva tentato in tutti i modi di sedurlo! Lo aveva mentalmente destabilizzato, quel mostro perverso.
Tom spinse la porta, che scricchiolò rumorosamente, e precedette Georg in una saletta buia e caldissima, completamente avvolta nel silenzio più pesante che i due ragazzi avessero mai sentito. La porta si chiuse alle loro spalle, facendoli piombare nella più totale oscurità, opprimente, snervante.
-Geo, ma dove siamo?- balbettò Tom, da buon claustrofobico da manuale.
-Nello … nello studio d’arte … - farfugliò il ragazzo, schiarendosi la voce e provando a sillabare un alquanto terrorizzato – Ehm, c’è qualcuno? Siamo della Polizia …
-Geo, ho paura.- Tom si aggrappò al braccio dell’amico, resosi orribilmente conto che non c’erano finestre in quella saletta e che il caldo si stava facendo veramente insostenibile.
-E piantala adesso, Tom, mica sei un bambino, siamo …
Ma Georg venne interrotto da una vocina squillante, accompagnata da una porta spalancata di scatto e quindi da un grosso fascio di luce che si riversò addosso ai due agenti. Una ragazza stazionava nel vano della porta con un largo sorriso
-Salve, come posso esservi utile?
-Siamo della Polizia!- Tom si slanciò con troppa enfasi verso la luce, rischiando di inciamparsi come suo solito nei suoi stessi piedi, ma, ehi, gli stava già venendo un attacco di panico!
-Ehm, saremo qui per farvi qualche domanda … niente di cui preoccuparsi comunque.- Georg seguì Tom e la ragazza con il camice macchiato di colori in una sala più vasta e decisamente più illuminata dove due altre persone lavoravano alacremente dietro un quadro molto grande, evidentemente da ristrutturare a giudicare dalla situazione piuttosto disastrata della grossa cornice barocca.
-Oh, ehm, certo, chiamo il capo, allora.
La ragazza si scostò i codini carota dalla fronte lentigginosa e scomparve dietro una porticina a scomparsa nel muro, mentre una delle due tipe impegnate dietro al quadro si voltò verso di loro, squadrandoli con una certa, fastidiosa, aria di superiorità.
-Che cercate?- chiese, lanciando un’occhiata non propriamente casta a Tom, che avrebbe voluto volentieri seppellirsi sotto l’ammasso di tele abbandonate in un angolo perché, dannazione, da quando aveva baciato Bill, quel tipo di sguardo che gli rivolgevano le ragazza gli dava ancora più sui nervi di prima.
-Notizie su una persona che probabilmente lavorava qui.- grugnì secco, legandosi i dread in una coda ed evitando accuratamente lo sguardo insistente della tizia.
-Come si chiama?- intervenne l’altra.
-Teoricamente, le nostri fonti dicono che dovrebbe chiamarsi … Will?- Georg parve molto poco sicuro quando disse quel nomignolo, ma bastò quello per mettere in allerta le due tipe, che, Tom se ne accorse, si irrigidirono come due bacchi a sentire pronunciare quel nome.
Il rasta tossicchiò, passandosi una mano tra i capelli, quasi contento della reazione delle due, come se quello sicuramente avrebbe potuto costituire una base di indizio.
-Hai … hai detto Will?- balbettarono, scambiandosi un’occhiata preoccupata.
-Will?- una voce nuova, grossa, si aggiunse a quelle stridule delle ragazze, facendo voltare di scatto i due agenti. Davanti a loro si presentava un uomo piuttosto avanti negli anni, grasso, vestito in modo troppo antiquato e pesante per quel caldo, un pincenez stretto sul naso rubicondo. E un’espressione inequivocabilmente sconcertata.
-Noi saremmo … - non fecero nemmeno in tempo a presentarsi che il ciccione, asciugandosi un rivoletto di sudore che gli rotolava giù dalle tempie, li anticipò
-Scusate, davvero, non vollero essere maleducato. Mi chiamo Otto Levi Strauss. Sono il proprietario di questa galleria d’arte nonché studio di restaurazione di opere d’arte. Per cosa posso esservi utile?
Si asciugò un altro rivoletto di sudore, fissando le tre ragazze che alzarono le spalle in maniera un po’ disturbata, tornando al loro quadro.
Tom e Georg si scambiarono un’occhiata, e Tom prese parola, ormai sicuro di essere sulla strada giusta. Fuoco Bill, fuochino. Forse ce l’avrebbe fatta anche questa volta a scoprire la verità, a tirare fuori il suo angelo dall’incubo che stava vivendo, a sviscerare quel passato rimasto chiuso troppo a lungo nella sua mente, a far riprendere luce e a dare fuoco una volta per tutte a quei segreti ossidati nella sua testa, a soffocare l’orrore di giorni che non sarebbero più ritornati.
-Stiamo cercando notizie di una certa persona, di cui sappiamo che ha suppergiù 25 anni, che risponde al nome di Will, che ha i capelli biondo platino e che lavorava qui. Ho perlomeno aveva dei grandi contatti con questo posto.
Il signor Strauss si passò un fazzoletto sulla fronte, dando un’occhiata nervosa all’orologio a cipollotto che portava nel taschino, guardando con aria quasi allucinata con due piccoli occhietti porcini nascosti da borse di grasso i due ragazzi per poi sussurrare, a voce bassa e agitata, tossicchiando
-Vogliate venire nel mio studio, per favore. Ci sarebbero un sacco di cose da dire su Wilhelm Schadenwalt.
 
 
  
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