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Autore: Selhen    21/10/2015    1 recensioni
Anni di guerra, territorio conteso e fazioni eternamente in lotta nella terra del dio Aion. Com’è possibile per Selhen nutrire odio verso qualcuno che l’ha risparmiata? Com’è possibile odiare senza conoscere veramente il volto della guerra?
Com’è possibile parlare con un nemico e trovarlo così normale e uguale a se stessi?
Una nuova avventura di Selhen solo per voi. Recensite numerosi. Le vostre recensioni mi danno la carica per scrivere sempre di meglio. Un abbraccio, la vostra autrice.
N.b. avviso gli eventuali lettori che ho postato questa storia più corretta e revisionata su wattpad. Se la preferite con meno imperfezioni sapete dove andare, sono selhene. :)
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Caos, un disordinato caos regnava in piazza delle Pace quel giorno. 
Araziel era ancora là, nel bel mezzo di quel tumulto che si era trasformato in una vera e propria faida. 
Flamet era sfrecciata alle spalle di un grosso e barbuto gladiatore e senza dargli neanche il tempo di rendersene conto, gli aveva piantato una fulminea stilettata alla carotide cercando con gli occhi l'approvazione del suo capo legione. Sangue scarlatto era schizzato fuori dalla ferita del gladiatore elisiano, e la sadica assassina, sentendolo insozzarle il viso, si era passata una mano sulla guancia con deliziata perversione, prima di buttarsi nuovamente nella mischia.
Araziel le aveva lanciato un lesto occhiolino poi aveva indietreggiato agile, schivando con facilità il colpo di picca che un altro gladiatore elisiano gli aveva indirizzato. 
Un balzo agile lo aveva fatto levare da terra con sicurezza disarmante, il suo corpo si era librato nell'aria roteando, ancora una volta, mentre azionava con una perfetta simbiosi caricatore e grilletto risucchiando via dal nemico tutta l'energia magica.
Quando l'elisiano si era ritrovato con le spalle al muro Araziel aveva lanciato ai suoi piedi una bomba intrappolante, e solo in quel momento, imbracciato il suo potente cannone, aveva sparato sfondando letteralmente il torace del malcapitato gladiatore.
Fu uno spirito del vento a coglierlo di sorpresa. Un'incantatrice dall'aspetto angelico lo aveva mandato nella sua direzione e non appena la bestia lo aveva colpito con il suo morso paralizzante, per alcuni infiniti secondi Araziel non potè più muoversi.
L'immobilità di quel breve momento gli costò cara. Una freccia, rapida e precisa, gli si piantò al torace, proprio in direzione del cuore.
Potè quasi percepirlo, il suo cuore contrarsi in un sussulto, i suoi battiti decelerare...
In quel momento Araziel fu consapevole. Eccola la morte di una Daeva. Una morte lenta e dolorosa. Dolorosa e infinita... eterna.
Araziel sentì il dolore acuto di un secondo dardo che aveva sfondato la rigida protezione della giubba in pelle, proprio sulla pancia.
Il tiratore strinse una mano attorno all'asta della freccia e incurante del dolore, come un vero guerriero doveva essere, la strappò via in un ringhio.
Il suo sguardo austero, in punto di morte, si levò verso il misterioso autore di quel gesto, lo cercò tra la folla e... lo riconobbe.
Era un'elisiana giovane e minuta. Vestiva una succinta armatura in pelle e due grandi occhi neri spiccavano nel roseo candore del suo viso. Portava un largo cappello in pelle che le ombreggiava parzialmente il viso.
"Kath", disse Araziel mentre espirava faticosamente mentre le sue forze scivolavano via. Non riusciva a credere ai suoi occhi. Da quanto tempo non vedeva quella maledetta elisiana...
La ragazzetta dal viso così familiare teneva l'arco teso, con una nuova freccia incoccata. Sarebbe stata la freccia del colpo di grazia.
Ecco il secondo motivo per cui detestava gli elisiani fino alla morte, era là, di fronte a lui, e si chiamava Kathniss. L'unica elisiana a cui avesse mai dato la sua fiducia e che, come si riconfermava in quel momento, non la aveva mai meritata.
Non che già non lo sapesse...
L'elisiana avanzò a passo sicuro verso di lui. "Mi dispiace Araziel", aveva detto la sua giovane voce, "qualcuno doveva pur mettere fine a questa assurda buffonata". Le sue rosee labbra delicate si erano arricciate, e le sue morbide dita avevano stretto maggiormente il manico dell'arco, come se dire quelle parole le fosse costato grande sforzo.
L'immagine del capo dei Dead can Dance sconfitto aveva causato un attimo di smarrimento tra gli altri membri della legione. Lo stesso Galthun sembrava in crisi per non essere riuscito a curare tempestivamente quella ferita mortale che aveva squarciato il petto del tiratore.
Un rivolo scarlatto colò sul mento del giovane mentre uno dei due revolver gli scivolava dalla mano, poi le gambe di Araziel avevano ceduto e nell'agonia un sorriso sghembo gli aveva lineato il viso. "Finiscimi, principessa", aveva detto con tono melodioso, per quanto gli fosse possibile, mentre un rigurgito di sangue gli dipingeva le labbra di rosso.
Kathniss abbassò lo sguardo. Le sue labbra si assottigliarono e il suo petto si gonfiò in un respiro più profondo che evidentemente stava cercando di controllare. 
Una pronta reazione di Flamet a quell'affronto venne frenata da un rapido gesto del tiratore scelto, che imperioso le aveva imposto di restare per dov'era.
Kathniss si avvicinò, incerta. 
Araziel potè scorgerne gli stivali di cuoio di fronte a lui e con le ultime forze che gli restavano fu rapidissimo, riafferrò il revolver che gli era cascato per terra e sparò un improvviso colpo al ginocchio dell'elisiana. Questa, dolorante, gli cadde di fronte.
I loro occhi si incontrarono per qualche altro secondo, poi Araziel sorrise beffardo, sollevò la pistola e la puntò nello sguardo smarrito della nemica. 
Ancora una volta la vittoria era sua. Fino all'ultimo respiro.
Il rumore di quell'ultimo sparo spezzò il silenzio, poi fu buio anche per lui...

...

Il corpo di Velkam si era accasciato al suolo senza vita davanti ai miei occhi increduli. Stavo strattonando le guardie che mi trattenevano urlando: "Voglio vederlo, vi prego... vi prego!".
Nessuno sembrava udire le mie strazianti preghiere. Il mio pianto isterico era l'unica cosa che sembrava intrattenere i più sadici della platea.
"Vi prego... voglio vederlo per l'ultima volta", avevo implorato supplicante, ma non ebbi il tempo di terminare la frase che il corpo di Velkam si dissolse nell'aria, lasciandomi nel più totale sconforto.
Smisi di piangere. Non mi importava più nulla di morire, anzi, se mi avessero uccisa subito sarebbe stato anche meglio.
Il vento asciugò le ultime lacrime sul mio viso, facendomelo pizzicare. 
Udii uno sparo giungere dall'altra parte della piazza. Prima uno, subito dopo un altro.
Sobbalzai ricordandomi solo in quel momento di Araziel e dello scontro in cui poco prima si era gettato per difendermi.
Mi sentii ancora più in colpa. Esausta e spossata, debole, dolorante da ogni parte.
I polsi mi bruciavano, là dove le unghie affilate delle guardie asmodiane mi affondavano nella carne, immobilizzandomi. La gamba faceva male, nel punto in cui la freccia del vento di Cohaku mi aveva tagliato la carne. Evidentemente, pensai, la cura di Saephira non era stata totalmente rigenerante.
Iniziai ad essere impaziente di morire. Volevo ricongiungermi a Velkam il prima possibile. Vivere insieme finalmente, in un aldilà solo per i Daeva. Lontani dai pregiudizi. In un mondo dove forse eravamo tutti figli del dio Aion, tutti uguali, senza alcuna distinzione di razza.
Provai a immaginare a come potesse essere stata Atreia ai tempi della pace, perchè questa terra lo era stata, una terra di pace... 
Prima dell'era dei Balaur. Un tempo di cui io non potevo avere memoria. Un tempo tanto passato quanto leggendario. 
Fu mentre pensavo a queste cose che sembrò farsi spazio nella mia testa un insistente e sempre crescente sussurro. Quel suono di voci sconosciute iniziò a ronzarmi nella testa. Parlavano una lingua che conoscevo e come se ad un certo punto qualcuno avesse alzato il volume di una frequenza nascosta si fecero sempre più forti, fastidiose, arrivando infine a coprire il chiasso dell'intera piazza.
Mi sentii soffocare ed ebbi uno spasmo, prima di serrare le palpebre urlando...

Ma quando riaprii gli occhi mi accorsi di stare urlando nel bel mezzo di una spiaggia deserta. L'aria salmastra mi pizzicò il naso, e un venticello leggerò venne a scompigliarmi i capelli.
Il tumultuoso rumore delle onde mi accolse. 
Mi guardai intorno un po' dubbiosa. Non conoscevo nessuna spiaggia come quella.
Abbassai lo sguardo osservando i miei stivali che affondavano in quella sabbia chiara e granulosa.
"Ciao Selhen", avevo udito una voce femminile alle mie spalle.
Mi riscossi all'improvviso, sobbalzando. 
Mi voltai fulminea cercando i miei revolver alla cintura, ma rimasi sconcertata quando mi accorsi che i foderi erano vuoti.
I miei occhi scarlatti si mossero verso la voce che aveva pronunciato il mio nome lasciandomi stupefatta. "Silyssa", mormorai. "Dove... dove mi trovo? Dov'è Velkam?".
In quel luogo di estrema pace sembrava quasi del tutto fuori luogo ricordare la morte dell'elisiano che avevo amato.
Il volto di Silyssa si contrasse. Avrei potuto trovarci quasi qualcosa di buffo se non avessi interpretato quell'espressione come una dolorosa aria di sconfitta.
"Mi dispiace...", disse la fattucchiera addolorata. Si tormentò nervosamente una ciocca di capelli rossi abbassando lo sguardo.
Rivolsi il mio sguardo malinconico verso quella distesa d'acqua scura e agitata.
"Sei stata tu ad evocarmi?", chiesi con voce spezzata.
Un ciuffo di capelli mi volò tra le labbra e qui restò impigliato. Me lo tolsi con un artiglio infastidita.
"Già... sono brava con la magia elfica, non è vero?". Per quanto si sforzasse di sembrare seria potei quasi avvertire una punta di vanità in quella domanda.
Non risposi.
"Che cosa ci faccio qui?", chiesi infine, acidamente.
"Ti ho appena salvato la vita e tu mi chiedi cosa ci fai qui?", disse la strega irritata.
"Chi ti ha chiesto di salvarmi?", continuai, "Che può importarmene di una vita eterna senza... senza lui", urlai. Di nuovo la mia vista si era minacciosamente annebbiata.
"Ho solo pensato che.... avresti dovuto poter scegliere, disse Sily dolcemente sistemandosi pacatamente il lungo guanto bianco che le copriva un'ampia porzione di braccio.
Feci caso solo in quel  momento a cosa indossava. Era un abito lungo fino ai piedi. Candido ed elegante. I suoi piedi artigliati erano scalzi tra la sabbia. Due guanti e uno spallaccio a decorazione di un braccio scoperto completavano il tutto. 
Era tutta un tripudio di candore angelico, così come il fermaglio bianco che spiccava come una nuvola tra i suoi capelli rossi.
Se non fosse stato per le inequivocabili orecchie a punta che sbucavano dalla cascata di capelli scarlatti, Silyssa sarebbe sembrata quasi un'entità divina ed io mi sarei già creduta bella che morta.
"Non sono morta... vero?", domandai dubbiosa, guardando alle sue spalle. Quasi come se mi fossi aspettata di veder sbucare Velkam tra quelle rocce muschiose.
"No", disse lei con tono rassicurante.
"Cos'è questo posto?", domandai.
"Ti trovi a Vengar", mi annunciò la fattucchiera.
"Vengar...", mormorai. Corrugai la fronte. Non c'era nessuna regione con quel nome nelle carte di Atreia.
"E' una terra sommersa di cui soltanto io ho scoperto l'esistenza", terminò lei guardando il mare.
Non capii fin quando i miei occhi non si levarono fissando lo sguardo là dove avrebbe dovuto esserci il cielo. Un'enorme massa d'acqua ci sovrastava senza però caderci sulla testa.
"E' incredibile" mormorai.
Adesso comprendevo il buio di quel posto e la profonda oscurità del mare che avevo di fronte.
"Già..." aveva detto Silyssa improvvisamente più seria. "Potrai scegliere di rimanere in esilio per sempre su questa terra, oppure potrai decidere di tornare in superficie e... morire".
L'ultima parola risuonò nella mia testa. 
Esilio o morte.
Qualunque esilio sarebbe stato dolce se Velkam fosse stato con me, ma in quel modo... non ne valeva la pena. Non volevo la vita a prezzo della sua morte.
"Non posso continuare a vivere una vita eterna sola e a metà", le dissi.
Silyssa mi studiò per un momento, poi annuì. "E' la stessa cosa che pensai anch'io un po' di tempo fa".
Corrugai la fronte. "Non capisco...".
Silyssa sospirò. "Vissi disgraziatamente in quel periodo di caos che seguì la divisione di Atreia. Con questa divenne più forte l'astio tra i capi elisiani ed asmodiani.
Tuttavia, noi gente comune, non avevamo alcun motivo per odiarci. Fino a qualche giorno prima eravamo fratelli, tutti uniti sotto il nome dello stesso dio. 
Ma quando i Governatori imposero quelle leggi, le conseguenti infrazioni di esse portarono le classi dirigenti a mettere dei paletti all'amicizia tra le due razze, e con le nuove punizioni i rapporti tra la gente comune cominciarono a incrinarsi sempre di più. 
La propaganda, d'altro canto, faceva la sua parte presentandoci gli elisiani come minacce da abolire e usurpatori di un potere millenario.
Così... quell'odio, un odio voluto, divenne parte di ogni membro della comunità. 
Gli asmodiani rimasero nella loro oscurità, si cibarono di essa, la elessero a loro signora e divennero sempre più simili alle bestie feroci. Tanto temerari quanto indomabili.
Gli elisiani dal canto loro rimasero nella loro altezzosa boria, ritenendosi gli unici veri discendenti di Aion e farneticando su quanto Aion li avesse fatti nobili nel sangue".
Silyssa parlava aspramente e il rumore del mare talvolta copriva le sue parole.
"Conobbi un elisiano...", il tono era divenuto più carezzevole, "Per me era solo uno come tutti gli altri compagni, non ero ancora abituata a discriminare un elisiano come un nemico solo perchè viveva dall'altra parte di Atreia. Mi sentivo smarrita ogniqualvolta me ne trovavo uno davanti...", la fattucchiera si strinse tra le proprie braccia, come se in quel momento desiderasse veramente sentire un abbraccio.
"Non era difficile amarsi, non in quei tempi in cui eravamo così simili, quando ancora l'oscurità non aveva fato impallidire la mia pelle e il gelo di Asmodae non aveva ancora gelato il mio cuore".
Guardai Silyssa ad un tratto più interessata.
"Sei stata innamorata di uno come Velkam...".
Silyssa annuì. "Lo condannarono a  morte poco tempo dopo...", sospirò, "io invece riuscii a farla franca. Per quanto avessi desiderato morire con lui, qualcosa mi trattenne dal farlo. Credevo nelle mie doti magiche e nella magia che mia nonna mi aveva insegnato, e a tutti i costi avrei dovuto trovare una soluzione".
"Ci sei riuscita?", domandai incalzante.
Annuì. "Non ci crederai Selhen, ma oggi Elyos è qui con me... viviamo il nostro esilio insieme".
Realizzai solo in quel momento il significato della sua vecchia e assurda richiesta. "La fiala di sangue...", mormorai.
"Secoli senza alcun senso, Selhen... Secoli di totale solitudine quando invece avrei voluto morire e tornare da lui, ma quando ti ho incontrata... beh, ho capito che la mia attesa era stata ricompensata".
Non la ascoltavo più. Un flusso euforico di parole premeva in me per uscire. "Tu puoi... Silyssa, puoi far tornare Velkam come hai fatto con il tuo Elisiano, ti prego, dimmi che puoi!".
Silyssa alzò una mano con gesto imperioso per zittirmi.
"Dopo tutti quegli anni di ricerca... leggendo libri su libri, finalmente avevo trovato quello che desideravo, mi serviva solo un ingrediente raro, così raro da trovare di questi tempi... non il sangue di un'asmodiana innamorata, ma il sangue di un elisiano che amava una di noi".
"Dimmi che ne hai ancora un po' Silyssa, ti prego", la supplicai accaldata.
Ancora una volta l'espressione di Sily non mi piacque.
"No... ma consolati col fatto che non ci sarebbe stato utile, visto che si tratta del sangue dell'elisiano in questione".
Mi lasciai cadere sulla sabbia reggendomi il viso tra le mani. Ogni mia speranza era andata in frantumi con quel "no".
"Mi manca Sily...", piagnucolai senza trattenere le lacrime. "Non ce la posso fare da sola...".
La fattucchiera avanzò nel suo lungo vestito e un largo spacco si aprì fin sopra la sua coscia, poi si chinò verso di me e in un gesto di conforto mi passò la mano guantata su una spalla. "Vivi Selhen, non smettere di sperare", mi aveva sussurrato ad un orecchio.
Proprio in quel momento si udì il rumore di un trotto lontano, poi un richiamo ci fece voltare entrambe. 
Potei scorgere un giovane a cavallo di un maestoso destriero nero la cui criniera svolazzava alla delicata brezza marina.
Non tardai a capire di chi si trattasse dal momento che Silyssa si illuminò. Se nei suoi occhi di solito aleggiava un'aria malinconica e un'antica saggezza, all'improvviso era emersa nei suoi occhi la Silyssa più giovane e vitale e meno infantile che avessi mai visto.
Fu solo un'impressione, ma mi parve che le sue gote si colorassero di un debole rossore.
"Silyssa", la chiamai all'improvviso. Vederla così felice al posto mio, mi aveva irritata.
"Voglio tornare ad Atreia", il mio tono era fermo e severo.
La fattucchiera si allontanò di un passo ma non disse nulla.
Tornai dritta e voltai le spalle alla figura dell'elisiano a cavallo che la aveva richiamata.
"Se non troverò vendetta, quanto meno troverò la morte...", conclusi.
Non c'era il sangue di nessun elisiano innamorato che avrei potuto usare. Mi irritava il fatto che Silyssa si fosse servita di me e di Velkam solo ed esclusivamente per la sua felicità.
"Ne sei proprio sicura?", chiese.
"Sì. Torna da Elyos, ti aspetta...".
Silyssa voltò lo sguardo nuovamente verso l'elisiano amato, gli rivolse un debole sorriso prima di tornare a guardarmi. "Come desideri...", disse, "ma se cambierai idea... invoca il mio nome, e io ti aiuterò... te lo devo".
I suoi occhi divennero rossi e luminosi, la sua voce tonante cominciò a pronunciare parole sconosciute. Potei percepire una forte energia avvolgermi e scuotermi dentro. Frantumarmi per viaggiare attraverso spazi sconosciuti fino a ricompormi in un posto nuovo.
Ad un certo punto non udii più il rumore dei flutti. L'aria salmastra e umida fu sostituita da quella secca e silvestre della foresta di Eltnen. Ero tornata al Kisk che avevo lasciato vicino al rifugio.
In ogni caso forse avrei dovuto essere grata a Silyssa, mi aveva evitato la galera affrancandomi del piccio di evadere da una prigione per andare a cercare quell'assassino traditore.
Vivere a Vengar, sotto il mare, in quell'Atlantide senza tempo, sarebbe anche stata una buona soluzione, se solo fossimo stati in due. Io e Velkam.
...

L'aria profumava di fiori, Verteron era illuminata a giorno e a quell'ora. I contadini del posto erano intenti a pascolare porgus e ad arare i campi. 
Velkam si ricompose davanti all'obelisco che gli aveva salvato la vita, Proprio in mezzo a un campo, dietro una siepe. 
Si fissò i vestiti laceri e sporchi di sangue fresco. Il sangue che gli era colato copioso dalle ferite infertegli dalle spade di Gaar.
Quella era la sua ultima chance. 
Le forze gli mancavano e la stanchezza sembrava essere sopraggiunta all'improvviso.
Brutt'affare la mortalità. Adesso non c'era più niente in lui dell'elisiano invincibile che era stato. Slegato da ogni obelisco. Senza più alcun appiglio.
Il piccolo obelisco personale si dissolse nell'aria lasciando al suo posto un ciuffo di fiori schiacciati dal suo peso.
Velkam ne raccolse uno. Era stato risparmiato dal peso del kisk e si ergeva ancora intatto, sventolando al vento.
Ne spezzò con mano delicata il tenero gambo e lo infilò alla cinghia della giubba in cuoio. Lo avrebbe regalato a lei.
Selhen era stata catturata. E adesso avrebbe avuto solo una vita per metterla in salvo.

"Non posso farlo, mi stai chiedendo troppo!" gli rimbombarono nella testa le parole di Gaar.
Stava ripensando all'ultima discussione che avevano avuto in cella. Quando Gaar aveva tirato fuori dalla sua borsa un kisk personale per permettergli di legarvi l'anima.

E' l'unica possibilità che abbiamo, e tu sei il mio successore, Silence imporrà a te di punirmi per avere prova della tua fedeltà", aveva detto il cacciatore massaggiandosi la fronte pensieroso.
"Chi ci prova che non appena la tua anima sarà sciolta dall'obelisco principale tu possa resuscitare a questo kisk?".
"Nessuno, ma lo penso io".
Gaar aveva sbuffato. "Rischieresti di svanire per sempre... se la tua esecuzione venisse rimandata... se qualcosa andasse storto e il tempo dell'obelisco scadesse... sai bene che è temporaneo".
"Dammi un'alternativa", aveva detto placido Velkam.
Gaar tacque.
"Non c'è, quindi farai quello che ti dico. Ti offrirai a Silence e ai suoi collaboratori nel momento in cui ti chiederanno di uccidermi... perchè te lo chiederanno, credimi! E se non lo facessi finiresti per farmi compagnia".
"Mh...", l'assassino grugnì imbronciato.
"Credo in te, fratello", lo aveva rassicurato il cacciatore.
Gaar aveva sollevato lo sguardo. Era la prima volta che Velkam lo appellava realmente in quel modo.
"Ci rivediamo presto, amico... quindi vedi di morire nel momento giusto".
Velkam abbozzò un sorriso. "Ci proverò...".


E così era morto ed era risorto, per l'ultima volta. 
Quanto la vita adesso sarebbe stata generosa con lui? 

[Ciao ragazzi, eccovi il nuovo capitolo con un'impronta tutta 4.8 nell'ispirazione. Silyssa ha eletto Vengar come luogo di esilio pacifico per lei e per Elyos, ma Selhen? Secondo voi è così portata per la solitudine? Non è vecchia quanto Sily, dopotutto...
Per quello che riguarda Velkam invece, è vivo sì, ma non è tutto oro quello che luccica. 
Al prossimo capitolo! Bacione a tutti i miei lettori!]

Questa colonna sonora spacca!

https://www.youtube.com/watch?v=40nVxx_1I0c&list=PL9133B5F732A6BFA0
  
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