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Autore: MZakhar    22/10/2015    1 recensioni
A chi non è mai capitato di affogare la propria delusione nell'alcol?
Sicuramente è successo a Vittoria – 23 anni, operatrice di un call-center – quando il suo, cosa? capo? fidanzato? amante?, ha deciso di darle buca proprio la sera in cui lei si aspettava di ricevere il tanto agognato anello... Ma si sa che l’alcol porta solo guai, soprattutto se brindando hai indossato vestiti firmati e affascinato ogni uomo del pub. Per questo al suo risveglio, non ricordandosi gran parte della serata, Vittoria sente di aver fatto qualcosa di sbagliato. Qualcosa che ha il volto di un uomo affascinante di cui non sa nemmeno il nome. Eppure... cosa sarà vero e cosa farà parte dell’immaginazione? A Vittoria non resterà che scoprirlo a proprie spese e per la prima volta, forse, riuscirà finalmente a vedere la sua vita dalla giusta prospettiva...
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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3
A L I C E   I N   W O N D E R L A N D



Venerdì sera lasciai il Comune di San Lombardo per addentrarmi in quello di Pietrabianca. Per un po’ seguii la carreggiata centrale che attraversava il paese dividendolo a metà, dopodiché svoltai su una stradina laterale e mi immersi nell’oscurità verde dei prati e alberi. Già da qui si poteva distinguere la casa di Francesca – era una bella villetta dei primi del ‘900 che sembrava sorgere direttamente dal colle che sovrastava il paese. L’aveva acquistata con il suo compagno Giacomo due anni prima, lasciando San Lombardo per la loro nuova casa qui, a quaranta minuti di macchina di distanza.
Feci la salita in seconda e parcheggiai come al solito in uno spiazzo lungo la strada, scesi dall’auto e mi strinsi dentro il cappotto. L’aria quassù era più fredda e avrei tanto voluto avere il mio mantello di Burberry adesso. Peccato che mi stava ancora aspettando al ristorante e prima o poi dovevo decidermi a recuperarlo. Mentre mi incamminavo su per il pendio, tappandomi come meglio potevo, qualcuno aprì la portafinestra dalla parte della cucina e uscì sul terrazzino, ridendo. Allora mi sporsi leggermente di lato e vidi sbucare il profilo di Giorgia da dietro il pioppo che si diramava proprio a fianco del parapetto; non appena mi notò si sporse a sua volta e alzò una mano per salutarmi, gridando poi a Francesca che ero arrivata. Questa fece scattare la serratura del cancello automatico e insieme anche quello della porta e un minuto dopo entrai in casa, beandomi del calduccio che si diffondeva dai carboni ancora accesi nel camino. Poi salii le scale a chiocciola e sul pianerottolo svoltai a sinistra, ritrovandomi subito nel cucinotto che Francesca usava per le nostre serate tra donne. La padrona di casa era indaffarata a tagliare un pomodoro in fette perfettamente uguali ed era talmente concentrata da non essersi nemmeno accorta che ero già lì.
Ci pensò Giorgia a farglielo notare, esclamando non appena mi vide: «Buonasera, signora Mobumaso!».
Allora Francesca alzò gli occhi dal tagliere e sorrise. Posò via il coltello e stringendo le braccia lungo i fianchi mi fece un inchino.
«Un velo onole avella qui stasela!», rincarò.
«Molto divertente», osservai, togliendomi il cappotto.
Loro scoppiarono a ridere.
«Voi qui scherzate, ma è tutta la settimana che al lavoro continuano a chiamarmi così!», sbuffai appoggiando il mio soprabito sopra la sedia più vicina, «Al meno voi dovreste dimostrare un po’ di pietà».
Le ragazze si gettarono una strana occhiata cospiratoria, Francesca chinò leggermente il capo e insieme mi fecero un altro inchino, riprendendo a ridere.
«D’accordo, d’accordo! Non te la prendere», disse Francesca vedendo la mia espressione, «Non puoi negare che sia davvero divertente, però!».
Uno spasso. Certo.
«Per voi, forse», risposi scuotendo la testa.
Nemmeno avessero sei anni!
Giorgia prese una mela dal cestino della frutta e andò a buttarsi sulla sedia a dondolo nell’angolo, dandole un rumoroso morso.
«Devi assolutamente mandarci altre mail sulla tua vita amorosa!», stabilì masticando, «Perché se tu smettessi di farlo mi toccherebbe iniziare a guardare Beautiful per compensare la mancanza di certe storie!».
«Ah, ah! E voi dovreste essere mie amiche...», osservai incrociando le braccia al petto.
«E lo siamo!», annuì Giorgia, «Per questo adesso pretendiamo di sapere il resto!».
«Non c’è niente da aggiungere. Non è successo altro né durante la cena né dopo. Mi sono sforzata di ricordare qualcosa su quel posto, ma i miei vuoti sono ancora vuoti e non c’è stato modo di chiedere spiegazioni a Nicholas. È rimasto appiccicato tutta la sera a Valentina».
«Ewww!», esclamò Giorgia con una smorfia, «Quella specie di rospo troppo abbronzato?».
«Proprio lei...».
«Lo trovo un po’ strano», intervenne Francesca riprendendo a tagliare i pomodori, «Voglio dire, non può davvero interessarsi a quella donna, no?».
Mi strinsi nelle spalle.
«Per quel che ne possiamo sapere, potrebbe anche avere un debole per le signore mature e antipatiche».
«Se fosse stato davvero così a che scopo cercare di rimorchiarti al pub?», chiese Giorgia dando un altro morso alla mela.
«Non ricordarmelo, ti prego», la supplicai, «Sto ancora facendo i conti con i sensi di colpa!».
A sentirmi, Francesca storse leggermente la bocca.
«Sensi di colpa? Per quale ragione dovresti averne?», domandò smettendo di armeggiare col coltello per mettersi le mani sui fianchi, «Non mi pare che Carlo ne abbia mai provati nei tuoi confronti, no?».
«France, non ricominciare», sospirai.
«Non sto ricominciando nulla», disse semplicemente, «Sto solo sottolineando l’ovvio: non siete fidanzati, non state nemmeno insieme. Tecnicamente sei una donna libera di fare quello che vuoi».
Quello che volevo... Ma io non avevo voluto! Oppure sì? Non ricordare mi stava mandando fuori di testa! Così mi accigliai guardandola di sbieco.
Francesca scosse la testa e si arrese, tornando ai pomodori.
Giorgia finì la sua mela e facendo dondolare il torsolo per il rametto ci illustrò il suo pensiero: «Non credo che gli piaccia davvero il rospo», disse, «Voglio dire, a nessun uomo sano di mente verrebbe voglia di stare con una così. A proposito, gli hai più parlato?».
Mossi la testa in diniego.
«Non lo vedo dalla sera della cena. E comunque dubito di rivederlo tanto presto in ogni caso, da quel che ho capito era venuto solo per prendere gli ultimi accordi con Carlo. Suppongo abbia cose migliori da fare, come dirigere una banca o girare sul suo fuoristrada in cerca di altre fanciulle da far sbronzare!».
«O magari è davvero pieno di sorprese e in questo momento sono in un motel con Valentina-il-rospo, a fare acrobazie che nemmeno ci sogniamo...», ammiccò Giorgia, facendo canestro con il torsolo dentro il secchio della spazzatura che Francesca si era messa accanto al tavolo.
Quest’ultima trasalì per la sorpresa e le lanciò un’occhiataccia. Dopodiché mise via il coltello e prese la pirofila con il pollo e le patate dove iniziò a sistemare anche le fette di pomodoro. La guardavo armeggiare con la sapienza di un chirurgo (del resto stava per sposarne uno e lei stessa era l’assistente di un medico) ma intanto ripensavo alle parole di Giorgia. Nicholas poteva davvero essere da qualche parte con il ros... Valentina in quel momento? E anche se fosse? Perché mi doveva dar fastidio? Eppure me ne dava, se non altro perché mi sembrava assurdo che tra tutte le donne attraenti che c’erano al call-center lui fosse andato a pescare la peggiore.
«E con Carlo come siete rimasti?», domandò d’un tratto Francesca, infilando la pirofila dentro il forno.
«In nessun modo. Martedì sera è partito per Milano».
«Che c’è a Milano?», s’interessò Giorgia.
Mi ritrovai a stringermi di nuovo nelle spalle.
«Affari suppongo. Non voglio stargli troppo addosso come fa Lisa, perciò non ho indagato».
Francesca si trattenne dal commentare. La vidi stringere le labbra, ma non disse nulla. La sua insensata antipatia nei confronti di Carlo cominciava a infastidirmi. Lei non conosceva la nostra situazione, non la viveva davvero come la vivevo io, perciò non aveva il diritto di fare la sputasentenze. Eppure più di una volta mi aveva ribadito di non aspettarmi niente da Carlo perché, a sentire lei, lui mi stava manipolando e basta. Ma era assurdo! Perché avrebbe dovuto manipolare una ragazza a questo modo? Avevo appena ventitré anni, non ero ricca, non potevo offrirgli nulla oltre me stessa. Che ci guadagnava? In aggiunta, solo io sapevo quanto soffrisse per colpa della sua compagna che non voleva lasciarlo, e come si sentisse ogni volta che lei lo minacciava di farsi del male se ci avesse provato lui. Per non parlare del fatto che aveva avuto un’infanzia difficile, che era rimasto orfano ad appena dieci anni. Quindi era logico che il carattere di Carlo non poteva essere dei più teneri e a me stava bene così. Lo accettavo. Lo amavo. Francesca non sarebbe mai stata in grado di capirlo e io non avevo intenzione di litigarci per questo.
«Sai al meno quando tornerà?», mi domandò lei, mettendosi a resettare il tavolo.
Mi mossi per aiutarla, togliendo tutte le ciotole e il tagliere per metterli nella lavastoviglie.
«Dopo il weekend», risposi poi, e il discorso cadde qui.
Giorgia si stiracchiò e finalmente si alzò dalla sedia a dondolo per contribuire. Beh, se togliere una forchetta e spostare la bottiglia d’olio potesse definirsi “contribuire”. Poi aprì l’anta del mobiletto vicino alla porta e tirò fuori una bottiglia di tequila bianca che piazzò al centro della tovaglia che avevo appena steso.
«Qui c’è bisogno d’alcol!», dichiarò svitando già il tappo, «Tori, mi deludi. Non ci stai dando alcuna soddisfazione!».
Le lanciai uno sguardo eloquente: cosa si era aspettata? Aneddoti di un cuore infranto? Racconti di sfide a duello per la mia mano? O un omicidio a sfondo passionale? Ma lei mi ignorò e si spostò per prendere tre bicchierini da shottino.
«Stasera passo», la informò Francesca, «Domattina presto io e Patrizio abbiamo alcuni casi urgenti da visitare, devo essere lucida».
«Ah, il caro dottor Patrizio Zafferani!», sospirò allora Giorgia, «Avrei dovuto studiare medicina solo per candidarmi come sua assistente! Non riesco a capire come tu riesca a non distrarti con un adone simile? Fossi in te, gli sarei già saltata addosso due volte!».
Francesca alzò gli occhi al cielo.
«Allora diciamo che per fortuna non sei in me!», dichiarò, e tutte e tre scoppiammo a ridere.
«Okay», disse dopo Giorgia passandole una tazza d’acqua e un bicchierino di tequila a me, «Brindiamo a noi e ai nostri uomini!», propose.
Io e Francesca inarcammo entrambe le sopracciglia: da quando Giorgia aveva un uomo a cui brindare? Cogliendo la nostra evidente perplessità, lei sorrise.
«Va bene. A noi, ai vostri uomini e, si spera, a un uomo che arriverà anche per me!», si corresse e buttò giù la tequila tutta d’un fiato.
Io la imitai, accogliendo il brutale impatto con lo stomaco con una smorfia, mentre Francesca bevve un paio di lunghi sorsi prima di posare giù la tazza.
«E visto che siamo in tema, Tori, vogliamo vedere questo famoso Nicholas!», riprese Giorgia versandosi altra tequila.
La guardai più perplessa di prima.
«E come dovrei fare secondo te? Non l’ho mica nascosto dentro la tasca del cappotto», osservai.
Le sbuffò come se mi fosse sfuggito qualcosa di ovvio: «Non c’è l’hai una foto?», domandò poi.
«Perché diamine dovrei avere una sua foto?», domandai a mia volta.
«Non saprei. Perché magari obbiettivamente parlando è un figo da paura e tu volevi mostrarlo alla tua amica single?».
Guardai Francesca.
«Ma c’è ancora chi usa l’espressione “figo da paura”?», volli sapere.
In tutta risposta lei si strinse nelle spalle e scosse la testa come a dire: “e che ne so?”.
«Hei! Non eludere la domanda!», protestò Giorgia, schioccandomi le dita davanti alla faccia, «In questo momento potresti star influendo sul mio possibile futuro coniugale con un banchiere!».
Ah, di sicuro..., pensai e se avesse potuto, la mia vocina interiore avrebbe pure scosso la testa.
«Se non avessi capito, non ho una sua foto. O pretendevi che cominciassi a scattarmi selfie mente lui mi palpeggiava?».
Giorgia fece una smorfia.
«Non ci tengo a vederti mezzo svestita, tu e la tua disgustosa terza coppa “c” mi avete rovinato la piazza quest’estate al mare e ce l’ho ancora con voi per questo. Ma magari una foto di lui mezzo svestito non mi sarebbe dispiaciuta affatto, invece...».
«Forse io ho un’idea!», intervenne Francesca.
Ci guardò con occhi furbi e lasciò la cucina senza aggiungere altro. Quando tornò, aveva il suo portatile tra le mani che posò su un lato del tavolo avvicinandoci davanti tre sedie. Lei occupò quella in mezzo, facendoci cenno di sederci sulle altre due.
«Hai mai provato a cercarlo su internet?», mi domandò cliccando sull’icona di Google Chrome.
«No», risposi accomodandomi alla sua destra.
E a pensarci, perché non l’avevo fatto? Avrei potuto scoprire qualcosina in più sull’uomo che avevo lasciato avvicinare alla mia disgustosa terza coppa “c”. Ma poi compresi che il punto fosse proprio questo: io non volevo scoprire nulla su Nicholas, io volevo dimenticarlo e basta! O al meno fu ciò che credei finché Francesca non aprì la pagina di Google search.
«Dunque... sappiamo anche il cognome del nostro misterioso Nicholas?».
Annuii: «Nicholas Gordon», dissi.
«Uh! Ha un meraviglioso accento inglese quindi?», strepitò subito Giorgia.
«Affatto», risposi stroncando ogni sua fantasia, «Non ha alcun accento in verità».
«Ah no? Che peccato...», sospirò delusa.
Francesca intanto digitò il nome completo di Nicholas sulla tastiera e premette “invio”. La pagina si aggiornò e davanti ai nostri occhi apparvero decine e decine di titoli in blu che lo riguardavano. Cavolo! Sentii che le ragazze mi stavano osservando domandandosi probabilmente, come me, quanto poteva essere importante un uomo che avevo attratto in un pub di terz’ordine.
«Ha una pagina facebook!», esclamò Giorgia, puntando il dito smaltato di rosso sulla seconda riga.
Francesca ci cliccò sopra e aspettammo di vedere un sacco di post o di lunghi stati, e invece ricevemmo una grossa delusione, perché il suo profilo risultò privato. Non aveva nemmeno una propria foto nel quadratino a sinistra, al suo posto aveva caricato l’immagine di un spettacolare grattacielo di New York ripreso dal basso verso l’alto.
«Bella fregatura!», sbuffò Giorgia, «Se davvero non si deve vergognare della propria faccia, perché mettere come foto profilo un edificio?».
«Forse perché non tutti sentono il bisogno di esibirsi su una vetrina...», le lasciò intendere Francesca e tornò indietro, alla pagina di ricerca.
«Guardate, c’è il suo nome anche su Wikipedia!», scattai in avanti, impossessandomi del touchpad per cliccarci sopra.
Stavolta avemmo più fortuna e non appena la pagina si caricò, le mie amiche ammutolirono.
«No. Ti sbagli France. Questo dovrebbe proprio mettersi in vetrina», scandì lentamente Giorgia, sporgendosi addirittura verso lo schermo per poter vedere meglio la foto che era stata messa nello spazio a destra.
Francesca non ribatté, sembrava davvero sorpresa e osservandola non potei fare a meno di chiedermi se Nicholas fosse davvero tanto bello quanto sostenevano tutti. Ero forse l’unica al mondo a non rendermene conto? Lo guardai meglio anch’io: senza dubbio era lui, immortalato sullo sfondo di un cielo grigiastro e infiniti prati verde-muschio. Sulla foto era vestito di tutto punto, aveva i capelli abilmente pettinati da una parte con il gel e il suo viso aveva quell’aria da bravo ragazzo che assumeva sempre quando sorrideva, perché diventava leggermente più tondo e affabile. Allora per quale motivo continuavo a ritenere più bello Carlo? Anche perché, obbiettivamente parlando, mi rendevo conto che quest’ultimo era più basso, più robusto, aveva i lineamenti più rudi e una massa di capelli rossicci così ribelli che a volte gli ci voleva quasi un’ora per domarli... insomma, tutto il contrario di Nicholas! Eppure, se il mondo fosse stato sul punto di estinguersi e tutte le speranze fossero riposte in me, in lui e in Carlo, sapevo che avrei scelto Carlo senz’ombra di dubbio! Quindi cos’era quella strana sensazione alla bocca dello stomaco? Era solo la tequila?
«Nicholas Charles Gordon, Jr.», prese a leggere Francesca, interrompendo il filo dei miei pensieri, «Washington DC, 3 Aprile 1986. È un ex modello e imprenditore statunitense. Figlio maggiore del magnate finanziario americano Nicholas Charles Gordon, Sr. e della scrittrice e modella italiana Claudia Ferrari. Inizia la sua carriera seguendo le orme della madre, proponendosi come modello nelle maggiori agenzie di Los Angeles. Il suo successo è immediato e già dai primi anni Nicholas Jr. appare sulle riviste più famose del mondo, tra cui GQ e Daily Star. Successivamente fa brevi apparizioni in alcuni film e video musicali, ripiegando, tuttavia, ancora una volta sulla sua precedente carriera di modello. Nonostante questo, la sua fama dura solo pochi anni e attualmente Nicholas Gordon Jr. occupa il posto di vicepresidente nelle numerose imprese del padre Nicholas Sr., aiutato negli affari dal fratello minore Jermaine Anthony Gordon e dalla cugina Melanie Elizabeth Desantis. Laureato in Finanza alla Georgetown University, Nicholas Jr. vanta numerosi premi accademici e riconoscimenti filantropici. Nella vita privata è stato sentimentalmente legato alla cantante candese Michelle Blais, una relazione durata solo due mesi, e all’attrice Jeanine Beauchamp con cui doveva convolare a nozze nel maggio del 2010 a Nizza. Nelle recenti interviste, Nicholas Jr. ha dichiarato di essere felicemente sposato con il proprio lavoro e che le continue trasferte dagli Stati Uniti all’Italia non gli permettono di stabilire altre relazioni. Nonostante questo, Nicholas Jr. possiede un beagle di nome Blues con qui passa la maggior parte del suo tempo libero... Voci correlate, Collegamenti esterni, Note... è tutto».
Rimasi a fissare lo schermo non sapendo che dire. Modello, imprenditore, filantropo con fidanzate famose e genitori che lo erano ancora di più... Come accidenti ci ero finita insieme? No. La domanda giusta era: come accidenti gli era venuto in mente di andare in un posto come la Tana e degnare di considerazione una povera mortale come me? Era già ubriaco al mio arrivo? Si era fatto di qualcosa prima? Entrambe? Francesca dovette scuotermi per un braccio per riportarmi sulla terra.
«Non dici niente?», chiese cautamente.
«Sembra quasi che tu abbia visto un fantasma», aggiunse Giorgia.
E doveva aver ragione, perché un tipo come Nicholas non poteva essere reale! Doveva essere stato tutto frutto della mia immaginazione; in verità io non l’avevo mai incontrato e lui non mi aveva mai rivolto la parola. Forse l’avevo visto su una di quelle riviste citate da Wikipedia o forse in un film o in un video musicale. In ogni caso, mi rifiutavo di credere il contrario!
«Fossi in te, starei già facendo i salti di gioia», mi confidò Giorgia con un sospiro, «Non è che possiamo fare a cambio?».
«Ci dev’essere un errore...», fu tutto ciò che riuscii a dire.
Francesca si appoggiò più comodamente contro lo schienale della sedia e incrociando le braccia al petto alzò le spalle una sola volta.
«Non saprei», disse attingendo al suo odioso tono da medico, «È vero che Wikipedia è un’enciclopedia libera, il che implica che chiunque di noi può andare a scriverci sopra e che le informazioni contenute in essa non sono sempre esatte, ma hanno comunque delle fondamenta. Perciò suppongo che un minimo di verità in tutto questo ci sia...».
«Rischio di ripetermi, ma io farei i salti di gioia!», ribadì Giorgia.
«È ridicolo!», affermai chiudendo la pagina, «E anche se fosse vero, non farò alcun salto di gioia! Io ho già Carlo e in aggiunta non ho alcuna intenzione di rivedere Nicholas! Né ora, né mai!».
Ma mentre lo dicevo il mio telefono prese a squillare dalla tasca del cappotto ed ebbi uno strano presentimento quando lessi un numero a me sconosciuto che lampeggiava sul display.
«...pronto?», tentennai.
All’altro capo della linea sentii la voce di Nicholas.
«Ti prego, dimmi che sei in casa!», esordì.
Mi paralizzai. Poi allontanai un secondo il telefono da me e mi assicurai che non mi stessi sognando anche questo; ma la chiamata c’era e i secondi stavano scorrendo mentre Nicholas mi chiamava ripetutamente per nome.
«Eccomi, scusa», gli dissi riportando il cellulare all’orecchio.
Lui esitò.
«Da quando mi chiedi scusa?», domandò, ma poi proseguì senza attendere una risposta, «Non importa. Sei a casa o no?».
Scossi la testa come se potesse vedermi e lui dovette richiamarmi di nuovo per nome.
«Per caso c’è poca linea lì?», s’interessò, non riuscendo a spiegarsi il mio improvviso silenzio.
E in effetti che mi prendeva? Perché tutto a un tratto non trovavo più le parole? Mi stavo comportando da stupida!
«Scusa», ripetei allora, e probabilmente ero davvero stupida, «Volevi qualcosa?».
«Vittoria, ti senti bene?», quasi riuscii a vederlo mentre si accigliava.
Cercai di piantarla: «Sì, sì! Benissimo! Non sono in casa comunque. Sono da un’amica. È successo qualcosa?».
«La mia giacca, quella che ti ho prestato, mi serve. È urgente, perciò se mi dai l’indirizzo vengo a prenderti».
La sua richiesta mi colse talmente alla sprovvista che mi servì qualche secondo per potergli rispondere. In tutta onestà, riuscì persino a irritarmi: ero a una serata tra amiche, a rilassarmi dopo una settimana di lavoro, e lui se ne usciva così, dal nulla, pretendendo che tornassi a casa per restituirgli la sua stupida giacca! Chissà, magari a questo mondo esistevano due Nicholas Gordon, che si somigliavano tantissimo ma che non avevano nulla a che fare l’uno con l’altro! Perché il Nicholas Gordon con cui stavo parlando ora non poteva essere lo stesso Nicholas Gordon di cui avevamo letto poco prima. O al meno, la parte filantropica mancava assolutamente!
«Non lascio la mia macchina qui», sbuffai.
«Bene. Non c’è problema, torni con la tua macchine e io ti aspetto».
«No», obbiettai, cogliendo con la coda dell’occhio le occhiate incuriosite delle ragazze, «Forse non ci siamo capiti, io non ho alcuna intenzione di tornare a casa, di sicuro non per te!».
Lui emise un sospiro rassegnato e armeggiò con qualcosa.
«Troppo tardi!», disse, «Ho appena parcheggiato sotto casa tua. Se non torni entro mezzora giuro che sfonderò la porta!».
A udirlo mi misi a fissare un punto indefinito davanti a me con espressione inorridita.
«Tu sei fuori di testa!», dichiarai, «E anche volendo, non potrei mai essere lì in mezzora!».
«Allora in quanto potrai essere qui?».
«Mai!», esclamai e buttai giù.
Subito però me ne pentii: e se fosse davvero andato a sfondarmi la porta? Non lo conoscevo abbastanza per poter affermare che non l’avrebbe fatto. E un’altra cosa: chi gli aveva dato il mio numero?! E l’indirizzo?! Era una di quelle cose di cui mi ero scordata dopo la sbronza? Se in futuro si fosse rivelato un psicopatico ricercato in due Nazioni mi sarei presa a calci nel sedere per avergli dato tutte queste informazioni!
«Chi era?», scattò su Giorgia, con gli occhi che già le brillavano.
«Era Nicholas, vero?», mi chiese con più autocontrollo Francesca.
Aprii la bocca ma non ebbi tempo di rispondere a nessuna delle due perché il telefono riprese a squillare e sul display apparve il numero di prima. Non so per quale ragione lo feci, tuttavia gli risposi anche stavolta.
«Senti, non ti pare un po’ sgarbato chiedermi di rinunciare ai miei impegni perché tu rivuoi la tua giacca?», gli domandai a bruciapelo.
Dall’altra parte Nicholas prese un profondo respiro e sforzandosi di restare calmo, replicò: «Hai ragione, è orribile da parte mia. E non l’avrei fatto in un’altra occasione, ma dentro quella giacca c’è una cosa importante, che mi serve. Adesso. Perciò ti prego, I’m begging you, potresti tornare e restituirmela? Giuro che me ne andrò immediatamente e potrai anche tornare lì dove sei, non ti ruberò altro tempo».
Alzai un sopracciglio. I’m beggign you? Cos’era quella novità? Un modo innovativo per enfatizzare il suo bisogno di farmi tornare? Beh, dovetti ammettere che funzionò, mi aveva convinta. Non per il suo impeccabile inglese, ma perché sembrava davvero disperato. Gettai una triste occhiata al forno e il mio stomaco brontolò; adoravo il pollo arrosto di Francesca...
«D’accordo. Dammi quaranta minuti al massimo», dissi e vidi le mie amiche scambiarsi un’occhiata.
«Fantastico! Non mi muoverò di un passo!».

E non scherzava. Non avrebbe potuto muoversi di un passo neanche per miracolo, perché non appena gli ebbi restituito la sua giacca e lui si fu seduto alla guida del suo fuoristrada, quello diede forfait!
«Vorrai scherzare?!», gli dissi allora, stentando a credere a quello che stava succedendo.
Sì, perché non stava succedendo a me. A meno che non fossi finita di nuovo all’inferno e Nicholas non fosse il mio aguzzino.
Lui girò un’altra volta la chiave ma il motore non si avviò.
«Non capisco, funzionava benissimo fino a un’ora fa!», borbottò tra sé e sé, dando un colpo allo sterzo.
Io osservai quella scena pietosa per altri due minuti, dopodiché mi stufai, presi il mio telefono e su internet cercai il numero di un meccanico.
«Tieni», glielo passai poi.
Già perché il signor “non ti rubo altro tempo” aveva lasciato il suo telefono in assistenza quella mattina, per cui ne stava usando uno di emergenza che aveva tutta l’aria di essere appena uscito dalla preistoria. Quante altre sorprese mi avrebbe riservato ancora?
La risposta mi giunse dopo cinque minuti di gesticolii e frasi lasciate a metà che Nicholas si era scambiato con un tizio di nome Barone... il carroattrezzi non sarebbe stato disponibile prima di domattina!
«Ci è stato un grosso incidente sull’uscita per San Lombardo e sono tutti impegnati lì», mi spiegò, restituendomi l’apparecchio.
«Quindi che cosa farai?», gli domandai, cogliendo nella sua espressione qualcosa che non mi piacque.
«Non ho abbastanza contanti con me per l’albergo, perciò...», iniziò infatti.
Ma lo interruppi prima che potesse finire di parlare: «Spero che i sedili del tuo furgone siano abbastanza comodi. Buona notte, Nicholas!», e con ciò girai sui tacchi.
«Vittoria...», quasi m’implorò.
Mi si ammosciarono le spalle e sospirando mi costrinsi a voltarmi indietro.
«Voi gente famosa non andate in giro con lingotti d’oro nascosti nei risvolti dei pantaloni? O per lo meno con un appartamento autogonfiabile?», domandai speranzosa.
Ma lui mi guardò come se avessi parlato in aramaico.
«Lascia perdere...», gli dissi allora, «Immagino che tu sia già stato nel mio appartamento, per cui saprai che ti toccherà dormire dentro il sacco a pelo».
«Non sono mai stato nel tuo appartamento. Fino a stasera non sapevo nemmeno dove tu abitassi», ribatté Nicholas, portandosi dietro la giacca che gli avevo restituito prima di chiudersi l’auto alle spalle, «Ammetto però che non sono un grande fan dei sacchi a pelo».
«E allora come hai fatto a trovarmi?», domandai, ignorando l’ultimo commento.
«Vittoria, lavori per la mia banca adesso! Non è così difficile ottenere i contatti dei propri dipendenti», mi spiegò, accigliandosi quasi fosse una cosa ovvia.
«Non sapevo di essere diventata una tua dipendente, mister Gordon!», sbuffai, precedendolo verso il portone.
E mentre io mi affaccendavo con la serratura (che tanto per cambiare si era inceppata), Nicholas mi raggiunse e mi si addossò delicatamente sulla schiena, posando una mano sopra la mia che tentava inutilmente di estrarre la chiave.
«A quanto pare ci sono tante cose che non sai... o che non ricordi...», disse volutamente allusivo.
Il suo respiro a contatto con il mio collo infreddolito mi fece venire la pelle d’oca e Nicholas sogghignò soddisfatto, facendo scattare la serratura come niente. Lo incenerii con lo sguardo mentre mi passava accanto per entrare e pregai di non avere degli impulsi omicidi!
Impossibile! Sarebbe stata senza dubbio la notte più lunga della mia vita.


---------------------------------- MOMENTO AUTRICE ----------------------------------


Buonasera a tutti! Inizio con una confessione: ho ODIATO da matti questo capitolo! XD Sì, perché dopo aver posticipato la sua uscita ho finito per riscriverlo per ben quattro volte e l’ho ricontrollato al meno sei, tuttavia non sono soddisfatta. Beh, quando mai lo sono?, direte voi. E in effetti mai, ma stavolta (purtroppo) più del solito... Comunque sia, ormai è andata! Alla fine ho fatto proprio ciò che non volevo e l’ho postato nonostante avrei davvero desiderato di farvi leggere qualcosa di migliore. Ma pazienza, avevo promesso che giovedì ci sarebbe stato almeno un capitolo e così doveva essere, cascasse il mondo! Perciò spero non sarete troppo severi se non dovesse piacervi e che vi abbia incuriosito un minimo :))
Aurevoir, miei cari lettori!
Grazie a tutti quelli che mi seguono <3


M.Z.

   
 
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