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Autore: bebborahfeliz    23/10/2015    1 recensioni
Marbola è un’elfa particolare che sta raggiungendo ormai la seconda età e che da secoli vive nello stesso luogo: Ardena. Certo, un bosco meraviglioso, assieme ai membri della sua razza, ma monotono e limitato da regole e avvenimenti sempre uguali a se stessi. L’unico evento di particolare importanza è la comparsa nel cielo della luna rossa, foriera di sventure e portatrice di catastrofi. Ogni sei anni quella luna compare nella volta che illumina Liriel e giorno dopo giorno, accompagnata da una serie di spaventosi terremoti, malattie incurabili e guerre implacabili, si avvicina alla luna bianca per coprirla con la sua mole e la sua luce rossa. La nostra storia inizia qualche giorno dopo l’eclissi.
Essa porterà a Marbola un dono particolare che cambierà per sempre il suo mondo.
Se vi piace come scrivo o se vi interessa sapere cosa accade ai personaggi, vi informo che questa storia è un prequel al libro che ho pubblicato nel 2014, Il Sigillo della Luna Rossa, con il gruppo Albatros il Filo. Ogni personaggio o fatto qui di seguito presentato è protetto da diritto di autore.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È noto a tutti che la razza degli elfi ha delle particolari caratteristiche comportamentali che non vanno molto a genio alla maggior parte delle altre razze viventi nell’Isola di Liriel, soprattutto a quella umana, e che qualunque contatto tra le due abbia un esito solitamente tragico.

Le loro relazioni sono talmente temute che gli elfi hanno proibito a qualunque loro compagno di entrare in contatto con un essere tanto abietto e vano come un umano. Se dovesse accadere che, per qualche sfortunato evento o una serie di coincidenze a dir poco curiose, un elfo si ritrovi di fronte a una di quelle creature dai tratti rotondeggianti, è importante mantenere la calma. In tal caso, il suggerimento che solitamente viene dato è di nascondersi o di respingere l’umano con una magia che lo conduca lontano dallo sfortunato elfo.

Tutti sanno, inoltre, che gli elfi si sono isolati dal resto del mondo per mantenersi puri, per non permettere agli umani di contaminare la loro razza superiore con la loro goffaggine e la loro stupidità. Si racconta che un folto gruppo di questi “spocchiosi dalle orecchie a punta”, come gli umani sono soliti chiamarli, si siano rifugiati in un bosco nel quale nessuno è mai riuscito a mettere piede. Difatti, gli elfi sono stati talmente previdenti da creare un cerchio magico intorno ai loro territori di modo che qualunque essere umano avesse messo piede tra quegli alberi si sarebbe ritrovato a girovagare, stordito e privo di memoria, verso il proprio villaggio senza sapere come o perché stesse tornando indietro.

Solamente gli elfi che vi abitano o che vi sono stati accompagnati previamente possono entrare in quel mondo meravigliosamente splendente che si chiama Ardena. Il bosco è il luogo tra i più belli che si possano vedere nel resto del mondo conosciuto. Sugli alberi, ormai secoli prima, erano state costruite delle case eleganti e luminose, dai tratti tipici delle antiche e ormai perdute città elfiche, per le quali era stato utilizzato solo il migliore legno bianco di Merilian, una terra lontana, dove secoli prima gli elfi si erano avventurati per esplorare e ampliare la loro conoscenza. 

I fiori di luna, o Yaleias, pendono dai rami, dai ponti sospesi e dalle finestre ad arco delle abitazioni semplici che emanano una sorta di atmosfera da sogno che avrebbe incantato qualsiasi straniero. Ma come ho già detto, gli stranieri lì non mettono mai piede. Almeno fino a quel momento.

Nessuno si sarebbe aspettato un arrivo così improvviso e decisamente per nulla atteso. Le costellazioni, come si sarebbero lamentati più avanti i consiglieri del re, non erano nella posizione adeguata per un simile evento.

Ma andiamo con ordine.

Occupiamoci prima di tutto di una delle protagoniste della nostra storia. Un’elfa dalle idee diverse, che si sarebbe ritrovata in una posizione ancora più pericolosa entro breve, che sarebbe andata contro tutto ciò in cui credeva per due creature che era determinata a proteggere.
Come ogni giorno, l’elfa si presentò all’albero dove il consiglio di ϔŀœ, il gruppo più ristretto di consiglieri vicino al sovrano di Ardena, si riuniva per deliberare e prendere le decisioni che riguardavano gli eventi giornalieri. Fece il suo ingresso nella sala silenziosa dove, intorno al tavolo di cristallo di Limas, si erano già radunati gli elfi più anziani.

Lei era la più giovane di tutti, e di norma non le sarebbe stato permesso di fare il suo ingresso nel consiglio, ma era entrata a farne parte per via della sua spiccata arte dell’osservazione che l’aveva in realtà costretta ad una prigionia forzata.
Difatti, era stata l’unica, tra la popolazione di circa tremila individui che abitavano sugli alberi di Ardena, ad accorgersi che il re Naham della Terra degli elfi, diretto discendente del Signore delle Foreste, mancava dal suo trono da parecchi anni e che il potere di governo era nelle mani del consiglio, in particolare dell’anziano Eloian.

Quando Marbola aveva chiesto una spiegazione per quella continua e inspiegabile assenza, le era stata promessa la verità solamente nel caso fosse entrata nel consiglio. Aveva accettato, inconsapevole delle clausole che accompagnavano quella responsabilità, e una volta appreso il segreto che avrebbe cambiato il sistema delle caste degli elfi, e che avrebbe distrutto l’equilibro, già precario, della loro società, aveva dovuto mantenere il silenzio perché, come le avevano in seguito rivelato gli elfi del consiglio, facendo parte degli ϔŀœs le era proibito raccontare gli affari del consiglio ad esterni.

Quindi si era trovata con la  bocca sigillata da un patto magico che non poteva infrangere, e a dover sopportare un peso sul cuore che la gettava in un abisso di pentimento, sconforto e dolore.

L’elfa si fermò sulla soglia imponente della sala, ed osservò i presenti con i suoi occhi penetranti. I suoi iridi di un castano acceso, brillante, quasi giallo, tanto simili a quelli di un gufo, si soffermarono sull’anziano Eloian. Come era solita fare, l’elfa chinò lievemente il capo in segno di rispetto e di saluto, e si andò a sedere proprio di fronte a lui, nel posto più lontano e al contempo più vicino al suo sguardo attento.

«Alais, Marbola! Sono lieto della tua presenza» disse lui con tono basso, quieto.

Marbola sorrise ampiamente, cercando di nascondere la sua irritazione, «Come sempre è un onore!» rispose in elfico, sottolineando l’ultima parola con un accenno d’ironia.

«Confido che non abbiate rivelato nulla degli argomenti discussi alla riunione di ieri» fece lui con tono ampiamente minaccioso e per nulla velato.

Marbola inghiottì la rabbia e disse con tutto il garbo possibile, «Non una parola è uscita dalle mie labbra. Sono sigillate dal patto che voi mi avete imposto contro il mio volere!».

Il rancore racchiuso in quelle parole fece sorridere Eloian, che si accomodò meglio sullo scranno. I lunghi capelli neri gli scivolarono sulle spalle, e i suoi occhi, illuminati da una scintilla particolare, indugiarono ancora qualche secondo su Marbola.

L’elfa sapeva che stava vagliando i suoi pensieri, e nonostante avvertisse il bisogno di scrollarsi di dosso quella scomoda presenza dalla sua mente, si mantenne calma e cercò di rilassarsi. D’altronde era d’obbligo permettere all’anziano di controllare la sincerità di ogni elfo prima dell’inizio di ogni incontro del consiglio.

Una volta che Eloian, soddisfatto, ebbe spostato la sua attenzione all’anziana Baladar, seduta al suo fianco, Marbola espirò piano e si appoggiò con la schiena alla sedia gelida di Limas. Senza farsi notare, scrutò i presenti nella sala con una certa apprensione ed avvertì un nodo in gola, lo stesso che la stava opprimendo dalla sera precedente, quando aveva preso la decisione di intervenire e di far valere la propria opinione davanti al consiglio. Non poteva fingere ancora per molto.

Sarebbe stato l’inizio di una nuova era o la sua fine per esilio. In ogni caso, doveva parlare.

Quando anche gli altri tre anziani si furono accomodati, Eloian iniziò, «Come abbiamo già deciso durante l’incontro precedente, alla danza dei fiori di luna di questa sera il consiglio porrà le sue sentite scuse per l’assenza del re, impegnato nelle importanti trattative con gli elfi bianchi che si stanno estendendo più a lungo del previsto».

«Credete che gli elfi di Ardena non porranno alcuna domanda su questa assenza prolungata del re?». La voce di Marbola, cristallina, sembrava aver scosso a fondo il saggio Eloian, e in particolare lo aveva sicuramente offeso. Anche se sapeva di essere troppo avventata, l’elfa continuò, «Questa assenza ingiustificata dura ormai da più di venti anni! Prima era la malattia, poi un viaggio per mare e ora delle trattative con gli elfi antichi, ma nessuno crederà a questa menzogna ancora per molto! Io l’ho capito tempo fa! Altri se ne accorgeranno!».

«Silenzio!» la zittì Baladar. Le sue mani, ben visibili attraverso il cristallo del tavolo, si contrassero, «Ti è proibito parlare di certe cose! E non ti è concesso di contraddire le decisioni del sommo Eloian! Dovresti essere bandita da questo consiglio seduta stante per la tua irriverenza!».

Per un istante, sul volto di Marbola comparve un sorriso di trionfo, che fu colto solo dal vecchio Eloian. 

«Calmati, saggia Baladar. Se lo facessimo, sarebbe libera di raccontare a chiunque quello che sa: sul re, sulla Grande Catastrofe, su tutto, e noi non vogliamo che questi segreti vengano svelati!» la riprese Eloian, lasciandosi sfuggire un sospiro.
Si rivolse poi a Marbola, «Mia cara, gli elfi crederanno a ciò che diciamo perché è sempre stato così. Il nostro piccolo e limitato mondo è fragile, e una scossa così potente porterebbe gli elfi di Ardena al panico. Per ora, è meglio tacere e …».

«E lasciare che il nostro popolo resti all’oscuro di quello che è accaduto alla stirpe reale? Erano i nostri amati re e regine, e sono morti. L’unico che ancora porta dentro di sé quella scintilla che tiene in vita la nostra razza è Naham! Senza di lui, noi …».

«Moriremmo, lo sappiamo tutti!» ribatté Eloian, stranamente calmo. «Non possiamo dire al popolo che Naham è fuggito per andare a governare le terre al di là del mare! Sarebbe troppo scioccante!».

Marbola si fece esasperata, ma Baladar intervenne «Naham è stato cacciato da suo padre e dai suoi fratelli perché doveva dimostrare di essere degno del trono, ma in cambio ha contravvenuto alla regola più importante! Perciò è fuggito e nel frattempo i nostri re e regine sono morti di una malattia sconosciuta! E tu sostieni di voler rivelare tutto ciò al popolo? Credi che potrebbe fare la differenza?».

Marbola strinse le labbra, «Sapere è importante, e mentire è tradimento!». Quell’ultima frase risuonò nella sala silenziosa, e l’eco svanì solo dopo qualche lungo istante di cupo imbarazzo. Allora Marbola si accorse di essersi alzata in piedi, perciò si accomodò nuovamente sotto gli occhi duri di Eloian.  

Con un sospiro, l’anziano mormorò, «È davvero tradimento quando il silenzio permette a noi tutti di sopravvivere in questo mondo folle? La luna rossa è passata da poco, i terremoti finalmente si stanno attenuando, ma tra sei anni accadrà di nuovo. Non possiamo uscire dal nostro bosco come non possiamo cambiare così improvvisamente il nostro stile di vita. Non possiamo fare altrimenti!».

«Siamo in trappola». Marbola lo disse con una certa arrendevolezza.

Vedendo che l’elfa si era zittita, Eloian continuò «Proseguendo con il discorso, come al solito alcuni membri del consiglio si prodigheranno a spiegare ai nostri più giovani elfi come poter far fronte ad un evento catastrofico provocato dalla luna rossa, in previsione del prossimo ciclo lunare!».

Anche qui Marbola non seppe trattenere la lingua, «Che senso ha spiegare loro la stessa cosa ogni singolo anno? Credo che abbiano imparato la lezione, visto che è sempre la stessa da seicento anni a questa parte!». Con una certa colpa nello sguardo si morse il labbro non appena vide che Eloian iniziava a spazientirsi.

«Non possiamo ogni volta trasformare questi incontri in discussioni, Marbola! Hai sempre qualcosa di cui lamentarti, e non credo ci sia nulla, a questo mondo, capace di accontentarti!». Alle orecchie di Marbola, le sue parole sembrarono un rimprovero rivolto ad un bambino capriccioso.

L’elfa sbuffò per lo scontento.  

«Ma non sono queste le cose importanti di cui discutere! Dovremmo insegnare ai più giovani ciò che è accaduto durante la Grande Catastrofe, che cosa ha condotto a quel disastro che ha ucciso migliaia di persone e sterminato razze intere! Dovrebbero sapere cosa c’è scritto negli antichi Hrianan! È importante che non si ripeta ciò che è già …».

Eloian, per la prima volta in tutta la sua lunghissima vita, si alzò in piedi e sbatté i palmi delle mani sul vetro di Limas, che tremò in un armonioso tintinnio. «Questo è troppo. Il consiglio ti congeda fino a nuovo avviso. Ti è proibito parlare con chiunque faccia parte di questo consiglio fino a che non verrai richiamata, e se rivelerai qualcosa di ciò che sai a qualcuno, la pena sarà il Kallar! Ogni tuo ricordo, da quando sei nata ad ora, verrà cancellato, e tu sarai esiliata in terre lontane. Non potrai più tornare qui, ad Ardena! Pensaci bene, prima di aprire nuovamente bocca! E ora vattene!».

Marbola si alzò a sua volta e fissò i presenti dall’alto in basso, cercando di mantenere uno sguardo neutro ma con un accenno di accusa. Non ci stava riuscendo bene. I loro occhi erano più forti, un muro compatto contro di lei e le sue idee estranee che portavano sempre ad un esito simile.

Le volte precedenti l’avevano solamente minacciata, e per anni (ovvero da quando l’avevano costretta ad entrare nel consiglio), avevano sopportato i suoi tentativi di “distruggere la pace che regnava ad Ardena” con le sue teorie cospiratrici, ma ora avevano preso la brutta abitudine di cacciarla dal consiglio e rifiutarsi di ascoltare ciò che aveva da dire a riguardo.
A stento trattenne le lacrime, evitando così di mettersi in imbarazzo e di far vergognare l’intero consiglio, e quasi corse fuori dalla sala.

Una volta richiusasi l’enorme porta alle sue spalle, una risata velata e ironica la aiutò a ricomporsi.
Si voltò ad affrontare Yolas, un elfo che da secoli aveva il compito di fare la guardia alla sala del consiglio; rigido nella postura, la guardò da sotto l’elmo luccicante, mostrando con un sorriso i suoi denti brillanti.
«Ti hanno cacciata di nuovo? Sta diventando un’abitudine!».

Marbola, anche se irritata per la sua inutile affermazione, cercò di fargli un sorriso altrettanto sarcastico. Le riuscì solamente un ghigno piuttosto ridicolo o, a detta di Yolas, una smorfia strana e lievemente inquietante.
«E tu sempre a dire le stesse cose! Stare tutto il giorno a non fare niente ti ha rammollito la mente?». Senza attendere una risposta che sicuramente sarebbe stata altrettanto pungente, Marbola uscì di corsa all’aria ancora fresca del mattino.

Nonostante fosse quasi il Kilur, l’ora più calda della giornata, gli alberi del bosco erano talmente grandi da proiettare l’ombra persino sulla sala del consiglio, situata poco più in basso rispetto al palazzo del re; quest’ultimo era costruito sull’albero Madre, l’unico che troneggiava e superava in altezza quelli che lo circondano. I due palazzi erano connessi con una serie di ceste che solo i membri del consiglio potevano e sapevano attivare, ma ultimamente non ce ne era stato alcun bisogno. Il re, d’altronde, non c’era più.

Marbola inspirò a fondo e cercò di calmarsi e di ricordare gli insegnamenti di sua madre. Si accorse, però, della loro inutilità.
«Stare calma? Impossibile!» mormorò tra sé e sé, mentre una brezza fresca le accarezzava il viso.

Degli uccellini le volarono sopra la testa e lei li seguì con gli occhi, che si fissarono sul grande occhio della luna bianca, sempre fisso su quel mondo e sui suoi abitanti. Sembrava quasi potesse leggerle dentro, nello spirito. Una luna la cui luce benefica portava pace e prosperità.

Poco più in là, l’enorme mole della luna rossa, anche se offuscata dalla luce solare, occupava il cielo con la sua pesante aura oscura che faceva fremere chiunque vi posasse lo sguardo. L’apice delle due lune, e di conseguenza l’eclissi della luna bianca, era passato da poco più di due giorni, e finalmente le catastrofi naturali stavano diventando sempre più rare e distanti nel tempo.

Eppure quell’occhio rosso fissava il loro mondo come un lupo, famelico, pronto a sbranarli.

«Marbola!» la richiamò una voce cristallina.
Affacciandosi oltre il ponte sul quale era sospesa, guardò in basso nel tentativo di scorgere l’elfa che da circa nove secoli le era stata sempre accanto, quasi come una sorella. Con balzi leggeri si diresse alla cesta magica più vicina, che la portò circa dieci metri più in basso in un unico fluido movimento. Si fermò a qualche ramo dal terreno, così da permetterle di correre lungo i ponti sospesi e raggiungere Filiena.

«Sei stata di nuovo nel bosco a raccogliere altre bacche? Non ne hai la dispensa piena?» le domandò Marbola non appena le fu davanti.
Non ci fu alcun contatto fisico prolungato, alcun abbraccio, perché dovete sapere che gli elfi aborrono il contatto fisico esterno alla famiglia, e persino in quel caso gli abbracci, e ancora di più i baci, vanno dispensati con estrema cautela e parsimonia.

Contravvenendo a queste mute regole, Marbola le toccò il braccio con fare affettuoso e Filiena, anche se lievemente a disagio, accettò quel gesto con straordinaria calma. «Certamente. Ne abbiamo bisogno. Mia figlia, ora, necessita di più cibo, visto l’imminente arrivo della piccola».

«Ah, quindi è una bambina?». La sorpresa nella voce di Marbola non riuscì a nascondere quel pizzico di gelosia che Filiena avvertiva sempre più spesso nella voce dell’elfa.

Con sguardo dispiaciuto, cercò di farle capire che non avrebbe voluto ferirla.
Dopo un momento di cupo silenzio, Filiena parlò ancora «Dovrebbe nascere a breve. Non è un periodo propizio per una nascita, lo ammetto. Con la luna rossa ancora nel cielo potrebbe non avere grande fortuna, ma il peggio è passato! L’influenza maggiore si ha prima e durante l’apice, dopo le conseguenze sono più leggere».

Fece una lunga pausa, durante la quale scrutò a fondo Marbola. Alla fine, come quest’ultima si aspettava, domandò «Non hai ancora trovato il tuo compagno per la vita? Eppure dovresti conoscere tutti, qui! Nessuno ti interessa? Nessuno ha attirato la tua attenzione?».
Marbola distolse lo sguardo, le guance arrossate per la vergogna, «Filiena! Ti prego! Non chiedermelo più!». Abbassò gli occhi sui suoi piedi scalzi, e giocherellò un po’ con le dita finché non ebbe il coraggio di sollevare di nuovo gli occhi e vedere che Filiena era ancora più triste.

«Devi superarla» sentenziò quest'ultima.

Sempre più in imbarazzo, Marbola si schiarì la gola e puntò lo sguardo sull’abito di Filiena, «Bello davvero. L’ha fatto tua madre?». Il tessuto azzurrino aveva delle sfumature bluastre sul fondo della gonna che sembravano danzare ogni volta che l’elfa si spostava.

Filiena sospirò, «Si. Ha usato un pizzico di radici di violacea nell’impasto del colore». Pausa. «Ti insegnerò un giorno». Altra pausa. Marbola poteva quasi sentire i suoi pensieri correre di nuovo al discorso “compagno per la vita”, perciò la precedette prima che ritornasse sull’argomento.

«Cosa vi serve per la bambina?».

«Ci mancano le foglie di gigilia». Filiena la osservò mentre annuiva e prometteva di trovarle al più presto.

«In ogni caso, ti farò chiamare quando la piccola nascerà! Ti voglio accanto, proprio come mi sei stata accanto quando è nata la mia bambina!» le sorrise, incoraggiante.
Allora le voltò le spalle e tornò verso casa sua, che si trovava qualche ramo più in là. Marbola restò a fissare la porta bianca chiudersi alle spalle di Filiena, e ne ammirò gli intrecci di fiori e piante intarsiati nel legno.

Ogni porta era diversa dalle altre.

Era l’unica cosa che permetteva di distinguere una abitazione dall’altra, ed era bello fermarsi ad ammirare i vari decori che le famiglie stesse avevano scelto di mettere o incidere sulle porte a simboleggiare la loro stirpe. Era una sorta di stemma che dichiarava chi erano i proprietari dell’abitazione e chi aveva il diritto di entrarvi.

Un simbolo di appartenenza che non tutti avevano.

Camminando con lentezza, Marbola si aggirò a lungo sui ponti sospesi. Seguì con gli occhi i vari collegamenti tra i rami, che si estendevano in cerchi concentrici intorno all’albero madre, principalmente con la funzione di proteggere i sovrani dall’esterno.
Gli alberi più vicini alla sala del re erano quelli dove abitavano i consiglieri, lei compresa. Sei enormi querce che quasi nascondevano alla vista il supremo palazzo del re.

Si fermò ad annusare i fiori di luna che si stavano aprendo pian piano, mano a mano che il sole calava all’orizzonte. Presto il bosco sarebbe stato illuminato solo da quelle piante iridescenti e dai fuochi azzurri che gli elfi accendevano lungo i sentieri che si trovavano a terra. Era una meraviglia di cui non molti potevano godere.

Alla fine, scese fino a terra con una delle ceste incantate e, per la prima volta da mesi, toccò l’erba e le foglie che coprivano il suolo ricolmo di vita. Assaporò la sensazione di freschezza che quel contatto coi piedi nudi le provocava. Un brivido di piacere le corse lungo la schiena. Con un sorriso ampio, prese la rincorsa e, veloce, sfrecciò lontano dalle case e dagli sguardi curiosi, ma soprattutto perplessi, degli altri elfi. Corse a perdifiato, senza mai voltarsi indietro, raggiungendo in poco tempo lo stagno delle fate.

Come immaginava, erano ancora sopite nei loro fiori, o tra le rocce sotto il pelo dell’acqua. Le loro ali luminose, però, iniziavano ad intravedersi in quell’oscurità sempre più fitta. Alle fate non piace affatto la luce solare, loro preferiscono i tenui raggi lunari che permettono ai loro corpi di accendersi; inoltre, è necessario che il cielo sia limpido, cosicché possano accompagnare le loro danze con la giusta atmosfera. Creature capricciose, le fate.

Marbola si sedette sul bordo del laghetto ed attese. Come ogni sera, le fate degli alberi furono le prime a scendere dai loro nascondigli tra i rami. Si lasciarono scivolare lungo le foglie per andarsi a posare sui cespugli, dove si radunarono per organizzarsi.
In pochi istanti un nugolo di fatine di un verde brillante si librò nell’aria scura della notte e si disperse nel bosco, sparendo tra gli alberi in cerca di cibo. Ma non era ciò che Marbola stava aspettando. E nemmeno le fate che dormivano nei fiori vicino al laghetto; comparvero subito dopo, vestite di petali colorati e di ragnatele luccicanti, se ne andarono veloci assieme ai loro canti melodiosi.

No, lei aspettava le fate d’acqua. Sembravano fatte dello stesso cristallo del tavolo e delle sedie del consiglio, e per questo erano chiamate Limash. Erano le più belle, a suo parere, e le più vicine agli elfi.
Una ad una, le loro testoline trasparenti comparvero sul pelo dell’acqua. Con eleganza si issarono sui fiori che coprivano gran parte dello stagno e, aggraziate, iniziarono a volteggiare da una parte all’altra, lasciando dietro di sé una scia luminosa che si dissolveva qualche istante dopo in tanti puntini brillanti.

Marbola sorrise. Si sentiva sempre leggera quando le guardava danzare. Seguire i loro movimenti la aiutava a distogliere l’attenzione dal dolore che ogni giorno di solitudine le provocava.

Dopo quella che le parve un’eternità, Marbola si riscosse. Le fate erano di nuovo sparite sotto la superficie, e lì, nelle profondità del laghetto, avrebbero continuato a ballare finché la luce del sole non avesse colpito lo stagno con i suoi raggi caldi.

Lo spettacolo era finito. Allora l’elfa si rialzò in piedi e, lentamente, quasi controvoglia, tornò sul suo albero. Con le dita sfiorò il ripiano liscio della porta e provò un’immensa tristezza quando, per l’ennesima volta, avvertì la mancanza della sua famiglia.

Niente, su quella porta, indicava un legame di alcun genere con i membri della sua famiglia. Era spoglia. Vuota. Priva di segni o decorazioni. Era sola.

Ciò che la nostra Marbola non sapeva allora è che non sarebbe stata sola ancora per molto. 
   
 
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