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Autore: bradbury    23/10/2015    6 recensioni
Infilò la testa nella stanza totalmente immersa nel buio, eccetto per la piccola fonte luminosa proveniente dallo schermo del cellulare in carica sopra la cassettiera. “Dean…” sussurrò, incerto. Forse era stato un errore, era il cuore della notte e non voleva disturbarlo, poteva aspettare qualche altra ora, si disse. Stava per ritornare sui suoi passi quando Dean si svegliò.
“Cas?” chiese, la voce roca e impastata di sonno. [coda fic dell'episodio 11x03; spoilers per chi non ha visto l'episodio]
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
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******************************************** NOTE *********************************************
Questa storia è stata offerta da: "Il Mio Cervello Non Può Farcela" indicata ad un pubblico che non ha paura dell'horror, perchè siamo onesti di questo si tratta. Sinceramente ritengo che sia il più brutto dei miei lavori ma comunque non demordo dal voler pubblicare e rendere la mia umiliazione alla portata di tutti. Come avete notato dalla descrizione, si tratta di una coda fic collocata alla fine della 11x03, un episodio che mi ha distrutta emotivamente e da cui mai e poi mai riuscirò a riprendermi (un po' come succederà a voi se leggerete questa storia, non ho soldi per pagarvi lo psicologo, mi dispiace). Un abbraccio!






 
Castiel non riusciva a riposare. Faceva avanti e indietro nella sua nuova stanza all’interno del bunker incapace di sedersi e stare immobile per più di trenta secondi. Erano quelli i momenti in cui desiderava poter dormire ma la sua mente era così occupata a rimuginare che probabilmente non sarebbe riuscito a chiudere occhio nemmeno se fosse stato umano. Prese in considerazione l’ipotesi di ottimizzare il tempo scendendo nell’archivio per cercare informazioni sull’Oscurità che avrebbero potuto aiutare lui e i Winchester a farsi un’idea su cosa aspettarsi e come comportarsi.

Non c’erano eventi significativi che indicassero un rischio imminente, eppure l’esperienza gli suggeriva che si trattasse solo della quiete prima della tempesta. Il piano B era quello di uscire a cercare Metatron, anche se Castiel era piuttosto sicuro che prendere in prestito l’Impala senza chiedere il permesso al suo proprietario non fosse una mossa saggia. Non che Dean gli avrebbe mai dato l'autorizzazione di guidare la sua preziosa automobile.

Dean. Era lui il motivo per cui Castiel non riusciva a prendere pace, continuava a ripensare a come qualche ora prima avesse rifiutato che lui lo curasse, che guarisse gli ematomi e i tagli che gli segnavano il volto. Era stato Castiel a procurarglieli, assuefatto dall’effetto devastante dell’incantesimo scagliato da Rowena. Ricordava perfettamente come nonostante avesse provato a fermarsi, le sue dita non erano riuscite a sciogliere il pugno che tingeva di rosso la pelle del cacciatore.

Ancora prima che Castiel potesse convertire i pensieri in azioni, si ritrovò a camminare senza indugi lungo il corridoio, diretto alla camera da letto di Dean. Quando vi si trovò di fronte percepì la sua determinazione vacillare e fu quasi tentato di fare marcia indietro e di continuare a struggersi finché non fosse sorto il sole e Sam non fosse uscito per la sua quotidiana corsa mattutina. Magari pur di distrarsi si sarebbe unito a lui.

Castiel scosse la testa, stava solo temporeggiando, non aveva alcun interesse nell’allenarsi visto che il suo corpo non poteva né perdere né tantomeno guadagnare peso. Prese un respiro e bussò leggermente, prima di piegare la maniglia ed aprire piano la porta.
Infilò la testa nella stanza totalmente immersa nel buio, eccetto per la piccola fonte luminosa proveniente dallo schermo del cellulare in carica sopra la cassettiera. “Dean…” sussurrò, incerto. Forse era stato un errore, era il cuore della notte e non voleva disturbarlo, poteva aspettare qualche altra ora, si disse. Stava per ritornare sui suoi passi quando Dean si svegliò.

Cas?” chiese, la voce roca e impastata di sonno. In realtà aveva parlato in modo così confuso che per un attimo Castiel si convinse di aver confuso il debole russare dell’amico per il suo nome.

“Sto sognando, vero Cas?” domandò di nuovo Dean e l’angelo ebbe la conferma di non esserselo immaginato. Dean non dormiva, più o meno.

Castiel fece qualche passo in avanti, avvicinandosi al letto. Adesso che i suoi occhi si erano abituati alla poca luce scorse la figura di Dean rannicchiata sotto quella che aveva tutta l’aria di essere la coperta con cui l’aveva tenuto al caldo mentre il maleficio lo indeboliva ogni minuto che passava. Castiel sorrise, aveva apprezzato le attenzioni ricevute, per la prima volta si era sentito voluto bene dopo tanto tempo. Forse non tutti l’odiavano.

Si mosse ancora, aggirando il letto e posizionandosi lateralmente alla sponda del materasso, proprio di fronte a Dean che teneva gli occhi chiusi, e a giudicare dal respiro lento e profondo doveva essersi riaddormentato. Castiel sollevò la mano e cautamente la lasciò scivolare contro i punti in cui i lividi gli oscuravano quei lineamenti che avrebbe potuto guardare in eterno senza mai annoiarsi. “Dean?” chiamò ancora Castiel, aveva bisogno di parlargli.

Il motivo per cui Dean non aveva voluto essere curato era semplicemente la maniera sbagliata che utilizzava per punirsi. Castiel non sopportava di vederlo disprezzarsi così, non meritava di sentirsi responsabile per qualcosa che aveva fatto sotto il controllo del Marchio, qualcosa nettamente più forte di lui. Era un ragionamento un po’ ipocrita da parte di Castiel considerando che il senso di colpa per averlo picchiato lo stava divorando nonostante anche lui non avesse potuto farci niente. Era talmente arrabbiato con se stesso…

“Mmh…” borbottò Dean infastidito e Castiel si rese conto di aver premuto inavvertitamente su una parte del viso particolarmente conciata male.

“Scusami” bisbigliò, incerto sulla ragione effettiva per la quale si stesse scusando, se per avergli fatto del male in quel magazzino o per essersi distratto. Dean sollevò pigramente le palpebre e lo guardò con occhi velati. Tuttavia non lo stavano vedendo realmente, parte della sua mente era incatenata nel mondo dei sogni.

“Continuo a sognarti, Cas…” continuò Dean, “continuo a vedere la tua brutta faccia che mi fissa” farfugliò. Castiel non ebbe nemmeno il tempo materiale per offendersi che Dean proseguì, “questa volta però non stai…non stai…sanguinando…stai bene…”

Castiel spalancò gli occhi e il respiro gli si mozzò a metà strada comprendendo a cosa si riferisse l’altro. Si mise in ginocchio e poggiò il palmo della mano sulla guancia del cacciatore, sfiorandogli la tempia con il pollice.

“Sto bene, Dean” mormorò senza smettere di accarezzarlo, “Non è un sogno è la realtà.” Gli tornò alla memoria il modo in cui Dean aveva racchiuso il suo viso fra le mani quando si era ripreso dall’incantesimo. Poteva ancora sentirne il calore e la dolcezza, poteva ancora vedere quegli occhi verdi scrutarlo con urgenza e sollievo e qualcos’altro a cui si rifiutava di dare un nome per paura che fosse un’illusione.

“Ti ho picchiato…ti ho lasciato lì” il mormorio si era fatto più agitato e la fronte corrugata, come se il sogno stesse pian piano tramutandosi in incubo.

“Ma ora sono qui e non ho intenzione di andare via. Va tutto bene.” Si affrettò a rassicurarlo l’angelo, chinandosi in avanti e bisbigliandogli quelle parole direttamente nell’orecchio.

“E’…solo un sogno…” blaterò Dean prima di abbandonarsi completamente al sonno e a voltarsi dall’altra parte. Castiel invece restò in quella posizione per qualche altro minuto, a vegliare su di lui con altri nuovi mille pensieri ad affollargli la testa. Gli angeli avevano la capacità di guarire qualsiasi tipo di ferita, Castiel avrebbe potuto curare il più grave e terribile taglio sul corpo di Dean senza lasciare alcuna cicatrice, finché alla fine nessuno se ne sarebbe più ricordato. Poteva sanare qualunque cosa tranne le ferite che mutilavano il cuore di Dean. Non sapeva come fare, il che non voleva dire che avrebbe mai smesso di provarci.

Castiel sospirò malinconico e si alzò in piedi, pronto a ritornare nella sua stanza. Era quasi con un piede fuori quando Dean riprese a parlare nel sonno. Fu poco più di un soffio ma era forte abbastanza da stringere il petto di Castiel in una morsa d’acciaio.

Perdonami.

Castiel sapeva di aver fatto la cosa giusta. Quando il mattino dopo Dean avrebbe notato che i segni sul suo volto erano scomparsi, l’angelo sperò che oltre ad infuriarsi con lui per non aver rispettato l’accordo, sarebbe anche stato in grado di capire. Era il tentativo di dirgli: “Non ho nulla di cui perdonarti” e forse – forse – quel cuore che non riusciva a guarire eventualmente avrebbe almeno smesso di sanguinare.
   
 
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