Il tessitore
Kintou aprì gli occhi per la prima volta. Si alzò lentamente, osservando i
suoi nuovi arti, le braccia che terminavano con mani e dita, poi le gambe, con
i piedi e altre dita più corte. Le mosse adagio, una dopo l’altra, osservando
l’effetto che faceva. Uscì dalla vasca e fece qualche passo incerto. Davanti a
lui un grande specchio gli ricambiava lo sguardo di un blu profondo. Si osservò
notando le caratteristiche di quel nuovo corpo, la bocca sottile, il naso
dritto, la fronte spaziosa e i capelli corti e nerissimi, il suo petto era
ampio e il suo corpo muscoloso. Soddisfatto guardò il suo mondo. Ludaria era
cambiata, come lui il suo pianeta si era trasformato. L’intero piccolo corpo
celeste era stato ricoperto da edifici e i primi ludariani si
stavano già muovendo nelle nuove strade, respirando il giusto mix di ossigeno e
azoto. Alzando lo sguardo verso il cielo vide per la prima volta il pianeta di
cui loro avevano copiato le caratteristiche base. Un mondo verde e azzurro,
immenso, se paragonato al suo. Un ricordo ne suggerì il nome: Terra.
Centocinquantadue anni e il pianeta attorno al quale orbitavano era profondamente
mutato. I dati fluivano regolari ai loro computer indicando pace, stabilità
economica e prosperità in ogni continente. Kintou fece
una smorfia, allontanò lo sguardo dalla vetrata e accarezzò la cravatta che
stava indossando.
“Signore? Gli ospiti sono qui.” Il ludariano si voltò verso la segretaria umana e annuì.
“Fateli entrare e per favore portatemi il
mio infuso.” Aspettando la coppia di umani si sedette alla sua
scrivania in mogano, accarezzando il legno terrestre e apprezzandone per
l’ennesima volta le venature.
Teresa, la sua segretaria umana, entrò un
istante dopo con una coppia. Li presentò come i signori Mercer, poi con un sorriso gli consegnò una tazza fumante e
si allontanò. Kintou respirò il profumo
dell’infuso di rosa canina poi guardò la coppia di umani seduta di fronte a
lui.
“Benvenuti su Ludaria. Io sono Kintou e, se lo vorrete, sarò l’artefice del destino
di vostro figlio.”
“È la prima volta sulla Terra?” La donna
era giovane ma sicura di sé e la sua era una domanda di cui conosceva già la
risposta.
“Come lo avete capito?” Chiese Kintou. Erano arrivati nell’orbita terrestre da venticinque
anni ed era effettivamente la prima volta che scendeva sul suolo del pianeta.
“Siete rimasto cinque minuti fermo ad
osservare una mosca. So che voi ludariani apprezzate
la nostra fauna e flora, ma una mosca attira tanta attenzione solo alla prima
visita, poi anche voi capite che sono insetti fastidiosi.”
“Siete la mia guida?” Domandò allora,
chiudendo gli occhi per osservare il destino della donna.
“Non lo fate!” Kintou si
bloccò sbattendo le palpebre. “Il mio destino mi appartiene, vi pregherei di
non osservarlo.”
“Come desiderate.” Kintou assentì, alcuni umani erano contrari alla
manipolazione del destino, presto anche loro avrebbero capito gli immensi
vantaggi che una manipolazione intelligente dei destini poteva portare. Questa
donna doveva avere un destino naturale, presto nessuno ne avrebbe posseduto uno
simile al suo.
“Grazie. Comunque sì, mi chiamo Sarah e
sono la vostra guida.”
I destini erano paragonati a dipinti,
mosaici o testi, ma Kintou li aveva sempre
visti come arazzi, composti da miliardi di sottilissimi filamenti, per cui lui
non dipingeva, né scriveva destini, lui li tesseva.
Gli ospiti erano ritornati sulla Terra,
soddisfatti e pieni di speranza per il loro Harry, il bambino non ancora nato
che la signora Mercer portava in grembo. Kintou sorseggiò l’infuso con un smorfia, freddo era
ancora più disgustoso di quando era caldo. Senza ulteriore indugio lo finì e
poi incominciò a preparare il piano per l’arazzo.
Per prima cosa c’erano i filamenti, il
feto aveva materiale grezzo attorno a lui, Kintou aveva
già analizzato tutto quel materiale e ora si preparava a filarlo secondo le sue
direttive. Aveva parlato a lungo con i signori Mercer,
e lo avrebbe fatto ancora per due o tre settimane, doveva conoscere a fondo i
loro desideri e le loro paure, doveva analizzare il loro animo di modo che il
destino del loro bambino sarebbe stato esattamente ciò che loro volevano, e non
soltanto quello che credevano di volere.
Gli umani erano una razza curiosa e piena
di contraddizioni, tessere i loro destini era stata una sfida non indifferente,
ma dopo tutto i ludariani, e lo stesso Kintou, avevano affrontato sfide ben più difficili. I
Terrestri erano stati sorprendentemente accoglienti, una volta passato lo shock
iniziale, ed avevano accettato con grande entusiasmo l’idea di destini
prescritti, non tutte le razze che avevano incontrato nei loro lunghi viaggi
erano state tanto semplici da convincere. Tra gli umani pochi si erano opposti,
pochi avevano obbiettato che era contro il libero arbitrio, un concetto,
questo, che aveva affascinato Kintou per la sua
esoticità, e quei pochi avevano dovuto arrendersi davanti ai così positivi
cambiamenti impressi alla razza umana dai ludariani.
Kintou sorrise nervoso, quei bellissimi filamenti, erano tutto, erano pura
potenza, avrebbe potuto filarli in ogni modo lui desiderasse, avrebbe potuto
tessere ad Harry una morte prematura, una vita di sofferenze, oppure una vita
ricca di gioia e felicità. Il ludariano fece
una smorfia poi si mise al lavoro. Aveva un’idea molto precisa di quello che
desiderava per quel bambino.
“E così voi scrivete i destini della
gente?” Sarah sorseggiava il suo infuso di rosa canina guardando di
sottecchi Kintou che, seduto accanto a lei,
aveva rifiutato ogni sorta di bevanda.
“Sì.”
“Sì? È così semplice per voi?” La donna
era accigliata e Kintou ormai la conosceva
a sufficienza da sapere che non avrebbe cambiato argomento tanto facilmente.
“È immensamente difficile e profondamente
facile, dipende dai punti di vista.” Sarah sorrise, quello stesso pomeriggio
lei gli aveva risposto esattamente quelle parole quando lui le aveva chiesto
come gli umani potessero decidere di mettere al mondo figli. “Per la nostra
razza i destini sono semplicemente pagine vuote da riempire, tele da disegnare
o fili da filare.” Aggiunse lui nel silenzio della donna.
“Conosco la teoria, ma non capisco, come
fate a far sì che tutti si esaudiscono? Non sognano tutti di diventare rock
star o presidenti?”
“Noi andiamo al di là di queste cose, i
puri desideri che hai espresso non sfiorano neanche lontanamente la profondità
di un animo umano.”
“E allora cosa vogliamo tutti?”
“La serenità, la pace, la sicurezza
economica.” Sarah fece una smorfia, sapeva che erano parole della
propaganda ludariana.
“Io voglio fare le mie scelte e i miei
errori, trovo spaventosa l’idea che qualcuno manipoli fin dalla nascita ogni
mia decisione.”
“Ma le decisioni che prendi saranno sempre
le tue.”
“Certo, solo perché vorrei ciò che voi
avete scritto per me.” Kintou fece un
sorriso.
“Ti rende nervoso questa discussione…
perché?” Il ludariano la guardò, sorpreso
che avesse imparato a conoscerlo così a fondo in qualche settimana di
frequentazione.
“Noi ludariani non
amiamo parlare più del necessario del nostro lavoro. Quello che facciamo è per
il bene supremo, ogni razza che abbiamo incontrato ha beneficiato del nostro
lavoro.”
“Non parlare di bene supremo, fa venire i
brividi! Tanta gente è stata uccisa con la scusa del bene supremo.”
I filamenti erano difficili da
intrecciare, non sempre si piegavano al volere del filatore. Kintou osservò con un sospiro i filamenti ricadere
scomposti, di nuovo privi di forma. Il suo lavoro era complicato dalla sua
missione personale. Aggiungere quel particolare seme nella vita dei feti che
trattava era un’impresa soprattutto perché doveva essere invisibili agli occhi
degli altri ludariani.
Kintou si tolse la giacca blu, arrotolò le maniche della camicia bianca e si
rimise al lavoro con maggiore decisione, aveva seminato centinaia di semi,
presto avrebbe iniziato a vederne i frutti.
“Ancora lo zoo?”
“Mi piacciono le specie non senzienti, non
hanno desideri complessi, solo basilari necessità. I loro destini sono
riposanti per la loro semplicità.”
“Insomma, è come guardare un libro per
bambini.” Kintou annuì, Sarah paragonava
sempre i destini ai libri. La donna lo accompagnò allo zoo e insieme a lui
guardò gli animali rinchiusi in recinti.
Salve, posso esservi d’aiuto?” Kintou alzò un sopracciglio, la donna che li aveva
interpellati era giovane, aveva i capelli rossi e un ampio sorriso sulle
labbra. Sarah sorrise e Kintou la guardò
arrossire, perplesso.
“Il vostro infuso di rosa canina.” Teresa
posò la tazza fumante sul tavolo lanciando uno sguardo curioso a Kintou che seduto con gli occhi chiusi muoveva
lentamente le mani. Con dovizia e attenzione il ludariano intrecciò
nella sua mente l’ultimo filamento, il più prezioso ai suoi occhi. Il destino
resse e lui annuì aprendo gli occhi, ora era pronto per farlo davvero.
“Grazie Teresa, potete chiamare i
signori Mercer, il destino può essere
impiantato.”
“Ti andrebbe lo zoo?” Kintou osservò perplesso Sarah, la ragazza era
arrossita e non lo guardava.
“Ci siamo andati cinque volte questo mese,
credevo ti annoiassero gli animali.”
“Così tante volte?” Sarah arrossì ancora,
chiaro segno che sapeva che la sua aria indifferente non stava funzionando.
“Sì, e ogni volta hai richiesto la stessa
guida: Elisa.” Sarah indicò un negozio di abiti maschili.
“Andiamo lì, sono stufa di vederti con
questi abiti informi e spenti. Con i tuoi occhi voglio vederti indossare il blu!
Ovviamente hai il portamento adatto ad un elegante abito giacca e cravatta.” Il
repentino cambio di soggetto era chiaramente un diversivo ma Kintou non insistette, invece si piegò ai suoi
desideri e andò a provare uno dei tipici completi eleganti degli umani.
Dana Mercer era
seduta davanti a lui, Jack Mercer invece era in
piedi e si muoveva nervosamente.
“Andrà tutto bene, Harry non sentirà nulla
e neppure voi, signora Mercer.” Kintou prese un profondo sospiro e chiuse gli occhi
mentre iniziava ad intrecciare il destino del bambino.
“Io… credo che mi piaccia…” Sarah aveva
dimenticato il suo infuso di rosa canina che ormai era freddo.
“Elisa?” Sarah arrossì, annuendo.
“Capisco, e questo è un problema? La razza umana, grazie al nostro intervento,
non prova più sentimenti come il razzismo o l’omofobia.”
“Non è quello il problema! E se non le
piacessi?” Kintou annuì, comprendendo il dilemma
della ragazza.
“Se io avessi scritto il tuo destino
potrei dirti con sicurezza che tutto andrà bene, ma a quanto pare tu hai un
destino naturale quindi…” Si strinse nelle spalle. “Dovrai buttarti.” Sarah
sorrise, gli occhi che le si illuminavano mentre si mordeva il labbro superiore
e Kintou la guardò perplesso e confuso, si
era immaginato dello sgomento davanti all’indeterminatezza della sua
situazione, ma la ragazza sembrava brillare di entusiasmo e tremare di paura
allo stesso tempo.
Fili e filamenti, sottili come un
respiro, Kintou li intrecciò con abilità ed
intelligenza. Harry avrebbe riso, giocato, imparato, sarebbe cresciuto e si
sarebbe innamorato, avrebbe studiato e sarebbe diventato la persona che
desiderava essere, fino a rendere fieri i suoi genitori e fondare una famiglia.
Kintou era arrivato con qualche minuto di anticipo. Il locale in cui erano
soliti chiacchierare prima o dopo un’escursione sulla terra era poco distante e
lui camminò per le strade illuminate dal sole. Nel cielo Ludaria stava
lentamente tramontando.
Una risata raggiunse le sue orecchie e lui
si bloccò, notando le due ragazze poco davanti a lui. Si stavano salutando. Le
loro mani erano intrecciate e le loro fronti si toccavano. Poi Sarah si tese in
avanti sfiorando le labbra di Elisa in un bacio. Era amore. Kintou aveva filato troppe volte quel sentimento per
non riconoscerlo a colpo d’occhio.
Infine l’ultimo filamento. Una gocciolina
di sudore sfuggì dalla fronte di Kintou scendendo
lungo la sua guancia e finendo nel colletto bianco della camicia, lui non se ne
accorse neppure.
Sarah piangeva, Kintou si
avvicinò rapidamente.
“Cosa è successo?” Sarah era stata la
personificazione della gioia per due settimane, Kintou non
l’aveva mai vista sorridere così spesso come in quei quattordici giorni. Eppure
adesso era in lacrime.
“Elisa…” Sarah lo abbracciò cercando
conforto, il corpo che sussultava a causa dei grandi singhiozzi.
Ribelle. Harry avrebbe avuto due figli, ma
per loro avrebbe voluto destini naturali. Quell’ultimo filamento era un’opera
d’arte, un miscuglio di sentimenti ed emozioni: capacità di pensiero autonomo,
forza di carattere, determinazione e coraggio erano solo i primi dettagli di un
filamento con migliaia di implicazioni.
Kintou lo filò con mani esperte. Non era la prima volta.
Elisa stava chiacchierando con un collega
accanto alla voliera. Kintou le si avvicinò
quanto bastava per poterla guardare poi chiuse gli occhi. Il destino della
donna era lì, davanti a lui. Bello, equilibrato, elegante. Kintou fece un passo indietro come se fosse stato
colpito. Sussultò inorridendo. Quello era un destino ludariano e
a filarlo era stato lui. Aveva intessuto per Elisa un destino molto semplice,
ricco di soddisfazione e di amore. Un amore eterosessuale, così come avevano
desiderato i suoi genitori quando, ventitré anni prima, gli avevano chiesto di
dare alla loro bambina un matrimonio felice e accettato dalla società. Ventitré
anni prima la società avrebbe accettato con difficoltà il tipo di amore che
Sarah ed Elisa avevano avuto e così Kintou non
glielo aveva concesso. Elisa non aveva nessuna colpa, quando si era allontanata
dalla strada tessuta per lei, le redini del destino l’avevano corretta.
Kintou osservò il proprio riflesso. Indossava quegli abiti e beveva infuso
di rosa canina, anche se non gli piaceva, per ricordarsi quello che aveva
fatto, per ricordarsi di lei.
Aveva spezzato il cuore di Sarah, aveva
spento la sua luce, la sua felicità. E lei era solo una goccia, in un mare di
possibili felicità spezzate. Spezzate da lui. Eppure non era solo quello,
l’esperienza del dolore rendeva gli esseri viventi diversi, una diversità di
cui Kintou solo troppo tardi aveva appreso
l’importanza.
Non vedeva Sarah da due anni, ci era
voluto del tempo alla sua mente millenaria per assimilare il danno che aveva
fatto e per giungere alla conclusione che se solo lei avesse avuto un destino
artificiale allora avrebbe raggiunto la sua felicità e nessuno le avrebbe
spezzato il cuore.
Ora era lì, seduto davanti a lei. La ragazza
di un tempo era sparita e Sarah era diventata una donna matura, eppure certe
cose non erano cambiate, infatti, proprio in quel momento, la donna,
sorseggiava pensierosa il suo infuso di rosa canina.
“Certe cose non cambiano, tu non sei
cambiato.” Kintou sorrise, inquieto. “Sei
nervoso.” Constatò allora lei abbassando la tazza.
“Sì.”
“Perché?”
“Temo per il tuo futuro.” Era la verità,
aveva visto lui stesso la sofferenza della donna e non poteva farci nulla, un
destino avviato era impossibile da cambiare.
“Non devi.” Sarah tese il braccio
sfiorandogli la mano. Kintou annuì anche se
un altro sorriso, sintomo di nervosismo, gli apparve sulle labbra.
Quel giorno era ancora impresso in lui.
Mentre stava salutando Sarah avevano assistito ad un grave incidente. Un
giovane, sapendo di avere un futuro lungo davanti a lui, stava andando a
velocità folle con la sua automobile ed era andato a sbattere contro
un’utilitaria. Sulla seconda macchina due bambine e la loro mamma stavano
tranquillamente rientrando a casa. Il ragazzo non si era fatto neppure un
graffio così come le due bambine, uscite dall’auto incolumi e al sicuro, grazie
al loro destino che prevedeva una bella vecchiaia, ma non era lo stesso per la
madre. Nessuno si era mosso mentre la donna, bloccata tra i detriti dell’auto
distrutta, chiedeva aiuto. Lui stesso aveva osservato la scena immobile. Ma
Sarah era diversa.
Kintou aveva chiuso gli occhi e osservato per la prima volta il suo destino.
I filamenti di dolore provato durante la sua vita l’avevano resa forte, non era
un coraggio vuoto o artificiale il suo. Senza esitare era entrata nell’auto che
iniziava a prendere fuoco e aveva tirato fuori la donna, mentre l’adagiava a
terra Kintou aveva sussultato: il destino di
Sarah finiva quel giorno.
L’esplosione aveva provocato un’ondata di
calore e Sarah si era protesa sulla madre ferita, proteggendola con il suo
stesso corpo. Era morta pochi minuti dopo, le ustioni troppo gravi per
permetterle di resistere fino all’arrivo dei soccorsi. Per la prima volta Kintou aveva pianto. Osservando attorno a sé aveva
visto visi distogliersi, nessun di loro era predestinato a provare dolore, nessuno
di loro fu minimamente sfiorato dall’atto eroico di Sarah. Il ludariano rimase a lungo ad osservare: solo coloro che
avevano destini naturali erano empaticamente coinvolti e solo nei loro destini
quell’esperienza stava imponendo un segno, un nuovo filo che rafforzava il loro
carattere e cambiava la loro visione del mondo, dalla tristezza per la morte di
una giovane si imparava ad apprezzare la propria vita e la vita dei propri
cari, i colori erano più luminosi, tutto era diverso. Kintou scioccato
e spaventato aveva finalmente capito perché Sarah aveva sempre difeso il
proprio destino naturale. Che lo volesse o no, lui e la sua razza erano i
cattivi. E la cosa più terribile era che non se ne rendevano neppure conto.
Comprendendo quanto dannoso fosse il loro
intervento, aveva osservato gli umani con occhi diversi. Compassione, empatia,
pietà, stavano sparendo. Gli umani non provavano più l’eccitazione per una
sfida, non sentivano più il brivido del rischio, non assaporavano più la pura
gioia della riuscita, perché sapevano, dentro di loro erano consapevoli, che
tutto quello che avevano e avrebbero mai avuto era già scritto.
Con la loro pretesa di superiorità i ludariani giocavano a fare gli dei, plasmando intere
razze affinché fossero così come loro credevano dovessero essere. Certo,
portavano benefici: pace, prosperità e apparente felicità a tutti… ma a che
prezzo? Intere esperienze venivano cancellate: dolore, sacrificio, sofferenza
erano aspetti intrinsechi della vita e loro li avevano spazzati via.
Il popolo imperfetto e così ricco di
sfumature che avevano trovato, arrivando nell’orbita terrestre o alifiana o santriade o nutriada, era stato trasformato in qualcosa di ordinato e
vuoto che non meritava più il nome di popolo.
Ma non sarebbe più stato così.
Kintou osservò i suoi abiti blu, il suoi occhi di un blu altrettanto
profondo e annuì. Lui, lui, il cattivo malgrado se stesso, avrebbe fatto la
differenza semplicemente restituendo alla razza umana quel sentimento di
indefinitezza che il futuro doveva avere. Perché aveva pianto quel giorno, il
sacrificio di Sarah aveva cambiato qualcosa dentro di lui e quel qualcosa non
poteva andare perso.
Il Tessitore ora tesseva destini di
ribellione e un giorno non avrebbe più dovuto tessere affatto.
Con un sorriso amaro sorseggiò il suo
infuso di rosa canina osservando il pianeta azzurro e verde ai suoi piedi.