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Autore: kleines licht    25/10/2015    1 recensioni
Dal testo: " [...]sinceramente non avevo idea di come cambiare le cose.
E avevo sicuramente paura di quel che eravamo, avevo paura di tutto quanto, sapevo che le cose continuando così sarebbero andate solamente i male in peggio ma non riuscivo a offrirle ancora quel che volevo. Mi sconvolgeva l’idea di volerle offrire davvero qualcosa ma forse dovevo imparare a conviverci."
DeanxJo
Written by: kleines licht & lastbreath
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dean Winchester, Impala, Jo, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Titolo: I may I look I'm crazy, I should know right from wrong.
Fandom: Supernatural
Rating: Giallo
Avvertenze: Probabili modifiche alla cronologia della trama
Beta: lastbreath.
Trama: Dal testo: " [...]sinceramente non avevo idea di come cambiare le cose.
E avevo sicuramente paura di quel che eravamo, avevo paura di tutto quanto, sapevo che le cose continuando così sarebbero andate solamente i male in peggio ma non riuscivo a offrirle ancora quel che volevo. Mi sconvolgeva l’idea di volerle offrire davvero qualcosa ma forse dovevo imparare a conviverci."
DeanxJo
Note: 
Saremmo molto felici di conoscere la vostra opinione sulla ff fino a qui :) Vi sta piacendo? Cosa pensate di questo capitolo?
Lasciateci il vostro parere e i vostri consigli ;)
Un bacio
J.&S.
@Image credits: tumblr
; I personaggi rappresentati non ci appartengono. Questa fanfiction non ha alcun scopro di lucro.


Pov Jo

Avevo paura di quello che era successo poco prima nel cortile della Roadhouse. Non mi ero mai sentita così.. presa da un bacio. Il problema era che, fondamentalmente, le nostre labbra si erano toccate solo per pochi secondi. Era tutto il momento precedente -le carezze, gli ansimi, i baci, gli sguardi- che mi aveva fatto capire quanto fossi in realtà nelle sue mani. 
Da quel momento capii che avrei dovuto stare lontana da lui. O avrei perso me stessa.
Così mi dileguai in fretta, fiondandomi nella mia stanza a passo di marcia. Avevo bisogno di una doccia bollente, che mi facesse smettere di pensare a lui. Alle sue mani su di me. Al suo ansimo leggero contro la mia pelle.
Solo quando appoggiai, meccanicamente, la pistola di Dean sul comò nella mia stanza, mi resi conto che ancora una volta gli avevo rubato qualcosa. Poco male, pensai, gli avrei ridato ciò che era suo dopo la mia doccia. Ne avevo bisogno, era necessaria.
Così mi spogliai in fretta, preparando il getto dell'acqua calda e fiondandomici sotto seduta stante.
L'acqua bollente non fece altro che intensificare la presenza del profumo di Dean intorno a me. Era come se le mie narici lo sentissero ancora di più. E per quel motivo, quella doccia servì solo a farmi agitare, anziché rilassarmi.
Avvolsi il mio corpo, scocciata, in un asciugamano e mi legai i capelli in una crocchia. Era ormai troppo tardi, a quanto pareva, per i ripensamenti riguardo alla vicinanza con quel cacciatore. Non sapevo cosa fare. E intanto, stava iniziando a comparire l'ombra del livido che mi aveva fatto, con quel morso. Che si aggiunse quindi a tutti gli altri sparsi sul mio corpo.
Non appena tornai in camera per cambiarmi, la porta d'ingresso della mia stanza si spalancò.
Dean.
Quasi per inerzia, deglutii, per poi aggiungere perentoria: -Che cosa ci fai qui?- gli dissi io, anche se in fondo sapevo il motivo. Non di certo per me, o per convincermi a baciarlo o a fare altro. Era per la pistola.
Quello sguardo che posò su di me, però, fu allucinante. Era come se mi avesse già tolto il cotone bianco dal corpo. O forse era solo una mia impressione. Molto probabile, visto che stavo cercando in tutti i modi di reprimere il mio desiderio nei suoi confronti.
Ecco, l'avevo ammesso. Ora dovevo solo accantonare l'idea.
-La pistola- ribadì lui, freddo. Beh, l'avevo rifiutato una seconda volta, cosa potevo pretendere?
Mi si avvicinò, credendo probabilmente che l'avessi lì vicina a me, non vedendo che era nel comò vicino alla porta. Così, non appena si avvicinò io arretrai, prendendo l'arma di metallo e porgendogliela. -Te l'avrei ridata non appena mi fossi rivestita- gli dissi, sincera. Non avevo intenzione di rubargli la pistola. Sembrava davvero..preziosa per lui.
Mentre gli porgevo la pistola, però, Dean mi prese un polso e, sfilandomi l'arma di mano e rimettendola in tasca, mi strinse appena il polso. Non voleva farmi male, ovviamente. 
-Tu hai paura di me, non è vero?- mormorò lui, e in quel momento la sua pelle calda riaccese tutta una serie di impulsi sotto la mia che mi fecero impazzire. Sembrava..diverso in quel momento. Forse aveva bevuto qualcosa.
-No che non ho paura di te. Potresti far paura forse ad una mosca- gli risposi, secca, e guardandolo negli occhi. Joanna Beth Harvelle non avrebbe mai abbassato gli occhi di fronte a nessuno. Neanche in punto di morte. Neanche al suo peggior nemico. 
-Allora dimostramelo- aggiunse, senza schiodare i suoi occhi dai miei.
E nel contempo, iniziò a massaggiarmi il polso, salendo fino al gomito. E quel suo modo di toccarmi, ancora una volta, mi fece rabbrividire e dentro di me, impazzire.
-Oh, al diavolo- sussurrai, e prima quasi che potessi finire, mi fiondai sulle sue labbra. Non me ne fregai più da quel momento in poi, volevo solo le sue mani sul mio corpo, pronte a farmi sentire di nuovo la persona più forte e importante sulla faccia della terra, perché Dean Winchester aveva messo le mani sulla mia carne. Eppure quel significato aveva due valenze: una positiva come quella che avevo detto, ed una negativa, perché sapevo bene su quanti corpi avesse fatto lo stesso.
Ovviamente, il procace cacciatore non si fece ripetere l'invito due volte, e subito le sue mani si posarono sui miei fianchi. Che cosa c'era di bello in un corpo poco formoso come il mio? Odiavo il mio fisico, anche se era perfetto per la caccia. Una quarta coppa D sarebbe stata scomodissima per portare un fucile in spalla. 
Eppure Dean sembrava gradire, specialmente quando, in due secondi, fece scivolare le mani sotto l'asciugamano, sollevandolo appena per poter lasciare che le sue dita potessero toccare la mia pelle. E così capii: dovevo fare lo stesso. Ora o mai più.
E scelsi proprio quel momento per togliergli in fretta la camicia, e poi la maglia, accarezzandogli il petto scultoreo e nudo, davanti a me. Se nel mentre di tutto questo le nostre labbra non si erano lasciate un attimo, mi presi il tempo necessario per guardare quel corpo che a mio tempo avevo saggiato. E ci trovai i miei stessi segni, anche se in parti diverse del suo torace. Non potei fare a meno di sorridere, prima di affondare le labbra nel suo collo.
In una manciata di secondi, invece, mi sentii non solo nuda mentalmente davanti a lui, ma anche fisicamente: mi strappò di dosso l'asciugamano, e priva di impedimenti, mi prese di nuovo in braccio e mi trascinò sul mio letto. Solo in quel momento sentii appieno lo sguardo di Dean posarsi sul mio corpo. Mi sentii terribilmente inerme, piccola e.. ormai un suo strumento. Lo ero diventata, consenziente o meno.
Dalla mia potevo dire di aver di nuovo lottato contro di lui, e di aver avuto, alla fine, un ruolo importante durante tutto l'atto: lo sentii ansimare forse un paio di volte sotto di me, grazie ai miei baci, alle mie carezze, ai miei morsi. Solo quando eravamo effettivamente nudi entrambi gli concessi di portarmi sotto di sé definitivamente, saggiando il mio corpo prima di farlo suo completamente.
Eppure quella volta fu leggermente più dolce della precedente. C'era lo stesso trasporto, ma stavolta meno.. finalizzata solo all'atto in sé. Andammo a letto insieme perché lo volevamo in maniera più consapevole. Avevamo cercato quel contatto intimo nella maniera più disparata, finendo anche a carezzare e baciare l'altro con la speranza di risentire presto il contatto tra le nostre labbra o i nostri corpi.
Le sue mani, insistenti ma delicate, furono piacevoli da sentire addosso. Così come non ricordavo come le sue labbra fossero esigenti ma allo stesso tempo dolci, su ogni parte del mio corpo. Ero sicura che fosse un caso, e che quel modo di stare con una donna fosse per lui convenzionale. Io invece mi esposi, ancora una volta, più del dovuto. Perché anche se cercavo in tutti i modi di dargli piacere, quando ancora era sotto di me, lo feci con un'attenzione che non era da me. Eppure venni ripagata: come lui mi aveva sentita ansimare più volte, stessa cosa accadde a lui, vittima dei baci che gli concedevo, così come lui aveva reso succube me.
Ma quando entrò in me, la sentii chiara e tonda la scarica elettrica che mi invase, e che mi portò di nuovo a conquistare le sue labbra, dalle quali mi separavo solamente per prendere ogni tanto un po' di fiato. La danza dei nostri bacini fu così letteralmente travolgente che mi resi conto che, nonostante tutti i miei sforzi..ero dannatamente sua. E non potevo fare altro che permettergli di continuare, di stringermi e stringerlo, graffiandogli la schiena quasi come punizione.
Venire quella volta tra le sue braccia fu terribilmente appagante, forse anche perché dopo circa due secondi anche lui, con un gemito, mi concesse il piacere di guardarlo e anche di imprimere il modo con cui si mordeva le labbra, con gli occhi chiusi, e si accasciava sul mio seno. Lo stesso che aveva baciato e accarezzato con desiderio, facendomi rabbrividire ogni volta. 
Lo sapevamo entrambi che era qualcosa di più di prima. Ma evidentemente non volevamo ammetterlo né a noi stessi, né all'altro. Non ne eravamo capaci.
E così ci addormentammo, semplicemente, dopo un'occhiata lunga e intensa, prima di chiudere entrambe le palpebre.
Avevo ancora la sensazione di avere le sue braccia intorno quando mi svegliai ed il sole filtrò dalla finestra. Quando aprii gli occhi, mi ritrovai effettivamente con la testa sul suo petto e un braccio attorno alle spalle. Forse era questo il risveglio che avrei voluto avere quella mattina, ma che l'orgoglio, in qualche modo, mi tolse.
Se da una parte il mio corpo voleva la doccia mattutina, dall'altra non volevo separarmi dal suo profumo. Mi aveva cullata tutta la notte, e non volevo lasciarlo. Per cui, dopo aver aperto gli occhi, li richiusi, fingendo di dormire.
-Lo so che sei sveglia...- mormorò Dean, con la voce impastata dal sonno. Non mi ero accorta che fosse sveglio perché l'avevo visto con gli occhi chiusi. Allora mi chiesi: mi aveva abbracciata nel sonno, oppure era una cosa voluta in quel momento?!
-Volevo dormire un altro po'..- aggiunsi io, ancora con la testa nascosta nel suo corpo caldo, sopra al suo cuore. Era una posizione casuale, realmente. Era solo..calma, tranquilla, beata. Mi sentii bene non appena realizzai di essere stata cullata dal battito del suo cuore tutto il tempo.
Lui non rispose a quel punto, permettendomi, in tacito silenzio, di rimanere in quella posizione. Ancora accoccolata su di lui, però, ripresi: -Hai visto che non ho paura di te?!-. Era come per dire “sono venuta ugualmente a letto con te, seppur contro le tue previsioni”. Dean sospirò, enigmatico. Due a zero per me.
Diedi una sbirciata alla sveglia, e mi resi conto dell'ora, tardissima, e che di lì a poco mia madre sarebbe passata a svegliarmi se non mi avesse visto di sotto. -Credo in ogni caso di dover andare.. la Roadhouse chiama- dissi controvoglia, separandomi da lui e alzandomi dal letto dopo una lenta stiracchiata.
Mentre andavo verso il bagno, inciampai sotto qualcosa che per poco non mi faceva fare un triplo salto mortale. E vidi un portafoglio, che sicuramente era di Dean, con alcune foto sgusciate fuori. Come gli avevo sfilato i jeans?!
Lo raccolsi per porgerglielo, anche con le foto annesse, e tra una di queste mi trovai tra le mani la foto di Dean, Sam e..un uomo barbuto, scuro di capelli, che sorridevano verso l'obbiettivo.
Guardai a lungo quella foto, mentre Dean mi diceva perentorio di consegnargli tutto. Gli ridiedi effettivamente il portafoglio e le altre foto, ma quella la tenni in mano, studiando quel volto. Dove l'avevo già visto? Ero sicura che fosse una persona già chiara nei miei ricordi. Eppure continuavo a sentire Dean che mi chiamava, per riavere anche quel piccolo fotogramma. Ma non lo ascoltai.
Che quello fosse il padre dei due Winchester era più che chiaro. Ma come mai io lo ricordavo?!
Tornai indietro nel tempo fino a dodici anni fa. E mi ricordai dello stesso uomo che venne alla Roadhouse alle cinque del mattino, per darci la notizia che mio padre era morto durante una caccia e che, sfortunatamente, Winchester senior non era riuscito a salvare. 
Mia madre non mi raccontò mai che cosa si dissero dopo lei e quell'uomo, ma io, ad otto anni, ero già consapevole di alcune cose che succedevano là fuori grazie ai racconti di mio padre. Ricordai che mi nascosi dietro la porta del magazzino, e sentii “l'uomo nero” parlare di un attacco da parte di alcuni demoni, gli stessi che mio padre scacciava da sotto il mio letto. E poi di un colpo di pistola partito dall'uomo nero nei confronti di mio padre. Il resto era frammentato, un po' perché non capii, un po' perché forse non volevo ricordare. Col tempo avevo pensato che quell'uomo, anziché trovare una cura per quello che era successo a mio padre -e se erano stati davvero demoni, un esorcismo- e preferì ucciderlo sul colpo. Perché così facevano i cacciatori. Perché era meglio salvare le informazioni su un eventuale piano, che farlo con una vita. Anche se si trattava di un padre di famiglia, con una bambina di otto anni, e che da quella scelta sarebbe cambiato anche il destino di quella ragazzina dalle trecce bionde.
Quell'uomo aveva popolato i miei incubi per molto tempo. Per me quell'uomo era segno di maledizioni, di qualcosa di incredibilmente negativo, perché mi aveva portato la notizia della morte di mio padre. Aveva anche provato a consolarmi, ricordavo, ma ero così arrabbiata che me ne scappai, dalle sue braccia. 
E la reazione di Dean all'osservazione della foto mi fece capire che lui sapeva. Me la strappò letteralmente di mano, rischiando anche di romperla. E gliela feci prendere, con le dita che quasi scottavano per aver visto, vivo, vegeto e sorridente, l'uomo che aveva distrutto la mia famiglia.
Ma la cosa che più mi ferì.. era che adesso sembrava quadrare tutto. L'arrivo alla Roadhouse, la decisione di rimanere proprio lì, un locale che non era un motel o un albergo..e la sua decisione di addestrarmi. Lui sapeva che cosa suo padre aveva fatto. E non me l'aveva detto. 
Non che il passato potesse essere cambiato dalla sua verità. Ma avevo tanto voluto sapere chi diavolo fosse quell'uomo, io che avevo solo otto anni e non potevo ricordarlo. Eppure lui poteva capire come ci si sentisse a non sapere che cosa diavolo ti aveva strappato via un genitore. Tutti sapevano la storia di Mary Winchester. Ed io allora che cos'ero? Non avevo il diritto di dare un nome all'uomo che aveva cercato la strada più breve, piuttosto che aiutare mio padre a salvarsi? 
Dopo averlo guardato con tutta la delusione di questo mondo, piena di risentimento nei suoi confronti, mi voltai e mi avviai verso il mio bagno. Certo, non eravamo buoni amici, per carità. Ma pensavo che almeno per una questione di etica, di morale o di qualsiasi altro, potesse essere sincero in un “affare da cacciatori”. Invece no.
-Jo aspetta, io...- mormorò lui, afferrandomi un braccio, dalla cui stretta mi divincolai con forza, senza neanche voltarmi o guardarlo.
-Devo farmi una doccia. Lasciami in pace- sibilai tra i denti, sconvolta e con la sola voglia di piangere e sfogare tutte quelle lacrime che avevo tenuto represse per anni. Consapevole che una volta dopo aver capito tutta la storia, mi sarei liberata di quel dolore. Invece era diventato ancora più pesante. Mi sentivo soffocare.
Dean mi strattonò ancora, verso di sé, come aveva già fatto. Ma quella volta io non cedetti. Così sospirò, intento a trovare le parole giuste. -Ho saputo della tua storia da Ellen quando sono arrivato. Non sapevo assolutamente che cosa era successo a tuo padre o roba del genere- provò a giustificarsi lui. Ma in quel momento sentii la rabbia prevalere sul dolore, e mi girai di scatto.
-Prova a dirmi che, quando l'hai saputo, non hai pensato subito al tuo vecchio che tornava da una caccia più tardi del previsto. E che da quella caccia era partito con qualcuno ed era tornato da solo, con le mani sporche di sangue, e probabilmente anche l'anima. E dimmi che poi non hai scoperto che alla Roadhouse tuo padre non è più tornato, nonostante fosse amico di mio padre e cliente abituale, perché non riusciva a guardare più negli occhi mia madre dopo quello che aveva fatto. Avanti, dimmi che non è così. Vediamo se riesci ancora a sostenere le bugie- gli dissi io tra i denti, nuovamente, piena fino all'orlo di tutte le bugie che all'improvviso mi piombarono addosso. Non solo le sue, ma anche quelle di mia madre, che sicuramente sapeva che Dean era figlio dell'uomo nero, e che non mi aveva detto niente. In un secondo mi era crollato tutto addosso.
Dean non rispose. E quella fu la mia vittoria, anche se suonò dentro di me come una sconfitta. Lui, che tanto si vantava dei suoi onori e della sua morale, della sua forza.. non era capace di guardare negli occhi una ragazzina, come mi definiva lui, e dirle la verità. Mi sentivo così sciocca, nuovamente, per avergli dato un altro pezzettino di me quella notte e di aver ricevuto in cambio solo bugie.
Mi morsi le labbra, nervosa, sul punto di scoppiare a piangere davvero come una bambina, e abbassai lo sguardo per riprendermi un momento, prima di rialzarlo fiera, consapevole di avere ancora gli occhi leggermente lucidi. -La prossima volta che mi vuoi portare a letto, fatti un esame di coscienza, Winchester. Sei un fottuto bugiardo arrivista, niente di più- sussurrai, e poi mi rifugiai in bagno, aprendo il getto della doccia ma senza sgusciarci dentro. 
Mi lasciai scivolare contro il muro della doccia, raggomitolandomi sul piatto di marmo, solo quando sentii la porta della mia stanza chiudersi lentamente. Ed il mio muro, irrimediabilmente, si ristabilì di un colpo. Avevo fatto male a permettere almeno a lui di infrangerlo, con tutta la sua aria da sex symbol e da ragazzo che, tutto sommato, era sincero e affabile sotto la scorza da duro. Invece si era dimostrato un semplice bugiardo, che pur di arrivare ai propri scopi, era capace di mentire così spudoratamente. Ed io come una sciocca ci ero cascata con tutte le scarpe. 
 
Pov Dean

Non ero tipo che amava andare in bianco. Per quel che mi riguardava odiavo l’idea che Jo fosse stata capace di umiliarmi per tre volte. Mi sembrava una cosa profondamente stupido, e pensavo che la cosa migliore fosse semplicemente rimanere uno lontana dall’altra, andandomene il prima possibile.
Intendevo smontare le tende subito dopo aver sistemato la mia auto e intendevo farlo in fretta, a costo di rimanere a smontare e rimontare la mia auto duecento volte. Non mi interessava di nulla, non volevo nemmeno pensarci e sinceramente prima me ne andavo meglio era.
Avevo provato a essere gentile, a difenderla anche in parte e provare a far fronte ai danni del suo vecchio ma evidentemente non avrebbe mai apprezzato niente di quel che avrei fatto. Tanto valeva ignorarla, che morisse pure…per quanto odiassi perdere, e odiassi ancora di più essere la causa di una morte di qualcuno.
Purtroppo sapevo fin troppo bene che se le notizia della sua morte mi avesse raggiunto mi sarei sentito responsabile: mi sarei semplicemente incolpato di non averla aiutata abbastanza, di non averle impedito a sufficienza di fare qualche cazzata. E io odiavo sentirmi in colpa, avevo imparato sulla mia carne che il senso di colpa porta alla morte. E speravo di esservi scampato, per questa volta.
Evidentemente mi ero sbagliato. Se Jo non mi lasciava la possibilità di aiutarla, io non potevo sicuramente farlo. Non mi stava lasciando scelta, non mo stava in nessun modo concedendo di fare quel che volevo, non si stava facendo aiutare come se avesse paura di me. Odiavo profondamente perdere, detestavo il sapore della sconfitta che mi rimaneva in bocca e ancora di più odiavo che lei mi avesse rifiutato proprio quando stavo cercando di essere una persona gentile, comprensiva.
Non lo ero quasi mai, era qualcosa di decisamente nuovo per uno come me e detestavo il fatto che a lei non importasse nulla di niente, come se nulla potesse toccarla o interessarla, come se non si fosse accorta che stavo davvero provando a sforzarmi, unicamente per lei. Detestavo quell’idea, non riuscivo nemmeno a concepire perché lo stesse facendo: non sapeva semplicemente fare qualcosa di carino per una volta, lasciarmi fare?
Senza parlare della sua mania di rubarmi le cose. Nella confusione del momento e nella sensazione di scombussolamento che mi aveva dato non riuscivo nemmeno  che cosa dire o che cosa pensare, non avevo sicuramente connesso il fatto che la pistola fosse rimasta con lei.
Me ne accorsi una volta in camera, e fui profondamente combattuto se andare o no. Ancora una volta fu soprattutto la voglia di riprendermi quel che era mio a portarmi nella sua stanza, altrimenti sarei volentieri rimasto semplicemente al mio posto. Odiavo l’idea che potessimo rivederci di nuovo, dopo che mi aveva nuovamente mandato il bianco.
Sicuramente Dean Winchester non ero tipo che accettava cose di quel genere e io per primo sicuramente non intendevo lasciar passare qualcosa del genere, e non mi importava sicuramente di qualcosa del genere. Avrei voluto e dovuto ignorarla e lasciarla a sé stessa, avrei dovuto lasciar perdere ma lasciarle una delle mie armi … era fuori discussione.
Presi un profondo respiro e uscii dalla stanza, arrivando alla sua. Aprii la porta senza preavviso, volutamente non anticipando il mio arrivo perché molto semplicemente non mi importava di niente. Volevo la mia pistola indietro, punto e basta.
Entrai sicuro di me, fregandomene di quel che poteva essere sul punto di fare, o del trovarla in vesti poco consone. Cavoli suoi, avrebbe dovuto imparare a chiudere la porta a chiave con me in giro. Con me in giro, neanche non avessi dovuto andarmene solo qualche ora dopo!
Per quel che mi riguardava pensavo semplicemente che, in qualche modo, tutto quello fosse semplicemente surreale. Pensavo che quello fosse una di quelle cose che non accadono a quelli come me, o che fosse nemmeno accadono e basta. Ero confuso, piuttosto spiazzato e stanco, tremendamente stanco.
Stanco di avere il suo corpo davanti, come una continua tentazione, e di non fare altro che rimanere a bocca asciutta. Personalmente detestavo quell’atmosfera e quel che stavamo facendo e cercando di fare. Mi stava dando i nervi, e io non ne avevo bisogno. Prima Sam poi quello … era fin troppo.
Sbuffai profondamente e lentamente, non riuscendo a fare altro che provare ad appellarmi alla mia santissima pazienza. Avevo bisogno che in qualche modo facessimo qualcosa di concreto, al di là del sesso: non mi importava, volevo smetterla di snervarmi per qualcosa, e di solito ero bravo a cancellare le cose che mi infastidivano.
I miei occhi incontravano semplicemente il suo corpo in parte nudo, coperto a stento da un asciugamano. Quello era un affronto … che non avrei colto. Non intendevo mettermi più di tanto in mostra, volevo semplicemente smetterla di farmi dei problemi. Forse avevo bisogno di sano sesso senza pensieri, e avrei dovuto cercare sicuramente qualcun altro.
Chiesi con forza e sicurezza quel che volevo, nascondendo le cose che pensavo come ero da sempre abituato a fare. Malgrado tutto, e malgrado quel che pensavo fu lei ad avvicinarsi a me e questa volta non scherzava. Forse si era bevuta qualcosa, forse molto semplicemente non aveva fatto altro che sciogliersi anche se per una “rigida” come lei mi sembrava assurdo. Era brava a non cedermi e forse era una delle prime.
Non feci altro che assecondarla, rimanendo comunque inizialmente all’erta. Non ero pronto a farmi fregare di nuovo ma il suo corpo divenne velocemente così tanto eloquente che non riuscii a non cedere. Era troppo chiaro quel che lei aveva intenzione di fare, per una volta, e forse mi diventava troppo difficile capire quel che stava pensando: se lei ci stava forse nemmeno mi importava, non volevo nemmeno pensarci sopra, ero solamente contento di potermi sciogliere.
Lo feci senza problemi, vezzeggiando il suo corpo e lasciandola semplicemente fare quando fu lei a voler semplicemente concentrarsi su di me. La lasciai fare, lasciando il suo corpo libero di farmi qualunque cosa nel limite dell’accettabile. Lasciai che mi viziasse, per quanto fosse abituato a certi trattamenti non mi stancava sicuramente “subirne” di nuovi.
Ansimai lentamente e profondamente, non facendo altro che godere di qualcosa che fosse non avrei dovuto apprezzare così tanto. Mi sembrava che in qualche maniera tutto quello fosse semplicemente assurdo, eppure tremendamente vero, finalmente. Non feci altro che godermi tutto quanto, rilassandomi prima o poi.
Mi addormentai accanto a lei ma abituato com’ero a pochissime ore di sonno mi svegliai piuttosto presto. Malgrado non fossi tipo da carezze e coccole, mi ritrovai ad averla contro di me e non riuscii semplicemente ad allontanarla. La lasciai stare, osservandola dormire per un tempo imbarazzante, e alla fine notai chiaramente quando si svegliò. Era forse fin troppo semplice, soprattutto per me.
Pensavo che, vista la mancanza di urla mattutine e il suo tono stranamente dolce e gentile le cose fossero improvvisamente cambiate. Era assurdo ma non stava facendo la gallinella spaurita, o almeno non lo fece da subito, anzi sembrava piacevolmente sorpresa di avermi così vicino, e mi sorprese quando ammise di voler rimanere ferma lì ancora un po’.
La lasciai fare, sconvolto da qualcosa di così tanto tranquillo e normale, soprattutto per me che non vivevo mai cose del genere,  e la lasciai fare svegliandomi finalmente col piede giusto. Stranamente per questa volta non sembrava essere una cattiva giornata e, ancora più strano, era forse merito di Jo.
La seguii con lo sguardo, e forse avrei dovuto aspettarmi un cambiamento repentino e negativo. Non ero sicuramente fatto per vivere giornate felici e tranquille, e non riuscivo quasi nemmeno a pensarci ormai. Avrei dovuto capirlo subito.
Provai a riparare ma quel che aveva trovato era qualcosa che non avrei potuto riparare: tra le mani aveva una foto di me, Sam e mio padre e potevo sperare in qualche maniera che non lo riconoscesse, ma visti i suoi occhi probabilmente non era così, anzi doveva aver capito subito di che cosa si trattasse.
Non volevo che reagisse così, avrei tanto voluto che capisse che io non volevo farle del male, per una volta, non riuscivo a fare altro che provare a proteggerla. E avevo fallito.
Non mi rimase molto che non fosse incassare il colpo, mettere via il fatto che mi sentissi uno schifo e andarmene. Il sapore di fallimento mi copriva praticamente ovunque, lo sentivo pesarmi addosso e tormentarmi già solo qualche istante dopo. Avrei dovuto esserci abituato ma evidentemente le sconfitte non sono mai abbastanza.
   
 
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