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Autore: Rinalamisteriosa    25/10/2015    3 recensioni
L’aveva intuito benissimo da sola, ma era stata dannatamente brava a mantenere la sua dignità e la sua serenità, a non lasciarsi scalfire dalle confidenze discrete di Fugaku, dalle chiacchiere cattive della gente e dai discorsi prudenti all’interno del quartiere.
Lo faceva principalmente per loro, per Fugaku e per i figli. Per la sua famiglia.
Ma a volte, quando era sola con se stessa, poteva anche permetterselo. Poteva lasciarsi andare alla malinconia e ai ricordi, non c’era nulla di male in questo.

[Mikoto & Kushina friendship]
- Seconda classificata al contest “The Uchiha Tarots” indetto da bridgetvonblanche -
**Partecipa alla challenge senza scadenza “100 % prompt to write about them”**
**Partecipa alla challenge senza scadenza “Benvenuti al Banco dei Prompt!”**
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Itachi, Kushina Uzumaki, Mikoto Uchiha
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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- Scritta per il contest “The Uchiha Tarots” indetto da bridgetvonblanche -

**Partecipa alla challenge senza scadenza “100 % prompt to write about them”**

**Partecipa alla challenge senza scadenza “Benvenuti al Banco dei Prompt!”**

 

Nickname autore (su efp e sul forum): Rinalamisteriosa

Titolo: L’amore di una madre dura per sempre

Rating: verde

Uchiha protagonista: Mikoto Uchiha

Tarocco/pacchetto scelto: L’imperatrice

Citazione scelta: Un padre può voltare le spalle a suo figlio, fratelli e sorelle possono diventare nemici inveterati, i mariti possono abbandonare le loro mogli, le mogli i loro mariti. Ma l’amore di una madre dura per sempre.

[Washington Irving]

Prompt usati nelle challenge: 14.Ricordi (per Benvenuti al Banco dei Prompt – Pacchetto Angst);

72 - Lacrime (per 100% prompt to write about them).

Introduzione: L’aveva intuito benissimo da sola, ma era stata dannatamente brava a mantenere la sua dignità e la sua serenità, a non lasciarsi scalfire dalle confidenze discrete di Fugaku, dalle chiacchiere cattive della gente e dai discorsi prudenti all’interno del quartiere.

Lo faceva principalmente per loro, per Fugaku e per i figli. Per la sua famiglia.

Ma a volte, quando era sola con se stessa, poteva anche permetterselo. Poteva lasciarsi andare alla malinconia e ai ricordi, non c’era nulla di male in questo.

Eventuali avvertimenti: ////

Eventuali note: Questa storia partecipa a un contest tutto dedicato al Clan Uchiha.

Poi ho optato di farla partecipare anche a due challenge.

Riguardo al contest: In ogni Arcano Maggiore vi era celato un personaggio e a me erano capitati Mikoto per l’Imperatrice, Kagami per la Temperanza. Ovviamente avevo scelto subito la prima, senza indugio! *-*

Il personaggio di Mikoto mi è sempre piaciuto, è una donna dolce, gentile, severa e controllata all’occorrenza, che prima di sposarsi e di fare la casalinga aveva anche ottenuto il rango di Jonin.

E poi mi colpì molto vederla imperturbabile al momento della morte, quando nel manga svelarono il flashback inerente a Itachi costretto ad assassinare i genitori (che amarezza proprio ç.ç). Cioè, non aveva versato una sola lacrima, è una grande! ^^

Io però ho voluto renderla più umana in questa one-shot, immaginando i suoi sentimenti di amicizia e rispetto verso Kushina Uzumaki (poi chi mi conosce sa che lei è la mia preferita, dovevo inserirla per forza! u.u)

Riguardo al collegamento con l’Arcano, l’Imperatrice è sempre raffigurata con un volto dolce, materno e intelligente. Oltretutto, tra le interpretazioni della carta, ho trovato questa frase sul web: “L’intelligenza viene sfruttata nelle sue armi: diplomazia, tatto e sensibilità. Rimanda al benessere interiore, alla benevolenza e all’amicizia leale.

Così ho parlato di Mikoto senza dimenticare il significato del terzo Arcano Maggiore, spero di averlo interpretato decentemente ^^

Ma dovevo anche mostrarla come madre e da lì è nata l’interazione con il suo primogenito, che tra l’altro è un rapporto da 5 punti bonus, insomma speriamo bene! XD

Buona lettura! ^__^

Disclaimer: I personaggi citati non mi appartengono e non ho scritto a scopo di lucro.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

Era successo nel corso di una missione lampo intrapresa nel Paese dell’Acqua.

Era servito l’intervento tempestivo di tre squadre di Konoha, partite appositamente per riportare l’ordine e per garantire il successo dell’operazione.

Qualcuno però ci aveva rimesso la vita, a causa di una ferita mortale che i ninja medici non erano riusciti a risanare prima che fosse troppo tardi.

Si trattava di un giovane ninja del Villaggio delle Cascate.

Mikoto Uchiha non era altro che una chuunin, una ragazza di sedici anni, quando assistette alla triste scena di una madre straziata dal dolore per la prematura morte di suo figlio, la suddetta vittima.

Piegata in due accanto a un cadavere ormai pallido, rigido e freddo, piangeva lacrime di pura disperazione e continui lamenti risuonavano dove altrimenti vi sarebbe stata solo una cappa di innaturale silenzio.

Mikoto provò molta pena per quell’umile contadina, per quella donna tanto angosciata, anche se apparentemente l’Uchiha stava dimostrando un’ineccepibile compostezza e una perfetta maschera di autocontrollo, abituata fin da piccolissima a portarla, a non mostrare in modo palese le sue vere emozioni al di fuori delle sicure mura domestiche.

Al suo fianco stava una genin, una ragazzina di dodici anni dai lunghi capelli rossi, incapace di restare completamente impassibile di fronte a un momento tanto terribile e doloroso come quello.

Mikoto sospirò. «Non possiamo fare nulla per lei», esordì in tono incolore.

Kushina tirò su col naso, asciugandosi poi le lacrime con il palmo di una mano. Si era profondamente commossa e non aveva motivo di nasconderlo all’amica accanto.

«Mikoto, lo so bene, ma... Non pensi anche tu che un figlio non dovrebbe mai lasciare questo mondo prima della propria madre?» mormorò con dispiacere.

Entrambe rimanevano distanziate per una questione di rispetto, quindi potevano anche parlare tra loro, permettersi di confidare i propri pensieri su un argomento così delicato.

«Di sicuro non lo dimenticherà mai. L’amore di una madre dura per sempre», rispose la kunoichi più grande, annuendo semplicemente, per poi scambiare uno sguardo eloquente con l’altra, che strinse i denti di rimando.

«Io al suo posto preferirei essere morta prima…» aggiunse Kushina serrando forte i pugni. «Sì… Se fossi una madre, donerei la mia vita se servisse a impedire una simile ingiustizia».

Ed era assolutamente convinta di ciò.

Poi non volle aggiungere altro, si discostò e l’altra la vide allontanarsi, probabilmente stava andando alla ricerca di Minato Namikaze che, come loro, aveva preso parte alla missione assieme alla sua squadra.

«Kushina…» pronunciò.

Avrebbe voluto dire che in fondo la capiva e credeva che sarebbe stata davvero capace di compiere un sacrificio estremo. Mikoto tese il braccio verso la sua schiena che si allontanava di più, sempre di più, aprì la bocca ma non le uscì alcun suono.

Voleva parlarle ancora, ma non le riusciva…

Perché?

 

 

*

 

 

Colta da un’inquietudine interiore, la donna decise di abbandonare il caldo e rassicurante tepore del futon e di vagare in silenzio per la sua casa tradizionale, con indosso lo yukata.

Era da quando aveva saputo una determinata notizia in mezzo a tante altre drammatiche e spiacevoli che faceva quel sogno, da esattamente tre giorni a quella parte.

A piedi scalzi raggiunse la cucina rischiarata dalle prime luci del mattino e bevve acqua da un bicchiere pulito.

Si sarebbe dovuta svegliare comunque, per scaldare l’acqua per il tè, per preparare la colazione al marito e al suo primo figlio, per attendere il pianto che annunciava il risveglio del secondogenito, di quasi tre mesi.

Mikoto Uchiha fece tutto meccanicamente per contenersi, per non cadere nello sconforto, per non deludere nel suo ruolo di madre gentile, affidabile e premurosa, per dimostrare serietà qualora fosse stato necessario.

Tutto ciò, pur sapendo che molte persone, tra innocenti e shinobi, avevano perso le loro vite durante l’attacco improvviso e catastrofico del Kyuubi.

Tutto ciò, pur sapendo che una donna così esuberante e piena di energie come Kushina Uzumaki si era sacrificata per un bene superiore, per la pedina più importante della sua scacchiera. Voleva ricordarla in quel modo, allegra e sensibile, estroversa e suscettibile, ma con un carattere forte e deciso, capace di tenere testa al pericoloso demone sigillato dentro di lei.

Voleva ricordarla come una compagna di missioni chiacchierona e imprevedibile, come un’amica sincera e volenterosa.

Voleva ricordarla come l’ultima volta che si erano incontrate per caso, in mezzo alla strada, che sprizzava gioia da tutti i pori anche se doveva essere molto tesa perché si avvicinavano per lei i giorni del parto, che guardava intenerita Sasuke e si augurava che i loro piccoli facessero amicizia, in futuro.

A Mikoto tremarono impercettibilmente le mani mentre stringeva il manico freddo della teiera, prima di accendere il fuoco e di metterla a bollire.

Come nel sogno, finché si parlava di una cosa delicata che in fondo non la toccava minimamente, non ancora, era più facile superare il dispiacere.

Il Clan Uchiha stava attraversando un momento difficile, il futuro si prospettava incerto e non c’era stato alcun bisogno che suo marito la informasse sul fatto che tutti gli abitanti di Konoha, dopo quella tremenda notte, li guardavano con sospetto, come se li incolpassero di tutto.

L’aveva intuito benissimo da sola, ma era stata dannatamente brava a mantenere la sua dignità e la sua serenità, a non lasciarsi scalfire dalle confidenze discrete di Fugaku, dalle chiacchiere cattive della gente e dai discorsi prudenti all’interno del quartiere.

Lo faceva principalmente per loro, per Fugaku e per i figli. Per la sua famiglia.

Ma a volte, quando era sola con se stessa, poteva anche permetterselo. Poteva lasciarsi andare alla malinconia e ai ricordi, non c’era nulla di male in questo.

 

 

«Come ti sei procurata quel livido sul braccio? È davvero grande, forse dovresti andare in infermeria!» aveva fissato la bambina imbronciata coprendosi la bocca con la mano e sgranando appena gli occhi corvini.

Allora di lei sapeva solamente che era una piccola straniera trasferitasi da qualche mese a Konoha.

«Forse seguirò il tuo consiglio… ehm…?» lei aveva assottigliato gli occhi, forse per diffidenza, forse per semplice curiosità.

«Mikoto Uchiha. Piacere di conoscerti», si era presentata porgendole la mano e aiutandola a rialzarsi dalla radice dell’albero in cui si era momentaneamente seduta, dopo aver perso l’equilibrio ed essere caduta da un ramo alto, rimediando quella botta vistosa.

 

 

«Mikoto-san, guarda! Il coprifronte! Ho ottenuto il mio primo coprifronte!» aveva esultato Kushina, facendo una giravolta su se stessa e mostrandole poi l’emblematico oggetto in questione.

«Congratulazioni! Così il primo passo verso la realizzazione del tuo sogno è compiuto…» aveva replicato lei gentile, con un lieve sorriso e le mani sui fianchi, offrendosi per legarglielo sulla fronte.

«Pensi che diventerò davvero il primo Hokage donna della storia?» aveva domandato estasiata, voltandosi appena mentre lei faceva un bel nodo all’Uzumaki e lo nascondeva fra le ciocche di capelli cremisi.

«Penso soltanto che possiedi la volontà giusta. Tuttavia non montarti la testa prima del tempo, mia cara, non sappiamo cosa il destino ha in serbo per noi».

 

 

«Come dovrò chiamarti adesso? Signora Uchiha?» si era avvicinata con un’insolita timidezza per farle gli auguri per il suo matrimonio, per poi sorridere nervosamente e rivolgerle questo dubbio.

A vederla faceva tenerezza.

«Per te sarò sempre Mikoto. Niente più formalità, chiaro?» le aveva risposto con dolcezza, prendendo una mano tra le proprie. «Anche se saremo impegnate, anche se ci allontaneremo, puoi sempre contare sulla mia amicizia».

«Ooh, che carina, grazie!» Kushina si era slanciata ad abbracciarla, commossa, quando avrebbe dovuto essere lei quella emozionata. «Lo stesso vale per me, non dimenticarlo», aveva sussurrato, felice per quella complicità.

 

 

Un’amicizia tranquilla, basata sull’aiuto, sulla felicità condivisa e sulla lealtà nella lontananza.

Non la rivedrò più. Magari quel neonato, crescendo, si comporterà esattamente come lei, ma non sarà la stessa cosa”.

Una ciotola da riso scivolò dal ripiano cadendo sul tatami.

Fortunatamente era una scodella vuota.

Si chinò a raccoglierla con aria distratta, intrisa di mesta nostalgia, finché un richiamo assonnato alle sue spalle non la fece tornare alla realtà e sussultare, colta in fallo.

«Mamma…» il bambino di cinque anni si stropicciò un occhio.

«Itachi… Buongiorno», lo accolse in cucina come se niente fosse.

«Mamma, perché piangi?» domandò preoccupato.

«Come?» si sfiorò le guance e si stupì di trovarle bagnate. Stava piangendo davvero, eppure non ci aveva fatto caso, presa com’era dal ricordare.

«È solo un momento di debolezza. Niente di grave, tesoro, non preoccuparti. Adesso la mamma va a sciacquarsi il viso, a cambiarsi e poi ritorna subito. Tu aspettami qui, va bene?» lo rassicurò prontamente, riponendo l’oggetto al suo posto e avviandosi a capo chino verso il corridoio, senza farsi più vedere in viso.

Anche se Itachi era ancora piccolo e tante cose non poteva capirle, era il suo degno figlio, molto tranquillo, acuto ed empatico tra l’altro. Di certo le avrebbe rivolto qualche domanda e lei, come al solito, avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco. La tristezza sarebbe presto scomparsa, sostituita dal desiderio prioritario di crescere i suoi figli nel miglior modo possibile.

 

 

*

 

 

«Itachi, vuoi sapere una frase che mi ripeteva spesso tua nonna?» esordì Mikoto con voce carezzevole, bassa, in maniera tale da non disturbare il piccolo Sasuke mentre veniva cullato dal suo abbraccio materno, per prevenirne il pianto. In fondo il piccolino si era già sfogato per ben due volte, doveva essere inquieto, forse sentiva che lei non era felice.

Si trovavano tutti e tre nei pressi dell’orticello rigoglioso piantato dal cognato, Itachi stava osservando i pesciolini colorati nel laghetto adiacente e aveva sollevato momentaneamente lo sguardo per rivolgerlo a sua madre.

«Cosa diceva la nonna?» ripeté la domanda, abbreviandola.

«“Un padre può voltare le spalle a suo figlio, fratelli e sorelle possono diventare nemici inveterati, i mariti possono abbandonare le loro mogli, le mogli i loro mariti. Ma l’amore di una madre dura per sempre”. Ecco cosa mi diceva. E dell’ultima frase ne sono assolutamente certa, vuoi sapere perché?».

«Perché ci ami», replicò semplicemente Itachi e lei annuì, per poi proseguire: «Il motivo per cui piangevo, anche se forse non puoi ancora comprenderlo, è perché un’amica che era appena diventata madre si è sacrificata per quello stesso amore incondizionato e profondo. Piangevo perché la stimo tanto, ma adesso mi sono calmata e non mi vedrai più triste».

«Capisco...» disse il bambino, preferendo rimanere zitto piuttosto che indagare ancora. Era molto meglio vedere la sua mamma sorridere, anche blandamente, piuttosto che scorgere delle lacrime trasparenti rigare il suo bel volto. Non laveva mai vista piangere, era la prima volta, ma forse sapeva come rimediare.

«Sarai stanca di tenere Sasuke, posso prenderlo io. Sono suo fratello maggiore», le propose pacato, piazzandosi di fronte alla donna e alzando le braccia verso il fratellino.

«Certo, tesoro. Tu sei bravissimo, lo so che con te è in buone mani», si chinò prudentemente fino a lasciare il frugoletto bisognoso di continue attenzioni a Itachi, che realizzò il suo buon proposito.

Poiché Mikoto lo fece, sfiorandogli sollevata le spalle. Gli rivolse un vero sorriso, sereno e materno, che trasmetteva calore soltanto a guardarlo.

 

 

  
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