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Scritta per il contest “The
Uchiha Tarots” indetto da bridgetvonblanche -
**Partecipa
alla challenge senza scadenza “100
% prompt to write about them”**
**Partecipa
alla challenge senza scadenza “Benvenuti
al Banco dei Prompt!”**
Nickname
autore (su efp e sul forum):
Rinalamisteriosa
Titolo:
L’amore di una madre dura per sempre
Rating:
verde
Uchiha
protagonista:
Mikoto Uchiha
Tarocco/pacchetto
scelto:
L’imperatrice
Citazione
scelta:
Un padre può voltare le spalle a suo figlio, fratelli e sorelle possono
diventare nemici inveterati, i mariti possono abbandonare le loro mogli, le
mogli i loro mariti. Ma l’amore di una madre dura per
sempre.
[Washington
Irving]
Prompt
usati nelle challenge: 14.Ricordi
(per Benvenuti al Banco dei Prompt –
Pacchetto Angst);
72
- Lacrime (per 100% prompt to write about
them).
Introduzione:
L’aveva intuito benissimo da sola, ma era
stata dannatamente brava a mantenere la sua dignità e la sua serenità, a non
lasciarsi scalfire dalle confidenze discrete di Fugaku, dalle chiacchiere
cattive della gente e dai discorsi prudenti all’interno del
quartiere.
Lo
faceva principalmente per loro, per Fugaku e per i figli. Per la sua
famiglia.
Ma
a volte, quando era sola con se stessa, poteva anche permetterselo. Poteva
lasciarsi andare alla malinconia e ai ricordi, non c’era nulla di male in
questo.
Eventuali
avvertimenti:
////
Eventuali
note:
Questa storia partecipa a un contest tutto dedicato al Clan
Uchiha.
Poi
ho optato di farla partecipare anche a due challenge.
Riguardo
al contest:
In ogni Arcano Maggiore vi era celato un personaggio e a me erano capitati
Mikoto per l’Imperatrice, Kagami per la Temperanza. Ovviamente avevo scelto
subito la prima, senza indugio! *-*
Il
personaggio di Mikoto mi è sempre piaciuto, è una donna dolce, gentile, severa e
controllata all’occorrenza, che prima di sposarsi e di fare la casalinga aveva
anche ottenuto il rango di Jonin.
E
poi mi colpì molto vederla imperturbabile al momento della morte, quando nel
manga svelarono il flashback inerente a Itachi costretto ad assassinare i
genitori (che amarezza proprio ç.ç). Cioè, non aveva versato una sola
lacrima, è una grande! ^^
Io
però ho voluto renderla più umana in questa one-shot, immaginando i suoi
sentimenti di amicizia e rispetto verso Kushina Uzumaki (poi chi mi conosce
sa che lei è la mia preferita, dovevo inserirla per forza!
u.u)
Riguardo
al collegamento con l’Arcano, l’Imperatrice è sempre raffigurata con un volto
dolce, materno e intelligente. Oltretutto, tra le interpretazioni della carta,
ho trovato questa frase sul web: “L’intelligenza viene sfruttata nelle sue
armi: diplomazia, tatto e sensibilità. Rimanda al benessere interiore, alla
benevolenza e all’amicizia leale.”
Così
ho parlato di Mikoto senza dimenticare il significato del terzo Arcano Maggiore,
spero di averlo interpretato decentemente ^^
Ma
dovevo anche mostrarla come madre e da lì è nata l’interazione con il suo
primogenito, che tra l’altro è un rapporto da 5 punti bonus, insomma speriamo
bene! XD
Buona
lettura! ^__^
Disclaimer:
I personaggi citati non mi appartengono e non ho scritto a scopo di
lucro.
***
Era
successo nel corso di una missione lampo intrapresa nel Paese
dell’Acqua.
Era
servito l’intervento tempestivo di tre squadre di Konoha, partite appositamente
per riportare l’ordine e per garantire il successo
dell’operazione.
Qualcuno
però ci aveva rimesso la vita, a causa di una ferita mortale che i ninja medici
non erano riusciti a risanare prima che fosse troppo
tardi.
Si
trattava di un giovane ninja del Villaggio delle Cascate.
Mikoto
Uchiha non era altro che una chuunin, una ragazza di sedici anni, quando
assistette alla triste scena di una madre straziata dal dolore per la prematura
morte di suo figlio, la suddetta vittima.
Piegata
in due accanto a un cadavere ormai pallido, rigido e freddo, piangeva lacrime di
pura disperazione e continui lamenti risuonavano dove altrimenti vi sarebbe
stata solo una cappa di innaturale silenzio.
Mikoto
provò molta pena per quell’umile contadina, per quella donna tanto angosciata,
anche se apparentemente l’Uchiha stava dimostrando un’ineccepibile compostezza e
una perfetta maschera di autocontrollo, abituata fin da piccolissima a portarla,
a non mostrare in modo palese le sue vere emozioni al di fuori delle sicure mura
domestiche.
Al
suo fianco stava una genin, una ragazzina di dodici anni dai lunghi capelli
rossi, incapace di restare completamente impassibile di fronte a un momento
tanto terribile e doloroso come quello.
Mikoto
sospirò. «Non possiamo fare nulla per lei», esordì in tono
incolore.
Kushina
tirò su col naso, asciugandosi poi le lacrime con il palmo di una mano. Si era
profondamente commossa e non aveva motivo di nasconderlo all’amica
accanto.
«Mikoto,
lo so bene, ma... Non pensi anche tu che un figlio non dovrebbe mai lasciare
questo mondo prima della propria madre?» mormorò con
dispiacere.
Entrambe
rimanevano distanziate per una questione di rispetto, quindi potevano anche
parlare tra loro, permettersi di confidare i propri pensieri su un argomento
così delicato.
«Di
sicuro non lo dimenticherà mai. L’amore di una madre dura per sempre», rispose
la kunoichi più grande, annuendo semplicemente, per poi scambiare uno sguardo
eloquente con l’altra, che strinse i denti di rimando.
«Io
al suo posto preferirei essere morta prima…» aggiunse Kushina serrando forte i
pugni. «Sì… Se fossi una madre, donerei la mia vita se servisse a impedire una
simile ingiustizia».
Ed
era assolutamente convinta di ciò.
Poi
non volle aggiungere altro, si discostò e l’altra la vide allontanarsi,
probabilmente stava andando alla ricerca di Minato Namikaze che, come loro,
aveva preso parte alla missione assieme alla sua squadra.
«Kushina…»
pronunciò.
Avrebbe
voluto dire che in fondo la capiva e credeva che sarebbe stata davvero capace di
compiere un sacrificio estremo. Mikoto tese il braccio verso la sua schiena che
si allontanava di più, sempre di più, aprì la bocca ma non le uscì alcun
suono.
Voleva
parlarle ancora, ma non le riusciva…
Perché?
*
Colta
da un’inquietudine interiore, la donna decise di abbandonare il caldo e
rassicurante tepore del futon e di vagare in silenzio per la sua casa
tradizionale, con indosso lo yukata.
Era
da quando aveva saputo una determinata notizia in mezzo a tante altre
drammatiche e spiacevoli che faceva quel sogno, da esattamente tre giorni a
quella parte.
A
piedi scalzi raggiunse la cucina rischiarata dalle prime luci del mattino e
bevve acqua da un bicchiere pulito.
Si
sarebbe dovuta svegliare comunque, per scaldare l’acqua per il tè, per preparare
la colazione al marito e al suo primo figlio, per attendere il pianto che
annunciava il risveglio del secondogenito, di quasi tre
mesi.
Mikoto
Uchiha fece tutto meccanicamente per contenersi, per non cadere nello sconforto,
per non deludere nel suo ruolo di madre gentile, affidabile e premurosa, per
dimostrare serietà qualora fosse stato necessario.
Tutto
ciò, pur sapendo che molte persone, tra innocenti e shinobi, avevano perso le
loro vite durante l’attacco improvviso e catastrofico del Kyuubi.
Tutto
ciò, pur sapendo che una donna così esuberante e piena di energie come Kushina
Uzumaki si era sacrificata per un bene superiore, per la pedina più importante
della sua scacchiera. Voleva ricordarla in quel modo, allegra e sensibile,
estroversa e suscettibile, ma con un carattere forte e deciso, capace di tenere
testa al pericoloso demone sigillato dentro di lei.
Voleva
ricordarla come una compagna di missioni chiacchierona e imprevedibile, come
un’amica sincera e volenterosa.
Voleva
ricordarla come l’ultima volta che si erano incontrate per caso, in mezzo alla
strada, che sprizzava gioia da tutti i pori anche se doveva essere molto tesa
perché si avvicinavano per lei i giorni del parto, che guardava intenerita
Sasuke e si augurava che i loro piccoli facessero amicizia, in
futuro.
A
Mikoto tremarono impercettibilmente le mani mentre stringeva il manico freddo
della teiera, prima di accendere il fuoco e di metterla a
bollire.
Come
nel sogno, finché si parlava di una cosa delicata che in fondo non la toccava
minimamente, non ancora, era più facile superare il
dispiacere.
Il
Clan Uchiha stava attraversando un momento difficile, il futuro si prospettava
incerto e non c’era stato alcun bisogno che suo marito la informasse sul fatto
che tutti gli abitanti di Konoha, dopo quella tremenda notte, li guardavano con
sospetto, come se li incolpassero di tutto.
L’aveva
intuito benissimo da sola, ma era stata dannatamente brava a mantenere la sua
dignità e la sua serenità, a non lasciarsi scalfire dalle confidenze discrete di
Fugaku, dalle chiacchiere cattive della gente e dai discorsi prudenti
all’interno del quartiere.
Lo
faceva principalmente per loro, per Fugaku e per i figli. Per la sua
famiglia.
Ma
a volte, quando era sola con se stessa, poteva anche permetterselo. Poteva
lasciarsi andare alla malinconia e ai ricordi, non c’era nulla di male in
questo.
«Come
ti sei procurata quel livido sul braccio? È davvero grande, forse dovresti
andare in infermeria!» aveva fissato la bambina imbronciata coprendosi la bocca
con la mano e sgranando appena gli occhi corvini.
Allora
di lei sapeva solamente che era una piccola straniera trasferitasi da qualche
mese a Konoha.
«Forse
seguirò il tuo consiglio… ehm…?»
lei aveva assottigliato gli occhi, forse per diffidenza, forse per semplice
curiosità.
«Mikoto
Uchiha. Piacere di conoscerti», si era presentata porgendole la mano e
aiutandola a rialzarsi dalla radice dell’albero in cui si era momentaneamente
seduta, dopo aver perso l’equilibrio ed essere caduta da un ramo alto,
rimediando quella botta vistosa.
«Mikoto-san,
guarda! Il coprifronte! Ho ottenuto il mio primo coprifronte!» aveva esultato
Kushina, facendo una giravolta su se stessa e mostrandole poi l’emblematico
oggetto in questione.
«Congratulazioni!
Così il primo passo verso la realizzazione del tuo sogno è compiuto…» aveva
replicato lei gentile, con un lieve sorriso e le mani sui fianchi, offrendosi
per legarglielo sulla fronte.
«Pensi
che diventerò davvero il primo Hokage donna della storia?» aveva domandato
estasiata, voltandosi appena mentre lei faceva un bel nodo all’Uzumaki e lo
nascondeva fra le ciocche di capelli cremisi.
«Penso
soltanto che possiedi la volontà giusta. Tuttavia non montarti la testa prima
del tempo, mia cara, non sappiamo cosa il destino ha in serbo per
noi».
«Come
dovrò chiamarti adesso? Signora Uchiha?» si era avvicinata con un’insolita
timidezza per farle gli auguri per il suo matrimonio, per poi sorridere
nervosamente e rivolgerle questo dubbio.
A
vederla faceva tenerezza.
«Per
te sarò sempre Mikoto. Niente più formalità, chiaro?» le aveva risposto con
dolcezza, prendendo una mano tra le proprie. «Anche se saremo impegnate, anche
se ci allontaneremo, puoi sempre contare sulla mia
amicizia».
«Ooh,
che carina, grazie!» Kushina si era slanciata ad abbracciarla, commossa, quando
avrebbe dovuto essere lei quella emozionata. «Lo stesso vale per me, non
dimenticarlo», aveva sussurrato, felice per quella
complicità.
Un’amicizia
tranquilla, basata sull’aiuto, sulla felicità condivisa e sulla lealtà nella
lontananza.
“Non la rivedrò più. Magari quel neonato,
crescendo, si comporterà esattamente come lei, ma non sarà la stessa
cosa”.
Una
ciotola da riso scivolò dal ripiano cadendo sul tatami.
Fortunatamente
era una scodella vuota.
Si
chinò a raccoglierla con aria distratta, intrisa di mesta nostalgia, finché un
richiamo assonnato alle sue spalle non la fece tornare alla realtà e sussultare,
colta in fallo.
«Mamma…»
il bambino di cinque anni si stropicciò un occhio.
«Itachi…
Buongiorno», lo accolse in cucina come se niente fosse.
«Mamma,
perché piangi?» domandò preoccupato.
«Come?»
si sfiorò le guance e si stupì di trovarle bagnate. Stava piangendo davvero,
eppure non ci aveva fatto caso, presa com’era dal
ricordare.
«È
solo un momento di debolezza. Niente di grave, tesoro, non preoccuparti. Adesso
la mamma va a sciacquarsi il viso, a cambiarsi e poi ritorna subito. Tu
aspettami qui, va bene?» lo rassicurò prontamente, riponendo l’oggetto al suo
posto e avviandosi a capo chino verso il corridoio, senza farsi più vedere in
viso.
Anche
se Itachi era ancora piccolo e tante cose non poteva capirle, era il suo degno
figlio, molto tranquillo, acuto ed empatico tra l’altro. Di certo le avrebbe
rivolto qualche domanda e lei, come al solito, avrebbe fatto buon viso a cattivo
gioco. La tristezza sarebbe presto scomparsa, sostituita dal desiderio
prioritario di crescere i suoi figli nel miglior modo
possibile.
*
«Itachi,
vuoi sapere una frase che mi ripeteva spesso tua nonna?» esordì Mikoto con voce
carezzevole, bassa, in maniera tale da non disturbare il piccolo Sasuke mentre
veniva cullato dal suo abbraccio materno, per prevenirne il pianto. In fondo il
piccolino si era già sfogato per ben due volte, doveva essere inquieto, forse
sentiva che lei non era felice.
Si
trovavano tutti e tre nei pressi dell’orticello rigoglioso piantato dal cognato,
Itachi stava osservando i pesciolini colorati nel laghetto adiacente e aveva
sollevato momentaneamente lo sguardo per rivolgerlo a sua
madre.
«Cosa
diceva la nonna?» ripeté la domanda, abbreviandola.
«“Un padre può voltare le spalle a suo figlio, fratelli e
sorelle possono diventare nemici inveterati, i mariti possono abbandonare le
loro mogli, le mogli i loro mariti. Ma l’amore di una madre dura per
sempre”. Ecco cosa mi diceva. E
dell’ultima frase ne sono assolutamente certa, vuoi sapere
perché?».
«Perché
ci ami», replicò semplicemente Itachi e lei annuì, per poi proseguire: «Il
motivo per cui piangevo, anche se forse non puoi ancora comprenderlo, è perché
un’amica che era appena diventata madre si è sacrificata per quello stesso amore
incondizionato e profondo. Piangevo perché la stimo tanto, ma adesso mi sono
calmata e non mi vedrai più triste».
«Capisco...»
disse il bambino, preferendo rimanere zitto piuttosto che indagare ancora. Era
molto meglio vedere la sua mamma sorridere, anche blandamente, piuttosto che
scorgere delle lacrime trasparenti rigare il suo bel volto. Non l’aveva mai vista piangere, era la prima volta, ma forse
sapeva come rimediare.
«Sarai
stanca di tenere Sasuke, posso prenderlo io. Sono suo fratello maggiore», le
propose pacato, piazzandosi di fronte alla donna e alzando le braccia verso il
fratellino.
«Certo,
tesoro. Tu sei bravissimo, lo so che con te è in buone mani», si chinò
prudentemente fino a lasciare il frugoletto bisognoso di continue attenzioni a
Itachi, che realizzò il suo buon proposito.
Poiché
Mikoto lo fece, sfiorandogli sollevata le spalle. Gli rivolse un vero sorriso,
sereno e materno, che trasmetteva calore soltanto a
guardarlo.