Anime & Manga > Death Note
Segui la storia  |       
Autore: Elrais    25/10/2015    2 recensioni
In un lussuoso albergo del centro di Tokyo, il miglior detective del mondo osserva su un monitor l'immagine di Misa Amane, sospettata di essere il secondo Kira; L non sa che, dietro quegli omicidi, si cela il potere di un quaderno ceduto da un Dio della Morte.
Tuttavia, gli Shinigami non sono gli unici esseri di cui il giovane investigatore ignora l'esistenza: altre creature, all'apparenza fragili come vetro, osservano la Terra con occhi inespressivi.
Ad una di queste creature verrà affidato il compito di infiltrarsi nel mondo degli Umani, per ristabilire l'equilibrio nelle Leggi di Natura.
Ma quando si ha a che fare con L Lawliet e Light Yagami, portare a termine la propria missione può risultare più complesso del previsto.
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri personaggi, L, Light/Raito, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo II. Adescamento


Quel mondo era davvero rumoroso.
Sahira sedeva sul letto della stanza d’albergo di cui aveva appena preso possesso e la sua mano si muoveva avanti e indietro sulle lenzuola morbide; la luce del tardo pomeriggio filtrava tramite le tende tirate.
Attraverso le finestre chiuse giungevano i rumori della strada; tendendo l’orecchio, il Controllore poteva divertirsi a riconoscere le origini dei vari suoni: il clacson o il rombo del motore delle automobili, il vociare di un gruppetto di ragazzi, la voce metallica degli altoparlanti.
Era totalmente diverso da ciò a cui era abituata: in questo mondo i suoni avevano sorgenti ben definite, legate all’orecchio di chi ascoltava tramite un filo diretto. Nulla a che vedere con l’eterno rincorrersi degli echi all’interno del Palazzo.

La ragazza si riscosse dalle sue fantasie e si avvicinò alla scrivania in legno. Aveva scelto quell’albergo perché aveva bisogno di essere posizionata al centro di Tokyo e non troppo lontana dalla stazione dei treni, ma all’ultimo si era resa conto che, forse, per gli standard della ragazzina che stava fingendo di essere quell’hotel poteva risultare anche troppo lussuoso: la scrivania era elegante, con degli intagli attorno ai cassetti, e di fronte ad essa erano posizionate due sedie imbottite, ricoperte con un ricercato tessuto damascato; alle pareti, dei quadri rappresentavano vedute di colline verdeggianti. Da quel poco che era riuscita ad imparare sullo stile di vita degli Umani e dei Giapponesi in particolar modo, Sahira decise che quell’albergo era decisamente in stile Occidentale.
Sulla scrivania era posto un computer portatile. Il Controllore  si sedette – notando, senza riuscire a trattenere lo stupore, come i suoi passi venissero attutiti dalla moquette, senza produrre il minimo rumore – e accese il pc.

Era tempo di iniziare a lavorare.

Preparare quel piano le aveva rubato tre giorni, durante i quali si era documentata sulle vite, sulle abitudini e sul modus operandi di L e dei poliziotti che in quel momento lavoravano sotto le sue direttive. Il quartier generale era ristretto, constava di soli sei uomini, e questo aveva agevolato decisamente le sue ricerche.
Il Controllore aveva vagliato diverse alternative: la prima consisteva nell’andare direttamente da Rem e riportarla nel mondo degli Shinigami, dove avrebbe scontato la pena adeguata. Tuttavia, questa strada si era resa ben presto impercorribile: secondo le leggi degli Dei della Morte, lo Shinigami che avesse fatto cadere il Death Note sulla Terra o che lo avesse ceduto ad un Umano doveva restare accanto a questi; ciò stava a significare che Rem sarebbe dovuta rimanere per legge accanto al nuovo possessore del Death Note e Sahira non poteva costringerla a tornare nel suo mondo.
Inoltre, un ulteriore problema si era affacciato alla mente del Controllore: da quel che aveva potuto vedere, sia tramite il rapporto sul caso che attraverso l’osservazione a distanza, quella Shinigami non aveva paura della morte. Era plausibile, quindi, che se Sahira avesse cercato di costringerla con la forza ad allontanarsi da Amane, Rem avrebbe potuto usare il suo quaderno in anticipo, allungando la vita a Misa e uccidendosi di conseguenza.
Per questo il Controllore aveva deciso di seguire una strada indiretta, che l’avrebbe portata vicino a Light e, di conseguenza, la avrebbe avvicinata a Rem: si sarebbe infiltrata all’interno del quartier generale istituito per il caso Kira.
Da lì avrebbe seguito Rem come un’ombra, proteggendo le Leggi di Natura e, allo stesso tempo, cercando di modificare il modo di pensare della Shinigami. La sua presenza doveva essere discreta: il Dio della Morte non doveva immaginare di essere guidato sulla giusta via da un Controllore, o il rischio che reagisse d’istinto sarebbe stato elevato. Inoltre, l’indirizzamento della Shinigami doveva essere il più naturale possibile, senza forzature: lo scopo del Controllore era farle accettare spontaneamente la Legge di Natura, così che, una volta concluso questo caso, Rem non costituisse un pericolo neanche in futuro.

Tuttavia, arrivare fino al quartier generale senza farsi scoprire comportava una serie di problemi collaterali, ai quali in quei tre giorni il Controllore aveva cercato di porre rimedio; alla fine ne era nato un piano, una bozza di azione che era stata presentata ad Elburn.
Sahira ricordò la sensazione di gelo che le aveva percorso le vertebre, mentre gli occhi inespressivi del suo collega vagliavano le carte che lei gli aveva posto davanti, senza trascurare neanche una virgola. Alla fine si era limitato ad annuire e a porle il bracciale argentato che, in quel momento, Sahira portava al polso sinistro.
Sarebbe stata costantemente sotto sorveglianza. Non che la cosa le facesse piacere, ma sapeva che non potevano lasciarla fare completamente di testa sua, tanto più che quello era il suo primo caso al di fuori del Palazzo. Fino a quel momento, comunque, Elburn non aveva avuto motivo di riprenderla: aveva seguito pedissequamente la bozza d’azione che gli aveva presentato e che avrebbe dovuto farla avvicinare al quartier generale senza far insospettire i poliziotti.
Qualora tutto avesse funzionato a dovere, ovvio.
Sahira scacciò il pensiero con decisione e si mise all’opera, cominciando a battere velocemente le dita sulla tastiera.
Venti minuti dopo, visualizzò sullo schermo il file che le interessava: foto e informazioni sui dodici agenti dell’FBI che erano stati inviati in Giappone per investigare sul caso Kira e che il Giustiziere Divino non aveva esitato a far fuori. La perdita di dodici agenti innocenti aveva indotto il ritiro dell’FBI dalle indagini.
Questo file era conservato nei computer di due soli uomini, in quanto documento estremamente riservato: il primo apparteneva al capo dell’FBI, il secondo era quello di Watari, il braccio destro di L.
Sahira, grazie alle istruzioni ricevute dagli addetti dei laboratori del Centro di Controllo, aveva appena forzato la rete di protezione del pc del primo, nonostante tutte le informazioni contenute nel file non le servissero. Le aveva già.

Soddisfatta, si tirò indietro, appoggiandosi allo schienale della sedia e incrociando le braccia sul petto, con gli occhi fissi sul monitor.
Secondo i suoi calcoli, nel giro di un giorno e mezzo, al massimo due, le acque si sarebbero mosse; lei però non poteva attendere con le mani in mano, o in seguito avrebbe sollevato dei sospetti. Chiuse il file e il pc, prese in mano la cornetta del telefono e chiamò la reception. La voce gentile della receptionist le giunse ovattata:
“Salve, mi dica.”
“Salve, sono Annie Sunders, stanza 1472. Avrei bisogno di effettuare una chiamata esterna all’hotel.”
La receptionist, abituata a svolgere impeccabilmente il suo lavoro, non sembrò stupita per l’ingenua richiesta; anzi, quando rispose la sua voce trasudava gentilezza.
“Signorina, non si preoccupi, non c’è alcun bisogno di passare per la reception dell’albergo per effettuare chiamate all’esterno. Basta che lei digiti il prefisso che trova nelle indicazioni accanto al telefono e, dopo, il numero che intende chiamare.”
Sahira sentì il sangue affluirle nelle guance pallide, imbarazzata.
“Capisco. La ringrazio e scusi per il disturbo.”

Riattaccò velocemente. Aveva fatto la figura della stupida.
In quel mondo c’erano tante cose di cui ignorava l’esistenza; pensava di essersi preparata a sufficienza, ma evidentemente non era così.
Per la prima volta, fu sfiorata dal dubbio. In fondo, tre giorni erano pochi.
Si era trattata solo di una telefonata sbagliata, nulla di grave, ma se una sciocchezza del genere avesse compromesso la sua missione, in futuro? Non si sentiva più sicura di ciò che stava facendo.
La vita nel Centro di Controllo era atona e scontata: non era contemplata la presenza di errori o di imprevisti.
Ma qui non sono più nel Palazzo. Devo concentrarmi.
Fece un respiro profondo, poi riprese in mano la cornetta del telefono e compose un altro numero, preceduto dall’apposito prefisso. Il telefono continuò a squillare a vuoto. Riprovò: niente.
Ottimo, pensò il Controllore. Andiamo avanti.
Riprese il telefono e digitò di nuovo il prefisso, stavolta seguito da un numero diverso. Dopo appena due squilli, una voce maschile rispose:
“Pronto?”
“Salve, parlo con Sasuke Misora? Padre di Naomi Misora?”
“Sì… sì, sono io. L’avete trovata?”
L’agitazione dell’uomo era palpabile: Sahira la avvertiva nella sua voce, come se si trasmettesse attraverso i fili dell’apparecchio.
Sentì un improvviso groppo in gola. Quell’uomo non avrebbe avuto notizie di sua figlia, almeno non per il momento; quella telefonata serviva solo a lei, Sahira, per avere delle prove da poter mostrare in seguito. Avrebbe rigirato il coltello nella piaga, soltanto perché il suo piano non andasse in fumo.
Si accorse di aver aperto la bocca per parlare, ma il senso di colpa si era impossessato della sua gola e le impediva di emettere alcun suono. Deglutì.

I Controllori non provano pena o pietà, si disse. Fai il tuo lavoro senza sbagliare.

“Trovata? Cosa intende, signore? Naomi è scomparsa?”
“Lei non è della polizia?”
“No, signore. Il mio nome è Annie Sunders e sono la figlia di Nick Sunders, uno degli agenti dell’FBI che sono stati inviati in Giappone. Mio padre è stato ucciso da Kira.”
Sahira fece una pausa, arrotolandosi il filo del telefono attorno a un dito.
“Ho saputo che anche Raye è morto. Lo conoscevo, lui e mio padre erano amici. È stato grazie a loro che ho conosciuto anche Naomi.”

Il Controllore si morse un labbro, sperando che l’uomo non conoscesse alla perfezione tutti gli amici della figlia e del suo fidanzato.

“So che sua figlia era un ottimo agente dell’FBI, per questo volevo chiederle di aiutarmi a vendicare Raye, mio padre e tutti gli altri agenti innocenti uccisi. Volevo chiederle di aiutarmi a catturare Kira… Ho provato a chiamarla, ma il suo telefono non è raggiungibile.”

Ci fu un attimo di silenzio, interrotto solo dal respiro pesante dell’uomo dall’altra parte del telefono.
Poi questi parlò:
“Mia figlia era in Giappone, assieme a Raye… Era stato incaricato di indagare sul caso Kira, come tuo padre, mentre Naomi lo aveva accompagnato in qualità di civile. Voleva approfittarne per venirci a trovare… ma dopo che lui è morto, non abbiamo più avuto notizie di nostra figlia. Abbiamo denunciato la sua scomparsa, ma ancora niente.”
Sahira avvertiva la delusione e l’amarezza di Misora nel modo in cui strascicava le consonanti e nel tremolio leggero della voce.
L’agitazione aveva lasciato il posto al vuoto dell’attesa.
Il Controllore ebbe la visione di un uomo di circa sessant’anni e di sua moglie – nella sua mente, i due erano straordinariamente simili a Naomi così come l’aveva vista in foto, con capelli e occhi scuri – abbracciati, seduti su un divano in silenzio. Sahira li immaginò in un piccolo appartamento, forse con qualche foto di famiglia appesa alle pareti, intenti ad osservare un telefono posto di fronte a loro. Un telefono che non si decideva a squillare.
Avrebbe voluto dargli conforto in qualche modo, ma non c’era nulla che potesse consolarlo. Lei già conosceva la verità.

“E’ terribile… Mi dispiace averla disturbata inutilmente, signor Misora. Spero…” Sahira si costrinse a pronunciare quelle parole, “spero che Naomi torni presto a casa. Da parte mia, proverò a rintracciarla in qualche modo.”
“Ti ringrazio. Io e mia moglie stiamo aspettando. Arrivederci, Annie. Ah, un’ultima cosa…”
“Mi dica.”
“Mi dispiace molto per tuo padre. Non lo conoscevo, ma sono sicuro che era un agente valido ed è morto eseguendo impeccabilmente il suo lavoro. Sii fiera di lui.”
Per la seconda volta nel corso di quella telefonata, Sahira si ritrovò ad aprire la bocca a vuoto. Strinse le labbra, cercando di non dar peso all’immotivato senso di colpa che aveva ricominciato ad attanagliarla. Neanche l’avesse uccisa lei, quella ragazza.
“Grazie. Grazie, signor Misora. Sì, lo sono… sono molto orgogliosa di lui. È sempre stato un padre esemplare e… voglio assolutamente spedire sulla forca chiunque lo abbia ucciso in maniera così indegna…”
“Stai tranquilla, lo so. Non c’è bisogno di parole, se avessi la forza o le capacità farei la stessa identica cosa. Purtroppo sono solo un vecchio e tutto ciò che posso fare è attendere che qualcuno mi dica che fine ha fatto la mia bambina.”
Sahira poteva sentirsela in bocca, l’amarezza di quelle parole.
“Allora a presto, Annie.”
“A presto, signor Misora. La ringrazio di tutto.”

Finalmente, Sahira posò il telefono. Quella era stata la parte più facile del piano, eppure l’aveva psicologicamente devastata.
I Controllori non si occupano dei sentimenti, non familiarizzano con gli esseri che devono supervisionare. Non essendosi mai allontanata dal Palazzo, Sahira non aveva dimestichezza con il dolore, l’agonia o la morte.
“Non pensavo fosse così”, mormorò buttandosi a peso morto sul letto. La voce dell’uomo continuava a rimbombarle nelle orecchie. “Non ne avevo proprio idea.”

§

Sahira trascorse una notte agitata, ma l’indomani mattina aveva recuperato forza e determinazione; sarebbe stata una missione lunga e non poteva assolutamente permettersi di farsi abbattere dal dolore di un Umano del quale non avrebbe più saputo nulla.
Ed io vorrei diventare un Controllore Principale? pensò sarcastica, mentre si tirava sulla testa il cappuccio della felpa e scendeva in strada.
Ma, nonostante l’animo in subbuglio, quello che si ritrovò davanti agli occhi la distrasse immediatamente: le strade di quella città erano un tripudio di colori e suoni. Già il giorno prima era rimasta incantata dal caos, dal disordine delle persone che si confondevano le une con le altre, dai colori accesi dei vestiti che indossavano. Da dove veniva lei, il Palazzo del Centro di Controllo era l’unica costruzione esistente: in quella città, invece, case e grattacieli si sfidavano l’un l’altro a toccare le nuvole, petto contro petto, togliendo aria e respiro alle creature che camminavano ai loro piedi. Costringevano le persone a guardarli, attirando l’attenzione con scritte colorate e pubblicità abbaglianti.
Sahira si era portata una mano al petto, aspettandosi di sentire quella familiare agitazione che le provocavano gli echi del Palazzo del Centro di Controllo, ma il suo cuore era rimasto straordinariamente tranquillo.

Si confuse per le strade, in mezzo alle migliaia di altre persone che affollavano il centro di Tokyo il mercoledì mattina e lo sguardo le cadde sulla vetrina di un negozio, non tanto per gli oggetti esposti, quanto per il riflesso che vi vide: la ragazza che vi si stava specchiando aveva corti capelli castani e occhi neri.
Niente a che vedere con i capelli nivei e le iridi vitree dei Controllori.
La carnagione era stata scurita un po’ – esseri pallidi come gli abitanti del Centro di Controllo non esistono sulla Terra – ma era stata scelta una tonalità più chiara rispetto a quella delle persone giapponesi. In fondo, Annie Sunders era americana.
Era stata una precauzione necessaria, sia per la sua copertura in quanto Umana, sia per l’effettiva realizzazione del piano, e Sahira si era rimirata per dieci minuti buoni nel bagno dell’albergo, toccandosi i capelli che le ricadevano sulla fronte.  Eppure ancora non riusciva a capacitarsi che quella figura corrispondesse alla sua.

Si costrinse a distogliere lo sguardo dalla sua immagine riflessa e deviò in un bar: era una struttura abbastanza grande, con un bancone dietro il quale lavoravano tre persone contemporaneamente. Sahira si guardò intorno, affascinata, osservando la merce in vendita e le bevande che, invece, gli avventori portavano ai tavoli. C’erano persone di ogni tipo: alcune erano vestite formalmente, altre indossavano indumenti leggeri; chiacchieravano animatamente, alcune ridevano.
Era un luogo di pausa e di aggregazione. Non c’erano posti del genere, nel Centro di Controllo: le varie creature lavoravano in solitudine, parlando solo se necessario.
Una coppia passò accanto al Controllore portando in mano delle tazze e l’aroma della bevanda che gli Umani chiamano caffè la investì immediatamente: Sahira decise di assaggiarlo, nonostante gli esseri come lei non avessero bisogno di mangiare. D’altro canto, sarebbe dovuta rimanere lì dentro per un po’, quindi avrebbe comunque dovuto consumare qualcosa.
Si avvicinò al bancone e ne ordinò una tazza grande, di quelle comunemente definite “all’americana”, e si sedette ad un tavolino dal quale poteva tenere d’occhio l’entrata del locale.

Non si aspettava che ci fossero novità in così breve tempo, ma non poteva neanche rischiare di farsi trovare impreparata: aprì una cartina della regione del Kanto e cominciò a studiarla attentamente, lanciando comunque di tanto in tanto delle occhiate attente alla gente che entrava nel bar.
Dunque, Naomi Misora è sicuramente partita da Tokyo, pensò il Controllore, osservando la cartina: quella regione era per lo più composta da pianura, ma verso l’entroterra si ergevano dei gruppi montuosi. Grazie ai monitor del Centro di Controllo so dov’è, ma dovrò fornire delle spiegazioni convincenti sul come io sia arrivata fino a lei. Le stazioni dei treni sono videosorvegliate, ma non posso richiedere i nastri, dato che non faccio parte della polizia. Però posso rubarli.

La ragazza bevve un sorso di caffè e storse la bocca: quella roba era davvero amara. Vide che alcuni Umani la riempivano con altre sostanze, come latte o zucchero, e decise di imitarli, pensando che il sapore non sarebbe potuto peggiorare di molto.
Effettivamente, il miscuglio di latte, caffè e dolcificante non era affatto male.
Sahira mandò giù un altro sorso, poi appoggiò la testa alla mano.

Dovrò restare qui almeno un’ora, pensò svogliatamente, mi sembra un tempo ragionevole per mettere su un piano. D’altronde, io so già cosa fare, ma Annie Sunders no: se voglio dare l’impressione di naturalezza non posso muovermi troppo velocemente.

Allungò la mano per portarsi alla bocca la tazza di caffè, ma quello che vide la fece restare per un istante con il braccio a mezz’aria: era entrato un uomo sulla trentina, alto, con i capelli corti e mento e mascella squadrati. Si guardò intorno con aria tranquilla, avvicinandosi al bancone; dopo aver preso una tazza di caffè si sedette ad un tavolo e aprì un giornale davanti a lui.
Sahira terminò il gesto iniziato e distolse con naturalezza lo sguardo dall’uomo, concentrandosi sulla mappa e sul suo caffellatte.
Tutto secondo i suoi piani.
Per un paio di minuti fissò la cartina senza realmente vederla, cercando di trattenere un sorriso soddisfatto. Non avrebbe mai creduto che quegli Umani potessero muoversi così velocemente, ma non c’erano dubbi: tra tutti, lui era esattamente quello che si aspettava.

Sahira continuò a studiare la sua cartina, sorseggiando il caffellatte e ordinando in seguito dei dolcetti di riso pressato, che scelse a causa del loro colore candido; ogni tanto lanciava un’occhiata distratta all’uomo, il quale sembrava leggere il giornale senza alcuna preoccupazione. Quando pensò che fosse trascorso un ragionevole lasso di tempo, il Controllore – che ormai agli occhi degli Umani era una semplice ragazza, solo un po’ troppo bassa per la sua età – si alzò e fece per tornare all’interno del suo albergo.
Si fermò nella hall e la receptionist le sorrise, dolce come il miele. Per qualche istante Sahira rimase incantata a fissare le labbra della donna, dipinte di rosso acceso.
“Posso aiutarla?”
“Sì, in effetti. Potrebbe, cortesemente, fornirmi una mappa della città e indicarmi i maggiori luoghi d’interesse?” Sahira storse la bocca, in segno di scuse. “Purtroppo ho perso quella che mi ha dato stamattina…”
“Non c’è alcun problema.” Il sorriso della donna non si era attenuato di un millimetro. Si chinò per prendere le cartine da dentro un cassetto e, attraverso uno dei vetri, Sahira notò l’uomo dall’altra parte della strada, seminascosto da un cartellone pubblicitario: aveva in mano un taccuino, sembrava stesse prendendo nota del nome dell’hotel.
Bastava così, ora poteva esserne sicura.
“In effetti, ripensandoci credo che la cartina non mi serva più.” Sorrise alla receptionist, che era in quel momento stava spianando la piccola mappa sul tavolo. “Mi scusi per il disturbo.”
Le voltò le spalle e tornò nella sua stanza, sentendosi vagamente in colpa per aver fatto perdere tempo a quella donna mentre lavorava. Ma non era il caso di perdersi in pensieri inutili: si tolse con decisione la felpa e cominciò a prepararsi per quella sera. Finora, il suo piano non aveva avuto intoppi.

§
 
Sahira rientrò in albergo alle tre del mattino. Il guardiano notturno era intento a versarsi una tazza di tè e le fece un cenno distratto col capo;  lei si affrettò a rientrare nella sua stanza, gettando in un angolo lo zaino che aveva portato con sé.

Era stanca ed eccitata al tempo stesso.  Si chinò sullo zaino e ne estrasse i vestiti con i quali si era recata alla stazione centrale, la parrucca e gli occhiali. In un trolley nascosto in un vicolo vicino all’albergo erano accumulati alla rinfusa i video delle telecamere di sorveglianza che era riuscita a sottrarre.
Il piano che aveva messo in pratica era relativamente semplice e non aveva avuto grosse difficoltà nell’attuarlo.
I video di sorveglianza che le interessavano erano tenuti sotto chiave nel centralino della stazione; nel pomeriggio era uscita e aveva comprato una ventina di VHS, con i quali sostituire quelli veri.
In genere i video di sorveglianza non erano considerati un bene da proteggere, quindi, una volta eluso il guardiano, non c’era motivo di pensare che potessero esserci altri mezzi di controllo, a parte le telecamere. Riguardo a quelle, non aveva ragione di credere che le registrazioni di quella sera sarebbero state visionate a breve, dato che non si sarebbero subito accorti della mancanza dei VHS originali; d’altra parte, anche qualora ciò fosse avvenuto, il suo travestimento avrebbe sviato la polizia per un po’.
Certo, prima o poi sarebbero arrivati a Annie Sunders, ma per allora contava di essere già sparita dalla circolazione. Aveva solo bisogno di un po’ di tempo.

Il trolley era stato nascosto in un magazzino poco utilizzato, a qualche isolato di distanza dall’hotel. Il travestimento usato durante il furto non la rendeva immediatamente riconoscibile come Annie Sunders, ma se si fosse presentata alle tre di notte in albergo con quella stessa valigia – così voluminosa – avrebbe immediatamente attirato i sospetti su di lei.
Perciò sarebbe andata a recuperare i video a più riprese nel suo nascondiglio. Certo, qualcuno avrebbe potuto trovarli nel frattempo, ma non c’era nulla di prezioso: una vecchia valigia con dentro dei nastri registrati non era considerabile un bottino appetibile.
Sahira si buttò sul letto e si girò su un fianco, raggomitolandosi in posizione fetale.
I nastri che aveva rubato erano davvero parecchi e si chiese, ragionevolmente, quanto tempo avrebbe potuto impiegarci a visionarli tutti. Probabilmente cinque giorni, notti incluse.
Il pensiero di dover rimanere rinchiusa in quella camera d’albergo per cinque giorni a visionare cassette era sconfortante, ma non poteva fare altrimenti: in seguito, e sperava tra non molto tempo, avrebbe dovuto mostrare delle prove. Quelle prove andavano procurate sistematicamente.
Questo pensiero la riportò con la mente all’uomo che aveva visto nel bar quella stessa mattina: l’aveva seguita anche quella notte. Non appena era uscita dall’hotel, aveva avvertito la presenza del pedinatore a un centinaio di passi di distanza;  tra l’altro, questi l’aveva vista rubare i VHS senza intervenire, segno che gli ordini impartitigli erano solo quelli di monitorare la situazione.
Non c’erano dubbi, il contatto era avvenuto, ma non era ancora certa di poter prevedere tutte le loro mosse. La ragazza scosse la testa, infastidita: scervellarsi adesso non l’avrebbe portata da nessuna parte.
Ormai non poteva far altro che attenersi al suo piano e sperare di aver calcolato tutto alla perfezione.




Angolo autrice

Ciao a chiunque sia arrivato fin qui! Non mi sono presentata nel primo capitolo, quindi ho pensato di rimediare adesso: questa è la prima long che scrivo in questo fandom e temo ne uscirà davvero una cosa strana. XD Lo so, vi starete chiedendo: "Ma non è una storia su Death Note? Dove sono tutti?" Ci sono, ci sono, non vi preoccupate... anzi, in realtà uno dei personaggi è già arrivato. ;)
Alla prossima e ancora un grazie a chiunque abbia letto!
Elrais

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: Elrais