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Autore: Felix_Felicis00    25/10/2015    5 recensioni
INTERATTIVA - ISCRIZIONI CHIUSE!
La storia può essere seguita anche se non si hanno tributi.
***
Dalla storia:
Tutto era pronto ormai.
Le telecamere erano state inviate ai distretti, con gli accompagnatori e la troupe televisiva.
I nomi, scritti su foglietti di carta, erano nelle bocce.
Le piazze erano state abbellite da stendardi colorati.
I ragazzi dai dodici ai diciotto anni erano stati radunati all’interno di zone delimitate da funi e contrassegnate a seconda dell’età, i più grandi davanti e i più piccoli dietro.
Ogni cosa era preparata, i trentesimi Hunger Games stavano, finalmente, per iniziare.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Strateghi, Tributi di Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“PICCOLA” PREMESSA INIZIALE: In questo capitolo il punto di vista sarà quello di David Wood, il Capo Stratega. Lui commenterà i vostri tributi, a volte in modo negativo. Non dovete assolutamente offendervi o pensare che non abbia compreso il vostro personaggio, perché quello che c’è scritto non è quello che penso io, ma quello che pensa David. Inoltre  se non l’OC non piace al Capo Stratega non vuol dire che sia tra i primi a morire. Sono io a scegliere le morti, ricordatevelo! Quindi state tranquilli e non arrabbiatevi se ci sono scritte cose che non c’entrano con il personaggio, poiché David non li conosce e pensa di loro solo in base a una prima impressione.

Le interviste

L’Anfiteatro cittadino era stracolmo di gente, il Capo Stratega, David Wood, prese posto nella tribuna riservata agli ospiti di prestigio giusto in tempo prima che lo spettacolo iniziasse. Ray Carter, l’intervistatore, era infatti appena salito sul palcoscenico, vestito di arancione, che faceva a pugni con i suoi capelli di un acceso verde.

- Buonasera a tutti signore e signori e benvenuti a questa meravigliosa serata! Stasera potrete sentire i nostri tributi raccontarvi di loro stessi, dei loro desideri e delle loro paure. Stasera conosceremo ciascuno di loro nel profondo e li saluteremo prima che partano per l’Arena e inizino ufficialmente i trentesimi Hunger Games! – disse l’uomo con il suo classico sorriso sulla faccia.
David sbuffò, come potevano davvero i capitolini pensare di poter conoscere ognuno di quei ragazzi con una semplice intervista? Era impossibile, ma non importava: un pubblico affezionato voleva dire un pubblico che avrebbe seguito con attenzione e dedizione ogni singola giornata nell’Arena. Questo era un punto a suo favore: più gli ascolti sarebbero stati numerosi, più lui avrebbe guadagnato.
Si riprese dai suoi pensieri e portò lo sguardo sul palco, dove la ragazza del primo distretto aveva appena iniziato a parlare con voce tanto sicura da sembrare quasi strafottente.
Tirò fuori il suo taccuino, dove aveva segnato i nomi di tutti i tributi e il loro punteggio alla sessione privata. Cornelia Banks. Era così che si chiamava la giovane.
- Soffro di una malattia genetica alle ossa, è per questo che sono così alta. Inoltre questa mia malformazione mi lascia una speranza di vita attorno ai trentacinque anni – raccontò la ragazza al pubblico con aria annoiata. Un mormorio si levò dalla gente che stava guardando, qualcuno si asciugò persino le lacrime.
Aveva sentito più volte parlare di malattie dai tributi, ma mai nessuno ne aveva parlato in quel modo. A differenza degli altri, lei non stava cercando la pietà e la compassione del pubblico, ma descriveva la sua situazione come se non le importasse, come se la situazione non la toccasse minimamente. Ma era davvero così?
L’intervista terminò e David scrisse accanto al nome della ragazza le parole: arrogante, superficiale e sicura di sé. Disegnò anche una stellina accanto al suo nome, segno che la trovava interessante.
Arrivò poi il turno di Alvin, che si mostrò molto chiuso e scontroso, sulla difensiva. Il pubblico però lo apprezzò molto, tanto che le scommesse su di lui aumentarono del 10%, soprattutto dopo che parlò di suo fratello minore Lowell. Un sorriso spuntò sul volto del ragazzo al pensiero del piccolo e il Capo Stratega si accorse che il suo era un sorriso vero.
- E dimmi, Alvin, che cosa ti aspetti dai giochi? – chiese Ray, che sembrava davvero curioso della risposta. Quanto era bravo a recitare!
- Di vincere. Spero che mia madre possa essere fiera di me, perché eliminerò la parola “codardia” dalla famiglia Theroux una volta per tutte. È una promessa. Ed io mantengo sempre le promesse! – rispose il ragazzo.
Determinato e diffidente.
La quindicenne Isabelle salì sul palco avvolta in uno stretto vestito rosso che la faceva sembrare molto più grande. La gente già l’adorava: era incredibilmente forte per la sua età, era una vera favorita. Salutò il pubblico con un sorriso appena accennato e poi la sua intervista cominciò.
- Cosa ne pensano i tuoi genitori del fatto che tu stia per partecipare ai trentesimi Hunger Games? – domandò l’intervistatore.
- Beh, mia madre è morta durante il parto, non l’ho mai conosciuta purtroppo – disse, guadagnandosi la compassione del pubblico – Mentre mio padre. . .si aspetta molto da me, spera che possa ottenere la gloria che mi merito! – aggiunse, ma non sembrava convinta delle sue parole, nonostante questo riuscì a mantenere la sua aria impassibile.
Orgogliosa e fredda.  
Merian conquistò il pubblicò scherzando con Ray e suscitando quindi le risate della gente. Era chiaramente un favorito, probabilmente credeva davvero che gli Hunger Games fossero un gioco e che fossero addirittura divertenti. In molti lo avrebbero definito “il tributo perfetto”: adorava la capitale e i giochi, era pronto a combattere non per i soldi o per la vita, ma solo per la gloria personale e del proprio distretto. Il tributo che ogni stratega avrebbe voluto, ma non lui. Se tutti i ragazzi fossero stati come Merian non ci sarebbe più gusto, né divertimento. L’unica cosa che scrisse accanto al suo nome fu: favorito.
Si ricordava di Kathleen: era la ragazzina che durante la sfilata si era seduta sul carro accanto al suo compagno di distretto seminudo. Con quel suo gesto aveva sfidato la capitale e gli strateghi stessi. Gli piaceva, ma non era il tipo di tributo che poteva vincere gli Hunger Games. Bastava un solo passo falso ed era certo che Jonathan Clark, il presidente, gli avrebbe ordinato di ucciderla. Fortunatamente per lei si comportò bene, fin troppo: l’aveva quasi annoiato. Però era sicuro che Kathleen non era da sottovalutare.
Diretta e sincera.
Riven lo stupì e non poco. A metà intervista Ray gli chiese se fosse vero che conoscesse tutto degli Hunger Games e quando il ragazzo annuì, David si fece più attento: non aveva mai sentito una cosa del genere e di certo non se l’aspettava da un ragazzo autistico.
- Fammi delle domande, se non ti fidi! – lo sfidò Riven.
- D’accordo – acconsentì l’intervistatore. – Come si chiamava il tributo maschio del distretto 8 della quattordicesima edizione? –
- Paul Dickens – rispose prontamente. – Quella volta vinse Helena Williams, del 2. –
- Incredibile! E che mi dici del Capo Stratega dei decimi Hunger Games? –
-  Marcus Lewis, a quel tempo aveva cinquantasette anni. Si è ritirato dal lavoro circa cinque anni dopo. –
Il pubblico scoppiò in un applauso fortissimo, facendo ancora una volta sobbalzare il povero ragazzo per il rumore.
Interessante e intelligente. Anche per lui disegnò una piccola stella accanto al suo nome.
Con i tributi del quattro rischiò davvero di andarsene dall’Anfiteatro: erano troppo perfetti per i suoi gusti.
Elaine raccontò della sua voglia di vincere, del suo desiderio di gloria e per lei scrisse solamente e con riluttanza: competitiva e ambiziosa.
Michael invece si divertì a scherzare con Ray e a fare battute, ma per quanto il ragazzo si credesse bravo a recitare, non lo aveva ingannato: sapeva che nascondeva qualcosa e David non vedeva l’ora di scoprirlo.
Misterioso e spiritoso (fin troppo).
- E dimmi, Alexia, c’è un ragazzo nel tuo distretto che ti fa battere il cuore? – chiese Ray con quello che doveva essere un sorriso malizioso, ma che sembrava solo una smorfia.
Le guance della ragazza si tinsero di rosso e rispose balbettando:
- Sì, si chiama Matthias ed è il mio fidanzato. –
- E cosa pensano i tuoi genitori di lui? –
Alexia allora raccontò del fatto che i suoi genitori erano morti in un incendio e che lei e suo fratello erano stati accolti dai genitori di quello che poi sarebbe diventato il suo fidanzato. Era certo una storia triste, ma ne aveva sentite di simili fin troppe volte. Quando l’intervista si concluse, David non aveva ancora trovato niente da scrivere accanto al nome della ragazza, era davvero così priva di personalità o era così brava da riuscire a non far trasparire nessun suo sentimento? Lasciò bianco lo spazio accanto al suo nome.
Nigel, invece, lo stupì: raccontò, come la maggior parte dei tributi, della sua famiglia, dei suoi amici, della sua ragazza morta nei giochi, ma non lo faceva per cercare sponsor o l’appoggio del pubblico, i suoi occhi si illuminavano al pensiero dei suoi cari e si riempivano di lacrime quando parlava della sua triste perdita. Era sincero. Era uno dei pochi tributi veri che David aveva visto.
- Cosa faresti se vincessi? –
- Beh, userei i soldi per la mia famiglia, per quella della mia ex-ragazza e per quella dei miei amici. Vorrei aiutare chi ne ha davvero bisogno, chi non ha il denaro per comprarsi nemmeno una fetta di pane. –
Anche stavolta quando parlava era sincero e credeva davvero in quello che stava dicendo, per questo il tributo si guadagnò una stella.
Buono e generoso.    
Kaya Patel fu restia a parlare della sua famiglia e non perché aveva problemi familiari, anzi, sembrava solo che volesse proteggerli. Era un comportamento interessante e da che lui ne aveva memoria, mai applicato da nessun altro. Si soffermò a parlare dei capitolini, del loro modo di vestire, delle loro abitudini e dei loro atteggiamenti. Li giudicava, ma senza essere offensiva: era in grado di rigirare le parole a suo favore, per questi motivi accanto al suo nome scrisse: furba.
Jace Eaton terminò la sua intervista dicendo con un sorriso determinato:
- Sono sicuro di vincere: sono forte e non ho paura, inoltre sono simpatico, perciò non mi sarà difficile ottenere sponsor che mi aiutino! Non vi deluderò, riuscirò a portarmi a casa il titolo di vincitore e la gloria che mi spetta! –
Parlava come un vero favorito, nonostante fosse del distretto 6. Dopo le sue parole, David non poté fare a meno di sorridere: quel ragazzo si stava illudendo da solo.
Ambizioso.
- Non ho paura. So quello che devo affrontare, ma ci sarà mio papà ad aiutarmi e so che farà di tutto per farmi uscire dall’arena. Io mi impegnerò e darò il meglio di me: quando voglio una cosa la ottengo sempre! – dichiarò Allison, la ragazza del 7.
Era la figlia del mentore Paul Thomas e, sebbene lei la considerasse una cosa positiva, per David era solo un punto a suo svantaggio: raramente ci sono due vincitori della stessa famiglia, soprattutto nei distretti poveri.
Si ricordava di lei: era quella che aveva formato una “A” con i coltelli su un manichino, non era una da sottovalutare.
Decisa e fiduciosa.
Per Mark Roberts provò semplicemente pietà: era un gracile ragazzino di appena dodici anni, non riusciva a dire una frase senza balbettare, sarebbe già stato tanto se fosse sopravvissuto per un intero giorno nell’arena. Era senza speranze. Non ascoltò nemmeno le sue parole e si limitò a scrivere accanto al suo nome: spacciato.
Reylen Sheed, la ragazza dell’8, spruzzava odio per Capitol City e per gli Hunger Games da tutti i pori. Evitò le domande sulla città cambiando argomento e concentrandosi su come si immaginasse l’arena o sui giochi, senza mai parlare di sé o della sua famiglia. Non era molto loquace e rispose alle domande a monosillabi o comunque senza giri di parole. Nonostante questo incuriosì David talmente tanto da fargli disegnare una stella accanto al nome della ragazza.
Riservata e intrigante.
Vegas Ghellow lo annoiò parecchio: per metà delle interviste scherzò con Ray e fece battute che facevano ridere il pubblico, ma che facevano solo innervosire David. Poi dichiarò che la sua fidanzata era incinta, che stava per diventare padre e che sperava solo di poter vedere crescere suo figlio. La gente nell’Anfiteatro cominciò a piangere, le scommesse su di lui aumentarono del 20% e alcuni sponsor si affrettarono a parlare con i suoi mentori. Invece David scrisse annoiato un semplice: innamorato accanto al nome del ragazzo. Uno stratega gli disse il nome della fidanzata e lui si appuntò con un sorriso sadico il nome “Amens” accanto al suo giudizio.
Non ascoltò la maggior parte dell’intervista di April Joyce, poiché la ragazza continuava a parlare, parlare e parlare. E lui non ne poteva davvero più. Come se non bastasse, il sorriso sulle sue labbra non era mai sparito, nemmeno un tentennamento. Come poteva prenderla sul serio? Fortunatamente il suo tempo finì e la ragazza se ne andò sorridendo, ovviamente.
Chiacchierona e ottimista.
Era sicuro che si sarebbe dimenticato in fretta di Jake Sander. Non trasmetteva nulla, non parlava di niente che potesse essere ricordato, non era nemmeno odioso, era semplicemente senza personalità. E, come per la ragazza del 5, lo spazio accanto al suo nome rimase bianco. Perché gli erano capitati dei tributi così amorfi?
Felicity Morrison, la ragazza del 10, era chiaramente tesa. Cercava di rispondere alle domande di Ray senza balbettare, ma non le era affatto facile.
- Mio padre è morto quando avevo otto anni, è stato assassinato e non abbiamo ancora scoperto il colpevole. È stata dura all’inizio: mamma ha attraversato un momento di depressione, non avevamo soldi, ma fortunatamente poi mamma ha conosciuto Mark e le cose sono migliorate. Hanno avuto tre gemelle, che io adoro! Hanno sei anni e si chiamano Micol, Samantha e Marie. Spero di poter tornare a casa da loro – raccontò con le lacrime agli occhi.
Speranzosa.
Jack, il ragazzo senza comune del 10, fu uno dei tributi più interessanti. Non parlò molto, rispose solo e brevemente alle domande. David non era nemmeno sicuro che tutte le risposte fossero vere. Il suo non era certo un atteggiamento che gli avrebbe fatto guadagnare sponsor, ma in cambio incuriosiva lui. Nei suoi occhi poteva leggere l’odio che stava provando, la voglia di libertà, il desiderio di urlare contro tutti, ma il ragazzo rimase seduto senza opporsi, come legato da catene invisibili. David non poté fare a meno di disegnare una stellina accanto al suo nome.
Desideroso di libertà.
I nomi di Alexandra e Matthew, dell’11, li scrisse vicini. Le loro interviste furono talmente simili che non poteva non giudicarli insieme. Erano amici del cuore e sembrava che il destino li volesse separare. Storia commovente per gli sponsor e per il pubblico, ma dal suo punto di vista solo irritante. Non si sprecò in giudizi, era troppo alterato per pensare a qualcosa da scrivere accanto ai loro nomi. Tracciò solo una spessa “X” nera che significava morte certa.
Non fu difficile capire che Shanti Koyle odiasse gli Hunger Games e Capitol City. Portava con fierezza una collana con la scritta “Always Myself” che fece sorridere David. Voleva proprio vedere se sarebbe sempre rimasta sé stessa nell’arena. Non poteva pensare di vincere e persino di non cambiare.
Ribelle.
Blake Dawnson raccontò con gli occhi velati di lacrime della sua famiglia:
- I miei genitori sono morti quando avevo sei anni, sono stati uccisi da un Pacificatore a causa della morfamina. –
- Immagino sia stato difficile per te, ragazzo – disse Ray con un sorriso  pieno di compassione.
- Sì, molto. Per due anni ho attraversato un periodo di depressione, ma ora sto meglio. –
David notò come il ragazzo non disse di averla superata o di stare bene, solo di sentirsi meglio. Aveva certo sofferto molto nella sua vita e non si stupì più di tanto del fatto che si fosse offerto volontario.
Sofferente.
Le interviste si conclusero con un discorso di Ray e l’applauso del pubblico e piano piano la gente uscì dall’Anfiteatro. David era un po’ deluso dai tributi quell’anno, nonostante ce ne fossero alcuni che lo avevano colpito. Fortunatamente avrebbe avuto tante occasioni per vendicarsi con loro nell’arena. I Trentesimi Hunger Games stavano per iniziare e lui fremeva dalla voglia di mettersi all’opera.


SPAZIO AUTRICE

Ciao a tutti!
Anche stavolta sono puntuale (due settimane mi sembrano ragionevoli), ma questo capitolo è stato davvero un parto e non ne sono ancora del tutto convinta. Non sapevo bene come rendere il punto di vista di David senza annoiarvi troppo e non avevo intenzione di scrivere ogni intervista perché sarebbe stato troppo ripetitivo e lungo. Spero che l’idea dei giudizi vi sia piaciuta e che non vi abbia stancato.
L’ho già detto nella premessa, ma voglio ripeterlo: vi prego di non offendervi o pensare che non abbia compreso i vostri tributi, quello che ho scritto lo pensa David, non io.
Il prossimo capitolo sarà sull’Arena e non vedo l’ora, ma non so quando potrò aggiornare. Spero fra due settimane, ma visto che riesco a scrivere solo nei weekend e che il prossimo fine settimana sono via (Lucca Comics *_*) non so se riuscirò a pubblicarlo puntale, ma spero di sì.
Le morti, come vi avevo già detto saranno 7 e le ho già decise. Ho una domanda per voi: preferite che vi faccia votare quanti morti ci saranno ogni giorno (come abbiamo fatto per il primo) oppure che decida io? Fatemi sapere.
Vi ringrazio come sempre delle recensioni, a qualcuna sono riuscita a rispondere e spero di terminare al più presto.
Un bacione e al prossimo capitolo,
Felix <3

  
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