Sono davanti una scuola elementare e media, fa caldo ma il vento freddo mi fa desistere dal levarmi il giacchetto.
Per essere una giornata di fine ottobre si sta fin troppo bene. Vedo intorno a me mamme, nonne e parenti vari, un insieme di facce e persone diverse.
La mia attenzione viene rapita da una bambina, avrà si e no tre anni, indossa un cappottino bianco e dal berretto grigio esce qualche ciuffo di capelli neri. Sembra felice. É felice. Sgambetta di qua e di là tutta contenta. Ride divertita e indica una foglia arancione che sta cadendo al suolo con grazia, in quella che sembra a tutti gli effetti una danza.
É proprio felice lei. Mi si avvicina e indica i miei pantaloni, di un bel colore arancio anch’essi, sorride mostrando i piccoli dentini bianchi.
Sembrano essere di suo gradimento tanto che posa una delle sue manine sul mio polpaccio.
Mi piego sulle gambe per arrivare alla sua altezza, mi sorride ancora, senza mai staccare gli occhi dai miei pantaloni. Ha dei bellissimi occhi neri, noto.

All’improvviso sento una signora gridare il mio nome e in un gesto di velato egocentrismo mi volto. Ben presto capisco l’errore quando la bambina corre verso la signora e le tende una delle sue piccole mani per attraversare la strada.
Un secondo prima che le due spariscano dalla mia visuale noto la piccola salutarmi con la mano e impacciata ricambio sorridendo.

Fra me e me penso:
Ciao Caterina, fai la brava, sii sempre cosí spontanea e sii orgogliosa del tuo nome, o forse dovrei dire del nostro.