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Autore: Lady Aquaria    25/10/2015    1 recensioni
"La verità è che io faccio fatica a non pensarci, alla fine mi sono arreso. Ho smesso di provare a liberarmi un po' la testa ma non riesco perché lei c'è. C'è sempre. Con il suo sorriso e i suoi occhi, perfino col suo caratteraccio. E quando non c'è la cerco. La cerco in casa, a Rodorio, la cerco nelle canzoni dei Kiss che ho imparato ad apprezzare e dentro le frasi dei pochi libri che ha letto qui. E sai cosa? C'è ancora. E' ancora dappertutto. L'ho cacciata, ma non riesco a levarmela dalla testa."
E tutto questo, a partire da quel giorno al Goro-Ho.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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capitolo 23 prequel
23.
Love's a loaded gun (and it shoots to kill)
[Non siamo mai così indifesi verso la sofferenza, come nel momento in cui amiamo.]
Sigmund Freud

Love kills, thrills you through your heart
Love kills, tears you right apart
[The Queen – Love Kills]
 
Sometimes love's a loaded gun
And it shoots to kill
[Alice Cooper – Love's a loaded gun]
 
6 febbraio, sera.
Camus s'affacciò dal parapetto che delimitava lo spiazzo antistante l'undicesima casa con una strana inquietudine: troppi movimenti quella sera, troppi cosmi agitati; sulle prime non aveva fatto caso al Cosmo di Dohko, solitamente così tranquillo che una persona meno abituata a percepirlo non lo avvertiva neanche, poi, quello di Shiryu e infine, quello di Aiolia.
"Avete bisogno di qualcos'altro, Maestro?"
Non si voltò nemmeno per rispondere a Cora, lo sguardo fisso a est, come se il cielo potesse dargli le risposte che stava cercando.
"No."
"Come volete. Dunque col vostro permesso mi ritiro, buonanotte."
"Altrettanto." rispose, avvertendo in quel momento Aphrodite che si trasportava fino in Cina.
Troppe cose che non gli tornavano. Che diavolo stava succedendo?
"A volte mi sento fortunato a non possedere alcuna nozione di medicina o un qualche potere di guarigione." esordì Milo. "Non è la prima volta che Aiolia e Aphrodite si recano al Goro-Ho a sorbirsi i lamenti del giovane Dragone: si dice che durante gli ultimi scontri si sia volontariamente accecato per sfuggire allo scudo di Algol di Perseo."
Sinceramente, con una gran punta di cattiveria, pensò che di Shiryu non gli importava granché.
"Non lo invidio neanche un po'."
"Pazzo scellerato." proseguì Milo, appoggiandosi al parapetto accanto all'amico. "Alcuni soldati l'hanno visto infilarsi due dita negli occhi. Miei dèi, ma ci pensi? Quale persona sana di mente farebbe mai una cosa del genere per sconfiggere un nemico? Insomma, Perseo non fu così idiota."
"A sua difesa, e credimi, mi stupisce anche solo pensarlo, posso dire che Algol non era un avversario facile." aggiunse Camus.
"Sicuramente no." proseguì Milo. "Solo che... vedi? Io trovo persino difficile usare il collirio, non riesco a immaginarmi nei suoi panni."
"Beh, credo tu non sia il solo: durante certe missioni ho trovato impossibile mettere il khôl come usano certi popoli del deserto per proteggere gli occhi dalla sabbia e dalle irritazioni: col tempo ho imparato, ma le prime volte lacrimavo."
Milo lo guardò.
"Ti truccavi? Che sfortuna, avrei tanto voluto vederti."
"Solo gli occhi." puntualizzò Camus, omettendo volontariamente di menzionare alle foto che lo ritraevano nel Sahara, in abiti locali.
Nonostante l'arrivo di Milo, però, la strana sensazione che l'aveva colto prima, quando era uscito di corsa fuori casa, non si era affatto affievolita.
"Invece io ho come l'impressione che Shiryu non sia la vera causa di tutti questi movimenti." disse infine, dopo qualche attimo.
"Cosa vuoi dire?"
"Troppe cose che non tornano e che mi sfuggono. Beh, buonanotte. Io vado a dormire."
"Di già?! Insomma, sono solo le dieci meno venti!"
"Buonanotte."
Non pensare a lei, Cam. Non puoi andare avanti così, tutto questo non ti fa bene.
La sua crosta di ghiaccio si stava facendo sempre più spessa.
"Kaliniktà."
 
Si svegliò un paio d'ore dopo, durante un sonno parecchio agitato: la sensazione di tutti quei serpenti avvinghiati alle sue gambe era ancora troppo reale. Poteva ancora avvertire le spire viscide dei rettili farsi strada su di lui, e quell'ultimo essere, quello che l'aveva finito con la sua puntura...
Una strana sensazione al petto lo costrinse ad alzarsi e a uscire di casa, guardando a oriente.
Che fosse successo qualcosa a Mei?
Boccheggiò un paio di volte, mentre la sensazione spariva, lasciando posto a una strana serenità.
E se andassi da lei?
Il dolore sordo tornò improvvisamente, acuto, e lo costrinse in ginocchio, davanti all'undicesima casa: Aiolia ritornò diversi minuti dopo la mezzanotte, lo intravide parlottare con Mu alla prima casa.
Doveva a tutti costi sapere cos'era successo, decise.
Cardia si voltò verso l'amico, un'espressione incredula sul volto.
"Non fosti tu a dirmi che non è nostro diritto interferire nelle questioni dei vivi?"
"Infatti. E come d'abitudine agisco per il suo bene, non certo per mio diletto."
"Cagionargli dolori al cuore non gli ha certamente giovato. Come hai potuto fargli questo sapendo che cosa ho dovuto sopportare?"
"Cardia, ti prego, questo non è il momento migliore per discuterne."

"Avresti dovuto trovare un altro modo per distrarlo dai suoi propositi!"
"Cardia, basta."
 
Camus salì di buon'ora in Biblioteca, alla ricerca di qualche risposta riguardante l'assurdo sogno che l'aveva tormentato: in quella dell'undicesima casa, ereditata da Degél, non aveva trovato alcun testo riguardante i sogni.
"Sognare tanti serpenti assieme denota un momento particolare della vostra vita, popolata di insicurezze, timori, repressione di impulsi e confusione.
Sognare un serpente che striscia: potreste essere vittima di inganni o provare incertezze e angoscia.
Sognare un serpente che si avvinghia denota troppo autocontrollo."
Un brivido lungo la spina dorsale lo scosse: il ribrezzo che provava per quegli animali era aumentato dopo quell'incubo. Ma era l'ultimo elemento a tormentarlo. Lasciò aperto il tomo sul tavolo e si allontanò per cercare quello sugli aracnidi; nel mentre, Milo, entrato in biblioteca, sbirciava con curiosità i pochi appunti che aveva lasciato accanto al libro:
"Confusione, autocontrollo, inganni. Qualcuno non è sincero con me.(?)"
Levò gli occhi al cielo. Possibile che un uomo pragmatico e con i piedi ben piantati per terra come Camus potesse credere all'oniromanzia?
Che sciocchezza, cercare risposte in quei modi assurdi.

Non proprio sciocchezze, ad essere sinceri. Quando aveva visto la bambina, quando aveva visto quanto intensamente ella assomigliasse a suo padre, era scattato qualcosa nella sua mente: diglielo, ha ogni diritto di sapere la verità.
Camus stava tornando al grande tavolo posto al centro degli scaffali; lo sentì parlottare tra sé e sé e decise di nascondersi.
"Che insetti schifosi." borbottò Camus, sfogliando rapido i capitoli dedicati ai ragni per passare a quello che lo interessava.
Milo sbirciò quel libro dal suo nascondiglio: sulla pagina che Camus stava consultando campeggiava un enorme scorpione.
"Un androctonus crassicauda, uno tra gli scorpioni killer più pericolosi del mondo." esordì, uscendo allo scoperto e facendo sobbalzare l'amico. "E' di piccola taglia ma è letale: con la sua puntura sprigiona una neurotossina in grado di uccidere un uomo in salute. Poi qui c'è il mio preferito, il pandinus imperator: grande e grosso ma quasi innocuo, fa male se riesce a pungere, ma la sua tossina principale è studiata per la cura delle aritmie."
"Ne ho visto uno." disse Camus, soffocando l'impulso di gridargli contro per lo spavento.
"Qui?! Impossibile, vivono entrambi nei deserti nordafricani o del medio oriente. In Grecia puoi trovare, al massimo, un comune euscorpius sicanus che ti provoca un bozzo doloroso. Lo so perché ho subito la sua puntura durante l'addestramento: camminai scalzo per giorni prima di poter indossare di nuovo i calzari, un male che non ti dico. Sai che sono immune al veleno della maggior parte di queste bestioline? Non so a quale di queste specie pericolose appartenesse il veleno usato nel rituale per ottenere l'armatura, ma se sono sopravvissuto a quello, credo di poter sopravvivere a tutto."
"L'ho visto in sogno." terminò l'altro. "Mi pungeva mentre avevo le gambe bloccate da una miriade di serpenti."
Milo restò qualche istante in silenzio, interrogativo.
"Okay, hai fumato qualche erba strana quando sei entrato in casa? Guai a fumare l'alloro, Athena potrebbe non prenderla bene." sospirò. "Okay, dai, la smetto. E' che mi stupisce il fatto che uno come te possa credere a queste cose."
"Io non ricordo mai i sogni che faccio durante la notte, anzi, non so nemmeno se sogno davvero. Un sogno è il modo che ha il nostro inconscio per avvertirci di qualcosa, e voglio capire che cosa sta cercando di dirmi il mio."
Sognare di essere punti indica un forte pericolo e provoca in noi una forte sensazione di angoscia: il morso da parte di animali velenosi, indica una nostra debolezza. Siamo stati colpiti in modo da non poterlo evitare. Questo tipo di rappresentazione può essere associata ai nostri rapporti, sia con collaboratori o amici e/o famiglia. 
Camus appuntò qualcos'altro sul suo taccuino, mentre Milo rimuginava su quelle parole.
Devi dirglielo. Deve sapere.
"Camus, devo parlarti di una cosa." mormorò, svelto, prima che la ragione avesse la meglio sui sentimenti.
L'altro alzò lo sguardo, quel tanto che bastava per vedere un soldato della guardia di Ares entrare in biblioteca.
"Ares richiede la vostra presenza, nobile Scorpio."
Con grande stupore di Camus, Milo assestò un pugno rabbioso sul ripiano del tavolo, imprecò e si schiarì la voce.
"Arrivo." rispose.
"Che cosa dovevi dirmi? E' urgente?"
"Non posso parlarne qui, di fretta."

Guardò Milo scomparire verso l'uscita, dimenticandosi presto di ciò che aveva detto per dedicarsi alla sua ricerca, e per i successivi giorni, per via di una missione,non avrebbe più avuto modo di riprendere l'argomento.
 
Dopo quel sogno aveva indagato a lungo seguendo ogni indizio a sua disposizione. Ma dopo due settimane, ancora fermo al punto di partenza e con i pochi indizi che conducevano a piste morte, aveva deciso di fare un ultimo tentativo prima di lasciar perdere: tutto sarebbe dipeso da quell'ultima volta.
Si trasportò quindi in Cina, deciso a porre fine a quanto, per lui, era diventato insopportabile, ma non si era aspettato di trovare Mu laggiù al Goro-Ho; ciò poteva costituire un problema.
Si appiattì contro il muro, azzerò il cosmo e si mise in ascolto pur sapendo benissimo che era sbagliato origliare, ma non aveva poi tanta scelta: non era mai stata sua abitudine fare domande dirette su argomenti che lo riguardavano troppo da vicino e che lo facevano soffrire: non voleva suscitare l'interesse dei suoi parigrado e soprattutto non voleva scatenare nessun pettegolezzo intorno a sé.
"Se mio fratello scopre che sono qui…"
Già, Kiki. Aveva inviato Cora a chiamarlo e una volta arrivato davanti all'undicesimo tempio, l'aveva portato con sé senza pensarci due volte.
"A lui penserò io." rispose, secco. "Ti ho portato con me perché il mio cinese è pessimo, e se Mu ha qualcosa da dire in merito, dovrà vedersela con me, non con te. Avanti. Ora traduci."
"Se traduco che cosa ottengo in cambio?" domandò quindi Kiki, con il solito sorriso birichino che si spense non appena ebbe captato lo sguardo gelido di Camus. "Scherzavo."
"Sono felice di saperla in salute. Dunque nessuna complicazione, è andato tutto per il meglio?"
Di quelle prime parole scambiate tra i due aveva capito solo poche parole afferrate per caso.
"E così ha avuto una bambina." proseguiva Mu.
"Pensavo ne fossi al corrente. Quel Saint, Aiolia, pensavo l'avesse detto."
Kiki si sporse appena, intravedendo la schiena di Shiryu.
"No, al Santuario nessuno ha detto nulla. Sapevo della gravidanza perché Mei stessa mi aveva informato, ma non sapevo altro. E come l'ha chiamata?"
"Meglio così, comunque, che non si sappia in giro o Mei mi ucciderebbe. L'ha chiamata Lixue e ha aggiunto uno sciocco nome francese che francamente trovo inutile."
"Non sta a te decidere se il nome di tua nipote è assurdo o banale. Non è tua figlia."
"Aimée. Continuo a ripetere che è assurdo."
"Aimée significa amata, Shiryu. E sono certo che lo sarà. Lixue invece neve graziosa: mi piace, ha una bella musicalità. Un nome che si addice alla figlia del ghiaccio." diceva Mu.
Accanto a lui, Camus fremeva impaziente: ne avvertiva il nervosismo.
"Mi raccomando, nessuno deve sapere."
Camus corrugò la fronte guardando Kiki che, attento, ascoltava. Continuava a percepire solo poche parole a casaccio e la cosa lo mandava letteralmente in bestia.
Si sporse, giusto in tempo per vedere Mu scrollare la testa.
"Io rispetto la decisione di Mei, ma Camus dovrà sapere che è diventato padre."
"Non è necessario." disse infine Shiryu. "Oh ecco che arriva."
Sgranò gli occhi, incredulo.
"Ho sentito chiaramente il mio nome… allora, mi dici che cosa sta succedendo o devo strapparti le parole di bocca una per una?"
Kiki si grattò la testa, con la pessima sensazione che di lì a poco si sarebbe scatenato un disastro di dimensioni epiche: se prima si era domandato quale ira sarebbe stato meglio affrontare, se quella di Camus o quella di suo fratello, in quel momento ne ebbe la certezza.
"Non ti piacerà." capitolò infine, mentre un vagito piuttosto potente accompagnava quelle parole.
D'istinto si sporse fino a vedere all'interno, e allora li vide: Shiryu e Dohko, appena dietro Mu, e Shunrei accanto a Mei, che era in piedi al centro della stanza con un neonato tra le braccia.
"E' tua figlia." disse finalmente Kiki, concentrando tutto ciò che aveva ascoltato in tre semplici parole.
Dohko captò il suo cosmo fuori dalla pagoda e si voltò, scoprendolo al di là dei vetri, lo sguardo fisso sulla neonata, il cuore e l'animo in tumulto.
"Mei." le disse semplicemente, indicandole la finestra con un cenno.
Mosse qualche passo indietro, allontanandosi dalla pagoda, mentre Mei posava sua figlia in braccio a Mu e usciva di casa, nel gelido inverno cinese.
"Dove vai? Fuori c'è un freddo atroce!"
Mu aveva ragione: fuori faceva un freddo incredibile, e avrebbe dovuto seguire il suo consiglio e rientrare in casa, ma il freddo che stava patendo non era niente in confronto a quello che aveva sentito quando aveva incrociato lo sguardo di Camus attraverso la finestra. Lo chiamò, rabbrividendo e stringendosi nel kimono rosso che Shiryu le aveva donato qualche tempo prima, blanda protezione contro quel gelo.
"So che sei qui, ti ho visto." balbettò, muovendo qualche passo nonostante iniziasse a non sentire più i piedi.
 
Si concesse un minuto per osservarla, nascosto in mezzo agli alberi del giardino: spiccava come una maestosa peonia rossa in mezzo al candore della neve che cadeva da giorni in quella regione.
Quando sentì il proprio nome, serrò gli occhi e trattenne il respiro.
Aveva seguito le sue impronte sulla neve fresca e ora era lì, a pochi passi: avrebbe potuto allungare le braccia e stringerla a sé, ma ricacciò indietro quell'impulso a forza, dopo aver sentito sua figlia piangere, dentro casa. Silenzioso come sempre, le spuntò alle spalle, riattivando il Cosmo di colpo e facendola trasalire.
"Non ti muovere." le intimò, la voce di un ottava più bassa, gelida come non mai. "Potrei non rispondere di me."
"Ti... ti devo parlare."
"E' un po' tardi, non credi?" sibilò, avvertendo la rabbia rimontargli addosso, cieca. Le si avvicinò quel tanto che bastava per parlarle nell'orecchio, prima di scomparire. "Non temere, ci rivedremo."
Mei si sentì cedere e s'accasciò in ginocchio, tremando sempre più vistosamente, finché non arrivò Dohko, ad avvolgerla nel suo Cosmo.
"Rientra, Mei. Finirai con l'ammalarti." le disse, indulgente.
"Maestro... che cos'ho fatto?!"
"Figlia mia." sospirò Dohko, accarezzandole la testa. "Ormai è troppo tardi per chiederselo."
 
**
 
Quando Milo lo vide correre come se avesse avuto il diavolo alle calcagna capì subito che era successo qualcosa di grave; Camus oltrepassò il retro dell'ottava casa così di fretta e con una tale urgenza che le battute sarcastiche che gli erano salite alle labbra gli si erano bloccate in gola.
"Che sta succedendo?" gli domandò, non ottenendo risposta. "Camus! Ma che diavolo…? Potresti rispondermi? Mi stai facendo preoccupare!"
Ignorò Milo e marciò dritto all'undicesima casa, chiudendogli quasi la porta in faccia.
Non ti piacerà gli aveva detto Kiki.
E infatti, non gli era affatto piaciuto.
E' tua figlia.
Lui, padre? Era diventato padre e Mei non gli aveva detto niente?
In nove mesi non aveva mai pensato di avvertirlo, in qualche modo?
L'avrebbe sentito. Oh, se l'avrebbe sentito.
Si accasciò contro la porta quasi senza forze, nel petto un dolore sordo come se l'avessero appena pugnalato a tradimento.
In effetti non è proprio quello che è successo?
Per Athena, stentava a crederci. Non si trattava di stupidaggini, ma di una bambina! Gli aveva nascosto sua figlia! Come aveva potuto?
Riprese fiato rendendosi conto di averlo trattenuto involontariamente per diversi secondi, quindi urlò con tutto quello che aveva in gola.
Dall'altro lato della porta, Milo si spaventò sul serio quando lo sentì gridare: mille scenari gli si affacciarono alla mente, e tutti comprendevano Mei.
Le era successo qualcosa di grave? O, peggio, era successo qualcosa alla bambina?
"Cam! Per Athena, rispondimi!" insisté Milo, afferrando la maniglia e scoprendo che la porta era aperta e Camus vi era appoggiato contro. "Dimmi qualcosa!"
Ma che rispondere e rispondere… a malapena riusciva a respirare, sopraffatto da sensazioni e sentimenti troppo grandi e potenti.
Si trascinò di corsa in bagno e diede di stomaco, mentre Milo entrava in casa.
Non può averlo fatto davvero, non può avermi fatto questo.
"Maledizione Camus, calmati!" lo riprese, scostandogli i capelli dal volto. Lo aiutò a rimettersi in piedi: tremava ed era in un bagno di sudore e, cosa peggiore, continuava a premersi una mano sul petto. "Oh Athena, non ti ho mai visto così. Vuoi farti venire un infarto? Mi spieghi che cosa accidenti c'è?"
Camus biascicò qualcosa, ma era troppo sconvolto per parlare chiaramente e con calma: Milo non riuscì a capire che poche parole afferrate per caso... Mei, Cina, cattiveria...
"Finirai con l'iperventilare... non capisco, accidenti... è successo qualcosa a tua figlia?"  
A ripensarci, forse, sarebbe stato meglio non toccare quel tasto: lo sguardo che ricevette in risposta lo attraversò come una scarica elettrica.
"Tu sapevi?"
Lo guardò con aria colpevole, a differenza sua Milo non riusciva a mentire né a dissimulare. Quando ci provava, Camus lo scopriva subito: se ne accorgeva perché iniziava a tamburellare le dita sul primo oggetto disponibile, vizio che aveva adottato da bambino e non aveva mai perso.
Sì, lo sapeva, e in qualche modo aveva anche provato a dirglielo, anche se non aveva fatto abbastanza tentativi. Vederlo in quello stato aumentò i suoi sensi di colpa.
"Sì, ma ascoltami..."
"Sapevi che Mei era incinta… e non mi hai mai detto niente?!" sbottò, scrollando via la mano che gli aveva messo su una spalla.
Milo non sapeva che cosa rispondergli. Aveva tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiato, e niente di ciò che avrebbe detto poteva cambiare lo stato delle cose.
"...ti prego..."
"Da quanto tempo sapevi?"
"Che importanza ha adesso?"
"Rispondimi."
"Da settembre." rispose Milo, in un sussurro quasi impercettibile.
"Settembre." ripeté Camus. "E in sei mesi non hai mai avuto un minuto di tempo per avvertirmi? Non ti è mai passato per la mente di avvisarmi, di pensare che avevo ogni sacrosanto diritto di saperlo?"
"Sei arrabbiato e lo comprendo bene, ma… per favore, Cam…"
Non riuscì a fermare il ghigno ironico che gli salì alle labbra. Arrabbiato? Lui?
No, arrabbiato era un eufemismo, era molto più che arrabbiato, dentro di sé provava così tanti sentimenti, tutti insieme, che Milo non ne aveva neanche idea.
"Non sai proprio niente." rispose gelido. "Tu non hai idea di come mi sento ora."
"E allora parla! Sono tuo amico, gli amici servono anche a questo!"
"Amico? Bella faccia tosta. Gli amici non si comportano in questo modo. Adesso capisco il senso di tutti quei continui spostamenti in Cina, capisco quel gran movimento di cosmi verso oriente dell'altra notte… eh già. Tutti sapevate di mia figlia e nessuno, nessuno ha avuto la decenza di informarmi a riguardo." sbottò Camus. "Nemmeno tu. Come hai potuto farmi questo?"
Il suo sguardo ferito lo colpì.
"L'avevo promesso a Mei." rispose Milo.
"Oh, le avevi fatto una promessa, ora si spiega tutto." disse Camus, sempre più ironico. "E che mi dici delle promesse che avevi fatto a me? Delle promesse che ci siamo scambiati da bambini, sulla lealtà reciproca e sul fatto che ci saremmo coperti le spalle a vicenda, che saremmo sempre stati onesti l'un con l'altro? Dov'è questa tua onestà, Milo?"
"Le promesse le mantengo sempre, Camus, che siano rivolte a te o ad altre persone. Sono leale e corretto, sono lo stesso Milo che hai conosciuto da bambino."
"Lo sei?" perché gli avevano giocato quel tiro mancino? Perché Mei aveva tenuto tutto nascosto e perché Milo aveva taciuto? "Passi Mu col quale non sono in confidenza… passi Shiryu che mi ha sempre remato contro ed è stato zitto per cattiveria, ma tu… da te non me lo sarei mai aspettato."
Milo scoppiò a ridere, istericamente.
"Ah sì? E quante cose tu hai fatto che io non avrei mai pensato potessi fare? Io sono così, come sono sempre stato. Sono quell'amico a volte troppo invadente, col carattere troppo estroverso, quello che cerca di tirarti su il morale con le battute sciocche e che spesso fa il cascamorto con le belle ragazze. Ma bada, solo cascamorto, perché contrariamente a quel che pensate tutti quanti non mi porto a letto qualunque cosa respiri. Io sono anche una persona seria, leale, sono un buon... anzi... sono un ottimo amico: Mei mi ha fatto promettere di non dirti nulla perché era convinta che l'avresti accusata di essere rimasta incinta apposta per intrappolarti e io come amico ho assecondato la sua richiesta. Punto."
Per come la vedeva lui, era solo una mera scusa campata per aria, dato che entrambi sapevano che non era e non sarebbe mai stato quel genere di ragazzo, era una stupidaggine buttata lì solo per coprire quella crudeltà immeritata.
L'avrebbe sentito, eccome. Arrabbiato com'era, sarebbe stato capace di qualunque cosa.
"E' una scusa assurda questa, sa benissimo che non avrei mai pensato una cosa del genere. Quando abbiamo perso il controllo e l'abbiamo fatto nonostante non avessi con me le necessarie precauzioni, sapevo a che cosa potevamo andare incontro, tutti e due lo sapevamo. Quindi no, non ci credo. Mi ha deliberatamente escluso." replicò Camus, prima di andare in salotto. "L'hai vista?"
"Sì, credo che si stia ancora riprendendo dal parto, Aphrodite mi ha detto che è stato parecchio doloroso, ma in fondo sono trascorse due settimane circa e dovrebbe già essere in grado di riprendere le sue normali attività." rispose Milo, seguendolo.
"Parlavo di mia... figlia."
Com'era strano pronunciare quella parola. Figlia. Bastava una sola parola, a volte, a cambiare radicalmente la vita: ora sapeva che c'era una parte di sé, al mondo, una parte che aveva bisogno di lui così come lui aveva bisogno di lei.
"Sì." rispose Milo, cauto. "L'ho vista. Ed è incredibilmente bella."
Uno scricciolino di tre chili e ottocento grammi, con una gran massa di capelli rossi: non appena aveva posato lo sguardo su di lei, gli era sembrato di vedere la versione in miniatura dell'amico; inoltre, senza farsi notare da nessuno, le aveva anche scattato una foto: non era granché, il suo cellulare non permetteva foto particolarmente nitide, ma era sufficiente a mostrargli il volto di sua figlia.
Ed eccola lì, la bambina.
Nella foto dormiva placida nella sua culla; aveva gli occhi chiusi, ma poteva comunque vedere il ciuffo rosso scuro spuntare dalla cuffietta. Scorrendo avanti le foto, ne vide un'altra dove era stretta tra le braccia di sua madre: nonostante il parto e il corpo appesantito dalla gravidanza, si accorse che non era cambiata, era bellissima come se la ricordava.
O almeno, lui la trovava tale.
Milo le aveva scattato diverse foto, alcune un po' troppo sfocate, segno che le aveva scattare di corsa e segretamente, altre per fortuna, più dettagliate. Ma dopo un po' posò il cellulare sul tavolino, accanto a un sacchetto di biscotti che Milo aveva posato poco prima e si prese il viso tra le mani tentando in ogni modo di non cedere alla rabbia che minacciava ancora di esplodere da un momento all'altro.
"Non te la prendere."
"Come, scusa?"
"Cam, avete il cinquanta percento di colpa…"
Era stato un brutto periodo per entrambi, ma lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non le avrebbe mai nascosto una cosa così importante.
"Il cinquanta percento? Che cosa vorresti dire?"
"Beh, tu l'hai lasciata."
"E questo giustifica le sue azioni? Non l'ha concepita da sola, quella bambina è tanto sua quanto mia!"
D'accordo. Poteva capire tutto, la rabbia, la frustrazione… ma quello no.
Quello era troppo anche per lui.
Il dolore al petto tornò di nuovo, costringendolo a prendere dei grandi respiri per calmarsi.
"Come ha potuto farmi questo?" ripeté ancora una volta, incapace di darsi pace. "Tu le hai parlato, sei rimasto in contatto con lei, hai quindi uno straccio di spiegazione da darmi?"
Qualcuno in casa si schiarì la voce: Mu, seguito da Aphrodite.
"Se mi è permesso intervenire, vorrei spiegarti come sono andate le cose. So che sono l'ultima persona che in questo momento vorresti vedere ma se potessi concedermi qualche minuto per parlarti..." interloquì Mu, sulla porta del salotto. Non ottenendo risposte contrarie, proseguì. "Quando si è accorta di aspettare un bambino non ha voluto dirti nulla perché non voleva che tu pensassi fosse rimasta incinta di proposito per incastrarti. So che serve a poco, ma ho tentato di farle cambiare idea e di farti sapere di questa storia, anche Aphrodite ha provato a schiarirle le idee ma la conosci meglio di noi, non c'è stato verso."
Camus annuì appena, strofinandosi gli occhi.
"Posso capire come ti senti ma..."
"Ah no, ne dubito. Non credo che tu possa capire anche solo lontanamente come mi sento." sbottò Camus, brusco, interrompendo Mu. "Mi sento tradito. Mi sento derubato. Sono stanco. Sono così arrabbiato che potrei andare in Cina e rivoltare il Goro-Ho, Maestro Dohko o no. Sono così furioso che se avessi Mei tra le mani sarei capace di strangolarla!"
"Certe cose non andrebbero nemmeno pensate!" protestò Mu. "Per quanto avversa sia questa situazione, per te, non è una buona ragione per pensare e tantomeno pronunciare ad alta voce cose di questa gravità."
"Infatti non è una buona ragione, è un'ottima ragione." il puzzo delle pessime sigarette tipiche dei chioschi del porto, zuppe di catrame, annunciò l'arrivo di DeathMask. "Se fossi al posto tuo, quella sarebbe già in viaggio verso l'ade e la sua testa farebbe già compagnia alle altre. Le notizie corrono veloci, paparino, sia quelle belle che quelle brutte. E da quel che ho sentito entrando, la tua morosa ha pensato bene di tenerti nascosto tutto."
Riacquistato il suo usuale contegno gelido, Camus si schiarì la voce.
"Questa faccenda non ti riguarda, nessuno ha chiesto la tua opinione."
"Questo è vero." convenne DeathMask, spegnendo il mozzicone nel posacenere sul tavolino. "Ma lascia che ti dica una cosa: non puoi permetterle di metterti i piedi in testa così, ricorda chi sei e fai in modo che anche lei se lo ricordi. Se io fossi al posto tuo, le porterei via la marmocchia. Hai detto di essere suo padre, no? Ammesso che sia davvero così, cosa della quale dubito fortemente, hai anche tu dei diritti. Vai in Cina e te la prendi senza tante storie. Sii uomo, mostrale chi comanda."
"E per mostrarle chi comanda, dovrebbe portarle via la bambina? Non hanno tutti i torti se ti definiscono mostro." interloquì Aphrodite. "Ho aiutato io Mei a partorire, insieme ad Aiolia. L'ho guardata bene, ha i tuoi stessi capelli e, parola mia, pare averti rubato il volto. E' la tua miniatura, credimi."
"So perfettamente che è mia figlia, non ho bisogno di conferme."
DeathMask scoppiò in una risata, facendo spallucce.
"Povera anima." disse in italiano, prima di tornare al greco. "Sono un mostro? Sai che m'importa? L'odio degli altri mi rende potente e orgoglioso. Porti la marmocchia qui e la dai in mano a un paio di balie, poi impedisci alla strega di vederla, fine della storia. Così impara ad avere rispetto per gli altri, ad avere rispetto per il suo uomo."
Oh sì, conoscendolo, DeathMask l'avrebbe fatto sicuramente.
"Sei un essere rivoltante." sibilò Camus, rispondendo a DeathMask nella sua lingua, ignorando l'ondata di disgusto che era seguita al suo ragionamento.
"Lo so, lo so. Ma io non permetto a nessuno di farmi trattare come una pezza da piedi. Dì un po', ma hai ancora un briciolo di amor proprio? Pensi di alzare il culo da quel divano e far valere le tue ragioni o resti lì? Dov'è finita la tua dignità?"
 
***
Lady Aquaria's corner
Per prima cosa, il titolo: rimanda a una canzone di Alice Cooper.
-L'interpretazione dei sogni la trovate a queste pagine: serpenti e scorpioni; lo scorpione, comunque, è un elemento volutamente inserito e si riferisce, in questo caso, sia a Milo (perché non è stato sincero nei confronti dell'amico) sia a Mei (che appartiene al segno dello scorpione e che insomma, ha tenuto nascosta una notizia di uno spessore non indifferente).
-Cardia e Degél tornano a essere delle guest-stars del capitolo. Sono due personaggi che adoro e che nel limite del sensato cercherò di utilizzare per brevi spezzoni.
-Le descrizioni degli scorpioni citati da Milo li trovate qui: androctonus crassicauda, pandinus imperator ed euscorpius sicanus.
-Il khôl, o kohl, è un cosmetico che in alcune zone del medio oriente o in alcune regioni dell'Africa, è utilizzato maggiormente per ragioni "mediche" più che per ragioni estetiche. Vi rimando come sempre alla wiki.
-Camus, come tutti ben sapete, è uno di quei personaggi che tiene tutto ciò che prova dietro una spessa corazza protettiva. Ma sono dell'idea che, come tutte le persone, anche lui abbia un limite, oltre il quale la suddetta corazza non può più fare niente: qualunque essere umano ne ha uno, e il suo è appena stato superato. Quindi sì, qui è particolarmente OOC ma concedetegli una debolezza, ogni tanto. In fondo ha appena scoperto dell'esistenza di sua figlia, non ha scoperto una sciocchezza irrilevante.
Per questo capitolo credo sia tutto, grazie come sempre a chi recensisce (e chiedo venia per il ritardo col quale vi rispondo, ma sappiate che sono sempre ben accette!) e segue.


Lady Aquaria
   
 
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