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Autore: lovinfaber    26/10/2015    3 recensioni
[-Creepypasta-]
[-Creepypasta-][-Creepypasta-][-Creepypasta-]Lui: un assassino seriale, sfuggito alla giustizia per diciasette anni. Lei: una giovane costretta a fare del suo corpo una merce. Entrambi reietti (seppure per diversi motivi), sopravvivono in quello stesso mondo che li ha partoriti per poi rinnegarli. In un susseguirsi di incontri casuali, di omicidi, di personaggi che lasciano un segno nelle loro vite, i due si ritroveranno faccia a faccia con i loro demoni.
Avvertenze: contenuti maturi per scene violente e linguaggio forte.
La scelta dei personaggi e della trama è motivata dall'idea di proporre una riflessione (seppure molto parziale) su tematiche come la prostituzione e l'alcooldipendenza.
Eventuali critiche costruttive sono bene accette. Non si accettano commenti offensivi.
I personaggi, i luoghi, le storie e i nomi sono di pura fantasia (ad eccezione di Jeff, di cui non possiedo i diritti). Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale.
Genere: Horror, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jeff the Killer
Note: Lime, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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~~Capitolo XIV


Il pallido pomeriggio di Oldfield sembrò lasciare una tregua alle due giornate di pioggia che si erano susseguite. Le vie erano ancora tristemente adornate di pozzanghere, nelle quali Andrea poggiò i suoi piedi di proposito, poiché adorava vederne i cerchi d'acqua che si formavano per poi andare a morire man mano che si allagavano sotto i suoi tacchi.
Il cielo prometteva di rischiararsi, ma la giovane squillo non era pronta a rinunciare alla malinconica compagnia di una giornata grigia.
Vide Laura, raggiante e sorridente, venirle incontro.
« Andiamo in centro! » esclamò gioiosa.
« In centro?»
«Si! Dobbiamo fare la spesa, miss “sto sempre in pensiero”! Questa settimana tocca a noi. Dai, prendiamo l'autobus»
« Ok!» Esclamò Andrea in preda alla contagiosa gioia di Laura « Aspetta solo che metta qualcosa di decente addosso.» continuò mentre si recò a casa.
« Ok, ti aspetto qui, ma fai presto! Il 169 passa tra meno di dieci minuti!» le urlò da lontano.

Il tempo trascorso al centro città fu piuttosto piacevole, raramente le ragazze avevano la possibilità di guardare le vetrine dei quartieri alti di Oldfield e di ammirare capi d'abbigliamento che non avrebbero mai potuto permettersi. Anche se erano vestite decorosamente, i loro volti troppo vissuti e il trucco pesante lasciò trasparire la vera natura di quelle giovani che passeggiavano per il centro, che ignoravano le occhiatacce delle ragazze per bene con una nonchalance a dir poco disarmante.
Tra le risate e la spensieratezza dei loro diciannove anni, Andrea percepì nella felicità di Laura una impazienza quasi maniacale, a cui risucì ad attribuire anche il motivo:
« Devi vederlo, non è così?»
« Vedere chi?» chiese Laura tentando di sembrare indifferente.
« Frank. La merdina rossa.»
« Smettila!» ridacchiò Laura cercando inutilmente di sembrare arrabbiata. La pelle scura evidenziò il suo bellissimo sorriso.
Andrea fu intenerita da quelle espressioni sognanti che ormai sembravano non appartenere più a nessuna delle ragazze che abitavano quell'infernale baracca.
Anche se riteneva che Laura fosse troppo ingenua, Andrea la ammirò per la sua capacità di lasciarsi sorprendere dall'amore. Anche la sua amica Mary era capace di provare emozioni forti, di lasciarsi sedurre dalla vita, di coinvolgersi e coinvolgere nel vortice della bellezza, che sapeva intravedere in ogni aspetto della sua esistenza... Pensando nuovamente a lei, un fiotto d'amarezza sembrò farsi strada nella gola di Andrea. Scacciò quel maledetto pensiero dalla mente, e pensò che, in fondo, Mary avesse fatto la fine che si era cercata per correre dietro ai sogni, e per mettersi contro coloro che arbitravano la vita e la morte di chi osava ribellarsi. Soffermandosi nuovamente sul viso inebetito di   Laura, pensò dunque di metterla in guardia.
« Non mi piace quell'uomo, e lo sai.» disse secca.
« Andrea, a te non piace nessuno. »  rispose Laura piccata.
« Scusa tanto se non voglio che la mia amica soffra per mano di uno stronzo!»
« Andrà tutto bene, Andry! Per una volta cerca di non essere cinica.» la implorò Laura conciliante.
« Hai ragione, scusami. Cioé...insomma...non deve per forza andarci tutto male!» Andrea abbassò la testa, comprendendo di fare i conti con il suo solito pessimismo. Del resto, Frank sembrava sinceramente interessato a Laura, nonostante quell'arpia della madre di lui facesse di tutto per impedire che si frequentassero. Il barman Frank aveva sempre avuto per la mora una predilezione particolare. Con gli introiti del locale, avrebbe potuto tranquillamente “comprare” la libertà di Laura, strappandola alla vita che faceva con lei e le altre, senza casini vari. A Paul bastava che qualcuno gli infilasse in tasca un bigliettone da trentamila dollari per lasciare andare una delle ragazze con tutta la sua benedizione.
« Una parte di me sa che mi vorrà bene, mi libererà da Paul. Ed io...beh...cercherò di convincerlo a liberare anche voi.» Così dicendo, poggiò una mano sulla spalla esile di Andrea, che annuì in silenzio.
« Ehm.... io devo andare a vedere un paio di scarpe al negozio di fronte.» disse Andrea con finta allegria.
« Non mi accompagni da Frank?»
« Accompagnarti? Se ti vede da sola è meglio! Sarebbe inutile e imbarazzante se venissi anch'io!»
« Ok. Vado a trovarlo, chissà che faccia farà quando mi vedrà.».
Andrea vide Laura allontanarsi con passo svelto e ansioso, e ciò la fece un po' sorridere. Il magone che l'aveva colta poco prima era ancora molto intenso, e nascondere alla sua amica i suoi stati d'animo era stato piuttosto difficile. Strinse il ciondolo che portava al collo, ne rileggeva continuamente le iniziali e nel mentre camminava, immersa nei suoi ricordi.
Si fermò dinanzi a un edificio che riuscì a captare la sua attenzione: una vecchia, piccola chiesa, espose timidamente la sua maltenuta facciata tra gli imponenti palazzi del diciottesimo secolo. Il portoncino di legno massiccio era aperto, segno tangibile del fatto che non fosse sconsacrata. Pian piano si avvicinò, salì tre piccoli gradini che la separarono da quel luogo così strano e inesplorato. Per un momento, i tetri boschi che circondavano la sua casa le sembrarono più rassicuranti delle quattro piccole cappelle con santi, scene di martirii e candele. I rumori del traffico stradale, così imperanti all'esterno, divennero improvvisamente uno sfondo trascurabile e per nulla fastidioso. Il lieve odore d'incenso le piacque e, a dispetto di come sembrasse fatiscente da fuori, l'ambiente interno era ben curato. Si avvicinò alla navata centrale, guardando il crocifisso che la sovrastava. Andrea trasalì non appena vide una cosa che la turbò profondamente: a differenza di come aveva sempre immaginato il Cristo in croce, questo non aveva il capo reclinato su una spalla e  gli occhi chiusi. Al contrario, il suo collo era ben ritto, nervoso e sollevato sulle spalle, gli occhi erano terribilmente aprerti, come la sua bocca, deformata in una smorfia di dolore. Sembrava che l'artista che aveva realizzato l'opera volesse ritrarre Cristo mentre lanciava un grido nel bel mezzo del suo supplizio in croce. La ragazza indietreggiò, fremendo di inquietudine. Non era mai entrata in una chiesa in vita sua, né tanto meno in una cattolica. Giurò a se stessa che non lo avrebbe fatto mai più.
« E' terribile, vero? » Una voce alle sue spalle la distolse momentaneamente dall'intento di darsela a gambe levate. Un giovane sacerdote, di circa quarant'anni, era uscito dal confessionale che era praticamente accanto all'altare.
L'uomo sorrise: « All'inizio faceva paura anche a me, ma se lo guardi bene, non è così male. Non vedi altro che la Passione nel suo momento più atroce. In fondo, è una cosa che riguarda tutti noi.».
« Ah...» fu il commento di Andrea che, indecisa sul da farsi, si sedette sulla panca più vicina all'altare.  Contemplò ancora quella croce, e il sentimento di inquietudine fu presto sostituito da perplessità.
« Non ti ho mai vista nella mia parrocchia. Ti sei trasferita da poco qui?» chiese il prete che si accomodò accanto a lei.
« Vivo a Oldfield da una vita. Non mi ha mai vista nella sua parrocchia perché non ci ho mai messo piede.» rispose seccata Andrea.
« Dovresti venire più spesso. La Domenica c'è l'oratorio e il coro. Inoltre, il mio viceparroco organizza incontri per i giovani, sono certo che ti piacerebbero.» continuò il sacerdote, comprendendo che la giovane età della ragazza era in netto contrasto con l'agghiacciante seriosità che traspariva dal suo volto.
« Non potrei in alcun caso, padre. Non ho il tempo per queste cose, e sinceramente se anche lo avessi, non verrei qui.» nella sua indifferente provocazione si aspettò di essere mandata via da quel prete ficcanaso in malo modo, o che almeno si fosse allontanato pieno d'indignazione per lasciarla andare, invece udì dalla sua voce una sommessa risata, che la fece voltare verso di lui, incredula all'idea di non aver sortito l'effetto sperato.
« La tua franchezza è disarmante, figlia mia. Qualora dovessi cambiare idea, sai dove trovarmi.». Si alzò, lasciandola sola con i suoi pensieri.
Andrea guardò ancora il crocifisso, cominciò a familiarizzare con quella smorfia di dolore che traspariva da quel volto scolpito. Quella faccia così contorta gli ricordò il volto di quello strano tipo che aveva conosciuto al bar di Frank, e che aveva soccorso appena alcuni giorni prima. Sorrise tra sé, poi si concentrò nuovamente sul crocifisso. Pian piano, lo spavento e la perplessità lasciarono il posto a uno strano, silenzioso tormento, come se i suoi fervori interni fossero contenuti in una camera insonorizzata. Le vennero in mente tanti ricordi, tanti pensieri con i quali raramente entrava in confidenza. Guardò ancora quello che molti chiamavano “il Redentore”, ripensò alle parole del prete, e rievocò il volto della sorridente Mary, la sua migliore amica, la discarica, e con essa il cimitero dei copertoni, le fiamme intossicanti... Andrea sussultò, in preda alla paura e alla rabbia. Ritenne che fosse giunto il momento di andare via da quel posto. Lesta lasciò le panche su cui si era seduta, aveva bisogno di aria, e subito. Fuggì dalla chiesa per riabbracciare i rumori del traffico e della vita che si muoveva intorno a lei. Tenne la testa bassa mentre correva fuori, non voleva guardare in faccia a nessuno, non badò a nulla, neppure alla persona che aveva appena urtato in malo modo.
Cominciò a blaterare delle scuse, quando una voce a lei familiare esclamò: « Guarda dove vai! »
Si voltò verso quella felpa bianca che ormai aveva imparato a conoscere, con la solita sciarpa che avvolgeva nel mistero quel volto orripilante. Non c'era dubbio alcuno: quell'uomo era lo stesso che incrociava spesso al bar.
« Sembra destino che ogni nostro incontro debba avvenire così.» commentò beffarda.
« Tu...?» domandò l'uomo.
« Si, io!» rispose la ragazza.
« Si può sapere che ci fai qui?» chiese Jeff.
Andrea non capì come, ma invece di rispondergli “non sono affari che ti riguardano”, si limitò a dirgli molto educatamente: « Aspetto una mia amica, abbiamo fatto la spesa e ora....oh cazzo! La spesa!» esclamò avvilita mentre guardò il suo orologio: erano già le 19:15, il sole era tramontato da un pezzo e di lì a poco i negozi avrebbero chiuso.
« Ehm....devo andare, il supermercato è a più di sei isolati da qui, devo sbrigarmi.» riprese Andrea, pronta a correre via in un battibaleno.
« Perché andare fin laggiù quando c'è un piccolo discount praticamente nei dintorni? » Suggerì Jeff.
« Ti ci accompagno, se vuoi.» aggiunse, nel vedere l'espressione perplessa e al tempo stesso sollevata della ragazza.
« Ti ringrazio. Sai? Se non rientriamo in tempo, il nostro protettore ci ammazza.»
Jeff la osservò bene mentre percorrevano la breve strada che li separò dal discount. Fu per lui una seccatura non poterla sgozzare, ma le strade erano ancora frementi di vita, non sarebbe stato possibile per lui fuggire da un centro città, sotto gli occhi di molti testimoni e poliziotti.
“ Possibile che ti incontro sempre nei momenti sbagliati, puttanella?” pensò tra sé, guardandola camminare al suo fianco.
In compenso, riuscì ad incrociare una giovane donna dai capelli rossi, dai quali era “attratto” da giorni. Di lì a poco avrebbe fatto visita a lei, ormai conosceva tutti i suoi movimenti. Sapeva poco della sua futura vittima: era una giovane avvocatessa di circa trentasei anni, dall'andatura svelta e sicura, il vestiario sempre molto formale, e lo sguardo celato da una frangia che le calava sulla fronte. La osservava spesso, ammirato e al tempo stesso maniacale. Avrebbe strappato i suoi bellissimi capelli uno ad uno, o li avrebbe bruciati, prima di accoltellarla ripetutamente. Insieme ad Andrea e ad altri, era diventata l'oggetto delle sue più macabre fantasie.
Fu a stento riportato alla realtà dalla conversazione che la giovane squillo aveva deciso di intavolare con lui, mentre provvide alle provviste per se stessa e per le sue compagne. I discorsi erano brevi,  piuttosto convenzionali, riguardavano le previsioni del tempo, qualche fatto di cronaca – compresi quelli che lo riguardavano-, sembrava che alla ragazza non importasse cosa facesse nella vita, ma ne capì subito la ragione. Jeff, Andrea, e tutte le persone che frequentavano quel maledetto bar fuori città non avevano storie, non avevano vite, non avevano occupazioni da svolgere. Ogni loro esistenza si risolveva nel fondo di un bicchiere svuotato, non vi erano storie da raccontare, informazioni da scambiare.
La spesa fu frettolosa e fugace. Appena fuori da quel discount, raggiunsero celermente le vie principali, dove a venire loro incontro ci fu Laura che, sorridente, li salutò, riconoscendo Jeff:
« Ehy, ciao! Ti sei ripreso dall'altra notte?» scherzò la ragazza.
« Si...sto meglio, grazie.» rispose Jeff.
« Credo di aver preso tutto...» disse Andrea rovistando nelle buste della spesa.
Per alcuni istanti fecero un piccolo inventario di quello che era stato acquistato, fu in un secondo momento che compresero di non essere più in compagnia di quello strano uomo dal volto il cui raccapriccio era celato da una sciarpa e da un cappuccio. Si guardarono intorno, incredule e perprlesse di fronte a quella strana sparizione, avvenuta nel momento in cui un'auto della polizia stava transitando da quelle parti.
« Dici che quel Jeff ha guai seri con la giustizia?» chiese Andrea.
« Chi non ce li ha?» rispose la sua amica, lasciando trapelare una punta di amaro sarcasmo. « In quella bettola, tutti hanno conti in sospeso. Adesso torniamo alla fermata dell' autobus.».


Stazione di Polizia di Oldfield.

Nathan fu accuratamente informato dallo sceriffo Mckenzie e dall'intera centrale di polizia su tutte le dinamiche dei misteriosi delitti che da alcune settimane si stavano consumando in quella strana cittadina.
Chiese del tempo per telefonare sua moglie, che aveva lasciato tornare a casa dopo la visita urgente dello sceriffo Mckenzie. Nonostante lui cercasse di apparire calmo, sua moglie intuì il suo stato di agitazione.
« Temi che sia lui, non è così?» chiese Gwen dall'altro capo del telefono.
« Non lo so... Insomma, sono passati tanti anni, di assassini ce ne sono tanti in giro...non può essere...» cercò di articolare Nathan.
« Qualunque cosa tu scopra, non perdere mai la calma, e non lasciarti coinvolgere troppo. Trova il modo di tutelarti. Non è mica obbligatorio far risultare il tuo nome tra gli inquirenti?!».
« Tranquilla. Hanno già chiesto il silenzio stampa. Non vogliono far salire questa cittadina agli onori della cronaca, almeno non più di quanto abbia già fatto finora.». Rispose Nathan.
« La cosa che conta è che lui non sappia di te, Nat.» sentenziò sua moglie « Potrebbe decidere di portare a termine il suo lavoro...»
 « Lo so, Gwen! Starò attento, te lo prometto.» concluse lui, rassicurante.
Ripresero a parlare dei loro bambini, degli allievi di Nat e di Gwen, di Patty che sarebbe venuta a cena la settimana successiva. Rapportarsi continuamente alla vita quotidiana aiutò Nathan a ridimensionare le sue ansie, che riaffiorarono nel momento in cui posò la cornetta del telefono.
Dentro di sé, le sue emozioni presero forma: furono inizialmente sensazioni sgradevoli, accompagnate da una morsa allo stomaco, da un battito cardiaco lievemente accelerato. I palpiti del cuore, come  tamburi che accompagnano gli ultimi passi di un condannato a morte, fecero da sfondo a una voce terrificante e beffarda che lo inondò in ogni fibra del suo essere.

Bum, bum, bum...

“Ciao, Nathaniel Wilbur Smith”

Bum, bum, bum.

“Ne è passato di tempo...”

Bum, bum, bum!

“Ne hai fatta di strada da quando eri solo un gracile, insignificante ragazzino...”

Bum, bum, bum!

“Sono qui....”

Bum, bum, bum!

“Sono tornato....”

Bum, bum, bum!

“....per te!”

« Lasciami in pace!» si ritrovò a gridare, in preda a corti respiri e al cuore impazzito. Destato da quell'incubo ad occhi aperti, si rese conto di trovarsi solo, nella stanza  adibita a suo studio personale, all'interno della stazione di Oldfield. I poliziotti avevano improvvisato un bugigattolo apposta per lui, dietro sua richiesta, per dargli modo di concentrarsi. Lo squillare quasi incessante dei telefoni e le comunicazioni che il personale si impartiva al di là della porta che lo separava dalla sala adiacente gli fecero comprendere che nessuno lo aveva sentito.
Tirò un sospiro di sollievo, estrasse il portafogli dalla tasca interna della sua giacca. In una delle tasche, Nathan dispiegò un pezzo di giornale che conservava gelosamente da diciassette lunghi anni. Lo lesse, ripetendone mentalmente le parole che ormai aveva impregnate nella memoria, come una cicatrice, una deformità, o una maledizione.

   
 
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