Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Daleko    26/10/2015    3 recensioni
"Sono patetico? Non lo so, non riesco a peccare di superbia e mi rendo conto di scimmiottare, anche in modo piuttosto lezioso, grandi del passato che posso realmente incontrare solo nel mondo orinico quando la fantasia me lo permette."
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Diari'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
"Achille, suvvia, lascia stare il ragazzo che è pronto! Avete chiamato i bambini?"
Una voce femminile accorre in mio aiuto: sento la pressione sulla spalla farsi ancor più pesante per un attimo prima che la mano si ritragga battendomi, forse in maniera amichevole, un paio di volte sulla nuca. Mi volto verso l'uomo sorridente, ora con una mano infilata in tasca. Sono ancora a disagio e spero che non si noti troppo: vorrei dire qualcosa per smorzare il silenzio ma per mia fortuna la Donna è un'essere che, di sua natura, non ammutolisce mai.
"Hai visto che gentile che è stato? Ci ha portato una bottiglia di Brunello di Montalcino. Di... Vent'anni fa, dico bene?" "Dici benissimo, Véronique" rispondo garbato accompagnando l'assenso con un lieve sorriso. Non so dove tenere le mani: mi sento artefatto quanto studiato. Osservo l'uomo con la coda dell'occhio, cercando d'imitarne la postura; dopo un momento però mi rendo conto che il padre di Marie è in evidente veste da camera e assumerne gli atteggiamenti potrebbe essere interpretato come segno di maleducazione, forse di sfida; interrompo immediatamente, richiamato anche dalla voce di Véronique che intanto non smette di cicaleggiare intorno al tavolo. "Federico, sii gentile: vorresti chiamare Marie? Dovrebbe essere in camera sua" m'invita con garbo ed io, che non posso esimermi dal compito alquanto modesto, mi sento pronunciare qualche parola di assenso. A quanto dice, o a quanto credo dica dato il mio stato d'animo, la camera di Marie è al piano di sopra, "l'ultima porta in fondo": esco dal salone e, con lo sguardo pesante dell'uomo impresso sulla mia nuca salgo i gradini di legno uno ad uno, lentamente, come un condannato a morte... O all'amnistia.


"Definire il Bello è facile:
è ciò che fa disperare."
P. Valéry


Eccola. La porta schiusa che s'apre al mio tocco, i timidi raggi del tramonto che incendiano la stanza molto più piccola, molto più intima di quel che immaginassi. Un delicato colore ligneo fa da cornice al letto, soffice allo sguardo e permeato di luce grazie al suo essere posizionato sotto alla finestra chiusa; la magnifica vista degli alberi in giardino viene smorzata e resa incolore dalla graziosa figura di una giovane ragazza distesa sul letto, gomiti sulle coperte e viso pallido proteso su di un libro scritto con caratteri troppo minuti per una mente di così giovane età. Il candido vestito serale la fa assomigliare ad una giovane e pacifica Artemide, fasciata da un abito bianco e velato che la rende ancor più bella di quanto non sia già.
"Ciao" mi saluta semplicemente con un sorriso fanciullesco restando con la schiena rivolta verso il soffitto; porta un braccio sul libro, chissà se involontariamente o per coprirmene la vista, e alza una gamba piegandola il ginocchio. Il vestito segue il naturale movimento delle carni, scivolando appena più in basso dei glutei. Cerco di sospirare senza riuscire a trarre aria; socchiudo gli occhi, faccio qualche passo verso di lei. "Chiudi la porta?" mi domanda imterrompendo il mio percorso ed io, voltandomi con lieve turbamento in viso, mi assicuro che resti uno spiraglio senza serrare completamente l'uscio. Fisso per qualche secondo ancora il legno della porta, poi mi decido e tornare a guardare la ragazzina che, intanto, non si è mossa di un millimetro. Finalmente m'avvicino abbastanza da poterle contare le efelidi sul viso: infilo le mani in tasca e finalmente le comunico il messaggio che ho per lei. "La cena è pronta. Dovresti scendere" mi sento pronunciare come in un sogno; avevo quasi dimenticato cosa fossi venuto a fare nella camera da letto e, nonostante il mio compito sia concluso, non riesco più a muovere le gambe. Sono immobile, il battito del cuore è fuori controllo mentre lei affonda entrambe le mani nel materasso, si puntella con i piedi scalzi sul materasso e si alza in posizione eretta sul letto. Si volta a guardarmi, ora è alta quanto me; i capelli castani le contornano il viso, il naso decorato punta verso il mio, gli occhi bigi sono ben fissi nei miei. Non riesco a sfuggire a quello sguardo; l'unico istante di libertà, l'unica tentata fuga mi paralizza sul posto quando i miei di occhi crollano sulle sue labbra pallide e secche, schiuse a mostrare un bizzarro sorriso quasi lezioso. Riporto rapidamente lo sguardo ai suoi occhi, cercando di dire o fare qualcosa per liberarmi dall'incanto; ma lei fa l'errore d'appellarmi con un sospirato "John..." in maniera così adulta, oh, così adulta! Si avvicina ancor più a me, incrociando le braccia al piccolo petto e stringendosi a me per farsi abbracciare. L'accontento; le mie braccia si chiudono dietro alle sue scapole mentre il suo mento s'affossa sulla mia spalla. "Mi sei mancato, John... Non mi piace non vederti. Non mi piace..." continua a sospirare. Il cuore martella dolorosamente; la sposto con delicatezza, intenzionato a dirle che è ora di andare, ma i miei occhi incrociano ancora i suoi adesso acquosi, mesti e fissi nei miei. Tremo come una foglia, non so cosa fare; nell'indecisione la stringo di nuovo a me, e lei stringe a sé le mie labbra in un tiepido bacio. Le sue labbra secche sono tutt'uno con le mie; lei non sa baciare ed io ho paura di farlo. Inumidisco le sue giovani labbra e una mia mano scivola, azzardata, sotto la sua veste: la mia mano calda e adulta sulla sua schiena liscia e morbida, olente di gioventù, mi provoca un moto di disgusto che avverto quasi come una scossa. Ritraggo la mano, impaurito, e d'istinto mi volto verso la porta: quanto tempo è passato?
"...dobbiamo scendere" biascico a mezza voce. "Perché?" mi domanda anche lei in modo piuttosto flebile; deglutisco a fatica, mi volto ed apro la porta per scendere rapidamente. Quanto tempo è passato, quanto?

 

10



 

Note dell'Autore
Mi dispiace per l'attesa. Purtroppo ho molto, moltissimo da fare nel "mondo reale" ed è difficile trovare un momento libero per portare avanti una storia abbastanza difficile come questa; comunque ci stiamo avviando, seppur lentamente, alla conclusione della storia che spero di portare a termine entro la fine dell'anno (impegni permettendo). Vi ringrazio per i messaggi, per il supporto e v'invito a recensire se la storia vi è piaciuta, se non vi è piaciuta, se vi ha confusi... Insomma, se l'avete letta: qualunque tipo di osservazione aiuta sempre a migliorare la propria scrittura.
Grazie mille,
Dal.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Daleko