Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: TonyCocchi    27/10/2015    2 recensioni
I pensieri di Oluo appena trapassato sono cupi come l'anticamera dell'Oltre in cui il suo spirito gallegia inquieto. Tra le tante cose che non è riuscito a fare, il suo più grande rimpianto è sicuramente non aver reso Petra partecipe dei suoi sentimenti, prima dello scadere del tempo concessogli: averla lasciata andar via senza darle forse neanche un sospetto, troppo sciocco e troppo insicuro per fare un passo avanti, oltre il palcoscenico e la maschera dietro su cui lui stesso si era assiso e relegato. Cosa resta ora alla sua triste ombra, se non sperare, chiedere, implorare, un'altra occasione per essere niente altro che sé stesso? Gli verrà concessa?
[Oluo x Petra]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Auruo Bossard, Petra Ral
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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snk oluo x petra

Salve a tutti, cari lettori! Dopo il torrente di one-shot LeviHan (l'ultima, "È così difficile dire qualcosa", ve la consiglio se ve la siete persa ^__°), passo ora ad altro, un altro pairing, forse meno popolare, come dimostra la scarsità di fanfic su di loro che ho trovato qui su EFP, a cui voglio però rendere il giusto omaggio. Sapete come spesso accade: basta qualche fanart, ed ecco che una coppia, che non avevi prima mai nemmeno preso in considerazione, tutto a un tratto ti fa innamorare *__*

Così è stato in questo caso XD E spero che la mia storia possa riuscire a far appassionare anche qualcun altro di voi a questi due: secondo me offrono degli spunti interessanti, che qui ho cercato di sviluppare.
Riguardo Auruo/Oluo, c'è da dire che ho fatto un pò a pugni col suo nome, non sapendo bene come traslitterarlo: il primo modo è più diffuso, ma mi suona un pò strano, difficile da pronunciare, perciò alla fine ho optato per il secondo.

Senza ulteriori indugi, buona lettura!




Non si dovrebbe morire così, nessuno dovrebbe. Col cuore colmo di frustrazione, il proprio orgoglio di soldato in frantumi, sopraffatto da uno straziante senso di inutilità.

Non aveva salvato i suoi amici. Non aveva ucciso il Gigante Femmina. Non aveva potuto fare niente perché non la uccidesse sotto i suoi occhi.

Il ricordo del suono orripilante della sua schiena che si spezzava contro quell'albero se lo sarebbe portato dentro, indelebile, a tormentarlo per il resto della sua vita, o a quel punto meglio dire esistenza lì. Ovunque fosse "lì".

Era come un mare di nebbia: tutto era appannato, fumoso, indistinguibile, anche i colori, ravvivato appena da lontani, fugaci guizzi di luce, come fioche stelle celate oltre quel denso velo che lo avviluppava. Nell'assenza di punti di riferimento intorno, provò a cercare rifugio in sé, nell'immagine del proprio corpo, ma scoprì con disappunto che non ne aveva più uno.

Percepiva ogni parte di sé, il suo volto, le sue mani, e riusciva a muoverle, ed era almeno un pò rassicurante, visto che alla sua vista non giungeva alcunché: era come un contenuto senza involucro. Provò a parlare, ma non era necessario lì dove imperava la voce dei pensieri, quindi la sua bocca non produsse alcun suono.

Ripercorse gli attimi precedenti alla sua morte, struggendosi nell'indugiare sul momento in cui la sua amata, una donna bellissima nell'involucro e nel contenuto, veniva schiacciata come fosse stato un miserabile, schifoso insetto. Come aveva potuto farle questo? Come? Come?

Dannatissima, gigantesca puttana!

Immondo, tracotante essere!

Chi era lei per calpestarli? Chi era lei per uccidere degli eroi come loro? Chi era lei per deridere le lame che nell'ultimo istante l'avevano raggiunta? Perché non aveva funzionato? Perché non era morta? Perché non li aveva vendicati?

Si guardò alle spalle, come dietro di sé si stesse ancora svolgendo quel brutto spettacolo di vita a cui era suo malgrado affezionato, e potesse riuscire a vedere cosa stesse accadendo: chissà se Eren era riuscito a cavarsela, chissà se il suo capitano stava dando una bella ripassata a quella bastarda, chissà cosa stavano facendo i suoi genitori e i suoi fratellini in quel momento.

Ma non c'era alcuna differenza, nessuno spiraglio, nella coltre che copriva tutto, da cui sbirciare.

Sconsolato, si abbandonò in quel fluttuare senza dove e senza senso. L'unico che riusciva a trovarvi in quella deludente oltrevita, era il tempo per pensare: se davvero era l'unico passatempo lì, allora ne avrebbe avuto a iosa.

Non gli ci volle molto per guardarsi dentro e capire che i rimpianti peggiori non sono quelli per ciò che non hai potuto impedire perché, purtroppo, non c'era nulla che potessi fare, né per l'aver fallito quando hai dato il meglio di te e finanche la vita,

Il non aver mai neanche tentato, è quello il bruciore più insopportabile.

Se non hai fatto assolutamente nulla per impedirti di averlo, allora non hai di che lamentarti, poiché te lo sei meritato.

Cosa aveva fatto mai, per far capire, o quantomeno sospettare, a Petra, quanto la amasse?

Si era infatuato della sua bellezza dal primo istante, e quando aveva poi scoperto della sua bontà e gentilezza, per lui non c'era stato scampo: tutto di lui da quel momento le era appartenuto, così come tutto di lei aveva adorato.

Ma questo non poteva saperlo. E come avrebbe potuto lui metterla a parte, conoscendo bene per chi sospirasse?

Un uomo valoroso, forte e insieme compassionevole, degno della propria ammirazione, e degno di essere l'uomo amato da Petra, degno più di lui.

Folle, sciocco, stupido, si era lasciato schiacciare da quell'ammirazione, scorgendo in essa un confronto che non avrebbe potuto che rivelarsi impari. Pur di non accettare quella battaglia, che più di ogni altra l'aveva spaventato, aveva finito col trasformarsi nel suo più grande nemico.

Non aveva saputo fare di meglio per attirare la sua attenzione.

Davvero non aveva saputo fare di meglio? si domandò, adesso che si sarebbe strappato i capelli al solo ripensarci, se come spirito capelli ancora ne avesse avuti.

Aveva iniziato ad imitare Levi in ogni modo: farsi il suo stesso taglio di capelli, parlare come lui, scimmiottarne le espressioni, arricciare le sopracciglia alla stessa maniera, atteggiarsi ancora più di quanto già facesse per carattere, persino inezie come indossare ogni giorno un foulard come cravatta, tutto perché lo notasse.

Non si poteva dire non avesse funzionato: quante volte lei si era indispettita e ne erano nati quei divertenti battibecchi, fatti di punzecchiature a vicenda, diventati col tempo quasi un loro gioco, un loro tipico passatempo, in cui poteva arrivare a darle della "mogliettina bisbetica" e ridere del broncio con cui poi si allontanava ogni volta.

Erano stati i momenti in cui più aveva avvertito la distanza tra loro colmarsi, e la loro complicità costruirsi e rinsaldarsi ogni volta. Lo avevano sempre reso felice.

E lì era stato il suo errore. Si era accontentato di quel poco che poteva ottenere facendo il verso all'uomo che l'aveva conquistata.

Perchè, a differenza sua, lui era quello vero.

Petra non avrebbe mai potuto innamorarsi di un'imitazione, un costume, una facciata.

Come avrebbe potuto Petra provare amore per una maschera che non sapeva neppure cosa volesse celare? Come avrebbe mai potuto sfiorarla il pensiero che quel buffone tanto bravo a farsi beffe del loro comandante lo facesse solamente per lei?

Le aveva mostrato troppo poco di sé, credendo quel sé essere poca cosa.

Non aveva mai avuto il coraggio di fare quel passo e scendere dal palcoscenico. Di abbandonare le vesti di scena anche solo un istante per rivelarle com'era l'attore celato in esse, e dirle che non v'era spettatore tra il pubblico di tutti i teatri del mondo di cui gli importasse quanto lei. Adesso non c'era più tempo.

Erano morti, e lei non era nemmeno lì ad attenderlo rinsavire. Adesso non aveva più un guscio, non era che Oluo Bossard, quel prode sterminatore di giganti che dimostrava più anni di quanti avesse in realtà, cui piaceva fare grandi discorsi forbiti ed ergersi su un piedistallo, salvo poi farsi buttare giù da un morso alla lingua, innamorato follemente della radiosa e dolcissima Petra Ral.

Se solo avesse potuto vederlo adesso, così com'era davvero...
Ma che idiozie andava pensando, nemmeno lui riusciva a vedersi lì!

Che schifo di posto, quasi quasi erano meglio i titani!
Davvero finiva così? Prendere coscienza dei propri errori e rimuginarci su per tutta l'eternità? Almeno l'avesse avuta accanto. Dov'era Petra? Stava passando anche lei tutto ciò? C'era anche lei, da qualche parte, nascosta tra le spire di quella grigia nebbia, a struggersi per i sentimenti che non aveva potuto dichiarare a Levi? A sognarlo e sognarsi tra le sue braccia, senza riservare a lui che qualche fugace ricordo qui e là?

No! Dannazione, così era troppo! Che rabbia!

Se esisteva un dio, o qualcosa del genere con un briciolo di morale, non avrebbe mai potuto permetterlo!

Un'altra occasione! Un'altra ancora! Solo un'altra! La sua voce era muta, ma le urla della sua anima spazzavano, come fa il vento, i muri di foschia che lo circondavano.

Ti scongiuro. Ti supplico. Abbi pietà.

Smetterò di prendere in giro quel tappo del caporale: voglio essere me.

Voglio che Petra ami me.


Stavolta ci proverò, a costo di mordermi la lingua fino ad ammutolirmi, ma finché potrò pronunciar parole saranno tutte per lei.


Solo un'altra occasione per togliermi la maschera.


Il vento della sua anima spirò e spirò, finché d'un tratto il velo si alzò del tutto. La sua vista svanì d'improvviso, come abbagliata, e Oluo si sentì come prima di addormentarsi, come stesse, pian piano, svanendo anche lui.




Di tutte le giornate storte che aveva mai avuto, quella era di sicuro la più storta di tutte!

Sveglia che non suona, cartellino timbrato in ritardo, riunione noiosa quanto interminabile e, perché il meglio del peggio viene sempre per ultimo, un acquazzone ad attenderlo all'uscita dall'ufficio, proprio il giorno in cui era sprovvisto d'ombrello!

"Al diavolo!" -imprecò riparandosi la testa con la ventiquattrore, camminando a passo svelto, infreddolito e coi vestiti zuppi d'acqua che gli si appiccavano addosso. Non vedeva l'ora di essere a casa, ma la pioggia si era fatta così pesante e fitta che quasi non riusciva ad orientarsi.

Distratto dal frastuono e dal malumore, non riuscì neppure a vedere in tempo uno dei lampioni del marciapiede, e per giunta andandoci a sbattere contro la valigetta sulla sua testa si aprì, spargendo il contenuto fin sulla strada, in balia del temporale che fece cartapesta dei suoi documenti di lavoro in pochi attimi.

"Che giornata schifosa!" -sbraitò tirando per terra la valigetta vuota. Tirò la giacca sopra la testa per ripararla da quell'incessante picchiettio che minacciava di fargli saltare i nervi ancora di più. Cercò, per quanto possibile, di tornar lucido: dei documenti persi poteva farsi dare delle copie, solo una seccatura in più, ma nulla di irreparabile. L'importante ora era cercare un riparo dalla furia degli elementi.

Percorse di corsa un altra decina di metri lungo il marciapiede e si gettò sotto il telone a righe dell'ingresso di un negozio, un fioraio a giudicare da alcuni vasi di terracotta zeppi di piante, foglie e petali accanto la porta. Senza pensarci due volte entrò, annunciato dal tintinnio di un campanello.

Pulì i piedi sullo zerbino e provò a strizzarsi un lembo della giacca, da cui scaturì un'autentica pioggia come quella lì fuori: mai visto una giornata peggiore in tutta la sua vita!

Mentre era troppo assorto ad ammirare il disastro che era per prestare attenzione ai tanti profumi e colori che lo circondavano, sentì una voce alle sue spalle, femminile, accoglierlo.

"Vengo subito!"

"Spiacente, non sono qui per comprare alcunché." -si scusò brusco lui, affrettato dai nervi tesi a mettere subito le cose in chiaro- "Sono entrato solo per ripararmi dalla pioggia, se vuole mi cacci pure." -in quel momento non aveva proprio la voglia per rammentarsi di cortesia e buone maniere.

"Oh, non mi permetterei mai!" -fece la donna raggiungendolo dal retro della bottega- "Si figuri poi con un tempo del genere: tenga, si asciughi pure."

"La ringrazio."

Tese la mano per prendere l'asciugamano che la gentile commessa gli stava porgendo e solo allora si soffermò a notarla.

Aveva i capelli rossi, di un rosso chiaro, brillante, portati lunghi fino alle spalle. Il viso era sottile, come tale il suo fisico, ma il collo si ergeva dritto, forte, facendo trasparire sicurezza e affidabilità. Gli occhi erano di uno strano castano chiarissimo, quasi dorato, e in quel momento erano colmi di amorevole premura per l'estraneo stanco e fradicio che aveva cercato rifugio da lei, poco male se il suo primo pensiero lì era stato chiarire che non le avrebbe messo un centesimo in tasca.

Più la osservava, indugiando su tutti i dettagli del suo viso, più pareva dimenticarsi di come ci si asciugasse, finché non le restò altro che fissarla.

Colpita da quella reazione, la fierezza del suo bel collo si piegò un poco al rossore dell'imbarazzo: "Si? Ho qualcosa di strano?"

"Oh, no! Mi perdoni, è solo che... Lei mi ricorda qualcuno. Ci siamo già conosciuti per caso?"

"Non credo, però anche lei mi pare familiare."

Lo scrutò, chiedendosi dove aveva già visto quel taglio scalato, quel cipiglio orgoglioso ora diluito dalla sorpresa, quelle rughe così espressive.

Si passò l'asciugamano sulla faccia, sperando che magicamente gli togliesse, oltre che l'acqua, pure quell'espressione da pesce lesso che sapeva di starle mostrando.

"Io mi chiamo Olu-..."

Lo vide sussultare e si allarmò: "Che le succede? Si sente male?"
"N-no..." -agitò una mano per rassicurarla, tenendosi la bocca con l'altra- "Stia tranquilla, non è niente... Ohi..."

Con uno sguardo gli chiese lo stesso dei chiarimenti.

"Io ho la brutta abitudine di mordermi la lingua mentre parlo... Ogni tanto, beninteso..."

La donna si coprì a sua volta la bocca, nascondendo una risatina ai suoi occhi, ma non alle sue orecchie.

Sospirò: "Lo so, lo so, è un pò ridicolo, eh?"
"Oh, no!" -ribattè trafelata, arricciando la boccuccia in un sorriso piccolo e discreto, eppure bellissimo- "Non la trovo ridicolo affatto, solo... Non ho mai sentito di una cosa del genere, trovo sia molto... particolare, ecco."

Strizzò gli occhi e dissimulò la vergogna in un ghigno: "Se vogliamo definirla così, in effetti suona un pò meglio." -si ricordò di dove era rimasto- "Comunque, stavo cercando di dire, mi chiamo Oluo Bossard."

"Io mi chiamo Petra Ral." -si presentò, stringendogli la mano.

Nessuno dei due ricordava di aver mai conosciuto qualcuno con quel nome. Certo però era curioso avessero avuto entrambi l'erronea impressione di essersi già visti.

Ad Oluo, uomo fatto e finito, il tocco di quella mano fece un bruttissimo effetto, quasi da liceale: erano mani lisce, delicate, abituate a prendersi cura delle cose, e quei bellissimi fiori lì attorno, che ora riusciva ad ammirare in tutta la loro bellezza e gioia di essere lì accuditi da lei, erano la prova tangibile della sua vocazione e della sua bravura.

Col cuore in gola, pensò fosse un tocco di cui non ne avrebbe avuto mai abbastanza.

"È davvero bello il suo foulard, signor Bossard" -disse Petra per interrompere il silenzio che era calato.

"Puoi chiamarmi Oluo se vuoi." -disse di getto, come di getto, poco dopo, si sciolse quel nodo che aveva al collo in barba al complimento appena valsogli- "In realtà lo detesto!"

Era solo un espediente che aveva usato per dare un'immagine migliore e più raffinata di sé al colloquio d'assunzione, e che, visto pareva funzionasse anche coi clienti dell'azienda, era stato spinto a tenere, ma a lui non era mai piaciuto, né il foulard né la sensazione di avere qualcosa attorno al collo.

"Oh, davvero?" -chiese lei, perplessa da quell'uscita improvvisa.

Era alquanto perplesso anche lui, ma era stato come se una voce dentro di sé gli avesse imposto di farlo, sfogarsi e rivelare, a quella perfetta sconosciuta, i suoi veri pensieri.

"Tempo orrendo, vero?" -proseguì Petra coi soliti convenevoli.

"Già, oltremodo orrendo."

"Io ora devo tornare a occuparmi di una composizione." -gli disse preannunciando la sua uscita di scena- "Puoi restare qui tutto il tempo che vuoi, va bene?"
"D'accordo. Ti ringrazio molto, sei... una persona molto gentile."

"Figurati!"

Raccolse dal bancone un paio di cesoie e attraversò la porta che dava sul retro.

Se solo gli fosse venuto altro da dire, strinse i denti amareggiato una volta rimasto solo. Qualcosa gli era venuta in mente, ma sarebbe stato decisamente un bruciare le tappe.

Eppure, aveva come l'impressione che con quella donna non ci fosse tempo da perdere.


In fondo, avrebbe potuto smettere di piovere da un momento all'altro.


Non voleva si salutassero con un "È stato un piacere conoscerti" di circostanza, senza essersi conosciuti affatto.


"Petra!"

Attese fermo i suoi passi che tornavano veloci in negozio.
"Si? Cosa c'è?"

Avanzò verso di lei.

"Ho un amico che può procurarmi dei big-..."

"La lingua?" -chiese lei.

"Si..." -rispose lui mostrandola.

Finora le uniche cose con cui aveva fatto colpo su di lei erano stati i morsi alla lingua e quel maledetto foulard! C'era di che abbattersi, quantomeno schiumare di rabbia, ma ritrovò invece la sua solita compostezza.

"Dicevo, posso procurarmi dei biglietti per lo spettacolo di Vivaldi che si terrà dopodomani al teatro qui vicino. Ti andrebbe di venirci con me?"

Impreparata a quell'avance come davanti a un garofano rosso fiorito d'inverno, Petra prese il suo tempo, e lui l'aspettò con pazienza. Aspettando si domandava, chi averebbe avuto la meglio? Il suo charme elegante, o la sua inopportuna linguaggia sempre fra i denti?

"Veramente di musica classica non ne capisco nulla."

La lingua, decisamente la lingua.

Pazienza, l'importante era aver tentato: altrimenti sai che rimpianti.

"Beh..."
"Però, visto quanto la tua lingua si è "impegnata" per invitarmi... suppongo non possa fare a meno di accettare il tuo invito, dico bene?"

Lo sguardo strizzato di Auruo si spalancò come un girasole sbocciato davanti una nuova, rossa stella, apparsa nel suo cielo in quella "orrenda" giornata di pioggia.

Il suo vizio, la sua "particolarità", aveva più volte suscitato le risate della gente intorno a lui, ma il sorriso che suscitava in Petra aveva qualcosa di diverso: per ammirarlo, non gli sarebbe dispiaciuto mordersi ogni minuto.

La lingua, per una volta, aveva sconfitto lo charme.

"A dopodomani allora, Petra." -si avviò, con in tasca il bigliettino col suo numero di telefono.

"Ma, Oluo, aspetta, sta ancora piovendo!"

"Oh, non più di tanto adesso." -disse salutando dalla porta il sole il cui pensiero l'avrebbe accompagnato fino a casa, in attesa del momento in cui si sarebbero rivisti.

"Che tipo curioso." -si disse lei, pensando a dopodomani.




Oluo è stato accontentato, e possiamo stare certi che questa nuova occasione non andrà sprecata: stavolta nessuna maschera si interporrà tra lui e la donna del suo cuore. Auguriamogli buona fortuna! ^__^

Questa fic è stata influenzata da varie fanart trovate in internet, definite come "Reincarnation AU", ovvero una reincarnazione dei personaggi della serie nel nostro mondo, un'idea davvero molto intrigante che ho voluto prendere in prestito: chi non ama i membri della Squadra Levi tanto da volerli rivedere ancora vivi e vegeti? Io di sicuro T__T Quanto mi piacevano... A onor di cronaca, considerando i loro nomi, suppongo siano francesi, ma ho preferito non aggiungere dettagli suggestivi in tal senso, lasciando libertà a voi lettori di interpretare a modo vostro.

Spero di essere riuscito a scaldarvi il cuore ^__^

Alla prossima!

  
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