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Autore: Astrid Romanova    27/10/2015    1 recensioni
Fin da bambino, Adrian aveva sempre sentito il desiderio di andarsene. L'andarsene nella sua forma più semplice ed immediata, come puro istinto alla fuga perenne e irrefrenabile. Né il mare né le navi che lo solcavano gli erano mai piaciuti, eppure a ventotto anni è ormai un marinaio esperto e straordinariamente scansafatiche.
Quando un giorno, sul ponte della Sposa Tradita, rivede Ravenna, non può immaginare che diciassette anni di vite diverse abbiano visto la bambina che conosceva diventare una ladra, ormai da due anni alla ricerca di un padre scomparso.
_________
«C'è un modo, sai?»
La spiazzò.
«Per cosa?»
«Per farmi smettere di lamentarmi.»
Ravenna assottigliò lo sguardo, scrutando il volto di Adrian in cerca di una risposta.
«Quale?»
[...]
«Lo stesso per farmi smettere di parlare del tutto» continuò, sperando di non essere costretto a dare spiegazioni dirette.
«Quale?» Insistette lei.
«Lo stesso per immobilizzarmi completamente.»
O per fermarmi il cuore. Potrebbe succedere se tu lo facessi come l'hai fatto stanotte.
«Quale?»
Adrian ebbe un moto di frustrazione.
«Darmi una botta in testa» borbottò sconfitto.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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#8. Fuori rotta

Lo sciabordio delle onde contro lo scafo della nave pareva più cupo sotto coperta. L'aria viziata che si respirava dava l'idea di trovarsi in una prigione, e forse Ravenna lo avrebbe preferito. Non vedeva alcuna differenza tra l'essere chiusa nella pancia della Vela Cremisi piuttosto che dietro una soffocante serie di sbarre ben conosciute, eccetto il fatto che in prigione non aveva mai avuto la nausea come in quella prima settimana di viaggio.
Era stato l'unico compromesso che il capitano aveva accettato: in qualità di mercantile, la Vela Cremisi non era adatta al trasporto passeggeri, ma con una generosa somma di denaro e la promessa che Ravenna non avrebbe messo piede sul ponte erano riusciti a trovare un accordo.
Così, in mancanza di qualsiasi altra mansione da svolgere, durante il giorno la ladra dormiva; solo a sera, quando i marinai scendeva sotto coperta e iniziavano a bere sidro, accompagnati dalle deboli lampade a olio che illuminavano solo una parte dello spazio, si svegliava e montava la guardia per sé stessa contro i più ubriachi dell'equipaggio. Fino ad allora nessuno di loro l'aveva ancora infastidita, forse perché scoraggiati dal piantonamento di Adrian sull'amaca di fianco alla sua o dal fatto che, immobile nel suo angolino, Ravenna non aveva l'espressione di una che fosse bene importunare.
Anche in quel momento, attorniata dalla confusione di diciassette persone schiamazzanti, se ne stava in disparte aspettando che tutti si addormentassero, così da sgattaiolare sul ponte e respirare un po' d'aria pulita.
«Quel bastardo mi ha rubato anche le mutande!» Esclamò un marinaio. «Mi sarei incazzato come un maledetto kraken se non fosse stato dannatamente bravo. Fottuti ladri, loro sì che sanno come va la vita!»
L'ennesimo sorso di sidro affogò le sue parole. Ravenna avrebbe volentieri dissentito sulla sua affermazione, ma probabilmente non era il caso di sottolineare come si guadagnasse da vivere.
«Lo sanno davvero» borbottò Adrian, a voce tanto bassa che lei non era sicura di averlo realmente udito. Eppure, a giudicare dall'attenzione che tutti rivolsero su di lui, non era stata l'unica a sentirlo.
«Qualcuno qui ha avuto brutti incontri» commentò qualcuno.
«Brutti?» Adrian alzò incautamente lo sguardo su Ravenna. «No, non brutti.»
Qualcosa, nella mancanza di un suo sorriso o nella tensione dei suoi lineamenti, non rasserenò Ravenna come le parole avrebbero dovuto fare. E quello sguardo azzardato, per quanto breve e oscurato dalla scarsa luminosità in cui erano immersi, fu notato.
«Ma non mi dire, l'hai salvata da un fuorilegge? Il prossimo passo è uccidere il drago, Hill?» Bofonchiò il marinaio che aveva introdotto il discorso, palesemente sarcastico e già mezzo ubriaco.
Benché Ravenna preferisse parlare da sé di ciò che la riguardava in prima persona, in quel caso decise di aspettare e vedere quale risposta avrebbe fornito Adrian: se avesse spiegato cosa realmente intendeva dire con la sua frase a mezza voce o se si sarebbe limitato a negare. O se, magari, non avrebbe risposto affatto.
Lui parve pensare la medesima cosa, perché si appellò a lei con un secondo sguardo più lungo del precedente. Questo le riversò addosso la curiosità di tutti i presenti, finché ogni paio di occhi fu puntato sul suo viso semi nascosto dall'ombra, contratto nell'indecisione. Si distese solo dopo parecchi secondi, quando capì che se non avesse parlato nessun altro lo avrebbe fatto. Lui le stava lasciando la possibilità di scegliere quale versione raccontare, cosa ammettere e cosa tacere: a farle decidere le parole da usare fu la coscienza che il silenzio di Adrian non fosse un favore quanto un timore. Il timore di mandare in pezzi il precario equilibrio in cui versava il loro rapporto solo dicendo una cosa sbagliata.
Lo conosceva bene, perché era il motivo per cui lei stessa non aveva dato voce ad alcuno dei suoi pensieri. Il motivo per cui da giorni si parlavano a mala pena.
«No» disse infine, scegliendo la soluzione più definitiva. «La fuorilegge sono io.»
Per alcuni secondi il silenzio palesò il dubbio dei marinai mentre riflettevano su quanto fosse attendibile la sua rivelazione. Poi una prevedibile risata spezzò la quiete, segno che nessuno era disposto così facilmente a credere a quella che poteva sembrare solo una teatrale presa in giro.
Né Adrian né Ravenna ebbero reazione. Si limitarono ad attendere che l'ilarità scemasse, che le loro semplici espressioni per nulla divertite mostrassero quanto lontani fossero dallo scherzare.
«Pool, mi sa che sti due fanno sul serio.»
Basso, biondo e rosso in faccia, il marinaio che aveva appena parlato era forse il più stupido dell'equipaggio, quello che tutti chiamavano solo per sollevare i pesi perché persino legare una corda sarebbe stato troppo difficile per lui. Dicevano che era stata una botta in testa a ridurlo così, anni prima, quanto l'albero maestro della nave con cui era appena salpato gli era crollato addosso. Lo chiamavano Finn il Fortunato: era stato un miracolo che ne fosse uscito vivo.
Ma a volte i più stupidi erano i primi a raggiungere la verità, liberi del peso di inutili speculazioni e privi di cronico scetticismo.
«Cosa, esattamente, vi fa credere che non stia dicendo sul serio?» Domandò Ravenna, sporgendosi leggermente in avanti per permettere a tutti di vedere nitidamente il suo volto.
«Be'» esordì Pool, «non hai l'aria da fuorilegge.»
La risposta fece dubitare Ravenna su chi fosse realmente lo stupido dell'equipaggio.
«Certo, perché i fuorilegge non desiderano altro che sembrare dei fuorilegge» commentò sarcastica.
Nessuno notò lo sguardo di Adrian rivolto a Pool, con cui sembrava volerlo pregare di non ribattere per evitare una discussione che, lui lo sapeva bene, aveva perso in partenza. Non tanto perché Ravenna stava effettivamente dicendo la verità, sarebbe stata in grado di convincere qualcuno persino che il kraken era solo un cucciolo che desiderava essere abbracciato, ma perché la sua caparbia dote oratoria era paragonabile ad una tempesta in alto mare: anche se sopravvivi non la oltrepassi indenne.
«Sembri una ragazzina! Cos'hai, quindici anni?»
«Ventotto.»
«Sì, e io sono il maledetto capitano della Regina del Mare
«Ma Pool, il capitano della Regina del Mare è l'ammiraglio della Marina del Re, non tu» si intromise Finn, interrompendo il botta e risposta appena iniziato.
Pool si voltò molto lentamente verso di lui, trattenendo un moto di stizza.
«Appunto.»
Finn aggrottò le sopracciglia, confuso, ma non replicò ulteriormente.
Quando l'attenzione di tutti tornò a focalizzarsi su Ravenna, la trovò con la testa bassa e un sorriso divertito che solo Adrian riuscì ad associare alla giusta causa, di cui gli arrivò conferma quando lei rialzò il mento e fece schioccare la lingua. Qualsiasi cosa stesse per dire, o fare, avrebbe spazzato via ogni dubbio, e probabilmente non era qualcosa a cui la maggior parte di loro avrebbe voluto assistere.
Si alzò e li raggiunse vicino alle lampade, dove senza chiedere nulla si allungò e afferrò la bottiglia da dove Pool l'aveva lasciata, vicino alle proprie gambe, per prenderne un lungo sorso indolente.
«Parliamone, capitano» disse con un sorriso.
«Va bene, parliamone» assentì lui, strappandole la bottiglia dalle mani.
«No, non vuoi parlarne» si inserì Adrian, rivolto a Pool.
«Sì che ne voglio parlare.»
«No, non lo vuoi» insistette.
«Voglio parlarne, Hill, sta zitto.»
«Okay, forse lo vuoi, ma non te lo consiglio davvero» tentò ancora.
«Ficcati il tuo consiglio...»
«Pool» si intromise una terza voce.
«...Su per il culo, e poi...»
«Pool.»
«...Buttati dalla coffa, di testa...»
«Pool.»
«Sta un po' zitto Finn!»
Finn, che fino a quel momento aveva dondolato sul posto, si fermò di botto e rimase immobile per qualche secondo.
«Va bene» fu tutto quello che aggiunse facendo spallucce.
Pool lo guardò storto ancora per un po', sebbene il Fortunato non parve curarsene.
«Tornando al principio» riprese con più calma, «parliamone, ragazzina.»
Alzò lo sguardo pensando di ritrovare Ravenna ancora in piedi di fianco a lui, ma lei si era seduta tra alcuni marinai dall'altra parte del cerchio. E aveva ripreso la bottiglia.
«Ho cambiato idea, non ho voglia di parlarne.»
A quell'affermazione Adrian osservò la sua postura rilassata, la malizia sul suo volto e la piega leggera delle sue labbra, tutti indizi che gli avevano insegnato a riconoscere il momento in cui Ravenna aveva già vinto. Fece rapidamente due più due – la nuova postazione della ladra, la sua calma, i volti divertiti e curiosi degli altri marinai – e giunse ad una conclusione che, come aveva previsto, a qualcuno non sarebbe piaciuta affatto.
«Avevi ragione, Pool. Era meglio se ne parlavate» commentò, arrendendosi. La piccola dimostrazione di Ravenna gli sarebbe costata una settimana di ripicche da parte di uno dei marinai più arcigni dell'equipaggio.
«Eh?» Pool aveva l'aria sconcertata e il tono spazientito, ma il modo in cui aveva arricciato il naso rendeva l'insieme più buffo che minaccioso. «Che diavolo state dicendo?»
Il suo timbro grave e roco non bastava a mascherare il timore che lo stava lentamente abbindolando, il sospetto di essere preso in giro da tutti quanti. Ognuno dei presenti sembrava trattenere qualcosa, che fosse una risata, un commento o uno sguardo un po' troppo insistente.
«Hill, apri quella dannata bocca!» Berciò.
«Ravenna?» La chiamò in causa Adrian, esortandola a rispondere al posto suo.
«Evitiamo di farla tanto lunga, quindi iniziamo direttamente con l'inventario» disse lei senza esitazioni.
Allungò un braccio dietro la schiena e portò davanti a sé una piccola scarsella quadrata di pelle chiara, con un’unica fibbia a chiuderla frontalmente. La aprì senza difficoltà e infilò una mano all'interno; al primo oggetto che apparve nella sua mano Pool sgranò gli occhi, finalmente pieni di comprensione, e iniziò a tastarsi i fianchi freneticamente.
«Ma che...»
«Il disegno di una donna,» iniziò ad elencare Ravenna, «un anello di ferro, un acciarino... a che diavolo ti serve un acciarino su una nave di legno? Un coltello a serramanico...»
Pool, che già si era alzato in piedi furente, la raggiunse con due falcate e le strappò la scarsella di mano, raccogliendo gli oggetti che lei aveva ordinatamente poggiato sul pavimento. Il suo volto era rosso di rabbia e alcol.
«Dei degli inferi, come hai fatto a prenderla? Era legata alla mia cintura!» Sbraitò, senza minimamente impressionarla. «Maledettissima...»
«Ladra?» Lo anticipò lei. Una domanda chiara anche senza l'uso di quel tono allusivo che per diversi attimi fece perdere la parola al marinaio.
Lo vide combattere contro sé stesso, le labbra che tremavano e lo sguardo incendiato. Forse la sua era stata una soluzione un po' drastica, ma in pochi minuti aveva convinto Pool e il resto dell'equipaggio che non stava mentendo. Restava solo di ascoltare la sua ammissione.
«Dannatissima...» borbottò ancora, bloccato tra la voglia di insultarla e il rifiuto di darle ragione.
«Prendila con filosofia, capitano: sarebbe stato molto peggio se avessi dovuto dimostrare di essere un'assassina.»
Mentre Ravenna restava salda nella sua calma imperterrita, gli occhi bassi a guardare le proprie dita tamburellare sul pavimento mentre aspettava la resa di Pool, Adrian vide l'uomo muovere la mano che reggeva il coltello. Prima ancora di pensarlo era già scattato in piedi e aveva compiuto il primo passo, sentendo la testa girare a causa dell'alcol e dell'eccessiva velocità del movimento.
Mentre tentava di non cadere di lato, allargando le braccia per riprendere l'equilibrio, tutte e due le mani destre di Pool completarono il movimento e rimisero il coltello nella scarsella. Ormai in piedi si accorse che tutti gli sguardi erano di nuovo su di lui; la sua reazione, per nulla passata inosservata, era stata immediata e goffa, come se persino il suo istinto fosse stato ubriaco. Per qualche motivo, ogni volta che si ergeva a protezione di Ravenna finiva solo col peggiorare le cose o fare un'immensa figura da sempliciotto.
Resistendo all'impulso di tirarsi uno schiaffo, prese la bottiglia da terra e bevve un altro sorso mentre le risate a suo discapito distendevano nuovamente l’aria.
«Dannatissima ladra» riconobbe infine Pool. «Ti butterei in mare se non fossi maledettamente brava!»

◄►

Finn il Fortunato si aggrappò alla cintura di Adrian, con l'unico risultato di farlo rovinare a terra insieme a lui.
Mentre tentava di rimettersi in piedi, operazione molto più complicata di quanto avrebbe dovuto essere, notò uno scampolo di capelli biondi dileguarsi oltre la scala che conduceva al ponte. Affilò lo sguardo vagamente annebbiato, ma la macchia chiara in quel mare di teste scure era già sparita. Fece però in tempo a notare una seconda persona, difficile stabilire chi, appendersi alla scala e iniziare a salire con evidenti difficoltà. Spinto da un sentimento d'allarme non meglio definito avanzò per pedinare quella che senza dubbio era Ravenna e chiunque la stesse seguendo.
L'aria, più fredda di quanto avesse immaginato, non lo infastidì come si sarebbe aspettato, ma ebbe il potere di portargli una ventata di lucidità che fece giusto in tempo a fargli notare due persone avvolte nell'ombra – vicino al parapetto, una dei quali portava un cappuccio – prima di sparire rapida com'era arrivata. Li raggiunse con passi pesanti, ma nessuno dei due parve notarlo. Lui, invece, notava perfettamente l'atteggiamento lascivo dell'uomo e la totale indifferenza della donna. Una scarica di fastidio gli fece prudere le mani e intorpidì la sua mente, lasciandola preda di un senso di disturbo nitido quanto di origine imprecisabile. Molto prima che i suoi pensieri dessero forma alle sue intenzioni, queste si manifestarono con un movimento della mano che andò a sollecitare la spalla dell'uomo; ottenuta l'attenzione desiderata caricò il braccio con più energia del necessario e liberò il colpo dritto sul suo naso. L'uomo cascò a terra privo di sensi mentre Adrian si scuoteva la mano dolorante.
«Ma che cavolo!» Esclamò Ravenna soffocando la voce.
«Oh, non si ricorderà niente domattina» la liquidò Adrian.
«Neanche tu» constatò lei, guardandolo bene in viso.
Il marinaio alzò lo sguardo: «tu neppure» rilevò, osservando le sue guance rosse e lo sguardo lucido.
Questo la fece ridere; dapprima una risata trattenuta, fermata dall'avambraccio davanti alla bocca, ma presto un'esplosione aperta e liberatoria, probabilmente anche un po' folle. Ma impossibile da non seguire.
«Oh cavolo» ansimò Adrian dal troppo ridere, «ora tutti i miei compagni d'equipaggio mi vorranno affogare.»
«Allora, se devi morire a breve...»
Ravenna non completò mai la frase; si porse in avanti, un movimento che attrasse Adrian come se entrambi fossero stati le due ganasce di una stessa pinza. Si aggrappò con le labbra a quelle di lei, in procinto di cadere da sé stesso e non essere mai più Adrian Hill, ma solo un marinaio di passaggio su un mare a cui di lui non era mai importato niente. Improvvisamente Ravenna, con quel bacio, dava senso al mare e alle onde, alle navi e alle vele, perché se ogni viaggio premetteva l'esistenza di una meta ultima, conscia o inconscia che fosse, approdare sulla sua bocca e sulle sue braccia valeva la pena di traversare interi oceani.
Sentì il mondo cedere sotto di lui, le gambe fluttuare e dissolversi finché non smise di percepirle. Poi l'impatto col pavimento, i piedi di Ravenna poco più in là che aveva appena fatto in tempo a scansarsi mentre Adrian cadeva in avanti.
«Oh, Dei» esclamò lei, abbassandosi con una velocità eccessiva per i suoi riflessi indeboliti dall'alcol. Perse l'equilibrio e atterrò sul petto di Adrian, che proprio in quel momento stava tentando invano di rialzarsi.
«Sei...» iniziò stizzito, dimenticandosi immediatamente cosa stesse per dire. Era di sicuro un insulto, ma poteva insultare gli occhi verdi che lo guardavano innocenti? Poteva insultare quel viso che avrebbe voluto veder crescere senza averne avuta la possibilità? O forse la avrebbe avuta, se solo avesse provato a cercarla invece di lasciare che il suo ricordo scivolasse via. L'avrebbe baciata, quando entrambi avrebbero avuto sedici anni e lei fosse stata corteggiata da altri ragazzini? L'avrebbe baciata, quando entrambi avrebbero avuto vent'anni e lei avrebbe rischiato un matrimonio che sicuramente non avrebbe desiderato, forse proprio con suo fratello maggiore come avrebbero voluto i loro genitori? L'avrebbe baciata in un altro mondo, in un altro tempo, dove il suo viso sarebbe stato lo stesso ma forse lei non sarebbe stata la stessa?
«Qui» disse infine. «Adesso. Così.»
«Grande spirito d'osservazione» lo canzonò lei.
Il suo sorriso sarebbe stato identico, ma per ragioni diverse. Non avrebbe voluto un altro sorriso.
«E sei tu» realizzò con strana sorpresa.
Vide lo sguardo accigliato, confuso e un po' esasperato di lei. I suoi occhi sarebbero stati identici, ma non quello sguardo. Non avrebbe voluto un altro sguardo.
Non avrebbe voluto un'altra Ravenna.

◄►

«Devo fare una cosa» esordì Ravenna, spalla a spalla con Adrian mentre sbarcavano sul molo di Metra.
«Non dirmela, scommetto che non la voglio sapere» replicò lui imperturbabile, ormai assuefatto a quel genere di situazioni. L’allarmismo che lo coglieva ogni qual volta Ravenna esordiva con frasi simili lo aveva abbandonato, in qualche momento di qualche giorno, senza che se ne accorgesse, lasciando il passo ad una poco sana abitudine.
«Non prenderti in giro, Adrian, lo sai a cosa mi riferisco. Io ho dovuto pagare per il viaggio, ricordi?»
Il marinaio di passò la lingua sul labbro inferiore, costretto ad ammettere che aveva un’idea ben precisa riguardo a cosa dovesse fare una ladra in una situazione come quella.
«Verrò pagato tra poco, non serve…»
«Serve» lo interruppe Ravenna. «Non ti lascerò pagare niente per me.»
Adrian arrestò il passo, fermandosi appena oltre l’inizio della banchina.
Sto già pagando per te. Il pensiero lo colse ben prima che ne formulasse l’intenzione. Non aveva cercato né di spiegare né tanto meno di definire la sua scelta di seguire Ravenna anche oltremare, benché sapesse perfettamente che il principale motore delle sue azioni fosse il cuore e non la testa. Ma aveva messo da parte i propri desideri per dare la priorità a quello che animava Ravenna da più di due anni; non era questo, forse, il prezzo che stava pagando? Tenersi paradossalmente a distanza per non farla allontanare, ma soffrire di quel distacco perché sapeva come ci si sentiva ad essere tremendamente vicini e sapeva, con altrettanta amarezza, che forse non sarebbero più tornati ad esserlo. E, mentre l’alba che tingeva di rosa la vasta baia di Metra, tutta strutture basse e larghe, strade ampie che portavano al centro città e lunghi moli che si incuneavano nel calmo mare meridionale, si chiedeva se anche lei se ne rendesse conto e in quale misura se ne preoccupasse.
«Ci rivediamo qui, d’accordo?» Riprese lei, all’apparenza estranea ai pensieri di Adrian.
«Sì… ma cerca di tornare presto» la pregò, una richiesta che aveva un significato molto più profondo di quanto lui per primo non tenesse ad esprimere, ma non meno di quanto sperava lei riuscisse a capire.
«Farò in fretta» lo rassicurò Ravenna. «Tornerò prima che tu te ne accorga.»
Se solo fosse vero.

◄►

Ravenna camminò tranquilla lungo il lastricato, le monete appena acquisite ben nascoste in una cucitura interna del corpetto.
Non si era aspettata che Adrian la lasciasse andare così facilmente; benché certa che si fosse ormai abituato all’idea di lei come fuorilegge, sapeva bene che convivere con una consapevolezza fosse ben diverso dall’accettarne tutti gli aspetti. Eppure Adrian aveva opposto solo una debole resistenza prima di capitolare, con una rassegnazione molto simile alla delusione. Ma se anche aveva percepito una certa amarezza nel suo comportamento era troppo concentrata sulla propria missione per rendersi conto di cosa l’avesse scatenata, convinta che fosse solo la fiacca opposizione di quella parte di lui che non approvava il suo stile di vita. Inconsapevole del proprio stesso egoismo camminava al fianco del marinaio, guardando ogni viso di ogni persona cui passava accanto come se, saltandone uno soltanto, avrebbe potuto perdere proprio lo sguardo di suo padre.
Attraversarono una strada ampia e acciottolata, brulicante di vita come poche città della Costa Settentrionale potevano essere persino nei giorni di festa. Le case stesse erano ammassate le une sulle altre come se non ci fosse spazio per tutte, eppure la sensazione che si aveva era del tutto diversa da quella percepibile ad Avon; Metra, invece che schiacciarti, sembrava volerti dire che non saresti mai stato solo tra le sue mura.
La locanda in cui Adrian la guidò era colma delle più diverse personalità, da marinai ad artigiani a forestieri a cavalieri, uomini, donne e bambini, gruppi nutriti e individui solitari, sobri e ubriachi, tristi e allegri. Non una persona era simile all’altra, una disomogeneità che dava uno strano effetto nel momento in cui vi ci si immergeva. Ravenna l’avrebbe definito rassicurante: come un sasso non spicca in una distesa di ghiaia, così la diversità di una persona non spicca nella diversità di una folla intera. Ma per Adrian, lo si poteva intuire facilmente dalla sua espressione, la sensazione doveva essere molto simile a quella del soffocamento. Dava l’impressione di qualcuno senza più fiato, sull’orlo dell’asfissia, che annaspa disperato in cerca di aria che non trova.
«Vuoi aspettarmi fuori?» Gli domandò lei, posando una mano sulla sua spalla mentre entrambi sostavano appena oltre l’ingresso, in cerca di una fessura di spazio per potersi fare largo nel marasma.
«Odio Metra» borbottò Adrian in risposta, e fu tutto quello che disse prima di voltarsi e tornare all’esterno.
Ravenna rimase sola a trattenere un ghigno divertito, chiedendosi come fosse possibile che un marinaio, abituato a vedere i più disparati generi di persone e a rimanere schiacciato sottocoperta con un pugno di uomini altrettanto variegato, faticasse a sopportare di stare in quel piccolo universo caleidoscopico.
Ma poi… poi pensò a quanto difficile sarebbe stato trovare una persona nella vivace confusione di Metra. Come poteva scorgere un volto in particolare quando ce n’erano così tanti intorno a lei? A chi poteva chiedere, chi poteva aver visto suo padre? Chi era fermo abitante della città e chi invece solo un forestiero? Metra era grande, era piena, era multiforme. C’era da impazzire solo a pensarla una tale enormità. Le prese qualcosa che non era paura, non era ansia, non era incertezza, era la mancanza d’aria di chi è stato troppo a lungo sott’acqua. Era il bisogno di tirare il fiato, il bisogno di sapere che oltre i milioni di sfumature di blu del mare, sopra la superficie irradiata dal sole, c’è tutto quello che ti serve per sopravvivere e che potrai smettere di cercare. Ma doveva uscire dall’acqua. Doveva uscire dalla locanda. Forse doveva uscire da Metra, forse dal mondo, ma l’istinto la guidava solo un passo alla volta ed era il passo per tornare sulla strada, dove forse avere una visuale più libera sarebbe stato come riaprire gli occhi dopo un’immersione.
«Ravenna?»
Il tono perplesso di Adrian non raggiunse le orecchie sorde della ladra, né la prima né le successive tre volte in cui si fece meno esitante e più inquieto. Aumentando il passo per star dietro alla marcia serrata di Ravenna, la raggiunse e dovette afferrarle il braccio per costringerla a fermarsi o, almeno, a notare la sua presenza.
«Si può sapere che ti prende?»
Lei sentì la domanda, ma non riuscì a capirla. Fu come se Adrian avesse parlato in un’altra lingua, una a lei totalmente sconosciuta e mai udita prima. Lo sguardo che gli rivolse forse esprimeva quello stesso sconcerto, forse no, ma non se lo domandava né le importava. Un solo concetto attraversava la sua mente, nitido e pulito: come lo trovo qui in mezzo?
«Ravenna, parla» la incoraggiò il marinaio, ma a quel punto sembrava solo spazientito. «È successo qualcosa?» Tentò ancora, a corto di ipotesi cui poter attribuire quell’improvviso e anomalo comportamento.
Lei si guardava intorno, ma non era come se stesse cercando qualcosa. L’irrequieto guizzare dei suoi occhi era quello di un una persona perseguitata da antichi fantasmi che sembravano farsi più vicini di secondo in secondo; l’agitazione di Ravenna, invece che scemare, si intensificò finché non iniziò a girarsi da una parte all’altra, guardandosi alle spalle, ai fianchi, di fronte e di nuovo alle spalle.
«Ehi, fermati, Rav…» Adrian tentò di contenerla posandole le mani sulle braccia, ma lei si muoveva troppo scompostamente perché lui riuscisse ad avere una presa salda senza farle male.
«Per tutti gli Dei, Maerian!» Gridò, attirando l’attenzione di molte delle persone a loro più vicine. E, finalmente, anche la sua.
Ravenna si immobilizzò all’istante. Lo guardò, gli occhi immersi in una riflessione intima sebbene, dal modo in cui lo guardava, sembrava riuscire perfettamente a mettere a fuoco il marinaio. Lui che, stupito dal fatto che il suo urlo avesse davvero funzionato, non aveva previsto come procedere da lì in avanti.
«Maerian! Gren Maerian!» urlò lei, ricominciando a girare su sé stessa.
Questa volta, però, si muoveva con più calma, più consapevolezza; si stava rivolgendo a tutti coloro che li stavano ascoltando, fermatisi lungo la strada ad osservare quel bizzarro sipario.
«Qualcuno lo conosce? Qualcuno ne ha mai sentito parlare? Gren Maerian! È un fabbro della Costa Settentrionale, forse lo avete conosciuto come Gren Valerious!» Annunciò ancora, cercando volti che esprimessero un riscontro.
Ma nessuno si fece avanti e la fiumana riprese il suo corso sul lastricato.
«Dove diavolo sono finita, Adrian?» Domandò, le grida di poco prime divenute ora un flebile mormorio.
Non ebbe bisogno di dare ulteriori dettagli perché tutto per lui acquistasse un senso. Forse ne era sempre stato consapevole, senza accorgersene. Forse lo sapeva da quando l’aveva incontrata e stava solo aspettando quel momento.
Il momento in cui Ravenna avrebbe improvvisamente guardato il mondo e si sarebbe accorta di quanto lontano si fosse spinta da casa.

◄►

«Non ho avuto un attacco di panico» precisò Ravenna, facendo scivolare il dito lungo il bordo del boccale che stringeva con l’altra mano.
«Certo, come no.»
Il sarcasmo di Adrian le fece assottigliare lo sguardo mentre immaginava di tirare un lieve colpetto alla sedia su cui stava dondolando, così da farlo finire col culo a terra.
«Ho avuto una passeggera perdita del senso d’orientamento. Mi sono trovata un po’ spaesata, ecco tutto.»
«Sì, ovvio.»
«Adrian…»
«Ravenna.»
La ladra sollevò un sopracciglio, il piede che le prudeva fastidiosamente nello stivale dalla voglia di dare una spintarella alla gamba della sedia.
«Stai per fare un bel volo, marinaio» lo avvertì, stoppando il movimento del dito.
«Ah-ah.»
Era una sfida. Il suo tono tronfio e beffardo era un invito bello e buono. Che non dicesse di non esserla andata a cercare.
Rapida come ogni qual volta doveva essere imprevedibile, sebbene in quel caso gli avesse dato un certo preavviso, allungò la gamba sotto il tavolo e infilò il piede sotto la sua sedia, tra le due gambe sollevate da terra. Adrian fu rapido ad afferrare i bordi del tavolo con un sorrisino, dimostrando di essere preparato. Ma lei non aveva ancora fatto niente, e quando il marinaio si accorse di non aver subito alcuno scossone guardò in basso, cercando una spiegazione. Ravenna colse l’attimo e gli tirò addosso il contenuto del suo boccale; le mani di Adrian si alzarono all’istante a proteggergli il viso, guidate da un fugace istinto controproducente: appena perse la presa sul suo sostegno, il piede di Ravenna diede il colpo di grazia e lui perse totalmente l’equilibrio, cadendo all’indietro con un’imprecazione allibita.
«Tu. Sei. Diabolica.» Grugnì lui, spuntando da sotto il tavolo mentre si rialzava dal pavimento.
Risollevò la sedia e la sistemò ben piantata a terra, ignorando le risate di metà degli avventori della taverna.
«Sono solo ancora un po’ frastornata dall’attacco di panico» lo prese in giro Ravenna.
«Tu sei frastornata e basta» mugugnò lui, accarezzandosi la nuca con la mano zeppa di sidro.
«Io so dov’è.»
Lo scambio di sguardi tra i due fu bruscamente interrotto quando entrambi alzarono di scatto il proprio, immediatamente sulla difensiva, in direzione di una voce profonda troppo vicina perché potesse non essere rivolta a loro.
«Ti ho sentita prima, in strada. Gren Valerious. Io so dov’è.»
Ravenna era seria, nessuna emozione parve incrinare la maschera solida con cui fissava lo sconosciuto avventore, ma gli occhi di Adrian corsero immediatamente ai suoi nell’udire quelle parole. E poterono scorgervi, accuratamente nascosta nell’immobilità delle sue pupille, lo stupore per quell’inaspettata notizia e l’angosciosa trepidazione che ne conseguiva.
«Dove» disse solo, e non suonò affatto come una domanda.
Era concentrata, interamente rivolta al proprio obiettivo. C’era qualcosa di inarrestabile nella tensione del suo corpo.
«Perché lo cerchi?» Indagò l’uomo.
Una mossa decisamente sbagliata, Adrian lo sapeva bene. Si alzò in piedi, pronto a intervenire, nello stesso momento in cui lo fece Ravenna, già munita del suo pugnale che aveva estratto chissà quando.
«Dove» ripeté, ed ora c’era una nota rabbiosa nel tono forzatamente basso.
«Woah, calmati. Pensavo solo che potessimo farci un favore a vicenda, io ti dico quello che vuoi e tu dai un ragionevole prezzo all’informazione.»
Sebbene le sue mani si fossero portate in posizione di difesa, a palmi aperti di fronte a sé, l’uomo non sembrava particolarmente impressionato dalla reazione della ladra. Forse Ravenna avrebbe dovuto stare attenta. O forse era lui che stava sottovalutando la persona che aveva davanti.
Lei non si fermò a pensare a cosa stava per fare o alle conseguenze che ciò avrebbe avuto, sembrava completamente estranea al resto del mondo, compreso Adrian. Era l’unica spiegazione per la pazzia che commise: con un braccio contro il suo petto spinse l’uomo, troppo sorpreso per opporre resistenza, contro il muro, facendo appello a tutta la propria forza. Lo schiacciò contro la parete sfruttando tutto il proprio peso e gli puntò l’avambraccio sotto al mento. Le bastava fare un po’ più di pressione per iniziare a soffocarlo.
«Dove» Abbaiò.
Il tutta la taverna il chiasso si stava affievolendo mentre l’attenzione veniva calamitata dalla scena in corso in quell’angolo. Adrian era vigile ma immobile, consapevole che qualsiasi sua mossa sarebbe stata colta come una minaccia dall’amica, in quel momento molto più simile alla disperata donna in cerca di fantasmi che aveva incontrato che alla bambina in cerca di more che aveva conosciuto. Lui doveva mantenere la calma che lei non aveva più.
«Puttana» fu l’unica risposta che ottenne prima che lui gli sputasse in faccia.
Adrian trattenne il fiato, facendo un passo avanti quando vide il volto di Ravenna indurirsi ulteriormente, i lineamenti contratti in un tentativo – l’ultimo – di serbare la pazienza rimasta.
«Ravenna… » la richiamò, ma lei non lo degnò di uno sguardo. Difficile stabilire se lo avesse almeno sentito.
«Dove» ringhiò per la terza volta.
Ogni centimetro del suo corpo diceva ad Adrian che sarebbe anche stata l’ultima.
«Putt…»
Prima che terminasse l’insulto, Ravenna lo afferrò per il bavero e lo spinse contro il tavolo, schiacciandogli la faccia sulla superficie di legno che scricchiolò sotto la forza dell’impatto. Con un braccio dolorosamente piegato dietro la schiena, stretto nella salda presa della ladra, e la punta del pugnale a solleticargli minacciosamente la guancia, l’uomo capitolò.
«Al porto, va bene? L’ho incontrato al porto, diceva di chiamarsi Vaughan, ma ho visto la sua richiesta di sbarco e c’era scritto Gren dannato Valerious» borbottò, quasi le parole si rifiutassero di uscire dalla sua bocca.
«Adesso. Voglio sapere dov’è adesso» insistette lei, aumentando la pressione.
«Non lo so! Cosa vuoi che ne sappia, eh? So solo che è sbarcato, ma dubito che sia andato molto lontano.»
«Perché?» A stento il tono di Ravenna poteva essere definito interrogativo.
«Perché quel bastardo è quasi del tutto cieco.»
Nonostante nulla – nella posa, nell’espressione – fosse cambiato, Adrian riusciva distintamente a sentire che in Ravenna fosse appena successo qualcosa. C’era qualcosa di granitico, ora, nella sua immobilità, più interiore che fisica. Se prima esprimeva vibrante energia nella sua semplice staticità, ora il terremoto si era placato e nemmeno il vento soffiava più.
Improvvisamente Ravenna liberò l’uomo, facendosi da parte, solo per avviarsi a grandi passi verso la porta. Sulla soglia sembrò ripensarci e tornò indietro, questa volta dirigendosi dall’oste che guardava la scena basito, uno straccio e un boccale ancora in mano.
«Per il disturbo» asserì, lasciando sul banco qualche moneta.
Fece nuovamente marcia indietro e sparì oltre la porta.
Tutti, nella taverna, fissavano il punto da cui era uscita. Tutti eccetto l’uomo che aveva appena interrogato e che a quel punto fissava Adrian come se fosse una valida alternativa al vendicarsi direttamente su quella pazza che lo aveva minacciato.
«Ha appena avuto un attacco di panico» buttò lì con casualità, a mo’ di giustificazione, fingendo di sistemargli la camicia sulle spalle. «Be’, buona… continuazione» gli augurò con un sorriso tirato. «Addio.»
Non aveva nemmeno terminato la parola che si stava già affrettando verso l’uscita. Con un piede dentro e uno fuori si fermò, rifletté, valutò l’accaduto e tornò indietro, aggiungendo qualche moneta a quelle lasciate da Ravenna. Fece un cenno all’oste e, per la milionesima volta, seguì la sua compagna di viaggio – amica, amante, estranea – fuori da un casino e dritto verso il prossimo.

◄►

Adrian aggrottò le sopracciglia, rendendosi conto che aveva già visto quella scena.
No, meglio: l’aveva vissuta. Su una strada di Vessa, poche settimane prima, di fronte ad una porta dove non importava più quanti anni avevi o quante esperienze avessi vissuto. Lì tornavi bambino.
«Sicura che sia qui?» Domandò a Ravenna.
«Sì.»
Il silenzio era calato più volte da quando si erano fermati in quella stessa posizione parecchi minuti prima. Adrian non aveva voluto forzare Ravenna a fare un passo avanti, ricordava ancora bene la propria indecisione di fronte alla porta di casa sua. Voleva lasciarle il tempo di trovare la sicurezza necessaria a compiere quel passo, perché se per lui era stato difficile gestire l’idea di rivedere la sua famiglia dopo una manciata di anni, per lei doveva essere pressoché impossibile metabolizzare l’idea di essere riuscita, finalmente, a trovare il padre mai più rivisto da quando aveva undici anni. Un padre che era scomparso, si era imbarcato verso la Costa Meridionale e aveva cambiato nome, invece che cercare la figlia perduta.
Nessuno dei due ne aveva fatto parola, ma Adrian era certo che l’esitazione di lei fosse dovuta ad una paura che entrambi tacevano.
«Non hai un pochino esagerato, prima?» Le chiese, solo per distrarla.
Da quando erano usciti dalla taverna, Ravenna era stata troppo concentrata nello scoprire dove abitasse Gren – Vaughan – per discutere di qualsiasi altra cosa.
«Non secondo la definizione di “esagerato”. Com’è che non sapevo esistessero i permessi di sbarco? Avremmo potuto controllare al porto, avremmo fatto prima e non avrei dovuto esagerare» rispose lei, rimbalzandogli la palla con un’altra domanda che evitasse alla conversazione di morire di nuovo.
Aveva bisogno di allentare la tensione più di quanto non si rendesse conto.
«Colpa mia, non ci ho… non ci ho pensato. I permessi non servono ai marinai, solo ai passeggeri. E io ho prestato servizio solo su navi mercantili. A te non è servito perché tecnicamente non eri a bordo, perciò in pratica sei qui illegalmente. Cosa dovrebbe significare che non hai esagerato in base alla definizione di esagerare?»
«Esagerare significa fare più del necessario, giusto? Io ho fatto lo stretto necessario ad avere la risposta che mi serviva. Quindi se mi beccano qui potrei essere arrestata?»
«No, ti sbatterebbero sulla prima nave di ritorno alla Costa Settentrionale. Non è che minacciare un essere umano sia definibile come strettamente necessario
«Quel tipo è vivo e in salute, non gli ho fatto neanche un graffio. Anche se probabilmente ho ucciso il suo orgoglio.»
«Se morirai nel sonno saprò il perché.»
Non ci fu un solo istante in cui Ravenna avesse staccato gli occhi dalla porta chiusa. Avrebbero potuto divagare per giorni, il sole sarebbe potuto sorgere ancora su quella calda sera e poi tramontare di nuovo, sorgere e tramontare, senza che Ravenna si sarebbe spostata di un millimetro o avrebbe trovato il coraggio di farsi avanti. Poche cose spaventavano quella ladra così testarda e determinata, ma probabilmente nulla poteva fare paura come realizzare il proprio obiettivo.
Senza preavviso Ravenna deglutì rumorosamente e prese un sospiro tremante, riflesso del brivido che corse sul suo viso e nei suoi occhi. Preso alla sprovvista, Adrian realizzò solo in quel momento di non aver davvero capito quanto quella situazione fosse tremenda per lei. Si sbagliava, non aveva già vissuto quella situazione tanto quanto lei non aveva bisogno di distrarsi. Aveva solo bisogno che qualcuno le ricordasse quanta strada aveva fatto e le stringesse la mano in quell’ultimo passo, e Adrian aveva percorso parte di quel viaggio con lei solo perché quella mano potesse essere la propria.
«Ehi» sussurrò, girandosi verso di lei e posandole una mano sul gomito. Guardò nei suoi occhi e vide l’ombra di un pianto che non si sarebbe mai liberato. Non seppe che altro fare, o forse non c’era altro che volesse fare: la attirò a sé e la strinse con la stessa forza con cui lei ricambiò, stringendogli la casacca di pelle tra le dita sorprendentemente ferme nonostante il suo respiro tremasse.
«Non ti ho mai ringraziato abbastanza. Sei venuto fin qui con me. Sei qui con me, adesso» mormorò lei. Adrian sentì il suo sussurro come fiato caldo sul collo, mentre guancia contro guancia inclinava il viso un po’ di più per sentire il profumo dei suoi capelli biondi. «Ma devo…»
«Devi andare da sola. Lo so» la anticipò lui. «Lo capisco.»
«Sai… dovevo ritrovare mio padre, ma una parte di me non riusciva a non cercare anche te tra i volti di ogni città che attraversavo.»
Adrian chiuse gli occhi, infilando le dita tra i suoi capelli e sfiorandole la nuca, sospirando silenziosamente. Il cielo sapeva come avrebbe voluto poterla stringere più forte, in quel momento.
Da quando si erano rincontrati era successo tutto sbalorditivamente in fretta: si erano visti, si erano seguiti, si erano separati nel cuore per ritrovarsi ancora più vicini. Si erano conosciuti di nuovo, si erano capiti, si erano amati per una notte. Avevano attraversato il mare e oltrepassato le differenze. Non si erano fermati un solo istante.
Ma in quel momento, ne era certo, il tempo era fermo per loro.
«Mi hai trovato, alla fine.»
«No, Adrian, te l’ho detto. Mi sei capitato all’improvviso, inaspettatamente. Sarei dovuta ripartire il giorno prima da Port Gale, ma ero stanca. Stufa di correre di città in città senza trovare niente. E in un momento ho pensato “perché tutte le persone a cui abbia voluto bene sono così lontane, adesso?” “Sono io che sbaglio?” Invece tu eri più vicino di quanto non fossi mai stato da diciassette anni. In fondo alla strada, su una nave. Pronto ad andartene un’altra volta, ma non ancora. Non an-»
Le parole furono interrotte dal bacio che Adrian non poté più trattenere; le sue labbra trovarono istintivamente la via verso quelle di lei, rapide nell’approdarvi quanto calme nel solcarle. Non aveva fretta, Adrian, di porre fine a quel contatto. Voleva sentire ogni secondo, l’umido calore della presenza di Ravenna bocca contro bocca. Eppure fu lui ad allontanare per primo il proprio volto, spaventato dai propri stessi sentimenti che, dormienti, si risvegliavano ogni volta che superavano l’invisibile linea tra amicizia e qualcosa di più intimo.
«Va da tuo padre, ora» la incoraggio ad occhi bassi. Si fece coraggio e li puntò nei suoi, prendendo il suo viso tra le mani: «ma ricordati di tornare.»
Con un bacio sulla fronte la lasciò andare, fuggendo dalla confusione delle proprie emozioni e dall’evidenza del proprio egoismo: perché la verità era che detestava l’idea di essere arrivato alla fine di quel viaggio, ora che non sarebbe più stato la sua spalla, il suo unico compagno.
Perché la verità era sempre stata una: di quel viaggio, lui non era mai stato l’obiettivo. Ed ora pregava di non essere stato solo una parentesi.

Non ci credete, eh? Stento persino io. Mi dispiace tremendamente di aver interrotto la pubblicazione per un intero anno e non cercherò giustificazioni in proposito. Grazie a Dio ho trovato lavoro e, purtroppo e per fortuna, questo occupa buona parte del mio tempo. Non chiederò scusa né per questo né per il fatto che nei miei momenti liberi cerchi di mantenere una vita sociale e mi occupi anche di altri progetti.
Ciò non toglie che non ho mai avuto l'intenzione di fermare la storia e che per tutto il tempo ho provato a continuare, perché ci tengo da morire. Farò di tutto per non lasciar passare ancora così tanto tempo prima del prossimo capitolo.
Tornando alla storia, siamo davvero ad una svolta come non ve la immaginate; il viaggio della ricerca è finito? Sembra di sì. Ma durante la traversata si sono messi in moto meccanismi più complessi e, anche se Ravenna è arrivata al proprio porto, le rotte da seguire sono ancora molte. Fuori rotta è il momento in cui la destinazione inizia a cambiare: stiamo girando il timone verso l'ignoto.

Au revoir,
Astrid

   
 
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