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Autore: edoardo811    28/10/2015    3 recensioni
Se ne avessi la possibilità, cosa faresti? Salveresti il mondo... o lo distruggeresti?
Empire City.
Un brutale attacco terroristico distrugge mezza città e costringe in miseria i cittadini dell'altra metà.
La popolazione è chiusa dentro i confini della metropoli, in quarantena, ed è obbligata a vivere insieme a bande di tagliagole e psicopatici, che dopo l'attacco, rinominato l'esplosione, hanno deciso di scatenare tumulti dopo tumulti.
Rachel sembra una ragazza come tante, ma non è così. Lei ha qualcosa in più, qualcosa che la distingue profondamente da tutte le altre persone.
Mentre il caos per le strade dilaga, si ritroverà più volte ad avere a che fare con la sua natura e le sue diversità. Dovrà imparare a conoscere meglio sé stessa, fare i conti con il suo passato e i suoi sentimenti.
Conoscerà persone, visiterà luoghi e combatterà fino allo stremo.
Ed infine sarà posta di fronte ad un'ardua scelta. E decidere non sarà affatto facile.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Robin
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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V

Sharing

 

Partì dal principio. Raccontò di non aver mai conosciuto suo padre, che lui era sparito prima della sua nascita. Aveva vissuto con la madre Arella per qualche anno, poi anche lei aveva detto addio la figlia, iscrivendola ad un collegio, che in realtà non era altro che una specie di orfanotrofio. Rachel non aveva mai capito il perché di tale decisione. Sapeva solo che Arella l’aveva abbandonata. E quella era stata la prima vera batosta emotiva che avesse mai ricevuto.

Gli anni erano trascorsi. Al collegio aveva avuto modo di conoscere decine di ragazzi come lei, ma non aveva mai fatto amicizia con nessuno. Al mattino andava a scuola assieme a tutti loro, al pomeriggio e alla sera se ne stava per i fatti suoi, per poi andare a dormire nella sua camera e ricominciare il ciclo il giorno dopo. Non aveva nemmeno mai avuto un compagno di stanza. Poi era arrivato Richard.

All’inizio lei non lo aveva nemmeno considerato. Lo aveva semplicemente ritenuto un novellino che, proprio come lei, avrebbe fatto fatica ad ambientarsi a quel posto, che probabilmente avrebbe piagnucolato di continuo come tanti altri facevano ed eccetera.

Invece no. Tutt’altro. Richard era parecchio taciturno, ma non era mai apparso a disagio in quel luogo. E dopo un paio di giorni, la prima persona con cui aveva parlato era stata proprio lei.

Era successo durante un’ora libera pomeridiana, quando i dormitori ancora erano chiusi. Rachel era seduta ad un tavolo, intenta a leggere un libro, poi era arrivato lui e le aveva chiesto se poteva sedersi con lei. Rachel era rimasta spiazzata da tale domanda, dopo parecchi attimi di esitazione si era praticamente vista obbligata ad accettare. E lì avevano avuto la loro prima vera discussione.

Erano poco più che bambini, entrambi sui dodici, tredici anni, ma Rachel non l’avrebbe mai dimenticata. Avevano cominciato con il presentarsi, poi avevano parlato delle lezioni che frequentavano, e per finire si erano raccontati le rispettive storie.

Richard aveva detto di essere un ragazzo rimasto orfano, la cui custodia era passata a più persone, da amici di famiglia a semplici uomini che lo avevano adottato per pietà. Ma per un motivo o per l’altro, nessuno era mai riuscito ad accudirlo a lungo. Così si era ritrovato anche lui in quel collegio, insieme a Rachel. E lei, dopo aver saputo la sua storia e aver scoperto di non essere l’unica rimasta senza genitori, lo aveva visto sotto tutt’altra luce. Aveva capito che il male poteva colpire chiunque e si era sentita vicina a lui, molto più di quanto non fosse mai stata con nessun altro.

E così era nata la loro amicizia. Entrambi erano sempre stati riservati e taciturni con gli altri, ma quando erano insieme avevano tutta un’altra intesa. Discutevano, si capivano, si divertivano anche. Le poche volte che Rachel si lasciava scappare un sorriso o una risata erano solo per merito di lui. Era sveglio, intelligente, avevano una mentalità molto simile. Per lei era sempre un piacere parlarci.

Quando si erano parlati la prima volta, era successo perché Richard aveva creduto che con lei sarebbe andato d’accordo, viste le loro simili abitudini. E aveva avuto pienamente ragione.

Gli anni erano trascorsi ulteriormente ed erano diventati adolescenti. La loro amicizia aveva continuato a gonfie vele. Entrambi nutrivano un enorme rispetto nei confronti dell’altro, si intendevano, si fidavano ciecamente, si volevano bene. Vedevano film insieme, salivano sul tetto della scuola a guardare le stelle di sera, talvolta avevano perfino dormito nella stessa stanza, insieme. Con lui Rachel si sentiva sicura, non solo verso sé stessa ma anche verso gli altri. Aveva fatto tesoro di ogni loro abbraccio, ogni loro carezza, ogni loro pacca amichevole o anche solo dei più banali sguardi.

Grazie a lui aveva fatto amicizia con tanti altri ragazzi arrivati chi prima chi dopo al collegio. Garfield, Victor, Jennifer, tutti ragazzi che come lei o erano rimasti orfani o avevano avuto problemi famigliari tali da costringerli ad andare in quel luogo.

Ma comunque, con nessuno era felice e aperta come con Richard. In compagnia di altri non sorrideva praticamente mai, non parlava, era fredda e distaccata. Con lui no. Con lui tirava fuori un lato di sé che non sapeva nemmeno esistesse.

Grazie al corso del tempo Rachel era cresciuta, si era sviluppata, ed era diventata molto più bella di quanto lei stessa avesse potuto immaginare. Diversi ragazzi le avevano fatto la corte diverse volte, pure lo stesso Garfield.  Ma comunque, Rachel non si era mai stata interessata a nessuno di loro. L’unico che contava per lei era e sarebbe sempre stato Richard. Ed era stato in quel momento, grazie alla corte ricevuta da altri, alla sua crescita e al suo sviluppo, che aveva capito che per lei, Richard, era molto di più che un amico. Era una persona che era cresciuta insieme a lei.

Con lui aveva festeggiato, aveva riso, aveva anche pianto la scomparsa dei suoi genitori. L’aveva sostenuta nei momenti difficili, aveva gioito assieme a lei in quelli felici, anche in quelli più banali come l’aver preso un bel voto a matematica. Le aveva fatto vivere momenti indimenticabili, per quanto banali ciascuno di essi fossero stati. Aveva realizzato di dovergli molto più di quanto potesse immaginare. Aveva capito che se c’era un ragazzo da cui mai e poi mai avrebbe rifiutato dei complimenti, quello era lui.

E a quel punto lo aveva amato con tutta sé stessa. Aveva amato il suo sguardo, il suo sorriso, il suo volto, la sua mentalità, ogni sua caratteristica.

E aveva pensato che forse quel sentimento potesse essere ricambiato.

Finché non era arrivata Kori. Koriand’r nella sua lingua, Stella se tradotto nella loro. Una ragazza straniera, anche lei rimasta orfana insieme alla sorella maggiore e al fratello minore, mandata al collegio da un amico di famiglia sia per avere un’istruzione adeguata, sia per essere tenuta al sicuro dalle terribili condizioni di vita del Dedalo, già disagiate ancor prima dell’esplosione.

Capelli rossi come il fuoco, occhi grandi e verdi come smeraldi, alta, abbronzata, ben definita, bella come un raggio di sole. Dolce, gentile, aggraziata, l’incarnazione vivente della ragazza perfetta, ragazza che Rachel mai sarebbe stata. Una stella nel vero senso della parola.

Nel giro di pochi giorni attrasse a sé come una calamita tutti i ragazzi, e fece dimenticare di Rachel Richard. Non molto tempo dopo, lui, bello, atletico, intelligente, si fidanzò con Kori, infliggendole la seconda batosta morale.

Ma lei non disse mai nulla. Fece finta di niente. Tenne il dolore dentro di sé, soffrendo come un animale bastonato. Nessuno, nemmeno Richard, si rese mai conto di cosa stesse provando. Dell’atroce agonia che solamente dopo l’abbandono di Arella aveva sentito. Rimasero amici, certo, ma non più come prima. I sorrisi sparirono dal volto di Rachel e apparvero solo più raramente.

E poi era arrivata l’esplosione. E aveva portato via tutti quanti, tranne colei che più di tutti avrebbe voluto essere portata via.

L’unica che si era salvata oltre a lei era Tara, semplicemente perché lei, nonostante fosse la fidanzata di Garfield, non viveva al collegio. La ragazza bionda, infatti, aveva un appartamento nel Neon, finanziato dai genitori che vivevano all’estero, e di conseguenza non si era ritrovata nel Centro Storico al momento dell’esplosione. Le due non erano mai andate molto d’accordo, per via delle loro molteplici differenze, ma con la crisi che imperversava avevano deciso di mettere da parte le divergenze e collaborare.

E infine, l’aver rivisto Richard, aver scoperto che pur di vendicare la morte di Kori era diventato un Mietitore, aveva inflitto a Rachel l’ennesima batosta. Le aveva fatto capire che lui non l’aveva mai amata, o se sì, quel giorno ora era lontano e non sarebbe mai più tornato. Per lui ormai esisteva solo più Kori. Rachel non era nessuno. Non era mai stata nessuno. E non lo sarebbe mai stata neanche in futuro.

«Avrei... avrei dovuto morire anche io nell’esplosione...» sussurrò la corvina, mentre altre lacrime scivolavano lungo le sue guancie. «Avrei finalmente potuto smettere di soffrire... e invece... sono un’incapace... non sono nemmeno stata in grado di morire quando era ora di farlo...»

Abbassò la testa, incassandola fra le ginocchia. E pianse. Pianse come una fontana, inondandosi le gambe non solo di lacrime, ma anche di dolore e sofferenza. Esplose fuori tutto il malessere che si teneva dentro da anni e anni. Pianse per il momento in cui Richard l’aveva dimenticata per mettersi con Kori, pianse per l’abbandono di sua madre, pianse la morte di tutti i suoi amici, pianse per l’esplosione e ciò che era successo dopo.

«Coraggio Rachel...» X cercò di consolarla, con voce molto più calma e morbida di poco prima, ma fu tutto inutile. Come poteva avere coraggio in quel momento? Dopo aver ricevuto l’ennesima batosta morale?

Non poteva farcela, era impossibile.

«Hanno ucciso i miei genitori» disse all’improvviso il ragazzo.

Rachel drizzò la testa di colpo, credeva di aver sentito male. «E-Eh?»

Immaginò di essersi sognata quelle parole, ma X ripeté ancora una volta, sospirando e guardando i palazzi. «I Mietitori. Hanno ucciso i miei genitori. Per questo... ce l’ho a morte con loro. Per questo vorrei vederli bruciare sotto i miei occhi dal primo all’ultimo.»

La ragazza rimase interdetta, con le labbra dischiuse e gli occhi ancora gonfi di pianto. «Ma... p-perché me l’hai detto?»

«Perché...» X si sedette di nuovo a terra, incrociando le gambe. «... tu mi hai raccontato di te. È giusto che io ricambi il favore. Se favore possiamo chiamarlo.»

Rachel tirò su con il naso. Sollevò un braccio e si pulì il volto dalle lacrime, poi tornò a guardare il ragazzo. «N-Non è il caso... Se per te è difficile parlarne...»

«Non c’è problema, davvero» disse lui, sorridendole solidale. «Sono stato io a convincerti a venire con me, è causa mia se hai rivisto Richard e hai sofferto. È giusto rimediare.»

La corvina rimase sinceramente stupita. Non gli aveva chiesto di parlare di lui, a dire la verità quello era un pensiero che ormai era uscito dalla sua mente da un po’, però se lui era disposto a parlarne, lei avrebbe ascoltato, proprio come avevano fatto poco prima a ruoli invertiti. Almeno si sarebbe distratta un po’.

«Io sono nato e cresciuto nel Dedalo» cominciò lui. «E non serve che ti dica che da quelle parti vivere era un autentico inferno.»

Rachel non ne aveva affatto bisogno. Il Dedalo era il quartiere peggiore che mai fosse esistito ad Empire. Erano i bassifondi della città, anzi, peggio ancora. Erano i bassifondi per antonomasia. Era impossibile credere che ci fossero solo dei ponti a separare quel distretto da altri molto più ricchi come il Centro Storico e il Neon.

«I miei genitori non erano affatto brave persone. Erano criminali, proprio come il resto degli abitanti del Dedalo. Fin dai miei primi anni di età sono stato addestrato da loro a rubare. Ho imparato a combattere, ad usare armi, ad arrampicarmi sui palazzi e a muovermi in modo furtivo. Dato che non ero un figlio desiderato, hanno comunque trovato il modo di farmi andare bene nelle loro vite.

«Ho conosciuto la peggior feccia che possa aver mai messo piede su questo mondo. Criminali incalliti e poveri come non ne hai mai visti. Nel Dedalo la legge era una sola: o tu, o gli altri. Ho visto persone morire, altre venire rapinate, altre venire picchiate selvaggiamente. Ho dovuto combattere tante di quelle volte per salvarmi la pelle che ormai ho perso il conto. Crescendo in quel posto sono diventato un buon combattente, un ottimo arrampicatore e ladro. E sono cresciuto così, in questo ambiente malsano, che ha segnato la mia vita.

«Poi è arrivata l’esplosione. Il Centro Storico era a pezzi, l’intera città lo era. Sono cominciati i tumulti, le rivolte. Nel Dedalo la situazione è degenerata completamente. Il poco ordine che a malapena era tenuto dai poliziotti è andato a farsi fottere. E anche là, come qui nel Neon, è nato un gruppo di criminali, gli Spazzini. Un branco di barboni e tossici che, come i Mietitori, si sono uniti sotto il comando di un unico individuo, un Conduit, e hanno conquistato il Dedalo.»

«Quindi ci sono altre organizzazioni criminali?» domandò Rachel, stupita.

Il ragazzo annuì. «Esatto. Anche nel Centro Storico un gruppo di persone ha preso il comando. Si chiamano Primogeniti. Inutile dirti che sono l’uno peggio dell’altro. E quando la situazione nel Dedalo è diventata insostenibile, i miei genitori ed io abbiamo deciso di andarcene. Loro erano ormai troppo vecchi per combattere, io invece non avrei mai potuto proteggerli da solo. Siamo venuti nel Neon sperando che qui la situazione fosse quantomeno accettabile, e invece...»

Un  sorriso amaro si dipinse sul volto di X. «... ci siamo ritrovati addosso gli ennesimi psicopatici, i Mietitori. Non avevamo idea che attraversando i vicoli ne avremmo incontrati alcuni. Quando sono apparsi è stato troppo tardi. Hanno sparato non appena ci hanno visti. Io sono riuscito a scappare, ma non i miei genitori. Sono morti davanti ai miei occhi. Ti sembrerà strano, ma non sono triste. Non mi avevano mai voluto bene per davvero, non avevano mai voluto un figlio. Io sono solo stato un incidente. Non mi è affatto dispiaciuto vederli morire.

«Ma erano comunque i miei genitori. Mia madre e mio padre. Coloro che bene o male mi avevano dato un tetto, una casa, cibo e vestiti. Forse non mi amavano, ma era comunque grazie a loro se ero vivo. Perciò ho giurato a me stesso che li avrei quantomeno vendicati. Erano dei bastardi, ma erano comunque delle persone. Ti ho detto che odio a morte i Mietitori, ed in parte è vero, però alla fine non sono loro quelli con cui devo prendermela davvero. Se c’è una persona che devo odiare, allora è quella che ha dato il via a questo delirio, ovvero il loro capo.»

Red X strinse i pugni con forza. «Lui è il responsabile di tutto. E lo troverò, fosse l’ultima cosa che faccio, e lo ucciderò. Porrò fine al regno dei Mietitori.»

Rachel aveva ascoltato il racconto a bocca aperta, in parte tra l’incredula e la meravigliata. A confronto con quella di X, la sua vita sembrava una passeggiata nel parco. Certo, anche lei aveva perso i suoi genitori, ma non letteralmente, e inoltre aveva vissuto in un luogo in cui bene o male era accetta, era istruita ed era al sicuro. Lui no, lui era cresciuto con una famiglia che non lo amava, in un ambiente per nulla adatto ad un ragazzo, potendo contare solamente sulle proprie forze.

Apparve sotto un’altra luce ai suoi occhi. Era molto più tosto di quello che quel suo look minaccioso dava a vedere.

«Quindi... hai deciso di diventare... Red X per cercare il capo dei Mietitori e mettere loro i bastoni tra le ruote?»

«Esattamente» annuì lui. «Ho deciso che i Mietitori avrebbero pagato. Sono diventato Red X, un giustiziere, un vendicatore, una persona che loro dovranno temere anche solo sentendone pronunciare il nome. Se eliminerò il capo, i Mietitori crolleranno come un castello di carte. Senza una guida, finiranno con l’uccidersi a vicenda.»

Quelle parole fecero balenare un pensiero per la mente di Rachel. Sgranò gli occhi. Sembrava una follia, ma forse un fondo di speranza c’era. O meglio, ci sperava, ci sperava con tutto il cuore. «Eliminando il capo dei Mietitori... non potremmo interrompere il controllo mentale che esercita su tutti loro??»

X corrucciò la fronte. «Non vorrai mica...»

«Richard potrebbe salvarsi!» esclamò lei, saltando in piedi, incredula lei stessa delle sue parole. «Potremmo farlo rinsavire! Senza il suo capo ad ordinargli cosa fare nella sua testa, non sarà più costretto ad essere un Mietitore, e potrebbe tornare da...»

«Da te?» la anticipò X, guardandola con un sopracciglio inarcato.

Rachel esitò. «Beh, ecco...»

Ammutolì. Si era di nuovo fatta prendere dall’emozione, era stata ancora una volta troppo precipitosa. Solo in quel momento si rese conto di quanto stupide fossero le ultime parole da lei pronunciate. Richard avrebbe potuto rinsavire, vero, ma da lei non sarebbe tornata. Lui amava Kori, l’aveva detto apertamente. Rachel era un’amica, e basta. Abbassò di nuovo la testa, sconsolata. Il buon umore svanì veloce com’era apparso. Non poteva gioire per dieci secondi che l’ennesima delusione le veniva scodellata in faccia.

«Beh, non possiamo saperlo se non proviamo.»

La voce di X le fece di nuovo drizzare la testa. Il ragazzo la guardava dal basso. «Hai ragione, forse potremmo interrompere il controllo mentale sui Mietitori e di conseguenza salvare Richard. E chissà, magari è davvero intrappolato contro il proprio volere, perciò se lo salvi potrebbe davvero apprezzare il tuo gesto, se capisci cosa intendo...»

Rachel spalancò la bocca, incredula. «L-Lo pensi davvero?»

«Ehi, ripeto, non possiamo saperlo finché non proviamo.»

Un lento sorriso si dipinse sul volto di Rachel, udendo quelle parole. Anche X sorrise e i loro sguardi si incrociarono.

Forse non tutto era perduto. C’era una possibilità, una remota possibilità, che Richard potesse tornare da lei. Minuscola, insignificante. Ma c’era. E dopo tutto quello che era successo, a Rachel andava benissimo così.

«Quindi... mi aiuterai?»

«Io voglio il capo dei Mietitori per vendicare i miei genitori, tu lo vuoi per salvare Richard. Quindi... sì, direi che abbiamo un accordo.» Red X si alzò in piedi e tese una mano, allargando il sorriso. «Socia.»

Anche Rachel allargò il sorriso. Non tutto era perduto. Aveva una possibilità. Doveva imparare ad usare meglio i poteri, doveva stare attenta, doveva fare un mucchio di cose, ma non era spaventata. Perché non era sola. Non più. Strinse la mano. «Socio.»

Le mani si separarono. X le rivolse un cenno del capo, poi si voltò. «Va bene allora. Ti dico solo una cosa, non sarà affatto facile. Io faccio questo genere di cose da tutta la vita, tu invece sei nuova in questo campo. Avrai anche i poteri, ma senza l’esperienza non te ne fai nulla. Perciò mettiamo in chiaro il fatto che se ti rivelerai un peso morto, ti scaricherò all’istante. Chiaro?»

«Chiaro» convenne Rachel, non riuscendo a smettere di sorridere malgrado il tono nuovamente rigido di X.

Il ragazzo intanto annuì, sempre dandole le spalle. «Bene, allora... agh!»

Quel verso di dolore la fece sobbalzare. X si premette una mano su un fianco, e si piegò, gemendo ancora più forte. «Merda... mi fa un male cane...»

La ragazza socchiuse le labbra, poi lo aggirò e si parò davanti a lui, aiutandolo a raddrizzarsi. «Che ti prende?»

Il volto di X era un’unica, grande smorfia di dolore. «Quel Richard... picchia duro...» mugugnò, indicandosi il fianco e un livido sulla guancia dapprima sfuggito alla vista di Rachel, a causa del trucco.

La corvina si mordicchiò l’interno della guancia, perplessa di fronte a quella vista. Poi ebbe un sussulto. «As... aspetta.»

Si mosse in automatico. Aveva perso il conto ormai di quante volte ciò era successo, quel giorno. Allungò una mano verso di lui e gliela posò sul ventre duro e freddo. Non sapeva nemmeno lei cosa stesse facendo, era il suo corpo a comandare in quel momento. La mano si illuminò di nero. Ma non fuoriuscì nessun raggio di luce da essa. X gemette, mentre la luce nera si scaturiva fuori dalla mano come una nuvoletta di vapore e si avvolgeva punti diversi del suo corpo. I fianchi, le gambe, anche la guancia colpita da Richard.

Rachel sentì le proprie energie diminuire all’improvviso e anche lei sussultò spaventata, ma non durò a lungo. Dopo pochi attimi, allontanò la mano dal ventre del ragazzo e fissò incredula cosa stava accadendo. X guardava il vapore nero circondarlo, altrettanto stupido e perplesso, poi esso si diramò nell’aria, svanendo alla vista. E quando ciò accadde, il ragazzo si palpò i punti toccati da esso. Sgranò gli occhi, poi guardò Rachel. «Come diavolo hai fatto?»

«C-Cosa?» domandò lei, altrettanto basita.

«Mi hai... mi hai guarito...» mormorò lui, dapprima incredulo, poi meravigliato. Si dipinse un altro sorriso sul suo volto. «E meno male che eri un’incapace! Cavolo Rachel, questo è... è fantastico! Puoi guarire le persone! Ti rendi conto di quanto sia importante?»

La ragazza batté le palpebre diverse volte, ancora intenta ad assimilare le informazioni appena ricevute. Abbassò lo sguardo, controllò la propria mano. Non sapeva come aveva fatto, non ne aveva idea. Ma l’aveva fatto. Deglutì, si concentrò, e la mano si illuminò ancora una volta di nero. Dopodiché, guardò di nuovo X. Il ragazzo le diede una pacca sulla spalla. «Te l’avevo detto che eri in gamba!»

Rachel non rispose. Faceva fatica a credere a ciò che stava succedendo. Poi le tornarono in mente le parole di Richard. Non sapeva usare nemmeno un quinto dei suoi poteri. Poteva fare ben di più che volare e sparare raggi. Che si riferisse a quello? A quello e a chissà quanti altri poteri incredibili? Rachel non sapeva se sentirsi elettrizzata o preoccupata a quel pensiero. Quante altre cose poteva fare, da Conduit quale era? Ma soprattutto... in base a cosa i suoi nuovi poteri si rivelavano?

La risposta a quelle domande avrebbe dovuto attendere ancora un po’, visto che X parlò di nuovo. «Beh, è stato bello giocare al dottore. Però ora è meglio che vada. Si sta facendo tardi. Che ne dici di rincontrarci domani a mezzogiorno proprio qui? Così potremo cominciare le nostre ricerche.»

Rachel richiuse la mano, poi annuì. «Va bene. A domani.»

Aveva bisogno di riposare un po’. Di riordinare le idee. E poi X aveva ragione, stava facendosi tardi e faceva un freddo cane.

«A domani allora, Corvetta» disse ancora lui, per poi allontanarsi e raggiungere il bordo del palazzo.

«Corvetta?» domandò lei, abbozzando un mezzo sorriso. «Che significa?»

X sollevò una mano, continuando a camminare. «Assomigli ad un corvo quando ti trasformi in uccello. I corvi sono neri, no? Tu sei una ragazza, ma non potevo mica chiamarti Corva, non si può sentire.»

«Beh... Corva no...» rispose Rachel, per poi allargare il sorriso, colta da un’illuminazione. «... ma Corvina sì. Che te ne pare?»

Una risata provenne dalla gola del ragazzo. Si voltò appena per guardarla con la coda nell’occhio. «Penso che facciano pena tutti e tre.»

«Disse il ragazzo senza nome» ribatté lei.

«Mh. Touché. Mi chiamo Lucas.»

«Piacere di conoscerti, Lucas.»

«Piacere mio, Corvina» disse lui accennandole un sorriso. «Fatti una bella dormita. Domani sarà una giornata dura.» Detto quello, saltò all’indietro, oltre il bordo, e sparì dalla visuale.

«Sarò pronta, vedrai» rispose lei sottovoce, rivolta ormai al nulla.

Sollevò lo sguardo e lo volse al cielo nuvoloso, ormai quasi buio. Allargò il sorriso. «Sarò pronta. Aspettami, Richard.»

Allargò le braccia, e poco dopo un gigantesco corvo fatto interamente di luce nera si allontanò dal tetto di quel palazzo, svanendo nel buio della notte calante.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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