V
Sharing
Partì dal principio. Raccontò
di non
aver mai conosciuto suo padre, che lui era sparito prima della sua
nascita.
Aveva vissuto con la madre Arella per qualche anno, poi anche lei aveva
detto
addio la figlia, iscrivendola ad un collegio, che in realtà
non era altro che
una specie di orfanotrofio. Rachel non aveva mai capito il
perché di tale
decisione. Sapeva solo che Arella l’aveva abbandonata. E
quella era stata la
prima vera batosta emotiva che avesse mai ricevuto.
Gli anni erano trascorsi. Al collegio
aveva avuto modo di conoscere decine di ragazzi come lei, ma non aveva
mai
fatto amicizia con nessuno. Al mattino andava a scuola assieme a tutti
loro, al
pomeriggio e alla sera se ne stava per i fatti suoi, per poi andare a
dormire
nella sua camera e ricominciare il ciclo il giorno dopo. Non aveva
nemmeno mai
avuto un compagno di stanza. Poi era arrivato Richard.
All’inizio lei non lo aveva nemmeno
considerato. Lo aveva semplicemente ritenuto un novellino che, proprio
come
lei, avrebbe fatto fatica ad ambientarsi a quel posto, che
probabilmente
avrebbe piagnucolato di continuo come tanti altri facevano ed eccetera.
Invece no. Tutt’altro. Richard era
parecchio taciturno, ma non era mai apparso a disagio in quel luogo. E
dopo un
paio di giorni, la prima persona con cui aveva parlato era stata
proprio lei.
Era successo durante un’ora libera
pomeridiana, quando i dormitori ancora erano chiusi. Rachel era seduta
ad un
tavolo, intenta a leggere un libro, poi era arrivato lui e le aveva
chiesto se
poteva sedersi con lei. Rachel era rimasta spiazzata da tale domanda,
dopo
parecchi attimi di esitazione si era praticamente vista obbligata ad
accettare.
E lì avevano avuto la loro prima vera discussione.
Erano poco più che bambini, entrambi sui
dodici, tredici anni, ma Rachel non l’avrebbe mai
dimenticata. Avevano
cominciato con il presentarsi, poi avevano parlato delle lezioni che
frequentavano, e per finire si erano raccontati le rispettive storie.
Richard aveva detto di essere un ragazzo
rimasto orfano, la cui custodia era passata a più persone,
da amici di famiglia
a semplici uomini che lo avevano adottato per pietà. Ma per
un motivo o per
l’altro, nessuno era mai riuscito ad accudirlo a lungo.
Così si era ritrovato
anche lui in quel collegio, insieme a Rachel. E lei, dopo aver saputo
la sua
storia e aver scoperto di non essere l’unica rimasta senza
genitori, lo aveva
visto sotto tutt’altra luce. Aveva capito che il male poteva
colpire chiunque e
si era sentita vicina a lui, molto più di quanto non fosse
mai stata con nessun
altro.
E così era nata la loro amicizia.
Entrambi erano sempre stati riservati e taciturni con gli altri, ma
quando
erano insieme avevano tutta un’altra intesa. Discutevano, si
capivano, si
divertivano anche. Le poche volte che Rachel si lasciava scappare un
sorriso o
una risata erano solo per merito di lui. Era sveglio, intelligente,
avevano una
mentalità molto simile. Per lei era sempre un piacere
parlarci.
Quando si erano parlati la prima volta,
era successo perché Richard aveva creduto che con lei
sarebbe andato d’accordo,
viste le loro simili abitudini. E aveva avuto pienamente ragione.
Gli anni erano trascorsi ulteriormente
ed erano diventati adolescenti. La loro amicizia aveva continuato a
gonfie
vele. Entrambi nutrivano un enorme rispetto nei confronti
dell’altro, si
intendevano, si fidavano ciecamente, si volevano bene. Vedevano film
insieme,
salivano sul tetto della scuola a guardare le stelle di sera, talvolta
avevano
perfino dormito nella stessa stanza, insieme. Con lui Rachel si sentiva
sicura,
non solo verso sé stessa ma anche verso gli altri. Aveva
fatto tesoro di ogni
loro abbraccio, ogni loro carezza, ogni loro pacca amichevole o anche
solo dei
più banali sguardi.
Grazie a lui aveva fatto amicizia con
tanti altri ragazzi arrivati chi prima chi dopo al collegio. Garfield,
Victor,
Jennifer, tutti ragazzi che come lei o erano rimasti orfani o avevano
avuto
problemi famigliari tali da costringerli ad andare in quel luogo.
Ma comunque, con nessuno era felice e
aperta come con Richard. In compagnia di altri non sorrideva
praticamente mai,
non parlava, era fredda e distaccata. Con lui no. Con lui tirava fuori
un lato
di sé che non sapeva nemmeno esistesse.
Grazie al corso del tempo Rachel era
cresciuta, si era sviluppata, ed era diventata molto più
bella di quanto lei
stessa avesse potuto immaginare. Diversi ragazzi le avevano fatto la
corte
diverse volte, pure lo stesso Garfield.
Ma comunque, Rachel non si era mai stata interessata a
nessuno di loro.
L’unico che contava per lei era e sarebbe sempre stato
Richard. Ed era stato in
quel momento, grazie alla corte ricevuta da altri, alla sua crescita e
al suo
sviluppo, che aveva capito che per lei, Richard, era molto di
più che un amico.
Era una persona che era cresciuta insieme a lei.
Con lui aveva festeggiato, aveva riso,
aveva anche pianto la scomparsa dei suoi genitori. L’aveva
sostenuta nei
momenti difficili, aveva gioito assieme a lei in quelli felici, anche
in quelli
più banali come l’aver preso un bel voto a
matematica. Le aveva fatto vivere
momenti indimenticabili, per quanto banali ciascuno di essi fossero
stati. Aveva
realizzato di dovergli molto più di quanto potesse
immaginare. Aveva capito che
se c’era un ragazzo da cui mai e poi mai avrebbe rifiutato
dei complimenti, quello
era lui.
E a quel punto lo aveva amato con tutta
sé stessa. Aveva amato il suo sguardo, il suo sorriso, il
suo volto, la sua
mentalità, ogni sua caratteristica.
E aveva pensato che forse quel
sentimento potesse essere ricambiato.
Finché non era arrivata Kori.
Koriand’r
nella sua lingua, Stella se tradotto nella loro. Una ragazza straniera,
anche
lei rimasta orfana insieme alla sorella maggiore e al fratello minore,
mandata
al collegio da un amico di famiglia sia per avere
un’istruzione adeguata, sia per
essere tenuta al sicuro dalle terribili condizioni di vita del Dedalo,
già
disagiate ancor prima dell’esplosione.
Capelli rossi come il fuoco, occhi
grandi e verdi come smeraldi, alta, abbronzata, ben definita, bella
come un
raggio di sole. Dolce, gentile, aggraziata, l’incarnazione
vivente della
ragazza perfetta, ragazza che Rachel mai sarebbe stata. Una stella nel
vero
senso della parola.
Nel giro di pochi giorni attrasse a sé
come una calamita tutti i ragazzi, e fece dimenticare di Rachel
Richard. Non
molto tempo dopo, lui, bello, atletico, intelligente, si
fidanzò con Kori,
infliggendole la seconda batosta morale.
Ma lei non disse mai nulla. Fece finta
di niente. Tenne il dolore dentro di sé, soffrendo come un
animale bastonato.
Nessuno, nemmeno Richard, si rese mai conto di cosa stesse provando.
Dell’atroce agonia che solamente dopo l’abbandono
di Arella aveva sentito.
Rimasero amici, certo, ma non più come prima. I sorrisi
sparirono dal volto di
Rachel e apparvero solo più raramente.
E poi era arrivata l’esplosione. E aveva
portato via tutti quanti, tranne colei che più di tutti
avrebbe voluto essere
portata via.
L’unica che si era salvata oltre a lei
era Tara, semplicemente perché lei, nonostante fosse la
fidanzata di Garfield,
non viveva al collegio. La ragazza bionda, infatti, aveva un appartamento nel Neon, finanziato
dai
genitori che vivevano all’estero, e di conseguenza non si era
ritrovata nel
Centro Storico al momento dell’esplosione. Le due non
erano mai andate
molto d’accordo, per via delle loro molteplici differenze, ma
con la crisi che
imperversava avevano deciso di mettere da parte le divergenze e
collaborare.
E infine, l’aver rivisto Richard, aver
scoperto che pur di vendicare la morte di Kori era diventato un
Mietitore,
aveva inflitto a Rachel l’ennesima batosta. Le aveva fatto
capire che lui non
l’aveva mai amata, o se sì, quel giorno ora era
lontano e non sarebbe mai più
tornato. Per lui ormai esisteva solo più Kori. Rachel non
era nessuno. Non era
mai stata nessuno. E non lo sarebbe mai stata neanche in futuro.
«Avrei... avrei dovuto morire anche io
nell’esplosione...» sussurrò la corvina,
mentre altre lacrime scivolavano lungo
le sue guancie. «Avrei finalmente potuto smettere di
soffrire... e invece...
sono un’incapace... non sono nemmeno stata in grado di morire
quando era ora di
farlo...»
Abbassò la testa, incassandola fra le
ginocchia. E pianse. Pianse come una fontana, inondandosi le gambe non
solo di
lacrime, ma anche di dolore e sofferenza. Esplose fuori tutto il
malessere che
si teneva dentro da anni e anni. Pianse per il momento in cui Richard
l’aveva
dimenticata per mettersi con Kori, pianse per l’abbandono di
sua madre, pianse
la morte di tutti i suoi amici, pianse per l’esplosione e
ciò che era successo
dopo.
«Coraggio Rachel...» X
cercò di
consolarla, con voce molto più calma e morbida di poco
prima, ma fu tutto
inutile. Come poteva avere coraggio in quel momento? Dopo aver ricevuto
l’ennesima batosta morale?
Non poteva farcela, era impossibile.
«Hanno ucciso i miei genitori»
disse
all’improvviso il ragazzo.
Rachel drizzò la testa di colpo, credeva
di aver sentito male. «E-Eh?»
Immaginò di essersi sognata quelle
parole, ma X ripeté ancora una volta, sospirando e guardando
i palazzi. «I
Mietitori. Hanno ucciso i miei genitori. Per questo... ce
l’ho a morte con
loro. Per questo vorrei vederli bruciare sotto i miei occhi dal primo
all’ultimo.»
La ragazza rimase interdetta, con le
labbra dischiuse e gli occhi ancora gonfi di pianto. «Ma...
p-perché me l’hai
detto?»
«Perché...» X si
sedette di nuovo a
terra, incrociando le gambe. «... tu mi hai raccontato di te.
È giusto che io
ricambi il favore. Se favore possiamo chiamarlo.»
Rachel tirò su con il naso.
Sollevò un
braccio e si pulì il volto dalle lacrime, poi
tornò a guardare il ragazzo. «N-Non
è il caso... Se per te è difficile
parlarne...»
«Non c’è problema,
davvero» disse lui,
sorridendole solidale. «Sono stato io a convincerti a venire
con me, è causa
mia se hai rivisto Richard e hai sofferto. È giusto
rimediare.»
La corvina rimase sinceramente stupita.
Non gli aveva chiesto di parlare di lui, a dire la verità
quello era un
pensiero che ormai era uscito dalla sua mente da un po’,
però se lui era
disposto a parlarne, lei avrebbe ascoltato, proprio come avevano fatto
poco
prima a ruoli invertiti. Almeno si sarebbe distratta un po’.
«Io sono nato e cresciuto
nel
Dedalo»
cominciò lui. «E
non serve che ti dica che da quelle parti vivere era un
autentico inferno.»
Rachel non ne aveva affatto bisogno. Il
Dedalo era il quartiere peggiore che mai fosse esistito ad Empire.
Erano i
bassifondi della città, anzi, peggio ancora. Erano i
bassifondi per
antonomasia. Era impossibile credere che ci fossero solo dei ponti a
separare
quel distretto da altri molto più ricchi come il Centro
Storico e il Neon.
«I miei genitori non erano affatto brave
persone. Erano criminali, proprio come il resto degli abitanti del
Dedalo. Fin
dai miei primi anni di età sono stato addestrato da loro a
rubare. Ho imparato
a combattere, ad usare armi, ad arrampicarmi sui palazzi e a muovermi
in modo
furtivo. Dato che non ero un figlio desiderato, hanno comunque trovato
il modo
di farmi andare bene nelle loro vite.
«Ho conosciuto la peggior feccia che
possa aver mai messo piede su questo mondo. Criminali incalliti e
poveri come
non ne hai mai visti. Nel Dedalo la legge era una sola: o tu, o gli
altri. Ho
visto persone morire, altre venire rapinate, altre venire picchiate
selvaggiamente. Ho dovuto combattere tante di quelle volte per salvarmi
la
pelle che ormai ho perso il conto. Crescendo in quel posto sono
diventato un
buon combattente, un ottimo arrampicatore e ladro. E sono cresciuto
così, in
questo ambiente malsano, che ha segnato la mia vita.
«Poi è arrivata
l’esplosione. Il Centro
Storico era a pezzi, l’intera città lo era. Sono
cominciati i tumulti, le
rivolte. Nel Dedalo la situazione è degenerata
completamente. Il poco ordine
che a malapena era tenuto dai poliziotti è andato a farsi
fottere. E anche là,
come qui nel Neon, è nato un gruppo di criminali, gli
Spazzini. Un branco di
barboni e tossici che, come i Mietitori, si sono uniti sotto il comando
di un
unico individuo, un Conduit, e hanno conquistato il Dedalo.»
«Quindi ci sono altre organizzazioni
criminali?» domandò Rachel, stupita.
Il ragazzo annuì. «Esatto.
Anche nel
Centro Storico un gruppo di persone ha preso il comando. Si chiamano
Primogeniti. Inutile dirti che sono l’uno peggio
dell’altro. E quando la
situazione nel Dedalo è diventata insostenibile, i miei
genitori ed io abbiamo
deciso di andarcene. Loro erano ormai troppo vecchi per combattere, io
invece non
avrei mai potuto proteggerli da solo. Siamo venuti nel Neon sperando
che qui la
situazione fosse quantomeno accettabile, e invece...»
Un
sorriso amaro si dipinse sul volto di X. «... ci
siamo ritrovati addosso
gli ennesimi psicopatici, i Mietitori. Non avevamo idea che
attraversando i
vicoli ne avremmo incontrati alcuni. Quando sono apparsi è
stato troppo tardi.
Hanno sparato non appena ci hanno visti. Io sono riuscito a scappare,
ma non i
miei genitori. Sono morti davanti ai miei occhi. Ti sembrerà
strano, ma non
sono triste. Non mi avevano mai voluto bene per davvero, non avevano
mai voluto
un figlio. Io sono solo stato un incidente. Non mi è affatto
dispiaciuto
vederli morire.
«Ma erano comunque i miei genitori. Mia
madre e mio padre. Coloro che bene o male mi avevano dato un tetto, una
casa,
cibo e vestiti. Forse non mi amavano, ma era comunque grazie a loro se
ero
vivo. Perciò ho giurato a me stesso che li avrei quantomeno
vendicati. Erano
dei bastardi, ma erano comunque delle persone. Ti ho detto che odio a
morte i
Mietitori, ed in parte è vero, però alla fine non
sono loro quelli con cui devo
prendermela davvero. Se c’è una persona che devo
odiare, allora è quella che ha
dato il via a questo delirio, ovvero il loro capo.»
Red X strinse i pugni con forza. «Lui
è
il responsabile di tutto. E lo troverò, fosse
l’ultima cosa che faccio, e lo
ucciderò. Porrò fine al regno dei
Mietitori.»
Rachel aveva ascoltato il racconto a
bocca aperta, in parte tra l’incredula e la meravigliata. A
confronto con
quella di X, la sua vita sembrava una passeggiata nel parco. Certo,
anche lei
aveva perso i suoi genitori, ma non letteralmente, e inoltre aveva
vissuto in
un luogo in cui bene o male era accetta, era istruita ed era al sicuro.
Lui no,
lui era cresciuto con una famiglia che non lo amava, in un ambiente per
nulla
adatto ad un ragazzo, potendo contare solamente sulle proprie forze.
Apparve sotto un’altra luce ai suoi
occhi. Era molto più tosto di quello che quel suo look
minaccioso dava a
vedere.
«Quindi... hai deciso di diventare...
Red X per cercare il capo dei Mietitori e mettere loro i bastoni tra le
ruote?»
«Esattamente» annuì
lui. «Ho deciso che
i Mietitori avrebbero pagato. Sono diventato Red X, un giustiziere, un
vendicatore, una persona che loro dovranno temere anche solo sentendone
pronunciare il nome. Se eliminerò il capo, i Mietitori
crolleranno come un
castello di carte. Senza una guida, finiranno con l’uccidersi
a vicenda.»
Quelle parole fecero balenare un
pensiero per la mente di Rachel. Sgranò gli occhi. Sembrava
una follia, ma
forse un fondo di speranza c’era. O meglio, ci sperava, ci
sperava con tutto il
cuore. «Eliminando il capo dei Mietitori... non potremmo
interrompere il
controllo mentale che esercita su tutti loro??»
X corrucciò la fronte. «Non
vorrai
mica...»
«Richard potrebbe salvarsi!»
esclamò
lei, saltando in piedi, incredula lei stessa delle sue parole.
«Potremmo farlo
rinsavire! Senza il suo capo ad ordinargli cosa fare nella sua testa,
non sarà
più costretto ad essere un Mietitore, e potrebbe tornare
da...»
«Da te?» la anticipò
X, guardandola con
un sopracciglio inarcato.
Rachel esitò. «Beh,
ecco...»
Ammutolì. Si era di nuovo fatta prendere
dall’emozione, era stata ancora una volta troppo precipitosa.
Solo in quel
momento si rese conto di quanto stupide fossero le ultime parole da lei
pronunciate. Richard avrebbe potuto rinsavire, vero, ma da lei non
sarebbe tornata.
Lui amava Kori, l’aveva detto apertamente. Rachel era
un’amica, e basta.
Abbassò di nuovo la testa, sconsolata. Il buon umore
svanì veloce com’era
apparso. Non poteva gioire per dieci secondi che l’ennesima
delusione le veniva
scodellata in faccia.
«Beh, non possiamo saperlo se non
proviamo.»
La voce di X le fece di nuovo drizzare
la testa. Il ragazzo la guardava dal basso. «Hai ragione,
forse potremmo
interrompere il controllo mentale sui Mietitori e di conseguenza
salvare
Richard. E chissà, magari è davvero intrappolato
contro il proprio volere,
perciò se lo salvi potrebbe davvero apprezzare il tuo gesto,
se capisci cosa
intendo...»
Rachel spalancò la bocca, incredula.
«L-Lo
pensi davvero?»
«Ehi, ripeto, non possiamo saperlo
finché non proviamo.»
Un lento sorriso si dipinse sul volto di
Rachel, udendo quelle parole. Anche X sorrise e i loro sguardi si
incrociarono.
Forse non tutto era perduto. C’era una
possibilità, una remota possibilità, che Richard
potesse tornare da lei.
Minuscola, insignificante. Ma c’era. E dopo tutto quello che
era successo, a
Rachel andava benissimo così.
«Quindi... mi aiuterai?»
«Io voglio il capo dei Mietitori per
vendicare i miei genitori, tu lo vuoi per salvare Richard. Quindi...
sì, direi
che abbiamo un accordo.» Red X si alzò in piedi e
tese una mano, allargando il
sorriso. «Socia.»
Anche Rachel allargò il sorriso. Non
tutto era perduto. Aveva una possibilità. Doveva imparare ad
usare meglio i
poteri, doveva stare attenta, doveva fare un mucchio di cose, ma non
era spaventata.
Perché non era sola. Non più. Strinse la mano.
«Socio.»
Le mani si separarono. X le rivolse un
cenno del capo, poi si voltò. «Va bene allora. Ti
dico solo una cosa, non sarà
affatto facile. Io faccio questo genere di cose da tutta la vita, tu
invece sei
nuova in questo campo. Avrai anche i poteri, ma senza
l’esperienza non te ne
fai nulla. Perciò mettiamo in chiaro il fatto che se ti
rivelerai un peso
morto, ti scaricherò all’istante.
Chiaro?»
«Chiaro» convenne Rachel, non
riuscendo
a smettere di sorridere malgrado il tono nuovamente rigido di X.
Il ragazzo intanto annuì, sempre dandole
le spalle. «Bene, allora... agh!»
Quel verso di dolore la fece sobbalzare.
X si premette una mano su un fianco, e si piegò, gemendo
ancora più forte. «Merda...
mi fa un male cane...»
La ragazza socchiuse le labbra, poi lo
aggirò e si parò davanti a lui, aiutandolo a
raddrizzarsi. «Che ti prende?»
Il volto di X era un’unica, grande
smorfia di dolore. «Quel Richard... picchia
duro...» mugugnò, indicandosi il
fianco e un livido sulla guancia dapprima sfuggito alla vista di
Rachel, a
causa del trucco.
La corvina si mordicchiò
l’interno della
guancia, perplessa di fronte a quella vista. Poi ebbe un sussulto.
«As...
aspetta.»
Si mosse in automatico. Aveva perso il
conto ormai di quante volte ciò era successo, quel giorno.
Allungò una mano
verso di lui e gliela posò sul ventre duro e freddo. Non
sapeva nemmeno lei
cosa stesse facendo, era il suo corpo a comandare in quel momento. La
mano si
illuminò di nero. Ma non fuoriuscì nessun raggio
di luce da essa. X gemette,
mentre la luce nera si scaturiva fuori dalla mano come una nuvoletta di
vapore
e si avvolgeva punti diversi del suo corpo. I fianchi, le gambe, anche
la
guancia colpita da Richard.
Rachel sentì le proprie energie
diminuire
all’improvviso e anche lei sussultò spaventata, ma
non durò a lungo. Dopo pochi
attimi, allontanò la mano dal ventre del ragazzo e
fissò incredula cosa stava
accadendo. X guardava il vapore nero circondarlo, altrettanto stupido e
perplesso, poi esso si diramò nell’aria, svanendo
alla vista. E quando ciò
accadde, il ragazzo si palpò i punti toccati da esso.
Sgranò gli occhi, poi
guardò Rachel. «Come diavolo hai fatto?»
«C-Cosa?» domandò
lei, altrettanto
basita.
«Mi hai... mi hai guarito...»
mormorò
lui, dapprima incredulo, poi meravigliato. Si dipinse un altro sorriso
sul suo
volto. «E meno male che eri un’incapace! Cavolo
Rachel, questo è... è
fantastico! Puoi guarire le persone! Ti rendi conto di quanto sia
importante?»
La ragazza batté le palpebre diverse
volte, ancora intenta ad assimilare le informazioni appena ricevute.
Abbassò lo
sguardo, controllò la propria mano. Non sapeva come aveva
fatto, non ne aveva
idea. Ma l’aveva fatto. Deglutì, si
concentrò, e la mano si illuminò ancora una
volta di nero. Dopodiché, guardò di nuovo X. Il
ragazzo le diede una pacca
sulla spalla. «Te l’avevo detto che eri in
gamba!»
Rachel non rispose. Faceva fatica a
credere a ciò che stava succedendo. Poi le tornarono in
mente le parole di
Richard. Non sapeva usare nemmeno un quinto dei suoi poteri. Poteva
fare ben di
più che volare e sparare raggi. Che si riferisse a quello? A
quello e a chissà
quanti altri poteri incredibili? Rachel non sapeva se sentirsi
elettrizzata o
preoccupata a quel pensiero. Quante altre cose poteva fare, da Conduit
quale
era? Ma soprattutto... in base a cosa i suoi nuovi poteri si rivelavano?
La risposta a quelle domande avrebbe
dovuto attendere ancora un po’, visto che X parlò
di nuovo. «Beh, è stato bello
giocare al dottore. Però ora è meglio che vada.
Si sta facendo tardi. Che ne
dici di rincontrarci domani a mezzogiorno proprio qui? Così
potremo cominciare
le nostre ricerche.»
Rachel richiuse la mano, poi annuì.
«Va
bene. A domani.»
Aveva bisogno di riposare un po’. Di
riordinare le idee. E poi X aveva ragione, stava facendosi tardi e
faceva un
freddo cane.
«A domani allora, Corvetta»
disse ancora
lui, per poi allontanarsi e raggiungere il bordo del palazzo.
«Corvetta?» domandò
lei, abbozzando un
mezzo sorriso. «Che significa?»
X sollevò una mano, continuando a
camminare. «Assomigli ad un corvo quando ti trasformi in
uccello. I corvi sono
neri, no? Tu sei una ragazza, ma non potevo mica chiamarti Corva, non
si può
sentire.»
«Beh... Corva no...» rispose
Rachel, per
poi allargare il sorriso, colta da un’illuminazione.
«... ma Corvina sì. Che te
ne pare?»
Una risata provenne dalla gola del
ragazzo. Si voltò appena per guardarla con la coda
nell’occhio. «Penso che
facciano pena tutti e tre.»
«Disse il ragazzo senza nome»
ribatté
lei.
«Mh. Touché. Mi chiamo
Lucas.»
«Piacere di conoscerti, Lucas.»
«Piacere mio, Corvina» disse
lui
accennandole un sorriso. «Fatti una bella dormita. Domani
sarà una giornata dura.»
Detto quello, saltò all’indietro, oltre il bordo,
e sparì dalla visuale.
«Sarò pronta,
vedrai» rispose lei
sottovoce, rivolta ormai al nulla.
Sollevò lo sguardo e lo volse al cielo
nuvoloso, ormai quasi buio. Allargò il sorriso.
«Sarò pronta. Aspettami,
Richard.»
Allargò le braccia, e poco dopo un
gigantesco corvo fatto interamente di luce nera si allontanò
dal tetto di quel
palazzo, svanendo nel buio della notte calante.