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Autore: uhstilinski    28/10/2015    3 recensioni
I numerosi alberi che circondavano la scuola di Beacon Hills erano mossi da un insolito vento autunnale, gli studenti si affrettavano ad entrare, visibilmente infastiditi dal suono insistente della campanella. Un rombo di motore attirò l’attenzione di Emma, un ragazzo in sella alla sua moto rossa fiammante aveva appena parcheggiato a qualche metro dalle gradinate di marmo, sfilandosi il casco per rivelare un paio d’occhi glaciali. Stretto nella sua giacca nera di pelle, sparì lentamente dalla sua vista, mimetizzandosi tra la folla.
«Quello è Jackson Whittemore» mormorò una ragazza dai capelli neri e gli occhi grigi, affiancando la giovane. «Il capitano della squadra di lacrosse e di nuoto, praticamente il tipo ideale di chiunque abbia un paio d’occhi funzionanti». Emma dovette sembrare parecchio confusa, data l’espressione divertita che nacque sul suo viso pallido. «E io sono Valerie Butler», le porse la mano con gentilezza perché la stringesse, sorridendo.
«Emma. Emma Walker».
«Lo so» annuì immediatamente la mora, allungando il passo. «È una cittadina molto piccola, le notizie arrivano prima di quanto immagini» concluse con espressione furba, rivolgendole un altro sorriso cordiale e divertito prima di correre in classe.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Scott McCall, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Wuthering Heights.


Un’altra cupa e tempestosa nottata era passata e Beacon Hills sembrava risplendere sotto i raggi di un insolito e caldo sole spuntato a metà mattinata. Quel sabato la scuola era chiusa per disinfestazione, pareva avessero trovato dei topi nel bagno dei ragazzi al primo piano. Non che fosse qualcosa per cui preoccuparsi troppo, quando un branco di pericolosi lupi mannari si aggirava segretamente nei boschi, rapendo due giovani adolescenti e aggredendo uno degli Alpha più tenebrosi di tutti i tempi. 
Emma aveva approfittato delle prime luci dell’alba per recarsi in una delle librerie locali ed acquistare Cime Tempestose, pietra miliare della letteratura inglese. Ne aveva letto un pezzo su internet qualche tempo prima ed era rimasta incantata dai dettagli dei tormentati paesaggi della brughiera dello Yorkshire. Il tema principale era l’amore, quello vero, dal quale la giovane era sempre stata affascinata. Invidiava le protagoniste dei romanzi che era solita leggere e allo stesso tempo amava immedesimarsi in loro, cercando di comprendere la complessità dei loro caratteri il più possibile per poter concludere con un’analisi dettagliata sulle numerose personalità, spingendosi anche a confrontarle, per estrapolare il meglio da ognuna. 
Dopo aver terminato gli acquisti, era rincasata, consapevole del fatto che suo padre fosse già uscito di casa, diretto chissà dove. Non si erano rivolti parola dal giorno precedente, o meglio, Emma aveva evitato di incrociarlo nel rientrare a casa, chiudendosi in camera per tutta la serata. Non avrebbe saputo definire ciò che provava a parole, lo sentiva bruciare nel petto e le bastava. Quel mix di emozioni era letale: rabbia, rancore, tristezza, confusione. L’unica cosa della quale era fermamente sicura era che non fosse ancora pronta per parlarne con lui. Non era pronta a scusarsi per i modi, non era pronta ad ascoltare tutta la storia celata dietro agli scontri continui tra cacciatori e licantropi, tra Walker e Hale. Le costava ammetterlo ma la ferita inflitta dalle parole velenose di Derek era talmente fresca da bruciare ancora. Non era una persona che solitamente si curava dell’opinione altrui, ma probabilmente in quel caso era diverso. Non si trattava di un semplice giudizio frettoloso, lui le aveva dato dell’assassina, aveva insinuato chissà cosa sul suo conto e lo aveva fatto in un momento particolare. C’era davvero bisogno di trattarla con tale sufficienza e arroganza dopo quello che era successo? Quella domanda le ronzava in testa da ore, tormentandola come un martello pneumatico: senza sosta. 
Per tentare di allontanare qualsiasi pensiero che coinvolgesse Derek e il suo spropositato ego, Emma cercò un posticino caldo tra i cuscini del letto, ed incastrata tra questi ultimi ed il davanzale della finestra chiusa, sfogliò la prima pagina del libro appena acquistato.

“1801. — Sono appena ritornato da una visita al mio padrone di casa, il solo vicino col quale avrò a che fare. Questa è indubbiamente una bella contrada. Credo che in tutta l'Inghilterra non avrei potuto scegliermi un altro posto più lontano dal frastuono della società. È il paradiso del perfetto misantropo; e il signor Heathcliff ed io siamo fatti apposta per una simile desolazione. Un uomo veramente singolare! Non immaginava certo quale viva simpatia sentissi per lui quando vidi i suoi occhi neri ritrarsi così sospettosamente sotto le ciglia al mio avanzare a cavallo, e le sue mani rifugiarsi ancor più addentro nel panciotto, con gelosa risolutezza, all'annuncio del mio nome.
«Il signor Heathcliff» dissi.”

La bruna non fece in tempo ad immergersi nella lettura, che qualcuno decise di porvi prematuramente fine. Il campanello suonò un paio di volte, echeggiando tra le pareti chiare dell’entrata, giungendo ad Emma limpidamente. Con uno sbuffo, si alzò dal letto e trascinò i piedi fino al piano di sotto, impugnando la maniglia prima di aprire la porta e ritrovarsi di fronte una Valerie più che sorridente. 
«Ehilà» esclamò lei, stringendo tra le mani una busta di cartone che emanava un dolce profumo di latte e ciambelle. «Ho pensato di passare per portarti la colazione… e un po’ di compagnia, dato l’umore nero».
«Ehi» mormorò l’altra, spostandosi di lato per permetterle di entrare. «Grazie, ma sto benissimo, davvero».
Valerie sollevò un sopracciglio, consapevole che non fosse affatto così. Si fece strada in cucina, con la quale aveva familiarizzato parecchio nelle ultime due settimane, svuotando il contenuto della busta sul tavolo. 
«Certo, e io ho visto Derek Hale sorridere in sella ad un unicorno alato. Ma dai, non prendermi in giro» ribatté sarcastica, porgendole una ciambella glassata di cioccolato bianco e praline alla nocciola. «Cioccolato bianco e nocciole, la tua preferita».
Emma storse il naso nel sentir nominare Derek, afferrò poi la ciambella, sorridendo all’affermazione della mora. «Grazie» sussurrò teneramente, dando un morso a quella delizia. 
«A proposito di Hale, vuoi dirmi che ti ha fatto ieri per buttarti tanto giù?» borbottò lei con la bocca piena, risultando buffa agli occhi della bruna, che trattenne una piccola risata. «Quando sono arrivata eri appena andata via e lui era anche più scontroso del solito».
«Sei sporca di cioccolato» la informò quest’ultima, indicandole con l’indice l’angolo destro delle labbra. «E comunque non mi ha fatto nulla, ha solo parlato a sproposito. Come al solito, aggiungerei».
Valerie allungò il bicchiere di cartone contenente del cappuccino in direzione di Emma, osservandola attentamente. «Con del buon cappuccino passa tutto, persino il mal d’amore».
«Hai rag-», per poco non si strozzò con la propria saliva. «Che cosa?!»
Il tono di voce della bella Walker si alzò almeno di due ottave, risultando insolitamente stridula. L’altra scoppiò a ridere, puntandole un dito contro.
«Avresti dovuto vedere la tua faccia, avrei dovuto registrarti e mandare il video a tutta la scuola».
«Grazie tante, ti voglio bene anche io» commentò Emma, sospirando. Bevve un sorso di cappuccino ancora caldo, scuotendo il capo al solo pensiero delle sue parole. 
«Scherzavo, non a tutta la scuola. Solo a Scott e Stiles» precisò Valerie, dando un altro morso alla ciambella. 
«Di male in peggio» borbottò l’altra in risposta, distogliendo lo sguardo. «E comunque non ho il mal d’amore, tu sei matta. È di Derek che parliamo».
«Ti brillano gli occhi se qualcuno lo nomina» ridacchiò la mora, punzecchiandola volutamente. 
«Non dire idiozie» gracchiò nuovamente, poggiando sul grosso tavolo la colazione che le stava andando tutta di traverso. Valerie stava delirando.
«Lui ti piace» confermò con sicurezza quest’ultima, leccandosi le labbra. «Devi solo accorgertene. Io l’ho capito, sai? Un’amica ci fa caso a queste cose».
«Valerie, ti caccio a calci fuori di casa. Non è uno scherzo» esclamò con serietà ed astio Emma, allontanandosi dal tavolo per recuperare un elastico per i capelli dalla mensola affianco alla finestra. «Io e Derek, figuriamoci» sbuffò una risata finta, legando i capelli in maniera disordinata in uno chignon approssimativo.
«Te ne accorgerai presto, mia cara. E guarda che non è niente male, anzi» commentò Valerie con un sorrisetto malizioso a dipingerle il volto allegro. 
«Smettila» ordinò in tono lamentoso la bruna, tappandosi le orecchie. «Piuttosto sbrigati a finire la colazione, ho un lavoretto da sbrigare e mi servirà una mano».

«Questa chi è?» domandò curiosa Valerie, indicando una foto che ritraeva una ragazza ventenne che sorrideva spensierata all’obiettivo. «Un po’ ti somiglia».
Emma, seduta a gambe incrociate sul pavimento della propria stanza, stava riordinando delle foto rimaste chiuse in uno scatolone dopo il trasloco. 
«È mia zia Kate, la foto è di circa cinque anni fa» esclamò con un sorriso nostalgico. «Per un periodo ha vissuto qui e sì, somiglio più a lei che a mio padre».
Valerie le porse la foto in questione, prelevandone un’altra dalla piccola montagna di scatti sviluppati sparsi sul pavimento. 
«È tua mamma?» domandò con espressione sorpresa, avvicinando quel piccolo ricordo immortalato al volto della bruna. «Siete identiche».
«Me lo dicono spesso» sospirò, continuando a sorridere con aria leggermente malinconica. Non era la prima a dirle una cosa simile e sicuramente nemmeno l’ultima. La verità era che le riempiva il cuore di gioia sapere di essere uguale all’unica donna alla quale avrebbe voluto somigliare se fosse potuta rinascere. 
«Ti manca?» le chiese  piano Valerie, porgendole la foto con espressione dispiaciuta. 
«Vorrei poterti dire di sì» mormorò Emma, abbassando lo sguardo su quel pezzo di anima che custodiva gelosamente da anni. «E vorrei poterti dire di no. Il fatto è che non lo so. La sento affianco a me sempre, ma a volte mi capita di perdermi, di non sentirla più per ore, giorni o settimane. Ho pochissimi ricordi, il resto sono tutti racconti di familiari. Vorrei poterla avere qui per un giorno, per vedere come fosse davvero. Vorrei solo poterla ricordare».
«Em» sussurrò l’amica, sentendosi in colpa per aver suscitato quei pensieri tristi. Non voleva affatto deprimerla. «Mi dispiace».
«Non dispiacerti, in un modo o nell’altro l’avrò sempre con me» e un sorriso un po’ spento prese vita sul proprio volto, mentre con lo sguardo esaminava il resto delle foto che avrebbe riposto nuovamente all’interno dello scatolone: a nessun ospite, una volta entrato in casa, sarebbe interessato vedere il sedere di una bambina di un anno nella vasca da bagno o una delle solite facce buffe che aveva imparato a fare all’asilo durante il primo anno.
Un trillo proveniente dal cellulare di Valerie distolse entrambe da quei pensieri particolarmente personali: Scott voleva che raggiungessero lui, Stiles e gli altri a casa Hale, a quanto pareva Deaton sembrava avere delle informazioni da condividere col gruppo. 
«Em, prima che tu dia di matto: Scott e gli altri sono con Deaton, ha delle novità» spiegò pacatamente la mora, riponendo il cellulare nella tasca dei jeans. Emma la osservò un po’ confusa, perché avrebbe dovuto dare di matto?
«Va bene, dove sono?» domandò, richiudendo lo scatolone prima di infilarlo sotto al proprio letto. 
«A casa di Derek» borbottò l’altra, improvvisando un colpo di tosse per mascherare le proprie parole. 
«Eh?» sbottò Emma, spalancando gli occhi. «Io non vengo, te lo scordi». 
«Emma, ti prego, ragiona».
«Emma ti prego un bel corno, nossignora, non se ne parla» esclamò convinta, scuotendo il capo. Non avrebbe permesso a Derek di mortificarla ancora con i suoi modi irruenti e sgarbati. Piuttosto avrebbe preferito essere rapita nuovamente da Deucalion e compagnia bella. 
«Scott non avrebbe richiesto la tua presenza se non fosse stato strettamente necessario, ieri era abbastanza adirato nei confronti di Derek per come ti ha trattata» le confidò Valerie, alzandosi da terra prima di scrollarsi la polvere di dosso. 
«E va bene» borbottò rassegnata l’altra, sospirando profondamente prima di recuperare la giacca scura dall’armadio semiaperto. «Lo faccio solo per voi».
La mora sorrise vittoriosa, seguendola con rapidità fino al piano di sotto. Il silenzio rilassante presente in casa Walker era qualcosa di stranamente insolito: quando Chris era presente c’era molto più movimento. Lui non era affatto un uomo silenzioso e tranquillo, gli piaceva darsi da fare in casa, aggiustando oggetti dimenticati da tempo o semplicemente rispolverando vecchi oggetti comprati anni e anni addietro. 
Sono in giro con Val” si affrettò a scrivere Emma su un foglietto di carta che lasciò sul tavolo del salotto ben arredato. Non si preoccupò di prendere le chiavi dell’auto, sarebbero andate con quella di Valerie e poi si sarebbe fatta riaccompagnare una volta terminata quella specie di riunione. 

Superato l’ultimo tratto del sentiero sterrato tra le fitte boscaglie, arrivarono con un po’ di ritardo: si erano perse a causa della testardaggine di Valerie, la quale aveva insistito per prendere una scorciatoia, che nonostante le lamentele di Emma, aveva deciso di seguire. La sua ostinazione quella volta era servita a ben poco.
«La prossima volta guido io» esclamò quest’ultima, sbuffando nel saltare giù dalla Toyota blu della mora. 
«Uffa, ero convinta che fosse la strada giusta» cantilenò per l’ennesima volta l’altra, incrociando le braccia nel percorrere frettolosamente la breve distanza che le divideva dal portico di casa Hale. Emma prese un respiro profondo, ignorando le parole dell’amica per concentrarsi nel restare calma ed indifferente. Facile a dirsi, pensò. Poteva sentire l’ansia crescere a dismisura ad ogni gradino che saliva. Passo dopo passo, era come se stesse camminando sui carboni ardenti. 
«Hey» la richiamò Valerie, stringendole per pochi istanti la mano, «andrà tutto bene».
Emma deglutì a vuoto, con addosso la consapevolezza che, per quanto ci provasse, non sarebbe stata in grado di fingere indifferenza. Seguì i passi decisi e distesi della mora all’interno della casa bruciacchiata e semivuota. «Ragazzi?»
Entrarono in quello che aveva tutta l’aria di essere stato un salotto coi fiocchi, trovandosi davanti tutto il branco al completo. Una presenza sconosciuta agli occhi di Emma le fece domandare se quella fosse effettivamente una riunione a porte chiuse o meno. Un uomo sulla quarantina se ne stava poggiato contro il tavolo, con le braccia conserte e l’aria disinvolta e disinteressata. Le iridi chiare e glaciali le ricordavano parecchio il giovane Alpha che aveva sollevato lo sguardo per incrociare i loro occhi solo per pochi istanti. Aveva uno sguardo consapevole e tranquillo, evidentemente aveva fiutato il loro odore da prima che arrivassero. Nonostante Emma non fosse un lupo mannaro, riuscì a percepire un familiare clima di tensione. 
«Eccovi» esclamò sollevato Scott, andando incontro alle due per invitarle implicitamente ad unirsi alla conversazione iniziata da qualche minuto. 
«Meglio tardi che mai» borbottò Derek con un velo di fastidio fin troppo evidente. Emma stava per rispondergli a tono, quando la mano calda e confortante del giovane licantropo dai capelli scuri le si poggiò dietro la schiena, facendola desistere. Ringraziò mentalmente Scott per quel gesto, incrociando le braccia al petto senza proferire parola: voleva sapere le novità e fuggire via il prima possibile. 
«Quello chi è?» bisbigliò Valerie all’orecchio di Stiles, tirandogli la manica della felpa per attirare la sua attenzione su di sé. Quest’ultimo si voltò e con discrezione le mormorò qualcosa all’orecchio sotto lo sguardo attento e curioso di Emma.
«È Peter Hale, lo zio di Derek» la precedette Scott, prima che potesse porgergli la stessa domanda. La bruna spalancò gli occhi, volgendo le iridi caramello in direzione dell’uomo, che le sorrise sornione. 
«Quello che ti ha morso?» bisbigliò lei, distogliendo lo sguardo un po’ intimorita. Scott annuì semplicemente, consapevole che Peter stesse origliando spudoratamente quella breve conversazione. 
«Allora» iniziò Deaton, sfregando le mani tra loro. «Vorrei iniziare col dirvi che ho delle novità per quanto riguarda Emma» e nel pronunciare il suo nome, le lanciò uno sguardo. 
«Ho fatto numerose ricerche ieri notte e sono venuto a conoscenza di un determinato tipo di creature soprannaturali delle quali avevo dimenticato l’esistenza: le banshee. Le banshee sono creature leggendarie dei miti irlandesi e scozzesi, ma non per questo è detto che non possano esistere. Sono convinto che Emma possa essere una di loro» spiegò pacato, guardando i presenti, uno per uno, negli occhi. 
«Una banshee?» domandò proprio quest’ultima, sempre più confusa: non era ancora abituata a tutte quelle novità, credeva che i lupi mannari fossero le uniche creature soprannaturali presenti in tutta Beacon Hills. 
«Ti spiego, credo che dandoti il morso, chiunque sia stato, abbia risvegliato la banshee che è sempre stata in te. Le banshee non si trasformano, non hanno zanne e artigli, ma anch’esse possiedono delle capacità particolari. Esse, infatti, tramite le urla, predicono la morte» concluse con semplicità, quasi come se avesse appena sottolineato un’ovvietà. Gli occhi dei presenti si posarono su Emma, che fissava sconvolta il dottore. Quindi quel mostro che l’aveva morsa, aveva risvegliato una parte soprannaturale che risiedeva in lei dai tempi della nascita? Nonostante i pezzi da lui forniti non fossero estremamente difficili da mettere insieme, la bruna fece un po’ di fatica.
«In effetti hai urlato quando Deucalion vi ha rapite» commentò pensieroso Scott, assottigliando gli occhi come a voler riprodurre quel determinato ricordo nella propria mente.
«E hai urlato quando Derek è quasi morto» aggiunse prontamente Stiles, volgendo lo sguardo in direzione del bell’Alpha, che fino ad allora non aveva osato proferire parola. D’altronde, quella non era una novità. Derek era così e i suoi pensieri gli restavano incastrati tra le costole e il cuore, logorandolo con lentezza estenuante. Ciò che era suo, come sentimenti e ricordi, voleva che restasse dentro di sé, nascosto agli occhi di chiunque altro. 
«Quindi.. Sono una specie di Angelo della Morte?» azzardò Emma, cercando approvazione negli occhi saggi e buoni di Deaton. 
«Una specie, sì. Ma non hai uno spirito malvagio, tutt’altro. Col tuo aiuto potremmo salvare tante anime innocenti» ammise, abbassando lo sguardo su alcune fotocopie che stringeva tra le mani. 
«È un grande potere il tuo, ragazzina» s’intromise Peter, avanzando di qualche passo per poter guardare meglio la diretta interessata negli occhi. Ed ecco di nuovo quel fastidioso nomignolo, a quanto pare era un vizio degli Hale quello. «Ma devi imparare a controllarlo, o ti porterà dritta alla follia».
Un brivido le percorse la schiena nell’udire quelle parole, cosa intendeva precisamente? Conosceva per caso qualche banshee, i quali poteri l’avevano portata alla pazzia? O con le sue parole voleva solo spaventarla un po’? 
«Bene, passando ad altro» esordì Derek, poggiando una mano sul petto ampio di suo zio per farlo indietreggiare e ritornare nell’ombra. «La seconda notizia è che organizzeremo delle ronde notturne per setacciare il bosco. Dobbiamo trovare quei maledetti bastardi e non ho intenzione di aspettare un solo giorno in più».
«Cosa vuoi fargli?» domandò Isaac, infilandosi entrambe le mani nelle tasche dei jeans larghi e un po’ consumati. Non aveva aperto bocca fino a quel momento, pareva anche più silenzioso del solito. 
«Ucciderli» suggerì Peter, con un ghigno malvagio. Quell’uomo aveva tutta l’aria di essere un po’ fuori di testa. E la cosa non la rincuorava affatto. 
«No» lo contraddisse Derek con tono severo e rigido. «Gli faremo capire chi è che comanda a Beacon Hills».
«E che nessuno di noi si unirà al loro branco» aggiunse Scott deciso, volgendo lo sguardo in direzione dell’Alpha. 
«E noi cosa dovremmo fare?» chiese annoiato Stiles, sollevando un sopracciglio. 
«Tu proprio niente» ribatté Derek. «Sei utile come il sale nel budino» precisò acido, rivolgendogli un sorriso di sfida.
«Oh, grazie tante, Mr. Muscolo» commentò Stiles, sbuffando. Valerie trattenne una risata, mentre Scott si voltò a guardare Emma. «Tu però saresti utile».
«Scott, non metterò una ragazzina nel bosco da sola, aspettando che urli» chiarì immediatamente l’Alpha con fare diffidente. 
«Non starà nel bosco, dovrà solo chiamare in caso di pericolo, o semplicemente urlare» spiegò sbrigativo l’altro, ignorando la nota di fastidio presente nelle parole di Derek. Era abituato al suo atteggiamento scontroso. Era aggressivo, diretto, a volte insensibile. Ma come avrebbero fatto senza di lui? Non c’era branco senza Derek. Quando si era trattato di proteggerli e metterli al sicuro c’era sempre stato. Non si era mai tirato indietro e per questo Scott gliene sarebbe stato grato per tutta la vita. 
«Se questo è quanto, io ritornerei al mio studio. Sono parecchio occupato con alcuni clienti» disse Deaton, piegando accuratamente le fotocopie che aveva portato con sé. Emma si avvicinò prima che quest’ultimo potesse allontanarsi.
«È la ricerca sulle banshee?» 
Deaton annuì, porgendole i fogli prima che quest’ultima potesse aggiungere altro. «Per qualsiasi cosa, sai dove trovarmi» mormorò, sorridendole cordialmente prima di incamminarsi verso l’uscita.  
«Ragazzina». Il cuore di Emma perse un battito quando la voce di Derek le giunse in maniera tanto chiara alle orecchie. Tuttavia, restò ferma immobile, incerta se voltarsi o meno. «Emma», insistette, marcando quell’urgenza che aveva di parlarle. 
Quella era la prima che volta che il proprio nome venisse pronunciato dalle sue labbra e con stupore, la giovane dovette ammettere che suonasse davvero bene. 
«Che c’è?» domandò atona, sospirando prima di voltarsi e ritrovarselo pericolosamente vicino. In un altro angolo della stanza, Valerie, Scott, Stiles ed Isaac discutevano pacatamente sugli argomenti trattati.
«Volevo dirti una cosa» annunciò lui, serio in viso. Emma iniziò a chiedersi se fosse capace di cambiare espressione ogni tanto o se si fosse imposto quella per il resto dei suoi giorni. 
«Dimmi» lo incitò lei, incrociando le braccia al petto come a volersi proteggere. 
Lui sospirò e si passò una mano sul viso, distogliendo lo sguardo alla ricerca delle parole giuste, che non fossero equivoche, che non lo tradissero. Voleva scusarsi per i modi, non per ciò che aveva pensato. «Sono stato un po’ aggressivo, lo ammetto».
«Un po’?» fece lei, sbigottita. Era stato un incredibile ingrato, a dirla tutta. 
«Okay, un po’ troppo. Ma non sono pentito delle cose che ho detto, sia chiaro. Avrei dovuto andarci più piano con te» mormorò con tono roco e incredibilmente calmo. 
«Non sai proprio come si faccia a chiedere scusa, vero Derek?» domandò lei, sollevando gli occhi al cielo con uno sbuffo. 
«Non succede spesso, a dirla tutta mai» ammise impassibile, incrociando a sua volta le braccia al petto. La studiava con le sue iridi verdastre e per un momento Emma giurò di non percepire alcuna stizza nei propri confronti. 
«E cosa ti ha fatto cambiare idea, esattamente?» lo provocò, con un cipiglio a farsi spazio sul viso abbronzato. 
«Chi, vorrai dire» la corresse frettoloso. «È stato Scott».
«Quindi tu ti stai scusando perché Scott ti ha detto di farlo?» lo rimbeccò, risentita. Aveva appena fatto un passo avanti e altri due indietro. Scosse il capo e fece per allontanarsi, ma Derek, con un gesto rapido, le afferrò il polso.
«Lasciami» sibilò lei tra i denti, «mi stai facendo male».
«Non so essere molto delicato, ti avverto. Ti lascio se mi fai finire di parlare» disse lui, indurendo la mascella prominente, sulla quale era presente un lieve accenno di barba. Emma socchiuse gli occhi per un istante, ripetendosi mentalmente di stare calma. Si liberò con uno strattone dalla sua presa salda, fronteggiandolo come richiesto.
«Scott mi ha suggerito di farlo» precisò con attenzione, mentre i suoi occhi, guizzavano veloci sulla figura del giovane licantropo. «Io ho deciso di ascoltarlo».
Per quanto odiasse ammetterlo, ad Emma fece piacere quell’appunto. Quella era la chiara dimostrazione che anche Derek, infondo, riuscisse a mettere da parte quella sua corazza, anche se solo per poco. 
«Okay» annuì in risposta, abbassando per pochi secondi lo sguardo.
«Okay» sollevò le spalle lui, infilando le mani nelle tasche. Quel silenzio improvviso li fece irrigidire più del previsto. «Stai lontana dal bosco» le suggerì col suo solito tono autorevole. L’unica risposta che ricevette fu un cenno del capo e un’occhiata vagamente grata per quel suo consiglio. E a Derek bastò.
«La ferita come va?» domandò distratto, impacciato per la prima volta dopo anni. Non era abituato a mostrare interesse nei confronti del prossimo, sentiva come se, in quel modo, venisse meno la sua virilità. Emma avrebbe tanto voluto dirgli che essere uomo significava anche quello. Non era affatto segno di debolezza, bensì di una grandezza d’animo più unica che rara. Mostrarsi interessati, preoccuparsi per qualcosa o qualcuno era assolutamente normale, faceva parte della natura umana. 
«Meglio» ammise sincera, rilassando i muscoli fin troppo tesi del viso. 
«Posso vedere?» chiese lui, ammorbidendo appena lo sguardo. Emma tremò al solo pensiero che quell’attimo di quiete potesse terminare troppo presto. Si scostò lentamente i capelli dal volto, raccogliendoli sulla spalla sinistra. Abbassò il colletto del giubbotto, col quale era solita coprirsi, rivelando la cicatrice ancora un po’ fresca: erano visibili i segni lasciati dalle zanne del licantropo che l’aveva aggredita, probabilmente le sarebbero rimasti stampati sulla pelle come un tatuaggio. 
«È una brutta cicatrice» affermò Derek, avvicinando lentamente una mano al suo collo. Sfiorò con insolita delicatezza il punto dolente, aggrottando le sopracciglia. Era davvero una brutta cicatrice, non si addiceva per niente alla bellezza quasi di ceramica della giovane bruna che le stava davanti. 
«È più brutto il ricordo» ribatté con un sospiro profondo, rabbrividendo dalla punta dei capelli a quella dei piedi nel sentirsi sfiorare in maniera tanto gentile. In una maniera molto lontana dal solito temperamento irascibile e scontroso che gli apparteneva. Fece per aprire bocca, ma qualcosa la bloccò. Sentì sibilare il proprio nome alle proprie spalle, un sussurro flebile ma intenso.
 Si voltò sotto gli occhi confusi del bell’Alpha. Un altro sussurro, poi un altro ancora, tutti provenienti da diversi angoli della casa. Le voci si sovrapposero, di nuovo, come la prima volta. Emma schiuse le labbra secche, il respiro affannato fece accelerare i propri battiti cardiaci. 
«Emma, Emma!» la voce di Derek si mischiò alle altre, arrivandole come un suono distorto e interrotto. Si tappò le orecchie con entrambi i palmi delle mani, chiudendo gli occhi. Cercò di isolarsi, di chiudere le voci fuori dalla propria testa, ma quegli sforzi risultarono vani al primo tentativo fallito miseramente. 
«Basta, basta!» gridò in preda al panico, spalancando gli occhi alla ricerca della figura imponente di Derek. Si aggrappò con una mano alla sua maglietta scura per evitare di cadere, data l’instabilità delle proprie gambe tremanti e deboli.
«Fateli smettere!» implorò straziata, stringendo con forza il lembo di stoffa tra le dita. Derek l’afferrò con prontezza, stringendola dai fianchi, segretamente scottato da quel contatto tanto ravvicinato con una ragazza dopo anni di solitudine e freddezza. La osservava preoccupato, non comprendeva cosa stesse accadendo precisamente. 
«Emma» esclamò Valerie, accorta in aiuto insieme al resto del gruppo. «È di nuovo quella cosa… da banshee?» 
«Non lo so, temo di sì» commentò nervoso Scott, il pensiero che qualcuno stesse per morire s’insinuò nella propria mente con prepotenza.
«I fogli, prendi i fogli che le sono caduti» ordinò il Beta ad Isaac, che si chinò in fretta per recuperare le fotocopie lasciate alla giovane da Deaton. «Controlla se c’è scritto qualcosa che possa aiutarci a capire dove cercare le potenziali vittime. Controlla se c’è qualcosa che tralasciamo, qualcosa a cui non prestiamo attenzione. Deve esserci». 
Le iridi limpide di Isaac guizzarono lungo i fogli, esaminando frase per frase con una certa urgenza. Gli tremavano le mani e al contempo le sentiva sudare. Quello non era il momento per comportarsi come un bambino. Non doveva farsi prendere dall’ansia.
«Dice che è la banshee solitamente a conoscere il luogo in cui è avvenuta, o avverrà la disgrazia» lo informò lui, continuando a ricercare informazioni in maniera minuziosa. Prima che potesse aggiungere altro, Emma emise un grido di terrore e, esattamente come la prima volta, il suo corpo cedette ad un altro svenimento. Le braccia forti e muscolose di Derek la tennero stretta, evitandole di schiantarsi bruscamente contro il pavimento. 
«Dice qualcosa sugli svenimenti?» chiese Stiles, osservando preoccupato la giovane ragazza prima di sensi. Stava per iniziare a dare di matto, lo sentiva. Nell’ultima settimana era successo tutto così in fretta da mandargli in tilt il cervello.
«No» ribatté Isaac, un po’ deluso dalla mancanza di informazioni di tale importanza. Come avrebbero potuto aiutare Emma a controllare i suoi poteri, se ne sapevano meno di zero? Scott sospirò inquieto, incrociando le mani dietro la schiena prima di prendere a camminare nervosamente all’interno della stanza. Pensava talmente intensamente da arrivare a temere che i propri pensieri potessero sfuggirgli di mente e prendere vita. 
«Dobbiamo controllare in giro» asserì, pensieroso. Il suo sguardo si fece più serio. «Valerie, tu, Stiles ed Isaac andrete in città. Fate un giro, controllate tra i negozi, nei pressi della centrale, nei bar. Non addentratevi in posti pericolosi. Io e Peter setacceremo i boschi».
Derek a quel punto aggrottò le sopracciglia, sapeva già cosa avesse in mente il Beta.  «Io dovrei restare qui con lei?» fece lui, serrando le labbra nel conoscere già la risposta. 
«O potrebbe restare lo zio Peter» scherzò in maniera fin troppo seria Peter, improvvisando una risata un po’ forzata. Derek lo guardò con disprezzo mal celato. 
«Sei disgustoso» commentò schifato, sospirando prima di distogliere lo sguardo dall’uomo.
«Stavo solo scherzando, nipote caro» precisò l’uomo dall’andatura lenta. Era snervante per l’Alpha dover vivere con un soggetto del genere.
«Derek, tu sei l’unico in grado di poterla proteggere da solo. Non possiamo rischiare» riprese il discorso Scott, con gli occhi rivolti in direzione di Emma, ancora priva di sensi. «Se quando si sveglia, riesce a darti delle indicazioni, chiamami subito».
Derek emise un ringhio quasi impercettibile al pensiero di dover rimanere chiuso in casa invece di uscire a dare una mano. Non era una cosa da lui starsene chiuso dentro quattro mura a nascondersi. Era abituato a fronteggiare i pericoli, ma per quanto non gli andasse a genio quella situazione, una remota e minuscola parte di sé gli suggeriva che fosse la cosa più giusta da fare per tutti. Non voleva che morissero altre persone.
I due gruppi si divisero e si avviarono diretti verso la porta d’entrata, portandosi dietro tutta quell’ansia e quel timore come una densa nuvola di fumo. 
«Ah, Derek» si voltò Scott, inchiodando con lo sguardo l’Alpha dall’aspetto duro ed intimidatorio. «Non lasciarla mai da sola. Per nessun motivo».
Derek annuì impercettibilmente, consapevole della responsabilità che si stesse prendendo: sapeva che se fosse successo qualcosa alla ragazzina, Scott e compagnia bella non glielo avrebbero mai perdonato.
«Non lo farò» esclamò impassibile, attendendo che tutti fossero usciti per lasciarsi scappare un sospiro. Lo agitava il pensiero di non poter partecipare alle ricerche quella notte, lo agitava il pensiero di rimanere all’oscuro di tutto, lo spaventava l’idea di poter perdere qualcuno del gruppo. Nonostante la sua durezza d’animo smorzata solo dai ricordi provenienti dal proprio passato, era affezionato in maniera particolare e molto singolare e personale ad ognuno di loro. Erano le uniche persone che continuavano a tornare da lui nonostante avesse un carattere pessimo e i suoi modi fossero, per il novantanove percento dei casi, davvero inopportuni. Dopotutto, non era colpa sua, anzi, lo era nella maniera più assoluta. Per quattro lunghi anni si era incolpato per la morte della propria famiglia, per l’incendio, la scomparsa prematura di Paige… Aveva causato talmente tanta sofferenza da non riuscire a perdonarselo. Ci aveva provato, aveva provato ad andare avanti, a trasferirsi, a cambiare vita. Ma come poteva cambiare vita uno come lui? Non avrebbe mai potuto rinnegare la propria identità, la propria natura, che molti avrebbero definito mostruosa. Tutto, per lui, iniziava a Beacon Hills e finiva a Beacon Hills. Quello era l’unico posto nel quale si sentiva un po’ meno sbagliato. Quel posto che poteva ancora definire casa. 
Tu sei l’unico pezzo che non va, Derek”, quante volte se lo era sentito dire? Troppe per poterle contare sulle dita di una mano. Era lui l’unico pezzo del puzzle che stonava. Si era lasciato convincere dalle parole dei propri nemici, tanto da iniziare a diventare lui il peggior nemico di sé stesso. La solitudine l’aveva reso cieco, spesso non distingueva la realtà dalla fantasia. Era tormentato da incubi ricorrenti, vedeva sempre la stessa scena ripetersi all’infinito. La propria casa che bruciava, le urla dei propri familiari e lui che non riusciva a muoversi. I fantasmi del proprio passato l’avevano condannato ad un esistenza misera e priva d’amore. Quell’amore che gli era stato brutalmente sottratto alla tenera età di quasi diciassette anni. Diciassette anni, l’età della giovane ragazza che teneva tra le braccia. Quella ragazza così piccola e così determinata. Era sempre stato affascinato dalle donne forti, indipendenti ed intraprendenti. Dalle donne, non dalle ragazzine. E allora perché sentiva come una potente e pericolosa attrazione nei confronti di Emma che lo logorava dall’interno? Tentava di soffocarla con l’odio che provava verso la sua famiglia, sputandole addosso cattiverie che avrebbero ferito chiunque, persino un tipo come lui. Era solo che… odiava sentirsi in quel modo, odiava sentirsi vulnerabile di fronte ad un paio di semplicissimi occhi castani. Lo odiava, perché l’ultima volta non era finita come avrebbe sperato. 
Derek aveva portato Emma in camera propria e l’aveva sdraiata sul letto, dal lato che per anni era rimasto vuoto. Senza fraintendimenti, aveva avuto anche lui le classiche avventure di una notte sfociate in un addio a mezza bocca sussurrato alle tre del mattino. Mai nessuna era rimasta, o meglio, era lui a non averlo permesso. Si divertiva, sfogava le proprie frustrazioni e dopodiché, ognuno a casa propria. Non avrebbe lasciato a nessuna di quelle avventure senza valore di infilarsi nella propria vita con tale facilità. Quello era il proprio mondo, fatto di tanti fallimenti, più fallimenti che vittorie e sarebbe rimasto privato fino al giorno in cui sarebbe finito sotto terra. Questo se lo era giurato tempo addietro, quando il secondo grande amore della sua vita – o almeno così lui aveva creduto, gli aveva portato via tutto. E il fatto che quella donna fosse imparentata con la giovane bruna sdraiata proprio in quel momento sul proprio letto, lo spaventava a morte. Sapeva che tutto quello era sbagliato, sapeva che avrebbe dovuto tenerla lontana dal primo istante in cui aveva fiutato il suo odore – fin troppo simile a quello di sua zia Kate – a Beacon Hills, ma non ci era riuscito. Aveva fallito di nuovo, miseramente, calpestando ancora la propria dignità senza neanche pensarci due volte. Come era possibile tutto quello? C’era forse una spiegazione logica o era semplicemente un fatale scherzo del destino? 
«Ma cos-» Emma aprì gli occhi lentamente, borbottando qualche parola scollegata prima di rendersi conto dove si trovasse. Una camera che i propri occhi non ricordavano, una camera scura e malmessa, la camera di Derek. «Derek?».
Derek era rimasto seduto su una poltrona ai piedi del letto nuovo di zecca e osservava fuori la finestra con fare pensieroso e assorto. 
«Derek» insistette lei, richiamandolo nuovamente. «Che è successo?» 
L’Alpha le rivolse un’occhiata rapida, sospirando prima di tornare con lo sguardo fisso fuori dalla finestra priva di tende.
«Hai gridato e sei svenuta. Però prima sentivi delle voci, o almeno credo» spiegò senza mostrar troppo interesse. «Mi hai urlato in faccia di “farli smettere”».
«Scott e gli altri dove sono?» domandò disorientata, tastando la superficie morbida sulla quale era stata adagiata. Si sollevò per mettersi a sedere, poggiando la schiena contro i cuscini alle proprie spalle.
«Stanno setacciando il bosco e la città alla ricerca di una vittima».
Lei si portò una mano alla testa e prima che potesse proferire nuovamente parola, sentì un rivolo di sangue uscirle dal naso. Istintivamente catturò la goccia col palmo della mano, evitando di sporcare il letto e i vestiti. 
«Ti prendo un fazzoletto, vedi di non sanguinare ovunque» borbottò lui con fare un po’ meno rigido, ammorbidendosi appena.
«Disse quello che è quasi morto dissanguato sul mio cappotto» lo canzonò lei con ironia. Derek non rispose, si limitò a scuotere il capo con indignazione. 
Tornò dal bagno adiacente con della carta igienica, si sedette ai piedi del letto e le avvicinò la mano al viso, scrutando attentamente la reazione provocata. Emma trattenne il respiro e il battito accelerò di colpo: che avesse paura? Tentò comunque di avvicinarsi maggiormente, tamponandole piano il naso. Lei afferrò il pezzo di carta e nel farlo, sfiorò la sua mano. I loro sguardi rimasero incatenati l’un l’altro per pochi istanti, che bastarono a far capire alla ragazza che non dovesse essere spaventata da lui, da solo era più innocuo di un agnellino. Almeno fin quando restava umano. 
«Grazie» fece lei, abbozzando una smorfia lontana anni luce da quello che sarebbe dovuto essere un sorriso intimidito. Per la prima volta non si sentiva irritata dalla sua presenza, bensì in soggezione. Un tipo di soggezione particolare, che non implicava sensazioni negative.
«Vuoi dirmi perché mi odi tanto?» mormorò incrociando le gambe sul materasso. Sentiva che quello probabilmente sarebbe stato l’unico momento in cui Derek non avrebbe reagito come un cane al quale è stata appena morsa la coda. «Voglio dire, tralasciando la mia famiglia, ti ho fatto qualcosa di sbagliato? Perché sembrava una cosa fin troppo personale quando mi hai attaccata in quel modo da Deaton».
Lui, che in quel momento le dava quasi le spalle, fissava un punto fisso sul pavimento in legno scuro. Il messaggio era arrivato forte e chiaro. Emma poteva osservare liberamente il profilo del suo naso sottile e ben strutturato. Le labbra schiuse e gli occhi persi chissà tra quali pensieri. Teneva i pugni puntati contro il materasso, ai lati delle gambe. Sentiva il respiro profondo e regolare crescere e poi smorzarsi quasi crudelmente. 
«Se non vuoi parlarne va bene, lo capis-».
«Non è per te» sbottò lui, leggermente affannato. Si notava da lontano un miglio quanta fatica facesse nel dare voce ai propri pensieri. Era come se tentasse di afferrare le parole adatte, le quali continuavano a prendersi gioco di lui, sfuggendogli puntualmente quando cercava di metterle assieme.
«Non è te che odio» continuò cauto, piegandosi in avanti, a sorreggersi con gli avambracci poggiati contro le proprie cosce. I sospiri si fecero sempre più frequenti. L’attenzione di Emma puntata solo sul giovane uomo davanti a sé.
«Tutto l’odio che vedi, il rammarico, la frustrazione, la rabbia…» fece una breve pausa, lottando contro sé stesso per aprirsi un po’ di più. Tuttavia non sarebbe di certo morto nessuno, no? Non avrebbe fatto del male a nessuno, giusto? «Non è odio nei tuoi confronti quello che vedi nei miei occhi».
Emma trattenne il fiato, una malinconica tristezza l’avvolse assieme all’oscurità sempre più fitta. Percepiva della sofferenza nelle parole farfugliate da Derek.
«È me che odio» ammise finalmente, con un grosso macigno a bloccargli il petto. Era sempre più faticoso respirare, pensare e continuare a aprirsi in quel modo ad una ragazzina che a malapena conosceva. Nonostante questo, sentiva il bisogno di farlo, gli serviva come sfogo, come appiglio per non annegare nel mare di sensi di colpa in cui era naufragato. 
«Sai cosa significa guardarsi allo specchio e provare rabbia nei confronti del tuo stesso riflesso? Sai quante volte avrei voluto strapparmi il cuore dal petto per impedirgli di continuare a battere? Sai quante volte mi sono lasciato massacrare, sperando di perdere una volta per tutte i miei poteri per evitare di guarire miracolosamente dopo ogni pugno arrivatomi dritto in faccia? E sai quante volte ho provato a fuggire da questa casa? Non ci sono mai riuscito, sono sempre tornato qui. Il luogo dove tutto è iniziato, l’origine del bene e del male. Non riesco a staccarmi da questo posto». Ormai aveva sciolto i freni, parlando senza neanche pensarci troppo. Per quanto fosse complicato per lui condividere quei pensieri, forse gli avrebbe fatto bene parlarne. Forse era quella la terapia meno assurda che avrebbe dovuto seguire per tornare ad essere almeno un po’ più umano. Per tornare ad amare.
«Se solo non fosse successo tutto quello, a quest’ora avrei ancora una famiglia e un po’ meno di rabbia e sensi di colpa da smaltire». 
Emma quasi non pianse a quelle parole, la tristezza che ne trapelava bastava a spezzarle il cuore. La solitudine nella quale si era barricato Derek l’aveva portato ad indurirsi a tal punto da rifiutare qualsiasi tipo di aiuto. 
«Non dovresti essere qui, tu non sai niente di me» riprese a parlare con estenuante lentezza. «Tutti intorno a me… tutti si fanno del male». 
La giovane allungò un braccio verso di lui, poggiando il palmo della mano sinistra contro la sua spalla. A quel contatto lo sentì sussultare impercettibilmente, era sorpreso. Forse pensava che dopo quelle rivelazioni sarebbe fuggita a gambe levate il più lontano possibile, spaventata dalla realtà nella quale si era ridotto a vivere. 
I polpastrelli di Emma sfiorarono il tessuto leggero della maglia, trasmettendo un calore ormai poco familiare al giovane degli Hale. Voleva che smettesse di sentirsi così solo, voleva che sapesse che lei poteva capirlo. Restò in quella posizione per qualche altro secondo prima di scivolare in avanti e arrivare a poggiare la guancia contro la sua schiena leggermente piegata in avanti. A quel punto lo sentì irrigidirsi, forse aveva esagerato. Al contrario di quanto poté aspettarsi, però, non si allontanò. Restò immobile, assorbì quel poco di energia positiva che la ragazza emanava. Ma non sarebbe bastata, Derek lo sapeva. Non sarebbe bastata a mettere fine a quei lunghi e dolorosi anni fatti di tormenti interiori e solitudine. Non sarebbe bastata a cambiarlo, a renderlo migliore. Forse niente sarebbe stato in grado di migliorarlo, di farlo sentire un po’ meno in colpa. Forse era destinato ad odiarsi fino all’ultimo respiro, come punizione per gli errori commessi. Forse era giusto così.
«Cora» esclamò lui, balzando bruscamente dal letto. Aveva sentito l’odore di sua sorella, l’odore del suo stesso sangue. 
Emma sussultò, sollevando le sopracciglia confusamente. «Che succede?»
«Mia… mia sorella Cora, è ferita. È con Scott, vanno sicuramente da Deaton» spiegò, balbettando quasi di fronte a quella consapevolezza. Emma non era a conoscenza di una ipotetica sorella sopravvissuta, dove si era nascosta fino a quel momento?
«Dobbiamo andare da Deaton».
L’allarme Cora aveva coinvolto un po’ tutti, Scott e Peter erano riusciti a portarla da Deaton, mentre Valerie, Isaac e Stiles erano corsi in loro soccorso un attimo dopo aver ricevuto la notizia. Emma, aveva seguito in silenzio Derek, che una volta messa in moto la sua Camaro nera, non aveva più spiccicato parola. Si era limitato a guidare come un forsennato per le strade di Beacon Hills, imprecando a denti stretti ogniqualvolta incrociassero un semaforo rosso. Il suo respiro incontrollato echeggiava rumoroso all’interno dell’abitacolo e ad ogni sospiro, corrispondeva un battito perso. Raggiunsero l’ambulatorio prima di quanto credessero, parcheggiando alla bell’e meglio davanti alla grande porta d’entrata. 
«Se peggiora possiamo portarla in ospedale, Scott» suggerì Stiles.
«In ospedale? Come faremo a passare inosservati?» esclamò sconcertato il Beta. Il suo olfatto sviluppato fiutò l’odore di Derek: stava arrivando. E con lui c’era anche Emma, e fortunatamente, stava bene.
«Non ci ho pensato» ammise con uno sbuffo l’altro. Si mordicchiava nervosamente le unghie, camminando avanti e indietro per la sala d’attesa. Deaton li aveva gentilmente fatti accomodare fuori data la critica situazione della giovane Hale. 
«E come faremo a nasconderla dai medici? Mia madre non può chiudersi a chiave dentro e sperare di non essere sorpresa a curare un lupo mannaro» precisò Scott con un velo di preoccupazione celato nel tono serio e pacato. Nonostante sua madre, Melissa, sapesse tutto sui lupi mannari e compagnia bella, non avrebbe potuto rischiare in maniera tanto azzardata.
«Non ho pensato neanche a questo» mormorò a quel punto Stiles, gettandosi a peso morto su una delle sedie presenti.
«Confortante sapere che come al solito hai pensato a tutto» lo rimbeccò l’altro, passandosi una mano sul volto. 
«Va bene, voi due, adesso basta. Dobbiamo confidare nella bravura di Deaton, vedrete che la curerà. Non è di certo la prima volta che uno di voi si becca una freccia da parte di qualche cacciatore» s’intromise Valerie, tentando di mettere fine a quel battibecco inutile.
 Isaac si grattò il capo distratto, prendendo posto affianco a Stiles. «Spero solo che lo strozzalupo non abbia sfiorato gli organi interni».
«Me lo auguro» ribatterono Valerie e Stiles all’unisono, scambiandosi un piccolo sorriso confortante e complice.
«Cora!» Quel breve attimo di silenzio calato nella sala venne interrotto dalle grida impazienti e colme di preoccupazione di Derek. Quest’ultimo, infatti, entrò nell’ambulatorio con la violenza di una furia, seguito da Emma, pallida in viso e affannata. Aveva dovuto mettersi a correre per riuscire a tenere il passo del bell’Alpha.
«Dov’è mia sorella» esclamò ancora, facendosi spazio tra i presenti. 
«Derek» lo richiamò alla realtà Scott. «Derek, aspetta».
Il più grande ignorò del tutto quelle parole, spalancando la porta del laboratorio prima di raggiungere la povera Cora, sdraiata sul tavolo in metallo, ancora priva di sensi. 
«Cora» sussurrò lui, abbassando le iridi chiare sul corpo di sua sorella. «Cosa 
le è successo?»
«Cacciatori» ribatté Stiles, facendo capolino nella stanza, seguito a ruota dal resto del Branco. 
«L’abbiamo trovata nel bosco, ferita da una freccia impregnata di aconito» continuò cupo Scott. 
«Aconito?» chiese Emma, guardandosi attorno un po’ frastornata. 
«Strozzalupo, una sostanza velenosa per i licantropi» le spiegò Isaac, poggiandosi contro lo stipite della porta.
«I cacciatori le hanno fatto questo? Perché?» lo sguardo della bruna balzò dal giovane Beta a Derek, chinato in avanti sul corpo debole di Cora. Le stringeva la mano con espressione contratta, stava per esplodere. 
«Quei figli di puttana» urlò con tutto il fiato che aveva in gola, facendo sobbalzare le due ragazze presenti. Scott avanzò per tentare di calmarlo, ma prima che potesse toccargli la spalla, Derek si allontanò bruscamente, tirando un pugno contro il muro. Una piccola crepa spaccò parte del soffitto. 
«Derek, adesso calmati» esclamò rigido e composto Deaton, rivolgendogli uno sguardo indecifrabile. 
«Calmarmi? Mi dici di calmarmi?» esclamò stizzito. «Quei fottuti bastardi. Gliela farò pagare, uno ad uno. Li farò pentire di essere nati!»
Emma venne scossa da un fremito. Che fosse stato suo padre? 
«Tuo padre non c’era, conosco il suo odore, non è lui il colpevole» sussurrò premuroso Scott, avvicinandosi alla giovane in modo che sentisse solo lei. O chiunque possedesse un udito super sviluppato quanto il suo. 
«Grazie a Dio» biascicò lei, sospirando, profondamente sollevata a quel pensiero. Derek non glielo avrebbe mai perdonato.
«La ferita come sta?» domandò pacata Valerie, avanzando un piccolo passo in direzione di Cora e Deaton. 
«Meglio, in un paio di giorni sarà come nuova. Deve riposare» proferì lui, molto meno preoccupato. «Non è adatta la tua vecchia casa, Derek. C’è troppa polvere, deve respirare dell’aria pulita».
Derek, che fino a quel momento aveva rivolto loro le spalle, si voltò con lentezza. I suoi occhi studiarono la situazione con meno aggressività. 
«La porterò al loft, è un po’ che sto programmando di trasferirmici una volta per tutte» lo informò atono, tornando a fissare il nulla fuori la finestra. «Ma fino a che non li avrò trovati, Cora resterà con Peter, nella vecchia casa».
Deaton si trattenne dal sollevare gli occhi al cielo e si abbandonò ad un sospiro impercettibile. Derek era veramente testardo, era impossibile farlo ragionare. 
«Ha bisogno di cure, Derek. Spero solo che tuo zio sia in grado» commentò pensieroso il dottore, sfilandosi entrambi i guanti da lavoro utilizzati.  




Hello there!
Sesto capitolo, yay!
Ecco spiegata la vera natura di Emma e devo dire che voi ci siete arrivate anche prima di Deaton, brave! #girlspower
Il nosto Derek si è ammorbidito, forse a causa di un momento di debolezza, chissà. Cosa avrà voluto dire quando pensava a Kate? Mistero. Sono certa che qualcuna di voi ci arriverà per logica, vedremo.
Ah, e ovviamente non potevo non far tornare Cora. Personalmente, l’adoro.
Come al solito, spero vi sia piaciuto il capitolo. Vi mando un bacio!
Grazie ancora per tutto il supporto, siete uniche.
uhstilinski.

 

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