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Autore: darkrin    28/10/2015    2 recensioni
Li aveva visti davanti al Pantheon. Era stata la voce dell’uomo a tradirli e a farle voltare di scatto la testa, prima di potersi trattenere, di potersi fermare perché non aveva alcuna intenzione di farsi riconoscere e di essere costretta a parlarci. Era stata la sua voce, che un tempo le aveva fatto scorrere brividi lungo la schiena, solo accarezzando le sillabe del suo nome – Ca ro li ne –, e che in quel momento era intenta a raccontare a una ragazza dai capelli scuri e la pelle nivea di come Michelangelo considerasse quell’opera una creazione degli Angeli. / o di quella volta in cui Caroline andò in vacanza a Roma e incontrò Klaus in dolce compagnia di una ragazza dagli occhi azzurri e i capelli scuri.
(Klaroline | future!fic | tiene conto solo parzialmente degli avvenimenti della s6 di TVD e di TO | ORA UNA RACCOLTA IN TRE PARTI)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Klaus, Mikael
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: - Passi doveva essere un parto autoconclusivo, faticoso come sputare fuori due gemelli, ma concluso e conclusivo e invece 'sta ceppa. Questa seconda parte è breve e frammentata e fatta più d'immagini che di altro ed è felice e leggera.Ambientata poco tempo dopo la prima parte e in un periodo di luna di miele in cui le radici di futuri problemi sono già presenti, ma non sembrano ancora così importanti da meritare di essere affrontare. A questa farà seguito una terza parte (ed è tutta colpa di ludo22 che mi tenta) che dovrebbe essere più lunga e più seria e leggermente più calata in un contesto di "vita reale".
- Non fosse stato per Niglia che si è gentilmente prodigata nel darmi un titolo, questo capitolo non avrebbe mai visto la luce di efp. 

- OPERE CITATE:  
- La caratterizzazione di Hope mi è probabilmente sfuggita di mano in questa parte. OPS.
- Inizialmente ero indecisa se pubblicare questa storia come seguito di Passi - incontri del terzo tipo e non pubblicarla come one-shot, segnalando che era il seguito di P. perché i tempi verbali sono diversi!!121 E questa parte è molto più corta!!2!, ma poi ho deciso di mettere da parte i problemi mentali e metterle insieme. 
- NO BETA quindi segnalatemi qualsiasi cosa. 

Passi
(secondo tempo)
 
 
 
Non si incontrano a Parigi.
 
 
*
 
 
Caroline al mattino si sveglia lentamente, cercando di inseguire gli ultimi strascichi di sonno, gli ultimi barlumi di un sogno che ha fatto e in cui era felice e… Il materasso affonda leggermente, sotto un nuovo peso, e Caroline sente lo sbuffo della risata dell’uomo contro la pelle, quando si china a baciarle la spalla nuda.
La ragazza esala un grugnito infastidito e cerca di allontanarlo debolmente con una mano, mentre si rigira nel letto per nascondere il volto contro il cuscino e avvolgersi maggiormente in un bozzolo di coperto. Le gioie del non respirare, pensa distrattamente, in quel posto ovattato che si trova tra il sonno e la veglia, mentre la mano dell’uomo risale ad accarezzarle i capelli e Caroline immagina di essere un gatto, di fare le fusa e pensa di star ancora sognando, pensa di potersi riaddormentare e –
- Caroline, dobbiamo andare – mormora l’uomo, afferrando con un gesto fulmineo le lenzuola e dando loro uno strattone.
Non è abbastanza forte per strappargliele di dosso - potrebbe, ma sa che Caroline non lo perdonerebbe per il resto della giornata e niente perdono vuol dire niente sesso per un giorno e quella ed è una cosa che non è pronto a sacrificare – ma abbastanza da strapparle un gemito infastidito.
- Tesoro, dobbiamo andare. Hope sta già minacciando di distruggere la stanza. –
- ‘sciala ‘are – borbotta la ragazza, contro il cuscino.
L’uomo si china a baciarle il collo, all’incavo della spalla, in quel punto che le strappa sempre un fremito e una risata.
- Volevi vederlo anche tu, lo sai – continua l’uomo.
- ‘on ‘iù. –
- Caroline – la chiama ancora, con un sospiro affranto. – Non costringermi a ricorrere a certi metodi. –
La ragazza esala un verso interrogativo, che si trasforma ben presto in uno squittio sorpreso, quando l’uomo la solleva insieme al suo bozzolo di coperte e al cuscino che aveva spiaccicato sulla faccia, e attraversa la stanza con poche, ampie, falcate. Lo squittio si trasforma in un grido oltraggiato, che riverbera tra le pareti del lussuoso bagno, accompagnato dall’ampio scrosciare dell’acqua della doccia.
Quando, infine, ogni rumore viene sostituito da un gemito sottile, Hope si infila le cuffie nelle orecchie e alza il volume al massimo perché vuole bene a suo padre, davvero, ma di certe cose non vuole sapere nulla. Non prima di colazione. Non dopo.
 
 
*
 
 
Sono a Parigi da solo una settimana – solo, afferma Klaus perché un mese non sarebbe sufficiente per vedere neanche un decimo della città, neanche per conoscere un millesimo dei suoi segreti, per assaporare un milionesimo delle sue delizie.
Vi sono venuti dopo Roma, Londra e un’infinità di altre città che Klaus non le aveva promesso, ma Siamo in Europa le ha detto l’uomo una mattina, Siamo in Europa e c’è un luogo che vorrei mostrarti, se me lo permetterai e Caroline ha annuito, senza porgli domande. Senza porsi domande. Un sorriso spaventosamente sincero e lusingato - spaventosamente sorpreso - gli ha piegato le labbra.
La mattina dopo hanno attraversato la manica (- Mi manca l’aria. - - Caroline, tesoro, non respiri. - - Siamo sotto il mare e non è naturale! - - Caroli… - - Perché il tunnel non è trasparente? Voglio vedere i pesci! Come all’acquario! -) per emergere in territorio francese. Ad accoglierli è stato un cielo coperto di nuvole; Caroline l’ha trovato comunque incantevole.
 
 
*
 
 
Al mattino fanno colazioni diverse: Caroline mangia un pain au chocolat, accompagnato da una cioccolata calda e un’ampia sacca di sangue, Klaus beve un caffè nero (- Come la tua anima – chiosa Hope, con tono lugubre e un sorriso sulle labbra sporche di marmellata) e Hope sorseggia un tè, come le ha insegnato sua zia, mentre sbocconcella un intero pacco di fette biscottate per provare tutte le confiture posate sul tavolo.
Mentre Caroline finisce di prepararsi, padre e figlia escono a terminare la colazione altrove. Non uccidono per nutrirsi e Caroline non vuole sapere altro.
 
 
*
 
 
- Quanto manca? – domanda Hope, mentre sono in fila davanti alle porte dell’ampio museo, la cui visita hanno stabilito sarà la missione della giornata.
- Quanto? –
- Quanto manca? –
- Manca ancora tanto? –
Non demorde neanche dopo che un bambino di quattro anni comincia a farle eco. Quando Klaus esala un grugnito, la ragazza si limita a mandare uno sguardo di sconsolata comprensione al bimbo, che viene sgridato dalla madre.
Caroline tenta di nascondere una risata dietro un colpo di tosse.
Klaus non sorride solo perché ha una reputazione da far rispettare.
 
 
*
 
 
Il Musée D’Orsay è pieno di turisti rumorosi e ignoranti e fosse stato per lui, l’avrebbero visitato di notte, quando è vuoto e le sale appaiono ancor più maestose, ma Caroline ha insistito perché la loro fosse un’esperienza più mondana possibile e Hope ha subito approvato la proposta con tutto l’entusiasmo che le è proprio.
Klaus vorrebbe non pensare che è perché di giorno ci sono molti più ragazzi, ma non ci riesce, e il pensiero gli fa digrignare i denti.
- Stai rimuginando troppo – mormora Caroline, così piano che solo lui può udirla.
Hope è corsa via tempo fa per andare ad ammirare le statue, dopo aver borbottato una battuta sulla la loro prestanza fisica e la baguette dei francesi che gli ha fatto riempire la gola di bile e ha fatto esalare una risata alla vampira bionda che ora gli sta accanto e neanche lo guarda, ma sa che c’è qualcosa che non va.
Sono in piedi davanti ad un quadro di un qualche artista minore. Il pittore ha rappresentato una scena banale: l’oceano, di notte, con un riva frastagliata da ombre e due figure, abbracciate, che ballano nel centro della tela. È un’opera senza nessuna vera importanza, ma Caroline non è riuscita a distoglierne lo sguardo e quando le si è avvicinato, gli ha stretto le dita intorno alla mano come se avesse bisogno di lui – di sostegno, della sua presenza.
A volte ancora si sorprende di fronte alla realtà che lei sia lì, con lui. Ancora si sorprende che gli sia concesso svegliarla al mattino, vederla borbottare improperi contro la luce del sole e vederla incantarsi di fronte alla bellezza del mondo.
Potrebbe rimanere una vita a guardarla con gli occhi lucidi e le guance arrossate dall’emozione di quel mare che si riempie di ombre e di luci e di quelle figure che ballano.
Forse ci restano una vita intera.
 
 
*
 
 
- Rappresenta la Giovane Repubblica – spiega, con dita che seguono, quasi inconsciamente, il tratto del pennello e del rosso che domina sulla tela. – Ha il corpo di una fanciulla, ma il volto severo e vedi la posa… -
- Sembra smarrita. -
L’uomo si volta a guardarla, con un sopracciglio inarcato e l’accenno di un ghigno a piegargli le labbra. Caroline arrossisce perché non sa davvero nulla di arte e magari si sbaglia e non avrebbe dovuto interromperlo.
- Caroline – la richiama morbidamente e Caroline raddrizza la schiena ed esala con uno sbuffo tutta l’aria che le aveva inutilmente riempito i polmoni.
- Voglio dire – inizia, gesticolando furiosamente.
Klaus deve prenderle una mano tra le sue, perché rischia di urtare la teca vicina e Caroline gli lancia un sorriso di imbarazzato ringraziamento.
- Il volto è in parte in ombra e non si vede bene, quindi magari mi sbaglio, ma… sembra smarrita. E la posa. Sembra quasi arrendersi, sembra voler chiedere cosa dovrebbe fare, cosa… -
Le parole si perdono da qualche parte tra lo sterno e le sue labbra, quando volta leggermente il capo per guardarlo e lo trova intento ad osservare il quadro con assoluta serietà. Come se lo stesse vedendo per la prima volta, come se lo stesse studiando da capo.
Caroline ama un po’ il fatto che la prenda sempre sul serio.
 
 
*
 
 
- Sono in piedi sopra Parigi – grida Hope, con un ghigno, in piedi su una lastra di vetro che ricopre una maquette della città.
- Ha un debole per le cose minute, per i dettagli – le spiega Klaus, all’orecchio.
Caroline storce il naso.
- Io li odio, mi fanno rabbrividire. Solo il pensiero mi fa impazzire – borbotta con un brivido, prima di trascinarlo via da quella sala piena di precisione e di minuzie.
La risata roca dell’uomo li segue nell’aria.
 
 
*
 
 
- Ho voglia di churros – annuncia Hope a mezzogiorno.
Sulla lingua ha ancora il sapore del sangue della turista cinese che ha attaccato nei bagni delle donne e pensa che il sapore zuccherino dei dolci spagnoli e del loro impasto si intonerebbe alla perfezione.
- Siamo in Francia – nota suo padre con un’espressione di puro disgusto sul volto degna del peggiore dei puristi.
La ragazza scuote le spalle.
- Li vendono – afferma.
- Non dentro al museo. –
- Potrei uscire e tornare qui nel giro di due minuti. –
- Non puoi mangiare dentro. –
- L’ho appena fatto – afferma, inarcando un sopracciglio.
Il ghigno vittorioso che le piega le labbra gli ricorda fastidiosamente quello di Hailey.
 
 
*
 
 
Hope finisce i suoi churros davanti all’Olympia di Manet. Ha il capo inclinato leggermente di lato e le guance talmente piene da sembrare quelle di un criceto.
È cresciuta circondata da dipinti e schizzi, dal rumore del pennello che scorre lento e minuzioso sulla tela, dall’odore dei colori e sa distinguere i capolavori dalle imitazioni, le opere d’arte da lavori privi di qualsiasi merito, ma c’è qualcosa nella freddezza del marmo, nelle forme morbide e sinuose che riesce ad acquisire, che le fa preferire la statuaria all’arte pittorica.
Fa una pernacchia al quadro che non è riuscito a farle cambiare idea, sotto lo sguardo attonito di una coppia di turisti.
 
 
*
 
 
- Se fossi umana mi farebbero male i piedi – afferma Caroline, lasciandosi cadere su una delle panchine che sono disseminate per il museo.
- Ma non lo sei – nota Klaus, inarcando un sopracciglio.
La ragazza scuote leggermente la testa, appoggiandosi all’indietro sui gomiti.
- Non lo sono – conferma. – Ma è una delle cose che preferivo delle gite ai musei: sedermi, guardare le persone e commentarne i vestiti e i gesti con… - la voce le si ferma in gola e abbassa leggermente il capo.
- Con Elena – conclude Klaus.
- E Bonnie – aggiunge, con voce minuta.
L’uomo annuisce, sedendosi accanto a lei e incrociando le gambe. Ci sono le cose che le mancheranno sempre, anche se con i secoli il dolore e la sensazione di avere un pezzo di vuoto, nel petto si faranno meno brucianti, meno pressanti. Diventeranno quasi il ricordo di una ferita, di un’assenza. Di un’amica che era il centro del suo mondo, al liceo, ma che ha perso di vista da anni e a volte ancora le manca, ma è così che va la vita.
- Non ho intenzione di prestarmi a certi giochi – afferma l’uomo e Caroline si raddrizza come se le avesse dato uno schiaffo.
- Non intendevo dire che… - comincia subito, ma Klaus la interrompe.
- Ma da secoli desidero studiare il quadro di Madame Guatreau. Potrei farne uno schizzo, mentre mi descrivi l’aspetto dei turisti. –
Il sorriso che le si apre sul volto di Caroline, gli appare un’opera d’arte ben più magnifica di quelle racchiuse tra le mura del museo e Klaus si sente come un’artista di fronte al suo capolavoro.
 
Lo studio del quadro di Gustavo Courtois finisce ben presto abbandonato e nel taccuino di Klaus finisce con l’aggiungersi l’ennesimo schizzo di Caroline. In questo, la ragazza ha il volto illuminato dal divertimento e le labbra sollevate in un ghigno, mentre deride una donna con un ampio cappello nero e un abito multicolore, che s’intravede, leggermente abbozzata, sullo sfondo.
 
 
*
 
 
- Il museo sta chiudendo – annuncia Hope, rispuntandogli accanto dal nulla in cui era scomparsa.
- Manca mezz’ora – quasi ringhia suo padre.
La ragazza inarca un sopracciglio.
- Ma agli altoparlanti hanno detto… -
- Ho sentito cos’hanno detto. Ma manca mezz’ora all’orario di chiusura – sbotta l’uomo, prima di voltarsi sui suoi passi e andarsene ad ammirare chissà quale altra opera, borbottando, sottovoce, improperi contro quegli infimi mortali e la loro arroganza e quella malsana idea di visitare il museo rispettando le regole.
Hope lo osserva, schioccando la lingua.
- Lascia perdere – afferma Caroline, scuotendo le spalle e tornando ad ammirare la Morte di Santa Cecilia.
 
 
*
 
 
Sono le sei meno cinque, quando escono, accompagnati dal borbottio e dalle incessanti minacce che Klaus rivolge ai custodi. Caroline è costretta a frapporsi più volte tra lui e gli uomini e a intervenire a più riprese per impedirgli di usare la compulsione (- Abbiamo visto quasi tutto quello che c’era da vedere e possiamo tornare domani. Non è necessario… Ti sembra un motivo valido per usare la compulsione? -).
A volte le sembra di avere a che fare con un bambino, a volte teme che un giorno le staccherà la testa per aver osato andargli contro, ma non c’è comunque altro posto in cui vorrebbe trovarsi.
Fuori l’aria si è fatta più fredda e una leggera coltre di nubi ha coperto il cielo. Il clima di Parigi, ha imparato ben presto Caroline, è più simile a quello di Londra di quanto le leggende e le cartoline vorrebbero far credere ed è dominato, per la maggior parte del tempo, dalle nuvole e da una pioggerellina che è diventata la peggior nemica dei suoi capelli e contro cui la donna ha ben presto giurato odio eterno.
- Ho fame – annuncia Hope con tono allegro, mentre piroetta loro accanto con le braccia tese dietro la schiena e un sorriso sulle labbra.
 
 
*
 
 
Ogni giorno che passa, Caroline si sente un po’ meno simile alla Giovane Repubblica, un po’ meno simile alla Caroline che ha lasciato Mystic Falls e che per mesi ha fuggito la tomba di sua madre e il ricordo di Elena. Un po’ meno smarrita in un mondo di cui non sa cosa fare.
 
 
*
 
 
Non si incontrano a Parigi. Non è necessario. 
   
 
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