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Autore: laragazzadislessica    28/10/2015    1 recensioni
È stata nascosta in un corpo non suo. Ha dovuto combattere nonostante nessuno le avesse insegnato a farlo, ma è ancora viva. Avrà una seconda possibilità per poter vivere la vita che le è stata strappata troppo presto?
Dal Testo:
...- Lo so bene. È per questo che ora andrò a New Orleans. –
- Cosa? No, no, no. Caroline non puoi… - Bonnie venne presa dal panico e lo si sentiva bene.
- Bonnie ho tutto sotto controllo...
Genere: Fantasy, Horror, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: CarolineKlaus, Elijah, Hayley, Klaus, Nuovo, personaggio | Coppie: Damon/Elena
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Unintended
“Potresti essere la mia scelta
Con cui condividere la mia vita estesa
Potresti essere colei che amerò per sempre
Potresti essere colei che ascolta le mie inquisizioni profonde…
Prima c’era colei che mi sfidò
Sfidò i miei sogni e il mio equilibrio
Lei non sarà mai buona con me come lo sei stata tu,
Sarò qui il prima possibile ma sono occupato
in alcuni pezzi non rotti della mia vita
che avevo prima di te…”
Muse:Unintended




L’acqua era diventata leggermente fredda e Rebekah aprì il rubinetto per riscaldarla. Immersa nella vasca piena di fluttuante e spumosa schiuma bianca, c’era Brynhild impegnata a schiacciare divertita e a far volare con dei soffi, quelle mini nuvole dal odore inebriante, ma dal gusto rivoltante. Stava buona, mentre la sorella acquisita di Klaus la lavava. Aveva patito per così tanto tempo ogni genere di intemperie naturali al punto da desiderare che quel calore le penetrasse fin dentro alle ossa. Rebekah sedeva sul bordo della vasca, era di rame pesante e in una forma strana, situata al centro di un bagno arredato nello stile imperiale. Quindi oro, rame e marrone scuro regnavano sovrani.
- Ho sempre desiderato avere una sorellina – il norreno di Rebekah interruppe il silenzio tra le due – Sempre sola, in mezzo a 5 fratelli – le sorrise, ma per risposta Brynhild le rivolse un altro tipo di sorriso. Forse non era neanche un sorriso. Aveva tirato la bocca di lato, espirando dal naso in un suono secco. Un'espressione che Rebekah lesse come sarcasmo. Poteva essere?
- P..pi....pi...ù c.. uff… – Brynhild tentò di dire qualcosa, ma lasciò la frase a metà esasperata da quella insopportabile balbuzie. Dopo un secolo di solo ululati e ringhi aveva scordato completamente come si muoveva la lingua per emettere il suono della parola.
- Più calda? – la aiutò Rebekah. Stavolta la ragazza dai capelli di fuoco le rivolse un vero sorriso. Fu facile riconoscerlo, perché nel modo in cui quella ragazzina sorrideva vide quello di suo fratello, quello di un tempo. Scacciò i pensieri e aprì di più la manopola per l'acqua calda. La pelle pulita aveva un colore chiarissimo, un rosa pallido simile alle rose tea, morbida e vellutata. Una pelle giovane, forse anche troppo.
- Quanti anni hai? Voglio dire quanti anni umani… cioè che età avevi quando… –
- Tr…t.tredi..ci – stavolta fu Brynhild ad aiutare lei e la risposta di quella ragazzina la lasciò di stucco. Solo tredici anni. Come aveva fatto a sopravvivere da sola, completamente sola, e per di più trasformata in lupo? Ecco. Rebekah capì il motivo della smorfia di prima, perché anche se la sua vita secolare non era poi stata una passeggiata, con un fratello pazzo che uccideva tutti i suoi fidanzati e che ogni tanto la costringeva a dormite decennali ficcandole un pugnale nel cuore, poteva solo immaginare le difficoltà passate da una ragazza alla quale sono stati strappati tutti i suoi cari, esiliata dal mondo e costretta a vivere in una forma animale per l’eternità.
- Stavo pensando… - Rebekah sciacquò la spugna, la strizzò facendo uscire l’acqua che aveva incorporato e la posò nella rientranza apposita della vasca - che in fondo Brynhild è un nome così lungo e antico – si interruppe e prese la bottiglia dello shampoo - Che ne dici di Bry? –
La ragazza arricciò le sottili sopracciglia arancioni, mentre cercava di leggere negli occhi azzurri di Rebekah il significato di quelle parole.
 – Come nomignolo intendo. Sai Niklaus adesso è Klaus. Il mio è Bekah e qualche volta anche solo Bek ed Elijah – Rebekah aprì il tappo della bottiglia dello shampoo alla fragola e ne versò un po’ in una mano – bhè Elijah non è un tipo da nomignoli – sorrise pensando all’elegante e serioso fratello maggiore.
- Bry? – stava riflettendo ad alta voce annuendo nell’aria, finché il viso le si mascherò in un’espressione serena. Il suo sorriso dolcissimo.
- Sì. Ti piace? Allora da adesso in poi sarai solo Bry – le sorrise Rebekah infine.
Si sporse posando il flacone vicino alla spugna. Delicatamente iniziò a spalmare lo shampoo racchiuso nella sua mano su quei capelli rossi che bagnati sembravano avere il colore del mogano.
– Adesso devi chiudere gli occhi, questo brucia. – le disse con premura come se stesse parlando a una bambina al suo primo shampoo da grandi.
 
Il cortile della tenuta era irregolarmente animato. I vampiri diurni capitanati da Marcel erano appena rientrati da un’esplorazione nel quartiere francese ordinata da Klaus. Lo scopo era trovare qualche traccia delle streghe che dopo il suo risveglio, in quel non che minimamente accogliente ospedale, si erano magicamente dissolte nel nulla.
- Abbiamo setacciato tutto. Da capo a fondo e niente. Le streghe sono scomparse. I negozi e le loro attività sono chiusi e le case sono vuote. È come se si fossero trasferite in massa. Che cosa sta succedendo? – Marcel si parò davanti a Klaus allargando le braccia.
- Devono essere da qualche parte?! – con la nocca del indice Klaus si tamburellò il mento pensieroso - Tra poche ore il sole tramonterà. Organizza una squadra di vampiri notturni per una nuova ronda. Gli altri sono congedati – ordinò e i vampiri obbedienti fecero quello che gli era stato detto.
- Klaus non hai risposto alla mia domanda – tornò a fargli presente Marcel che non si era mosso dalla sua posizione.
- Davvero? – ma Klaus si voltò dandogli le spalle. Non aveva proprio nessuna intenzione di iniziare tale gioco.
- Se mi rendessi partecipe potrei esserti di maggior aiuto – Marcel gli girò intorno per ritornare a guardarlo in faccia.
- Certo, ma ti ho dato un ordine. Al tuo rientro ne riparleremo – concluse Klaus sedendosi su una sedia. A questo punto Marcel gli rivolse un occhiata fulminea, ma non disse altro. Lo lasciò lì seduto andando a compiere un ennesimo suo ordine.
Cosa stava succedendo? Se solo lo sapesse. Klaus non né aveva la più minima idea. Forse le streghe si erano nascoste in un buco del mondo organizzando una nuova sommossa diabolica, oppure semplicemente stavano scappando e da chi lui lo sapeva bene. Quella ragazzina. Sua sorella licantropa. Era così una minaccia da far mettere in fuga tutte le streghe della città? Se fosse stato davvero quello il motivo della loro ritirata, sarebbe stato un bene o un male? Klaus non lo sapeva, ma di una cosa era certo, non poteva fidarsi.
Tra i pensieri sentì nella tasca del giubbotto di pelle nero, il suo telefono vibrare. Lo prese al volo e lesse il nome della chiamata entrante.
- Cami! Ti manco già? – si mise comodo sulla sedia prendendosi un attimo di tregua in tanto caos.
- È successa una cosa terribile. Ho bisogno di te – il terrore nella voce della donna lo fece alzare di scatto.
- Dove sei? –
 
- Possiamo chiedere aiuto a quella ragazza nel Bayou, forse lei saprà qualcosa? – disse Hayley chiudendo un libro nervosamente. Erano passate delle ore da quando lei ed Elijah avevano iniziato a cercare delle notizie su quella ragazza o meglio dire su “La Divina Brynhild ”, racchiusi nella biblioteca privata dei Mikealson, soli, senza raggiungere nessun risultato.
- Non c’è ne sarà bisogno – Elijah seduto di fronte a lei, dall’altra parte di un tavolo massiccio e antico, le parlò senza che i suoi occhi lasciassero la lettura della pergamena che aveva tra le mani.
- Che vuoi dire? – gli chiese Hayley non riuscendo a seguire il suo discorso.
- Ho sentito la ragazza riprendersi almeno un’ora fa – ovviamente faceva riferimento al suo udito da vampiro. Hayley non ci poteva credere.
- Allora cosa stiamo facendo? – alzò leggermente il tono della voce con l’intento di richiamare l’attenzione del suo interlocutore.
- Io mi godo la tua compagnia e tu? – disse e poi lo fece. La guardò. Le rivolse uno dei suoi più bei sguardi, con gli occhi furbi e la bocca tirata da un lato. Hayley distolse il suo.
 – Perché non usciamo? – parlò poi quando ritrovò il coraggio di riguardarlo in faccia.
- Non possiamo. La situazione fuori dalla villa è troppo pericolosa, con le streghe che, se ben rammenti, hanno tentato in tutti i modi di ucciderti - Elijah arrotolò la pergamena ammonendola con i suoi occhi, ma in un modo che non abbandonava mai uno strato di dolcezza.
- Dai! Tutta questa tensione e questa restrizione credi che facciano bene a me e alla bambina? – Continuò Hayley accarezzandosi la pancia e mostrandogli di risposta la miglior espressione supplicante che possedeva. Ci fu un attimo di silenzio, dove Elijah non lasciò stare il suo sguardo e se non avesse parlato da un momento a un altro guance di Hauley sarebbero diventate paonazze.
- Dove vuoi andare? – si sporse verso di lei incrociando le mani e accorciando la distanza. Hayley nascose un gemito di felicità, non ci poteva credere ci era riuscita.
- Non lo so. Sei tu che conosci la città e ti prego niente musei – indicò con il dito il luogo in cui erano. Una stanza rettangolare, pareti dipinte di un rosso rubino, rifiniture in legno doppio e scuro, quadri dei più noti artisti, probabilmente originali, la mobilia antica e pesante, un grande lampadario a braccia di vetro soffiato. Tutto quello che c’era in quella stanza le ricordava un museo. Per non parlare delle altre.
- A dire la verità c’è un posto… – Elijah si alzò in piedi e raggiunse Hayley. Le porse la mano dandole il suo aiuto ad alzarsi, in un gesto di estrema galanteria.
 
Il portone della chiesa era chiusa dall’interno e Klaus intuì tutto. L’odore gli era arrivato alle narici da almeno 5 chilometri di distanza e anche per un vampiro originale, era davvero troppo forte. Sangue. Tanto.
Con velocità soprannaturale fu alla porta del retro, anch’essa chiusa, ma risolvette con un potente calcio. Nessuno.
Davanti a lui il corridoio della sacrestia era completamente deserto. Seguì il suo olfatto. L’odore del sangue gli penetrava nel naso lasciando una sensazione arida nella trachea. Era giunto al punto e si trovò in una scena raccapricciante. Nella sala della chiesa Padre Kieren era inginocchiato a terra in mezzo alla navata. Nella mano destra un coltello sporco di sangue, ma la macchia non si fermava lì. Gli percorreva il braccio e parte della tunica bianca. Per terra e sulle panche. Sui i muri e sui quadri. Sul altare. Sangue ovunque. Il sangue di venti persone che adesso giacevano a terra mutilate e senza vita.
Kieran si voltò verso di lui e i suoi occhi spalancati e senz’anima gli mostrarono il colpevole. Era stato lui. Aveva ucciso a coltellate venti persone durante la messa. L’incantesimo di Bastianna era riuscito, l’aveva reso completamente pazzo. L’uomo rimase a guardarlo bisbigliando parole che alle orecchie di Klaus erano chiari deliri ripetuti.
- Anche tu? – disse poi con decisione e completamente fuori di sé – lascia che ti uccida! – si alzò in piedi e si avvicinò a lui puntandogli un innocuo coltello.
Klaus avrebbe potuto ucciderlo in diversi modi e senza sprecare la minima energia, ma si limitò a colpirlo in testa con il crocifisso che prese dall’altare. Padre Kieran cadde a terra svenuto, ma ancora vivo.
- Mi dispiace tanto – disse poi guardando verso la cabina del confessionale. In quel punto buio uscì Camille in lacrime. Aveva assistito a tutto. Aveva visto lo zio sgozzare venti innocenti. – Non preoccuparti – con due lunghi passi Klaus le fu vicino - Farò ripulire tutto. Nessuno dovrà sapere –
- E le famiglie di queste povere persone? – fu l’unica cosa che la bocca tremante dallo shock di Camille disse.
- Ho detto che me ne occupo io – Klaus le stava a pochi centimetri di distanza. Poteva abbracciarla, ma non lo fece.
- Mio zio… – Cami cercò di sfogare il suo panico, ma Klaus non glielo permise
- Quello – indicò il corpo svenuto a terra ai piedi dell’altare di legno – non è tuo zio. Adesso stammi a sentire – le mise l’indice ricurvo sotto il mento e con una leggera pressione spinse il viso di Cami verso l’alto, per poterla guardare in faccia. Questo era l’unica consolazione che poteva darle – vai a casa –
- Non voglio andarci da sola – Gli occhi chiari della donna lo stavano supplicando. La guardò per qualche secondo. Quegli occhi azzurri, quei capelli biondi un po’ ondulati, le guance larghe e ampie, nella sua mente seguivano sempre un unico filo. Lo riportavano ad un’altra donna. Si somigliavano, ma erano completamente diverse. Sempre lei. Sempre e solo lei. Caroline.
- Come vuoi – le disse poi sfuggendo da quel malinconico dato di fatto - Lasciami fare solo una telefonata –
 
- Un battello? – Hayley si affacciò alla ringhiera perdendo il suo sguardo in quella magica sera.
- La S.S. Natchez. Piena di turisti innocui – le rispose tranquillo Elijah, condividendo con lei la vista di quel paesaggio.
Il posto che Elijah aveva scelto non era un posto, ma una nave. Erano già salpati e uno dei pochi battelli alimentati ancora a vapore, li stava portando dolcemente a largo. Navigavano sulle acque del Mississippi e davanti ai loro occhi, una New Orleans illuminata da mille luci, piano piano si stava allontanando.
Hayley sospirò. Era un posto sicuro, ma anche incredibilmente romantico.
I suoi occhi abbandonarono quel suggestivo panorama, spostandosi su di un altro. Elijah.
Hayley guardava l’uomo che le stava accanto e notò una cosa. Elijah aveva la mano destra nella tasca del pantalone, come usava fare. In quella posizione si creava sempre una invitante fessura tra braccio e addome. Hayley pensò di infilarci la mano e fare scivolare velocemente il braccio. Lo fece.
Elijah, a quel contatto, guardò la ragazza che adesso aveva sottobraccio, ma non le disse niente, nessuna obiezione. Hayley non si accontentò. Curvò la sua testa fino ad appoggiarla alla spala di lui, respirando il suo profumo misto alla salsedine di quel fiume salato. Chiuse gli occhi in una, non tanta, inaspettata tranquillità.
- Vieni con me? – la mano di Elijah prese la sua, interrompendo quel momento inebriante. La guidò all’interno. Davanti a loro c’era una sala ampia con pavimento in legno, dove un gruppo di persone, non tanto giovani e non tanto coordinate, stavano ballando della musica Jazz suonata dai musicisti situati su un mini palco rotondo e molto casareccio.
 – Balliamo?! – le disse porgendole la mano destra. Sembrava diverso. In una versione più semplice e rilassata. Hayley gli sorrise afferrandogli la mano.
 
Klaus staccò la chiamata e infilò il telefono in tasca e raggiunse Cami sul divano.
- Un giorno davvero estenuante – disse a sé stesso mentre si sedeva vicino alla donna che piano sorseggiava una tazza di camomilla fumante. L’aveva accontentata. Era rimasto a farle compagnia.
- E’ finita. E’ andato. – Camille parlò dopo averne deglutito un sorso.
- Non è finita fin quando non lo è davvero – Klaus le rispose massaggiandosi le palpebre con una mano.
- Che vuoi dire? –
- I miei ragazzi hanno ripulito la chiesa e tuo zio è stato portato in una delle celle presenti nei sotterranei della villa – tornò a guardarla con due occhi leggermente strigliati di rosso.
- Perché? –
- Brynhild si è ripresa e forse, come ha sfilato il pugnale di Papa Tunde dal mio addome, può togliere quello che le streghe hanno messo in tuo zio – con un riflesso involontario Klaus si guardò la mano destra.
Camille, invece, fu rapita da un’altra cosa. Dalla sua umanità. Poteva chiedergli perché lo stesse facendo o dirgli che oramai aveva perso ogni speranza, ma non lo fece perché sapeva che sarebbe stato una cosa stupida. Sapeva che in lui un piccolo bagliore di umanità esisteva ancora e adesso ne ebbe la certezza.
- Sei felice? – gli chiese invece, richiamando l’attenzione di un Klaus sorpreso.
- Di che parli? – si allargò nella seduta appoggiando la schiena al bracciolo, in modo da guardare la donna rannicchiata nell’angolo del divano.
- Oh, andiamo Klaus. Davina mi ha fatto ricordare tutto. So che il pensiero di essere l’unico essere della tua specie ha complicato tutta la tua esistenza, e adesso che finalmente sai che non sei solo, reagisci così? –
- Bhè, in realtà non so se realmente quella ragazzina sia un qualcosa come me, ma… -
- ma… cosa. Ho appena assistito a una carneficina fatta dall’unico componente della mia famiglia. Mi dispiace, ma non riesco a vedere la stessa tragedia nel ritrovamento di una dolcissima sorellina – disse poi tornando a sorseggiare la sua camomilla.
Camille, dal suo punto di vista, aveva ragione, ma lui semplicemente non ci riusciva. Sentiva una cosa dentro di sé che non gli dava pace. La sua mente. Contorta, complicata e maligna. Non gli stava dando tregua, architettando migliaia di scuse e complotti del perché gli fosse capitato una cosa così… bella.
Di nuovo il telefono. Lesse il nome della chiamata entrante. “Rebekah”
- Dove sei? – la voce della sorella suonò in una coinvolgente paura, prima che lui potesse dire pronto.
“Aahh… ahr”
Erano delle urla?
- Che sta succedendo? – svelto si sedette in punta, già pronto a scattare.
- Bry!! Brynhild è… -
“Ahhhahhh”
Ancora.
– Devi assolutamente venire qui!!!!!! – attaccò, lasciandolo pieno di domande e dubbi.
Klaus issò lo sguardo in un punto impreciso davanti a sé. Lo sapeva.
- Devo andare – disse poi infuriato, alzandosi con uno scatto.
- Che è successo? – Cami vide sul volto di Klaus il ritorno dell’espressione che conosceva benissimo, e ne fu terrorizzata. L’umanità che era seduta accanto a lei finora, era scomparsa.
- Probabilmente la mia dolcissima sorellina non è poi così tanto dolce – le disse prima di uscire da casa sua, lasciandola da sola.
   
 
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