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Autore: vali_    28/10/2015    4 recensioni
Dean non si sente a suo agio negli ultimi tempi: beve senza trarne i benefici sperati, dorme poco e sta sempre da solo e questo non è un bene per uno come lui, che mal sopporta la solitudine, convinto che riesca solo a portare a galla i lati peggiori del suo carattere.
Il caso vuole che un vecchio amico di suo padre, tale James Davis, chieda aiuto al suo vecchio per una “questione delicata”, portando un po’ di scompiglio nelle loro abituali vite da cacciatori. E forse Dean potrà dire di aver trovato un po’ di compagnia, da quel giorno in poi.
(…) gli occhi gli cadono sui due letti rifatti con cura, entrambi vuoti. Solo due.
Sam è ormai lontano, non ha bisogno di un letto per sé. Dean non lo vede da un po’ ma soprattutto non gli parla da un po’ e il suono della sua voce, che era solito coprire tanti buchi nella sua misera esistenza, di tanto in tanto riecheggia lontano nella sua mente. A volte pensa di non ricordarsela neanche più, la sua voce. Chissà se è cambiata in questi mesi (…)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Some things are meant to be'
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Note: A quanto pare ogni settimana mi riduco più all’ultimo momento per ridare una letta alla roba che ho scritto, ma voi siete bravi e pazienti e mi perdonate… giusto? *incrocia le dita sperando di avere una risposta positiva* XD
A questo proposito, comincio subito col dire che se trovate qualche svista o imprecisione siete pregati di segnalarmela, perché è stata una lunga giornata ed ho gli occhi ridotti a due fessure per la stanchezza. Non volevo lasciarvi un altro giorno ad aspettare, però, così mi sono data una mossa per rileggere tutto, ma l’errore potrebbe esserci scappato, perciò… siate bravi e datemi una manina se ne scorgete uno, please :D
Spero che siate tutti entusiasti per il ritorno di Ellie (scrivere i capitoli senza di lei per me non è stato semplice, lo ammetto, perché mi è mancata un sacco ç_ç). Anche lei ha qualcosa da raccontare sul suo ultimo anno, ma non vi anticipo nulla per non rovinarvi la lettura.
Per quanto riguarda il caso, vi dico che questo qui sarà quello che occuperà il maggior numero di capitoli di “Wash away”. E’ stato così lungo da farmene sdoppiare uno, perché originariamente i capitoli erano ventisette, non ventotto, ma il caso in questione ha richiesto più pagine e quindi un ulteriore dimezzamento. Spero di non aver combinato casini, che come sapete è la cosa che mi terrorizza di più (insieme all’idea di mandare OOC i personaggi).
Per me è bellissimo e sconvolgente vedere che, nonostante la storia sia quasi alla fine, c’è ancora qualcuno che la nota e che decida di seguirla, perciò saluto con la manina i nuovi arrivati e invito come sempre i lettori silenziosi – insieme a quelli abituali, ovviamente, che non è assolutamente mia intenzione snobbarli! :P – a lasciare un commentino per dirmi che ne pensano. Leggere le vostre parole a me fa sempre più che piacere :D
Vi abbraccio fortissimo e mi auguro che la lettura sia di vostro gradimento… a presto! :*
 
Capitolo 24: Sad eyes
 
Everyday here you come walking
I hold my tongue, I don’t do much talking
You say you’re happy and you’re doin’ fine
Well go ahead, baby, I got plenty of time
Because sad eyes never lie
 
(Sad eyes – Bruce Springsteen)
 
 
Uno come Dean dovrebbe essere abituato alle sorprese, con tutto quello che vive ogni giorno. Il suo stesso lavoro poi, sempre pieno di imprevisti e delle cose più inaspettate, dovrebbe averlo forgiato e allenato ad ogni tipo di evento, persino il più inatteso, ma forse non è abituato a quelli belli, alle cose positive che la vita, a volte, decide di regalargli.
 
Per questo se ne sta lì, i piedi ben piantati a terra e lo sguardo appena confuso, fermo come il peggiore dei deficienti e incapace di srotolare la lingua e dire ad Ellie qualcosa di sensato dopo aver atteso per un anno intero che tornasse da lui. Forse perché l’ha aspettata così tanto, facendosi mille film mentali e fissando il soffitto per ore pensando a quello che avrebbe potuto dirle una volta che se la sarebbe ritrovata davanti. L’ha fatto fino a non sperarci più, invece eccola qui, proprio di fronte a lui che la fissa come un imbranato in cerca delle parole giuste.
 
Lei sorride appena «Che ti è successo, il gatto ti ha mangiato la lingua?»
Dean scuote la testa e deglutisce a vuoto, cercando di allentare il nodo alla gola. «No, solo che… non ti aspettavo più».
Ellie alza appena le spalle «Mi sa che tu e la pazienza siete tipo… due universi paralleli. Ero a Washington, ci vuole un po’ da lì» Dean annuisce e già non saprebbe più che cosa dire, paralizzato com’è dall’emozione che sente. Per di più, si è accorto di avere il cuore a tremila e non sa da quanto tempo non lo sentiva battere così forte. «Allora, mi fai entrare o no? Non credo sia una buona cosa parlare di mostri alle tre del mattino qui davanti».
 
Dean annuisce ancora, pensieroso, ed infila la chiave nella serratura, facendola scattare; apre la porta e fa passare Ellie che si guarda intorno, curiosa.
 
La osserva con attenzione e la prima cosa che gli salta agli occhi è che ha i capelli molto più corti di come era solita portarli: le scendevano lungo la schiena, fino a metà, mentre ora le arrivano praticamente alle spalle. Deve ammettere che le stanno bene, ma prima erano più belli e non sa perché sente il bisogno di farglielo notare. «Che fine hanno fatto i tuoi capelli da Raperonzolo?»
Ellie si volta, un sorriso abbastanza spontaneo – ma completamente diverso da quelli a cui Dean era abituato – a ridisegnarle le labbra. «Li ho tagliati… da un po’, a dire il vero. Prima erano anche più corti».
«Un cambiamento radicale» lei annuisce «Ti… ti stanno bene, ma mi piaceva di più come li avevi prima».
A quella battuta, il sorriso di Ellie svanisce, rimpiazzato da una smorfia ironica. «Scusa se te lo dico, ma non devono piacere a te».

Non più, almeno. E’ sicuro che Ellie lo sta pensando e in fin dei conti non può darle torto, però… era abituato a dirle sempre il suo pensiero e non ha saputo trattenersi. Forse dovrà imparare a farlo se vorrà riaverla con sé, o forse dovrà semplicemente comportarsi come ha sempre fatto e sperare che Ellie si decida a perdonarlo, a dargli un’altra possibilità. In fondo non chiede altro.
 
D’istinto alza le mani in segno di resa e nasconde l’amarezza dietro uno dei suoi soliti sorrisi. Ormai crede di non saper fare altro.

Ellie continua a guardarsi intorno rimanendo in piedi, proprio accanto al letto e adesso gli sembra che sia un po’ in imbarazzo o qualcosa del genere, così la invita a mettersi comoda e a sedersi; Ellie lo asseconda dopo qualche istante di titubanza e si siede sul divano, senza però togliere la giacca verde che indossa, gli occhi puntati sulla bottiglia aperta e mezza vuota di whiskey poggiata sul tavolo accanto alla porta. Dean lo nota ma non dice niente e lei fa altrettanto.
 
«Non ho molto da offrirti, solo… quella» indica proprio quella bottiglia «O della birra» e, a prescindere dalla sua risposta, non ne prenderà una per lui. Ha già bevuto abbastanza stasera e sente che quel poco di lucidità che gli è rimasta non può sprecarla.
Ellie scuote la testa «Non mi va niente, ma grazie».
 
Dean stringe le spalle e si siede vicino al bordo del divano. Per quanto vorrebbe mettersi accanto a lei, non gli pare il caso di “accorciare” le distanze: non si sa mai come potrebbe prenderla Ellie visto che non la vede da una vita e l’ultima volta non sembrava tanto propensa ad una qualche vicinanza; appoggia i gomiti sulle ginocchia ed allunga un po’ la schiena in avanti, le mani congiunte di fronte a lui. Volta la testa e la guarda negli occhi; è ancora un po’ agitato «Allora—»
«Ho… ho sentito il tuo messaggio l’altro giorno e sono venuta il prima possibile» Dean annuisce ed abbassa lo sguardo, senza sapere bene cosa rispondere. «Hai avuto problem—»
«Beh, sì. Mi sembrava di avertelo spiegato» non sa perché gli viene da essere acido… o forse sì. Magari perché vorrebbe almeno chiederle se sta bene e come se la passa e poi parlare del caso, invece lei, a quanto pare, vuole subito discutere di quello.
«Sì, ma… mi hai detto che mi avresti raccontato tutto quando ci saremmo visti».
 
Dean rimane in silenzio per qualche istante, pensando a cosa risponderle. Effettivamente Ellie ha ragione – e Dean odia questa cosa – solo che, davvero, parlare di lavoro è l’ultima cosa che vuole fare ora che è tardi e lei è solo ad un passo ed avrebbe tante cose da chiederle, tante… domande da farle, ma visto che lei ha intenzione di mantenersi sul livello professionale, Dean farà lo stesso, ma la giocherà a modo suo.
 
«Se la metti così… » si muove appena sul divano, accomodandosi meglio «In pratica due ragazzi che si conoscono solo di vista hanno avuto un po’ troppa fortuna negli ultimi tempi. Il problema è che non sembra un vero caso, insomma non ha… non ho nessuna prova che questa botta di culo enorme che hanno avuto ultimamente sia dovuta a qualche stregoneria o qualcos’altro, non ho trovato uno straccio di niente».
«Hai guardato—»
«Negli archivi delle scuole che frequentano, giornali, articoli, ho letto tutto il leggibile su di loro» Dean enumera l’elenco con le dita e si sente anche un po’ snob nel parlare in questo modo, ma le sta solo dando quello che cerca, il motivo per cui è qui. «L’unica cosa che li lega è che erano entrambi degli sfigati cronici e conoscono una ragazzina che non ha fatto niente di male al momento, quindi non so neanche se c’entra davvero qualcosa oppure no» prende fiato e punta gli occhi nei suoi, gli stessi che non sa per quante notti ha sognato di rivedere, e lei fa altrettanto, risoluta ed attenta ad ogni parola «Tutto il resto, se non ti basta il riassunto, te lo mostrerò domattina».
 
Ellie annuisce, storcendo leggermente un angolo della bocca, visibilmente pensierosa. Alza le spalle «Ok, possiamo parlarne meglio domattina» forse ha capito che non è il momento di allungare questo discorso; Dean si rilassa un attimo di troppo al sentirle dire queste parole e non è pronto per la domanda successiva «Ma… posso sapere perché hai chiamato proprio me?» sbatte le palpebre, nervoso, e lei lo fissa in modo troppo intenso. E’ chiaro che non si fermerà ad una risposta poco chiara o ad una bugia, quelli sono gli occhi di chi vuole sapere la verità «Insomma, c’era Bobby, o… o tuo padre».
 
Dean sapeva che questo momento, prima o poi, sarebbe arrivato se lei si fosse presentata e sapeva altrettanto bene che parlarle della faccenda che lo preoccupa maggiormente non sarebbe stato così semplice. Non tanto perché non ne ha la completa certezza, ma perché sa benissimo che Ellie non è proprio una fan di suo padre e avrebbe tutti i motivi del mondo per mandarlo al diavolo dopo quello che sta per dirle, ma ora che è qui – e Dio solo sa quanto sia felice di ritrovarsela davanti dopo tutto questo tempo – gli sembra giusto rischiare e raccontarle tutto quanto.
 
Prende un bel respiro, stringendo le mani tra di loro «Io… io non vedo mio padre da quando sono qui. E’… è sparito e sono un po’ preoccupato».
Ellie stringe un po’ gli occhi «Quindi mi stai dicendo che non sapevi a chi altro rivolgerti».
Dean sospira forte, sempre più irrequieto. Che cazzo, ma perché deve farla sembrare una cosa tanto difficile? «Mi avevi detto di non volermi più vedere, quindi—»
«Infatti era così».
«E allora perché sei qui?» come ha fatto a far uscire dalla bocca una domanda del genere – per di più così a bruciapelo – è un mistero, ma ormai non può rimangiarsela.
Ellie deglutisce e inspira forte, abbassando lo sguardo per un singolo istante, poi lo fissa di nuovo «Perché ho capito che avevi bisogno di aiuto. Non mi hai detto molto altro, solo che ti serviva una mano, perciò… perciò sono venuta fin qui» sospira appena, come se stesse cercando di placare una rabbia interna o qualcosa di simile «Comunque… tuo padre è un cacciatore, quindi dovresti sapere meglio di me che persone come lui scompaiono sempre e poi tornano sempre».
«Non così a lungo». [1]
Ellie accavalla le gambe fasciate da un paio di jeans blu scuro e fa un sospiro. Non sembra troppo preoccupata e, davvero, Dean può capirla, vorrebbe solo che si mettesse nei suoi panni per un attimo e pensasse a come può sentirsi lui in tutta questa storia. Lo conosce abbastanza da poterlo immaginare «Non lo so, Dean… ho visto sparire papà così tante volte che ad un certo punto ho smesso di farmi prendere dall’ansia, ma se sei convinto che sia disperso… »
«Non lo so, io… lo sento. Non è una cosa certa, è solo una sensazione che ho addosso. Può darsi che mi sbaglio, ma comunque sia prima devo chiudere questo caso qui» e non sono riuscito a combinare niente negli ultimi giorni, avrei seriamente bisogno di una mano. Sarebbe bello dirglielo e provare a tornare come erano una volta, sinceri l’uno con l’altra e pararsi il culo a vicenda.
 
Dean sarebbe disposto a farlo, sarebbe pronto a ricominciare da capo come se niente fosse successo, facendo anche finta che quella fastidiosa fitta che sente all’altezza del petto quando ci pensa non esista. Non sa se ci riuscirebbe, ma sarebbe pronto a provarci perché sa che ne vale la pena. Riavere Ellie, anche se non nel modo in cui la rivorrebbe lui, andrebbe bene. Se lo farebbe andare bene di sicuro.
 
Ellie arriccia le labbra. «Quindi tu pensi che si tratti di stregoneria?»
«Non lo so, forse. Qualcosa del genere».
La guarda mentre lei annuisce, le labbra strette in una linea sottile, visibilmente pensierosa. «Ok, ti aiuto a risolvere qui, intanto, e… e poi posso provare a cercare di capire la cosa di tuo padre se non dovesse farsi vivo. A patto che sia sparito per un motivo. Più di così non posso fare».
 
Dean annuisce; le è davvero grato, ma non sa come farlo trasparire – o ringraziarla, in qualche modo – così annuisce, un debole sorriso sulle labbra.
 
Ellie si accomoda meglio sul divano, spostando la schiena più in basso, chiude gli occhi e sospira passandoci poi sopra le dita di entrambe le mani – affusolate e femminili, proprio come Dean le ricordava – e a vederla così crede che sia davvero stanca, a giudicare da come si sta rilassando. Anzi, sembra distrutta, forse non solo dal viaggio. 
 
«Come sei arrivata fin qui?»
Ellie riapre gli occhi, appoggia le mani in grembo e lo guarda «Con la macchina» e Dean sorride divertito, ripensando a quando ne aveva rubata una per andare a caccia di lupi. Lei se ne accorge «So a cosa stai pensando, ma no» gli sorride appena «Non l’ho rubata a nessuno stavolta».
«E di chi è allora?»
«Di Bobby. Me l’ha prestata mesi fa».
 
Dean abbassa lo sguardo quasi di riflesso. Bobby Singer è praticamente un padre per lui eppure non lo sente da quando ha discusso con John, non si sa per quale motivo preciso. Più volte ha pensato di telefonargli, ma senza poi riuscire a farlo. E’ da vigliacchi e da idioti, questo Dean lo sa, ma proprio non gli va di finire in mezzo a questi casini. Quando si risolverà tutto, quei due torneranno amici come e più di prima e Dean sarà ben felice di chiamarlo e andarlo a trovare di nuovo, ma per ora è bene tenersi alla larga.
 
«Da quanto non lo vedi?» Dean alza nuovamente gli occhi e il suo sguardo indagatore ancora una volta non lascia spazio alle bugie. Gli sembra assurdo: Ellie è qui da neanche mezz’ora e gli ha già strappato dalla bocca più cose di quanto siano riusciti a fare altri in una vita intera. «Oh, avrei dovuto immaginarlo… da quando tuo padre ci ha discusso, scommetto».
Dean stringe gli occhi «Tu come—»
«Faccio a saperlo? Perché io continuo a sentirlo per telefono. Cosa che tu evidentemente non fai perché sicuramente hai ancora lo stesso brutto vizio che avevi, quello di fare tutto quello che ti dice tuo padre».
Dean sospira. Non se la ricordava così irritante. O forse è perché gli sta dicendo la verità – o perlomeno una parte –, per di più con un tono che non gli piace per niente e questa cosa gli dà particolarmente fastidio. La guarda male «Tu hai ancora quello di essere così… così maledettamente sincera».
Ellie fa spallucce «Non sono cambiata molto in tutto questo tempo».
«Invece non ti farebbe male mentire ogni tanto. Potresti almeno provarci».
 
Lei si gratta distrattamente dietro la nuca senza rispondergli e Dean scuote la testa, sempre più irrequieto; ripensa a quello che gli ha detto quando è entrata, al fatto che sia arrivata da Washington ed ora la osserva come colto da un’improvvisa illuminazione. «Perché eri a Washington?» lei lo guarda per un istante e Dean non le dà il tempo di rispondere «Sei… sei tornata a casa tua, non è così?» Ellie sembra un po’ titubante, come se avesse paura a replicare o qualcosa di simile, ma poi annuisce. Ha lo sguardo triste di chi ha una vecchia ferita che sanguina ancora prepotentemente.
 
Tiene gli occhi bassi per un istante e sorride amara prima di rialzarli «Diciamo che l’ultima volta che l’ho visto, papà è stato così gentile da dirmi di rimettermi a fare quello che mi riusciva meglio ed io l’ho accontentato: sono tornata a Buckley ed ho ricominciato a fare la cameriera. Almeno non potrà dire che non sono una figlia obbediente».
Dean la guarda ancora negli occhi, aggrottando le sopracciglia. «Mi dispiace».
«No, non fa niente. E’ una cosa superata ormai» mente, è troppo disinvolta mentre lo dice e Dean sa quanto ha faticato per cercare di trovare un equilibrio con quell’uomo, di instaurare un rapporto e se pensa di prenderlo in giro si sbaglia di grosso. «E poi tu me l’hai sempre detto».
«Sì, ma speravo di sbagliarmi».
«Non è stato così».
Dean la guarda ancora, collegando nella sua testa alcuni dei tanti pezzi del grosso puzzle generato da un anno di rapporti ridotti a zero e di lontananza «Quindi hai smesso di cacciare?»
Ellie annuisce. «Lo facevo per lui. Non aveva senso continuare da sola» stringe le spalle ancora una volta «Perciò non aspettarti grandi cose da me. Sarò sicuramente arrugginita e non è che io abbia fatto chissà quali progressi da quando non ci vediamo, ma se ti accontenti… »
Dean, a sentire quelle parole, vorrebbe tanto urlarle quanto è cretina perché lo sa fin troppo bene cosa si nasconde dietro a quello stupido discorso, cos’è quella specie di… anticipazione degli eventi futuri.
 
Dovrebbe saperlo – anche se Dean da molto tempo nutre più di qualche dubbio, visto tutto quello che gli ha detto prima di andarsene – che non la considera una fallita o una persona inutile, perciò quella premessa – che Dean trova veramente fastidiosa – è del tutto superflua. Anzi, non era proprio necessaria, e deve trattenersi moltissimo per non dirle quello che pensa. E’ a tanto così dal farlo.
 
«Certo che sì, Ellie. Dovresti saperlo» suona forse un po’ più incazzato di quanto vorrebbe, ma non gliene frega un fico secco. E’ ora che Ellie capisca davvero qual è il suo pensiero e come stanno le cose, come la pensa lui. 
 
Dean sa benissimo che approfitterà di questi giorni – sperando che siano il più possibile – insieme a lei per provare a chiarire la situazione – perché, cazzo, ora che è ad un passo da lui non può lasciarsi sfuggire l’occasione e magari perderla un’altra volta – e parlare di quella storia, perciò non vuole neanche nascondere troppo quello che sente, perché con Ellie è sempre stato se stesso e non vuole cambiare atteggiamento proprio adesso.
 
Lei si alza dal divano e stringe le labbra in una linea sottile. «Io… ti lascio dormire, mi sembri stanco».
Anche Dean si alza con uno scatto «Prendi pure il letto. Dormirò qui sul divano» ma lei scuote la testa «Non ce n’è bisogno. Ho preso una stanza mentre ti aspettavo… è qui accanto, la numero quindici».
 
Ricominciamo con le stanze diverse… che culo, non vedevo l’ora.
 
Annuisce un po’ sconsolato – non è neanche arrivata e già si è attrezzata per la notte, a quanto pare ha intenzione di passare con lui il minor tempo possibile – e lei si avvicina alla porta. Si volta ed abbozza un sorriso verso di lui «Allora… ci vediamo domattina».
Dean stringe il labbro inferiore tra i denti e fa un piccolo passo in avanti, quasi involontariamente «Grazie per… per essere venuta fin qui. E’ bello rivederti». Non sa come ha fatto ad uscirgli di bocca una cosa simile… è come se quella parte del suo corpo funzionasse da sola stasera e, per qualche strano motivo, non crede sia un bene, ma forse si sbaglia.
Ellie sorride un po’ più convinta «Spero di poterti essere utile» poi il suo sguardo si rabbuia, diventando appena più triste. «Però non… non farti strane idee. Io sono qui perché avevi bisogno di una mano, nient’altro».
Dean aggrotta un po’ la fronte «Cos—»
«Insomma, non aspettarti che tutto torni com’era. Non ho scordato quello che mi hai fatto» stringe le labbra ed apre la porta «Buonanotte».
 
La chiude prima che Dean possa risponderle qualcosa – tipo che sì, ha sbagliato, ma vorrebbe aver avuto almeno il tempo di spiegarle come stavano le cose – e sospira con la bocca aperta. Di certo non era quello che si aspettava di ottenere, almeno non così su due piedi, ma non è di certo incoraggiante sentirla parlare così un’altra volta.
 
Stringe le labbra, pensieroso, ma poi accenna un sorriso. Sa che sarà un’impresa e le ultime parole di Ellie non sono esattamente rassicuranti, ma stavolta sa quello che vuole e, qualsiasi cosa succederà nei prossimi giorni, è comunque bello sapere che potrà contare sul suo aiuto come un tempo.
 
*
 
Quando la sveglia suona alle sette e un quarto, Dean ha gli occhi aperti da un pezzo. Stira le gambe verso il basso, mugolando qualcosa di indefinito; non ha dormito granché stanotte – o meglio, nelle ore di buio che erano rimaste – ed è stato a lungo a riflettere su quello che è successo.
 
Ellie è nella stanza accanto alla sua e quasi non gli sembra ancora vero. Forse perché è stato così tanto tempo ad immaginare qualcosa di simile che adesso gli sembra strano, quasi surreale.
 
Ha riflettuto a lungo su quello che gli ha detto e sulla piega che deve aver preso la sua vita adesso, lontano da Jim che si è mostrato essere la solita testa di cazzo ma che lei, nonostante tutto, si ostina ancora a chiamare papà.

Dean non se ne stupisce: in cuor suo sapeva che prima o poi sarebbe andata così – perché lui ed Ellie avevano idee troppo diverse e per di più quel deficiente non sa apprezzarla –, ma sperava per lei che riuscisse a trovare un equilibrio con l’uomo che, a prescindere da tutto, l’ha messa al mondo e che proprio per questo dovrebbe almeno cercare di accudirla e starle accanto.  

Dean, comunque, aveva immaginato che Ellie poteva anche aver intrapreso una strada diversa dalla caccia ma, non sa perché, non aveva immaginato che poteva essere tornata a Buckley, anche se forse era la cosa più naturale che potesse fare.
In fondo quella è sempre stata casa sua. Ellie non gliene parlava spesso – salvo rari accenni –, ma Dean ha sempre pensato che era un posto in cui stava bene, che era un po’ la sua dimensione: non tanto grande, accogliente, il tipico paesello dove tutti conoscono tutti ed Ellie forse si è sentita così smarrita da pensare che fosse l’unico posto rimasto che potesse accoglierla.
 
Di certo, se avesse chiamato, lui non le avrebbe chiuso la porta in faccia, ma dopo tutto quello che è successo tra di loro – e soprattutto il modo in cui Ellie gli aveva categoricamente chiesto di sparire dalla sua vita – non si sarebbe mai presa la briga di chiedergli aiuto. La conosce abbastanza da sapere che è così.
 
Solitamente – o almeno per come se la ricorda – non è una persona che rifiuta l’aiuto degli altri o che non lo chiede. Dean ricorda parecchie situazioni in cui gli ha chiesto una mano – a parte l’ultima volta che hanno lavorato insieme, ma tutta quella storia è un altro paio di maniche –, perciò non è il tipo. Questa volta, forse, si è sentita sola ed ha voluto semplicemente tornare nel posto che è stato una casa per lei negli anni in cui sua madre era ancora viva. Non può biasimarla per questo.
 
Non gli sfugge il fatto che ad Ellie, per quanto ne sa, ci è voluto poco per cambiare strada e tornare sulla vecchia via, quella su cui ha sempre marciato, ma non la giudica male per questo. In fondo, nella sua vita è stata più una cameriera che una cacciatrice, una persona comune, come tante altre, senza nessun fardello di gente da salvare o cose da trovare per vendicare l’unica persona che le abbia mostrato un po’ di tenerezza e di bontà. Per lei è sempre stato diverso, un dovere… “ereditato”, qualcosa da fare per stare vicino a suo padre, per conoscerlo. Per questo motivo Dean non la giudica e, anzi, forse in fondo la capisce, perché ha cercato di tornare nel suo habitat, quello che per lui, invece, è la caccia. E’ per questo che comprende il suo atteggiamento e molto meno quello di Sam, che invece se n’è andato per cercare una normalità che non gli è mai appartenuta, che ha mollato gli affari di famiglia per un futuro di carta e inchiostro e nottate perse a studiare per correre dietro ai voleri di professori intransigenti. Questo Dean non riesce proprio a comprenderlo.

Ovviamente ha riflettuto anche su quello che Ellie gli ha detto prima di andarsene a dormire, sul fatto che non deve farsi illusioni. Le parole erano altre, ma il succo, in sostanza, era questo.
 
Se avesse un po’ più di autostima, forse potrebbe credere che stava recitando la parte di quella che è ancora offesa e che invece è tornata in mezzo a tutti i casini sovrannaturali di cui aveva smesso di preoccuparsi perché è stato lui a chiederglielo, che se l’avesse chiamata un’altra persona non lo avrebbe fatto. Ma non è il suo caso, perciò… boh, forse è davvero lì per dovere o magari perché a sentirlo chiedere aiuto piagnucolando come l’ultimo degli imbecilli ha provato pena per lui.
 
Qualunque sia il motivo, non ha importanza perché quello che conta di più è se riuscirà o no a farle cambiare idea.
 
Si riscuote da quei pensieri e si passa le mani sul viso, per poi alzarsi e vestirsi velocemente. Non è certo di ricordarsi per filo e per segno tutte le strambe abitudini di Ellie, ma sicuramente non ha dimenticato il fatto che è una persona mattiniera – anche troppo. Perciò non si stupisce quando va a bussare alla sua porta con la colazione per entrambi in una mano ed il mucchio di fogli che ha “collezionato” in questi giorni di ricerche sfrenate nell’altra e la trova già vestita con una maglietta rossa a maniche lunghe ed un paio di jeans chiari.
 
Lei gli sorride appena «Mi hai letto nel pensiero, stavo per uscire per andar a prendere da mangiare».
Ha gli occhi vispi di chi è sveglio da un po’ «Vorrà dire che domattina offrirai tu».
 
Ellie sorride ancora – non come era solita fare un tempo, sembra un pochino forzata – e lo fa entrare. Lo invita a sedersi e Dean si chiede se la gentilezza che gli sta mostrando è semplice educazione o si comporta così perché vuole davvero farlo. Non crede che stia fingendo, se ne accorgerebbe, ed è visibilmente più tesa di quando passavano il tempo insieme prima di tutto quel casino, ma Dean se la immaginava più fredda, più scostante. Invece, nonostante tutto, si mostra piuttosto tranquilla rispetto a come si aspettava potesse essere il suo comportamento e non sa se questo sia un bene o un male. Forse perché crede che se scoppiasse poi sarebbe peggio; gliene ha dato prova quel maledettissimo giorno.
 
Dean si guarda intorno; quella stanza è praticamente identica alla sua, compresa la disposizione dei mobili: il tavolo vicino all’ingresso, sull’angolo tra le due pareti; il letto sulla destra e non molto lontano dalla porta del bagno, l’armadio addosso alla parete adiacente, proprio accanto alla finestra e il divano vicino al frigo, sull’altra parete. Oltre al colore della carta da parati che qui è un blu scuro mentre quella della stanza di Dean è verde, l’unica differenza è l’ordine. Ellie non è cambiata in questo e questa camera è precisa e a posto, il letto rifatto con cura e il borsone vuoto accanto ad una delle zampe del tavolo. Scommette che l’armadio è pieno dei suoi vestiti che avrà appeso a chissà quale ora del giorno o della notte. Sopra il tavolo c’è solo una barretta di cioccolata al latte e Dean sorride appena nel vederla aperta e scartata, ricordando quante volte Ellie ne mangiava un po’ durante i viaggi molto lunghi, perché diceva che le dava energia e la tirava su. A quanto pare, ha conservato quest’abitudine.
 
Dean ci ha pensato un po’ prima di addormentarsi, a tutta la strada che Ellie ha percorso per raggiungerlo. Non sa se identificarlo come un segno che ancora ci tiene – e che magari è una piccola speranza per appianare i rapporti e provare a riprendersela – o solo senso del dovere. Il fatto è che, anche se si trattasse della prima opzione, Dean non vuole sperarci troppo, perché non ha la più pallida idea di come potrebbe andare a finire questa storia.
 
Si siede sulla sedia e le porge il sacchetto, appoggiando poi il mucchio di fogli da una parte. Adesso vuole fare colazione in pace, poi si parlerà del “caso”, quello a cui lui si diverte a mettere le virgolette perché gli pare tutto tranne che qualcosa su cui ci sia veramente bisogno di indagare.
 
Ellie prende una delle due brioche e la addenta e Dean la osserva con attenzione mentre fa altrettanto, cercando di non dare troppo nell’occhio. A parte i capelli che sono diversi, è proprio come se la ricordava, non è cambiata nell’aspetto: i tratti gentili del viso, il naso all’insù, le piccole lentiggini sugli zigomi e le labbra morbide e delineate; anche fisicamente non è diversa, è magrolina ma non troppo secca o tendente all’anoressia, è… giusta. E’ passato un anno ma, almeno nell’aspetto, a Dean sembra sempre la stessa. E’ tutto il resto ad essere cambiato.
 
Lei lo guarda e questo lo fa tornare alla realtà. «Quindi nell’ultimo anno hai… cacciato, come sempre?»
Dean annuisce «Sì, solita vita. Il lavoro non mi è mancato» beve un sorso di caffè «Tu, invece, hai… una casa lì a Buckley?»
«Un appartamento. L’ho preso in affitto, non me ne posso permettere uno tutto mio. E’ un posto piccolino, ma anche i monolocali costano tantissimo ed io non sapevo per quanto sarei rimasta, quindi non ho voluto spendere chissà quanto per un luogo che non so per quanto mi apparterrà».
«Quindi conti di tornarci».
«Sì. Per venire qui ho preso le ferie, non è che mi sono—»
«E lavori nel posto che era di tua madre?»
 
Dean si accorge solo dopo di quanto possa essere stata indelicata la sua domanda. E’ vero che Ellie prima parlava con lui praticamente di qualsiasi cosa – soprattutto di sua madre, per qualche strano motivo –, ma adesso i tempi sono cambiati e potrebbe non essere più tanto aperta com’era prima.
 
Lei scuote la testa «L’hanno chiuso. Ho saputo che non avevano più tanta clientela ed era più la rimessa che il guadagno» prende un piccolo respiro «Da una parte meglio così. Non… non so che effetto mi avrebbe fatto rivedere la vecchia insegna e tutto il resto».
 
Lo guarda stirando le labbra in una linea sottile e Dean fa altrettanto, scrutando nei suoi occhi. Non si è offesa – per fortuna –, ma sono terribilmente tristi. L’ha notato da ieri sera – quando gli faceva quelle domande sul caso – che abbozza sorrisi come a coprire le magagne che porta dentro di sé. Dean non crede che sarà abbastanza bravo da riuscire ad estrapolare tutte le informazioni che vorrebbe, da scoprire le ragioni per cui ha litigato con Jim ed è rimasta da sola. Non avrebbe neanche tanto diritto ad indagare, questo lo sa bene, ma la sua non è una mera curiosità fine a se stessa, è il modo che ha per aiutarla, per capire perché la bellezza dei suoi occhi è oscurata da tutta quella tristezza.
 
Può solo immaginare quanto le sia mancata sua madre in quei momenti, quante volte abbia sentito il suo profumo e il suo richiamo in ogni via e in ogni più piccolo scorcio, l’eco della sua voce come una foglia trasportata dal vento. Dean crede che proverebbe la stessa sensazione se dovesse tornare a Lawrence, magari proprio in quella casa dove tutto è nato e morto insieme alla sua mamma – la speranza di una vita normale, sicura, sotto un tetto solido fatto di certezze – ed è proprio per questo che ha giurato che non ci metterà mai più piede, per nessun motivo al mondo. [2]
 
Sospira appena e addenta l’ultimo morso della sua brioche «Avrai comunque rivifto delle vecchie conoffenfe».
Ellie sorride – forse perché Dean ha parlato con la bocca piena; lo faceva sempre – e annuisce «Sì, è così. Quando sono partita più di quattro anni fa, non avevo avuto modo di salutare nessuno. Adesso ho potuto recuperare un po’».
 
Dean annuisce, pensieroso. Non aveva minimamente riflettuto sul fatto che Ellie, tra i vecchi affetti che avrebbe potuto ritrovare tornando a casa sua, potrebbe aver rincontrato il suo ex, quello di cui non parlava volentieri. Di lui, Dean non sa neanche come si chiama, solo che Ellie non ci stava bene perché non riusciva a parlarci come avrebbe voluto, ma potrebbe averlo ritrovato e magari…
 
«Allora, che mi hai portato?» la voce di Ellie e il suo sguardo curioso lo distraggono e Dean la guarda, porgendole poi il mucchietto di fogli che ha raccolto negli ultimi giorni di ricerche e letture.
«Qui ci sono i ritagli di giornale che ho conservato, le ricerche su quei due ragazzi, Theo Robinson dei poveri e l’ultimo dei Crawford [3] e—»
«Si chiamano così?»
Dean sbatte le palpebre per un paio di secondi. In questo momento, gli sfuggiva il fatto che Ellie non comprendeva molti dei suoi riferimenti e delle sue battute – perché ovviamente si addormenta ogni volta che punta gli occhi verso una qualsiasi televisione – e gli verrebbe quasi da sorridere nel constatare che non è cambiata, cazzo, neanche di una virgola.
«No, ma… » lei lo guarda con gli occhi grandi e curiosi e Dean sospira appena «Lascia perdere. Leggi e lo scoprirai da sola».
«E tu che farai nel frattempo?»
Dean alza le spalle «Aspetterò qualche tua domanda e che ti venga un’illuminazione».
 
*
 
Il tempo insieme ad Ellie passa che è una meraviglia. O almeno, sembra scorrere molto più velocemente di quando Dean doveva fare tutto da solo.
 
In realtà non ha scoperto niente di nuovo rispetto a quello che lui già sapeva e, purtroppo, non le si è accesa nessuna lampadina che l’abbia portata ad una strada diversa da quelle che anche Dean aveva considerato – stregoneria, patti con i demoni – e, perciò, può solo dire di averla messa in pari con tutte le informazioni che erano già a sua disposizione. L’unica cosa buona – forse – è che non ha dovuto sprecare il fiato per raccontargliele a voce.
 
Lei gli ha prestato il suo computer, dicendogli che potevano provare ad approfondire alcune cose che lui aveva cercato, magari quello che le veniva in mente mentre leggeva, e più volte si è interrotta, chiedendogli di cercare qualcosa per scovare qualcos’altro, ma a volte non ce n’è stato bisogno, perché Dean aveva già le informazioni che servivano. Era lei che non era riuscita a trovarle scritte, il che è anche abbastanza comprensibile, visto che i fogli che aveva raccolto non avevano un ordine o una certa sequenza. Quindi non è che abbiano fatto grandi progressi.
 
Dean l’ha osservata a lungo mentre era assorta in tutte quelle cianfrusaglie, studiando il modo in cui le si formavano delle piccole rughe in mezzo agli occhi quando era concentrata a leggere con gli occhiali sul naso, quando le scendevano appena e li spingeva con le dita per rimetterli al loro posto, o il modo distratto in cui spostava i capelli mettendoli dietro le orecchie. Erano piccoli gesti che Dean era abituato a vedere sempre, movimenti a cui non dava peso forse perché erano sempre sotto i suoi occhi, perché non gli sembravano importanti. Adesso, non sa dire il perché, ma è come se tutto avesse un altro sapore, come se la stessa presenza di Ellie portasse qualcosa di diverso rispetto a prima, a quando erano solo due persone che imparavano a conoscersi e a sopportarsi. Ora gli sembra tutto più speciale forse perché Ellie è stata così tanto lontana e solo in questi istanti, solo osservandola e riconoscendo quei piccoli gesti si rende conto veramente di quanto gli sia mancata.
 
Ovviamente si chiede se per lei è lo stesso, se le ha fatto un minimo effetto rivederlo, ma non può domandarglielo, come probabilmente non le dirà mai quanto questo ultimo anno sia stato vuoto senza di lei, senza la sua allegria e la sua risata contagiosa.
 
Si è accorto del fatto che tiene ancora il braccialetto di sua madre sul polso destro e non aveva alcun dubbio a riguardo. Ricorda quando le si era rotto e l’aveva fatto riparare senza dirle nulla, pensando di farle una sorpresa. Probabilmente non le dirà mai neanche questo.
 
Quello che lo spazientisce, però – oltre al fatto che, appunto, tutta questa merda non sembra essere un caso e la cosa è sempre più evidente –, è che Ellie tiene il cellulare accanto a lei, sopra il tavolo, come se stesse aspettando che qualcuno le telefoni o le scriva. Non lo faceva mai prima.
 
Un paio di volte si è fermata per controllare qualcosa sul display, ma l’apice del nervosismo di Dean arriva quando quell’aggeggio vibra leggermente e lei lo afferra in fretta, distogliendo l’attenzione da quello che le stava dicendo e leggendo qualcosa che la fa sorridere. Lui non ha idea del perché, ma la cosa gli dà incredibilmente fastidio.
Deglutisce per poi tossicchiare nervoso, cercando di catturare la sua attenzione in qualche modo, ma Ellie muove le dita sui tasti e non lo degna di uno sguardo.
Stringe gli occhi, irrequieto «Vuoi piantarla con quel telefono? Abbiamo cose piuttosto urgenti da risolvere, il fidanzato può aspettare».

Sbatte le palpebre un paio di volte, sorpreso dalle sue stesse parole. Forse non voleva dire proprio quella frase, forse… o forse sì. Insomma, questa era una di quelle domande che gli sta corrodendo la testa a forza di martellarlo per uscire fuori e forse questo è l’unico modo per scoprirlo. Anche se, a giudicare da come lei lo sta guardando, quasi vorrebbe rimangiarsela.
 
Infatti, Ellie ha alzato prontamente la testa – almeno è riuscito a farla tornare nel mondo reale, questa è una cosa buona – ed ora lo osserva confusa, la testa leggermente inclinata da un lato, ma tutto ciò dura poco più di un istante, perché poi sembra doversi trattenere dal ridere. «Vuoi vedere il mio… fidanzato
 
A Dean sembra troppo ironica per essere seria, ma sta di fatto che gli si è bloccato il respiro al pensiero che Ellie possa avere davvero qualcuno nella sua vita adesso – magari quel tipo con cui era stata quando andava al liceo o uno nuovo, che non ci vuole molto a trovarne uno migliore di Dean –, ma non vuole farglielo capire così annuisce e si prepara al peggio. Ellie sorride – un’altra coltellata al centro del petto – e, quando gli mostra una foto, Dean non sa se urlare di sorpresa o dirgliene di tutti i colori.

L’immagine che ha di fronte ritrae un gatto non tanto grande, con il pelo rosso e qualche macchia nera sparsa qua e là sulla schiena, seduto sul davanzale di una finestra. Dean la fissa piuttosto incredulo «Si chiama Mufasa [4] ed è il mio micio. Non ci avevo mai pensato, ma… sì, lui effettivamente è un fidanzato perfetto» sorride riponendo il cellulare dove stava prima «Era un randagio, l’ho trovato per strada». I gatti non piacciono a Dean – tollera meglio i cani, per quanto non lo facciano impazzire –, ma in un certo senso ce la vede Ellie a prendersi cura di un animale. Non sa perché. «L’ho lasciato a Janis questi giorni che non ci sono. E’ lei a mandarmi fotografie».
Dean è sicuro di aver già sentito quel nome. Ci pensa un attimo e… sì, ora ricorda «Janis la tua amica del liceo?»
Ellie annuisce senza dire nulla e Dean fa altrettanto, grattandosi la nuca e distogliendo lo sguardo e… ok, meglio un gatto che un ragazzo, anche se la sola idea lo fa starnutire visto che è allergico al pelo di quelle bestioline.  

Riprende a leggere il foglio che aveva davanti alla faccia e sente un piccolo sospiro provenire dalla direzione di Ellie, come qualcosa che precede un sorriso. Alza gli occhi ancora una volta e la trova a fissarlo.
«Beh? Che c’è?»
Si fa un pochino più seria «Niente, stavo solo pensando che se… se quello era un modo per chiedermi se ho un fidanzato… » si passa una mano dietro il collo «Uno vero intendo, potevi farlo direttamente. Non ho nessun motivo per dirti una bugia».
Dean scuote la testa deciso «Mi dà fastidio che ti distrai mentre lavoriamo. Per il resto puoi fare quello che vuoi… d'altronde è passato un anno e puoi vedere chi ti pare».

Ellie lo guarda perplessa, forse per il tono duro che ha usato Dean. Non è vero che non gli importa – magari fosse così, avrebbe risolto almeno la metà dei suoi problemi –, ma preferisce non farglielo notare.
Abbassa di nuovo gli occhi ed un sussurro esce dalle labbra di Ellie, qualcosa tipo «Sì, va beh» e Dean lo avverte distintamente ma, quando torna a guardarla, lei ha la testa bassa su un altro foglio e Dean decide di non andare più a fondo. Finirebbero solo per litigare.
 
Quello che cala subito dopo in quella stanza è un silenzio che è quasi un macigno. Ellie non alza più gli occhi nella sua direzione e se ne sta zitta a leggere qualcosa ed è terribilmente seria adesso, sembra quasi… imperturbabile e Dean non può fare a meno di chiedersi quando potrà smettere di mordersi la lingua dopo aver aperto bocca in sua presenza. Un tempo non era così, anzi, si sentiva libero di dire praticamente qualsiasi cosa gli passasse per la testa ed Ellie non si offendeva mai, cercava sempre di capire e non di giudicare, mentre adesso…
 
Una voce concitata e bassa proveniente dalla radio – che hanno tenuto accesa per tutto il giorno per intercettare quella della polizia, in caso qualcosa di nuovo gli giungesse alle orecchie – ed un particolare comunicato di un agente attira la sua attenzione.
 
In periferia, si denuncia la sparizione di un ragazzo di colore di sedici anni, alto e robusto, scomparso da più di ventiquattro ore.
 
Dean ascolta con attenzione, avvicinandosi alla trasmittente per girare la piccola manopola ed alzare il volume e spalanca gli occhi sorpreso. A giudicare dal posto in cui si trova l’abitazione della famiglia e dalla descrizione della persona scomparsa, Dean non ha bisogno di sentire pronunciarne il nome per capire di chi si tratta. «Cazzo!»
Anche Ellie porge l’orecchio in quella direzione e lo guarda «Credo che sia proprio questa la svolta che cercavi».
 
*
 
La casa di Kevin Dion non è molto grande, tutt’altro: è la dimora umile di chi fatica a campare. Le travi di legno del soffitto che sembrano voler cedere da un momento all’altro, la cucina vecchia e il forno che ha lo sportello che stenta a chiudersi per bene, il camino che sbuffa fumo con difficoltà. Dean ora capisce cosa intendeva quel ragazzo semplice e gentile quando parlava della sua famiglia, quando diceva di voler comprare una nuova casa con i soldi che aveva vinto a quella fortunata lotteria.
 
Non appena hanno sentito quel comunicato, lui ed Ellie si sono vestiti da agenti – ognuno nelle rispettive stanze, non sia mai che debbano mischiarsi troppo – e sono corsi ad interrogare i genitori di quel ragazzo ed improvvisamente tutto gli sembrava aver preso un senso nuovo: suo padre non l’ha mandato qui a Westwego per allontanarlo dalla sua strana missione californiana, l’ha spedito in questo posto perché aveva sentito la puzza di qualcosa che faceva al caso loro e Dean l’aveva capito, se lo sentiva nel profondo delle viscere, ma non aveva ancora trovato le prove sufficienti per dimostrarlo.
 
Si siede su una delle sedie sgangherate, accanto ad Ellie che non ha detto una parola da quando hanno sentito di quella storia. Non ha voluto sapere niente su Kevin perché aveva letto tutto in quei dannati fogli e c’è mancato poco che prendesse la macchina – anche se a chiamarla così le si fa un grosso complimento – che le ha prestato Bobby per andare dove dovevano da sola.
 
Dean non l’aveva notata prima, ma è una vecchia Volvo sessantasei rossa, uno di quei catorci che solo Bobby può ancora tenere nella sua rimessa. Di certo è sicura – se non ha abbandonato Ellie dopo che si è fatta a occhio e croce più di duemila miglia [5] per raggiungerlo è davvero affidabile –, ma nessun veicolo è migliore della sua bambina e Dean ha insistito per prendere lei. Non ha senso andare nello stesso posto con due macchine, è solo uno spreco di benzina ed un’incazzatura che vorrebbe evitare volentieri.
 
Per tutto il tragitto, comunque, lei è rimasta in silenzio. Chissà che diavolo le passa per la testa, anche se è sicuro che quella di Ellie non è rabbia per quella stupida battuta o qualcosa di simile. Forse non gli parla per partito preso, o perché non vuole distrarsi dal caso o chissà. Dean non ha tempo di rifletterci adesso, ha ben altro a cui pensare.
 
Incrocia le dita delle mani tra di loro, allungando appena le braccia sul tavolo «Signora, quando è stata l’ultima volta che ha visto suo figlio Kevin?»
 
La madre del ragazzo – una donna di colore piccola e grassottella, con i capelli pieni di treccine e gli occhi lucidi – lo guarda preoccupata. «Prima che andasse a scuola, ieri mattina. Ha preso la merenda e lo zaino e se n’è andato, come ogni giorno» tira su col naso e porta le mani davanti alla bocca, un fazzoletto bianco ben stretto tra le dita.

Il rumore della penna che Ellie sta usando per appuntare ogni cosa nel suo taccuino – come Dean l’ha sempre vista fare – è l’unica cosa che rompe il silenzio calato nella stanza. Poi lei prende fiato «Mi scusi se glielo chiedo, ma è solo un ragazzo e devo domandarlo: c’è… non so, qualche motivo per cui Kevin non sia tornato a casa? Magari avete litigato e voleva fuggire o—»
La donna scuote la testa decisa «Non fa niente, ma comunque no, è sempre stato un bravo ragazzo, senza nessun grillo per la testa» tira ancora su col naso e abbassa gli occhi per un istante. «Glielo avevo detto di non raccontare a nessuno di quella storia dei soldi. A… a nessuno doveva d-dirlo. Invece sono venuti q-qui, a intervistarlo, a f-fargli d-delle domande… e adesso… » stringe forte le palpebre nel chiaro tentativo di trattenere delle lacrime.
Dean sospira appena e poi prende la parola «Glielo riporteremo tutto intero, signora. Glielo garantisco» la guarda negli occhi lucidi e scuri e ci crede davvero a quello che ha detto, perché, qualsiasi cosa Kevin abbia combinato – a patto che sia davvero colpa sua – non merita di morire o di cacciarsi in guai seri. Dean sa di essere bravo a giudicare le persone ed è assolutamente certo che quel ragazzo sia una brava persona e farà di tutto pur di riportarlo sano e salvo alla sua famiglia.
Sente lo sguardo di Ellie su di lui, ma non le dà importanza. Lei parla ancora «Per che ora lo aspettava a casa, ieri?»
«Dopo cena».
«Frequentava un corso extrascolastico? O magari qualche sport… »
«No, era a studiare da una sua amica. Per questo non mi sono preoccupata quando non è rientrato nel pomeriggio… oggi avevano il c-compito in classe».
«Può dirci il suo nome?»
«Jennifer… Jennifer Hamford, è una sua compagna».

Dean sbatte le palpebre un paio di volte. Ascolta distrattamente Ellie chiedere altre informazioni su quella ragazza, se i due sono fidanzati o semplicemente amici e che tipo di rapporto hanno e Dean non presta troppa attenzione perché sa che finalmente ha trovato la scusa per interrogare quella ragazzina. Adesso non ha più dubbi: lei ha sicuramente a che fare con questa storia.
 
[1] Citazione dal “Pilot”: le parole che pronuncia Ellie sono le stesse che Sam ha detto a Dean quando è andato a cercarlo a Stanford e la risposta che le dà Dean è la stessa di quel dialogo.
[2] Nell’episodio 1x09 “Home”, prima che Sam lo convinca per via delle visioni che ha avuto sulla proprietaria di quella che era la loro casa a Lawrence, Dean afferma di aver giurato che non avrebbe mai più rimesso piede in quel luogo. Poi, i fatti lo hanno smentito perché è andato comunque a controllare.
[3] Theo Robinson è uno dei personaggi della sitcom I Robinson, mentre l’ultimo dei Crawford, Richard, è il più piccolo dei figli della numerosa famiglia protagonista di Otto sotto un tetto.
[4] Per chi non lo sa, Mufasa era il padre di Simba nel classico Disney Il Re Leone.
[5] La misura più utilizzata per le lunghe distanze negli Stati Uniti è il miglio ma, convertendo quella cifra nel nostro sistema di misurazione, risulta che Ellie ha percorso per la precisione 4168 chilometri per arrivare fino a Westwego (Louisiana) partendo da Buckley (Washington).
  
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