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Autore: serClizia    29/10/2015    1 recensioni
UARK, University of Arkansas, detta più comunemente l'Arca.
Clarke sta studiando per diventare medico, è parte importante della confraternita delle Theta Beta nonché figlia dell'illustrissima ex-alunna Abby Griffin, ora chirurga di fama nazionale. Alla UARK ci sono feste, matricole da controllare, etichette da rispettare. Quest'anno, però, la Prima Festa Primaverile non va come dovrebbe andare, e Clarke avrà bisogno di tutto l'aiuto possibile. Anche di quello di un irritante e altezzoso sconosciuto di nome Bellamy.
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Raven

“Che giornata di merda.”
Wick mi lancia un’occhiata di traverso dall’altro lato del tavolo, mentre si sta rimettendo la camicia nei pantaloni. “Sono andato così male?”
“Cosa? No, non stavo parlando di te,” fisso il buco su di una delle mie magliette preferite, dev’essere rimasta impigliata in qualcosa mentre me la toglievo. Ci entra perfettamente l’indice, e ripararla con ago e filo è inutile. È praticamente al centro del petto, si vedrebbe benissimo.
Wick finge di guardare un orologio invisibile sul polso mentre mi raggiunge dalla mia parte. “Cinque secondi e già stai pensando ad altro? Sono offeso.”
“Come ti pare,” lancio la maglietta sul tavolo da lavoro e ci appoggio sopra le mani, è ancora tiepido, impregnato del nostro calore. “Oggi mi è caduta una fialetta, ora questo… è una giornata di merda.”
Mi cinge con le braccia da dietro. “Spero di essere riuscito ad allietartela almeno un po’.”
Lo fulmino con lo sguardo, ma la mia testa si muove da sola e gli si poggia sulla spalla. È calda, è comoda.
“Guarda che interessa anche te. È il progetto per cui tecnicamente dovresti lavorare anche tu, se non fossi troppo impegnato a mettermi le mani addosso.”
La presa sui miei fianchi si fa più salda. “È la prima volta che ti sento lamentare delle mie mani.”
Abbasso lo sguardo sulle dita – che sono intrecciate alle mie, quando è successo? – e, in effetti, sono un paio di mesi che mi hanno affibbiato Wick al laboratorio e non mi ha dato mai modo di lamentarmi.
Certo, i primi tempi era un dito nel culo impossibile. Un ingegnere, mi hanno assegnato un ingegnere, capito? È tipo… l’insulto peggiore da fare ad un fisico. Piuttosto la morte.
Era insostenibile cercare di parlare con lui, non c’era conversazione in cui non arrivassi ad un passo dal mettergli le mani addosso.
Finché non l’ha fatto lui, e non come avevo pensato io. Decisamente non come avevo pensato io.
“Sì, beh… hai capito cosa voglio dire. Università, crediti, ricordi?”
“Impossibile da dimenticare. Grazie a questo progetto ho passato i due mesi più belli della mia vita.”
E in un attimo, con due frasi, deve rovinare tutto.
Mi stacco dal tavolo e da lui, sistemandomi la coda per avere qualcosa da fare con le mani.
Non mi fermo a registrare la sua espressione, perché ho paura di quello che potrei leggerci sopra, e mi rinfilo la maglietta. Non voglio che si attacchi a me. Non è quello che cerco, e non ho più intenzione di continuare a ricordarglielo.
Comincio a prendere dei pezzi a caso che abbiamo spostato o fatto cadere a terra, e rimetterli a posto. Sento arrivare il silenzio a quel punto in cui qualcuno deve romperlo per dire qualcosa.
Mi volto a guardarlo. “Devo vedermi con Clarke.”
Alza le mani, le spalle, ed annuisce. Forse una punta di delusione? Un motivo in più per muovermi a raccogliere la borsa e le mie cose. Mi fermo a lanciargli un’occhiata dalla soglia.
“Non far cadere nulla,” gli indico le fialette nel minifrigo sull’altro tavolo, quello off-limits, pieno di cose importanti. Torna a sorridere, ed è una cosa minuscola che posso fare per lui, ma almeno questa posso farla. “E ricordati di chiudere.” Annuisce di nuovo.
Sparisco con un ‘a domani’, che è la promessa di altro sesso che ormai non posso più negare a me stessa di aspettare con trepidazione.




**



Clarke mi aspetta al tavolino di legno piazzato fuori dallo Starbucks del campus.
La sua sedia scricchiola quando si alza per salutarmi con un abbraccio veloce.
Ha già una tazza di caffè tra le dita, e sembra… scombussolata. Il cappotto blu non è tutto abbottonato, la sciarpa bianca e nera intorno al collo come se la fosse tirata semplicemente addosso invece di annodarla, i capelli acconciati in una coda disordinata. La perfetta Theta Beta non è per niente perfetta, stamani.
Mi siedo di fronte a lei, più preoccupata del suo stato che dalla necessità di ordinare il mio caffè.
“Stai da schifo.”
Clarke sta sorseggiando il suo macchiato e sembra risintonizzarsi con me solo adesso, come se ogni azione compiuta finora l’avesse fatta senza prestare veramente attenzione.
“Uh? Non ho dormito.”
Appoggia la tazza e si asciuga il mento con la manica. Ecco, questo – e il fatto che sono qui da due minuti e ancora non abbia commentato il buco sulla mia maglietta – fa alzare il livello di preoccupazione oltre il normale consentito.
“E qualcosa mi dice che non è per l’esame di domani?”
Scuote la testa, anche se si sistema meccanicamente una ciocca dietro l’orecchio, come se il pensiero dell’università le abbia risvegliato quella parte del suo inconscio che appartiene alle confraternite.
“No, è per tutto questo casino con le matricole…”
Lo stomaco mi si contrae un po’ per il senso di colpa. Avrei dovuto aiutarla, e ho continuato a dirmi che se avesse voluto il mio aiuto in quelle ronde mi avrebbe chiamato quando ne avessero fatta una, ma la verità è che ho semplicemente ignorato la cosa, troppo presa a pensare al mio laboratorio, a Wick…
Un motivo in più che mi rassicura di aver preso la decisione giusta a voler mantenere le distanze.
Una persona non può farti abbandonare la tua migliore amica nel momento del bisogno. È una pazzia, non sono mai stata quel tipo di ragazza, di essere umano.
Vorrei dire qualcosa, ma ogni scusa che mi venga in mente è vuota e priva di sostanza.
“Scusami,” butto lì all’improvviso. Ho la strana capacità di decidere di non fare una determinata cosa e poi qualcosa più forte in me prende la decisione opposta. “Sono stata un’amica di merda, a lasciarti affrontare tutto questo da sola.”
“Cosa?”, Clarke sembra sorpresa, e mi sento ancora più in colpa. Conoscendola, non l’ha vista come una pecca da parte mia; come minimo non mi ha chiamata per qualche motivo a me sconosciuto. “No, di cosa stai parlando? Non ti ho più detto nulla io. Pensavo avessi già abbastanza da fare con i tuoi progetti eccetera, per passare delle notti in bianco per questo. E poi, non sono sola.”
Come volevasi dimostrare. Non ho mai conosciuto nessuno che si dia così completamente agli altri senza un ritorno personale come fa lei. È una cosa dolcissima e snervante allo stesso momento.
Mi sembra le si siano arrossate leggermente le guance, ma forse è solo il calore che sale dalla tazza? A proposito, segnalo una matricola mingherlina che lavora lì di portarmi il mio cappuccino. Comunque, decido di indagare.
“Non sei da sola, nel senso che Bellamy ti sta facendo buona compagnia?”
Annuisce, e deve notare il mio sorriso a tutta bocca perché si affretta a continuare.
“Cioè, mi sta aiutando in questa questione. Non mi sta facendo ‘buona compagnia’, okay?”, mima le virgolette con le dita in aria. Le viene un gesto un po’ goffo, con la tazzona dello Starbucks in mano.
“Mh, è un peccato. Bellamy è un bel pezzo di manzo. Scommetto anche che ci sa fare. Avrà avuto molte ragazze uno così, no?”
“Oh, Dio, Raven. Delle ragazze che sono state assalite, ed è di questo che vuoi parlare?”
“Scusa, hai ragione,” ridacchio. “Mi faccio distrarre facilmente dai bei ragazzi, a differenza tua.”
“Ho notato,” bofonchia dietro il bicchiere.
“Come? Cos’era questo commento acido passivo-aggressivo? Puoi ripetere?”, sto continuando a sorridere, perché anche quando fa così, non riesce a non essere adorabile, tutta sulla difensiva.
Sospira. “Scusa, come ti ho detto, non ho dormito. Sono un po’ irritabile.”
“Non c’è problema, principessa. Allora,” incrocio le braccia. “Ci sono novità nel caso? Aggiornami.”
Il ragazzo mingherlino arriva con la mia dose di caffeina mentre Clarke ha già cominciato a raccontare, e sono grata di aver qualcosa tra le mani che mi imponga di non cominciare a menare ogni essere di genere maschile che ci passi accanto.


**




Clarke mi ha convinta, senza alcuna ombra di dubbio, che analizzare un campione di sangue rubato da una delle ragazze assalite è una buona idea. Non so esattamente quando è successo.
Forse è colpa di quelle occhiaie, del suo aspetto trasandato. Se commettere un furto che potrebbe farci espellere tutti, la farà dormire meglio la notte, così sia. Non ho nemmeno fatto in tempo a dire di sì che ha tirato fuori il cellulare per scrivere a Bellamy.
Mi pare che si stiano scrivendo un po’ più spesso.
La guardo mandare un messaggio tutta concitata e mettere giù il telefono con un’espressione serissima. “Sta arrivando.”
“Come, di già? Ce l’hai proprio al guinzaglio. Ben fatto, ragazza!”
“Finiscila. Non è di turno e sa quanto sia importante questa situazione, a differenza tua.”
Sventolo una mano nell’aria. “Come ti pare. Vedi di non metterci troppo a deciderti, qualcuno potrebbe batterti sul tempo.”
Clarke rotea gli occhi e non aggiunge niente. Lo so cosa sta pensando, che non le interessa, che ci può arrivare chi vuole a lui, lei è troppo superiore a queste cose. Ok, questo non credo l’abbia pensato, è semplicemente il messaggio che arriva quando parla in quel modo.
E anche se so perfettamente che non è quello che intende, è impossibile non sentirglielo dire, e immaginarla con la sua posa un po’ altezzosa, con le labbra strette. Si è guadagnata il titolo di Principessa mica per niente, d’altronde.
Bellamy arriva dieci minuti dopo in groppa al suo cart bianco, gli mancano solo l’armatura e la spada.
Anche se è un po’ tetro e imbronciato come personaggio, forse non è proprio il classico eroe, il classico principe che salva la principessa. Forse è il drago.
Clarke lo osserva parcheggiare, avvicinarsi al nostro tavolo, e il sorriso che gli rivolge quando lo saluta non è uno di quelli che hai mai riservato a Wells, Jasper, Monty – o a me, per quel che vale.
Alzo il palmo per salutarlo quando finalmente si decidono ad includermi nel quadretto attuale – sul serio, chi si fissa per più di due secondi quando si saluta? – e lui decide di reciprocare con un cenno del capo.
Si accomoda sulla sedia a sinistra, tra me e Clarke, le mani infilate a fondo nelle tasche del bomber.
La pioggerellina lieve di oggi gli ha inumidito i capelli. È figo da morire. Ancora non mi sembra umanamente possibile che Clarke non se lo sia fatto, deve avere qualcosa che non va in quel principesco cervello.
“Qual è la proposta?”
Conciso e dritto al punto. Mi piace.
Clarke sembra rimestare i pensieri, come se non fosse sicura di come vendergli l’idea nel modo giusto.
“OK, te la faccio breve,” intervengo. “Hai o non hai un tizio che ha un padre nella polizia?”
Bellamy lancia uno sguardo veloce a Clarke prima di tornare su di me ed annuire.
“E questo tizio può usare questo rapporto per intrufolarsi e rubare un campione di sangue di una ragazza?”
“Un cosa?”
Sembra allarmato. Non lo biasimo, lo ero anche io quando Clarke mi ha fatto questo discorso.
“Possibilmente dell’ultima vittima,” Clarke si sbriga ad intervenire. “Perché è più fresco.”
“Siete impazzite? Non siamo in un film di James Bond!”
“No, lo so…”
“E poi cosa, lo mandiamo alla CIA per analizzarlo? All’FBI? Hai perso completamente il cervello, Clarke?”
“Ce lo abbiamo un laboratorio,” mi indica. “Raven. Fisica. Ricordi?”
Il principe che sembra sempre di più un drago s’incupisce. Probabilmente valuta i pro e i contro della situazione. “Mi stai seriamente chiedendo di mandare un criminale a rubare dalla polizia, per condurre un esperimento illegale nel laboratorio della tua amica?”
“Un’analisi. Per salvare altre ragazze. E poi, hai un piano alternativo?”
Faccia da drago irritato.
“Ti basta girare in tondo come degli idioti senza trovare mai niente, salvare nessuno?”
“Va bene,” sbotta. “Non ti prometto che Miller dirà di sì.”
Clarke sorride. “Sono piuttosto certa che lo farà.”



**



Dopo che Bellamy se n’è andato, abbiamo parlato di quanto Clarke dovesse tornare a studiare per domani, di sua madre, di Jasper e Monty e del loro ultimo esperimento che ha quasi fatto saltare il loro laboratorio – idioti – di Wells che non sente da giorni nel suo isolamento pre-studio, di Maya che è il solito dito in culo (perché continui a stare con quelle oche è una cosa che non capisco, almeno si trovasse una confraternita più adatta a lei), e del ritratto che mi sta facendo quando non sta studiando.
Ne ho una collezione nella mia stanza, sono sicura che l’ultimo sarà anche meglio dei precedenti… sta migliorando sempre di più. Certo, sono di parte quando si tratta di lei, e non ho la capacità tecnica di sapere se un disegno è davvero bello, visto che le mie mani sono tanto buone in un laboratorio quanto inutili con foglio e matita, ma… sono certa che lo sia.
Credo anche che abbia vinto dei premi alle superiori, e cose del genere.
Ha anche cercato di farmi domande su Wick, di nuovo. Sembra incapace di accettare la realtà dei fatti tanto quanto lui. Mi preparerò un cartello da mostrare a tutti ogni volta che tireranno fuori l’argomento: “È solo sesso.”
Buon sesso, chiaro, anzi… ottimo. Ma rimane solo quello.
La fantasia della ragazzina che si trova il fidanzato e vivranno insieme felici e contenti per sempre, l’ho abbandonata da tempo, e devo ringraziare Finn per questo. Ringraziare nel vero senso della parola, è stata una secchiata d’acqua sulla realtà ma è appunto la realtà, e mi ha fatto aprire gli occhi.
Con Clarke invece è diverso, lei ha bisogno di credere nella favola, da brava principessa. Io, al limite, sarei la sorella cattiva.
E ora, cinque giorni dopo, sono in piedi nel mio laboratorio con un campione molto molto rosso in mano.
Non ci avevo affatto pensato, che questo è vero sangue. Persino Clarke, quando è passata a consegnarmelo, non aveva per niente un’aria principesca.
A quanto ho capito, Miller ha finto un appuntamento a pranzo con il padre dentro la stazione, ha finto di andare in bagno ed è entrato nella stanzina delle prove. Per nostra fortuna, è tutto etichettato e facile da trovare, non ci sono allarmi data la bassa percentuale di crimini da queste parti, e la possibilità di sbagliare e prendere un campione di un’altra persona era veramente esigua.
Il nome è sull’etichetta comunque, quindi siamo piuttosto sicuri che non sia quello sbagliato.
Lo sto guardando anche adesso, e ticchetto con le unghie sul rettangolo bianco di carta appiccicato al vetro.
Emily Kyle, Jr. 19 anni. Non vorrei proprio essere te, ragazza.
Sento la porta aprirsi; Wick entra, e mi soffermo un attimo ad assorbire l’insieme dei suoi jeans sdruciti, la maglietta bianca, il capello un po’ spettinato e quel pizzetto alla D’Artagnan sul mento. Figo è figo, Clarke dovrebbe fare come me, una volta ogni tanto, e togliersi qualche prurito.
Mi sorride, di ottimo umore perché gli ho chiesto di venire al laboratorio di sera - ‘Due volte in una sola giornata, eh?’ vedo chiaramente il pensiero formarsi nella sua testa – il nocciola dei suoi occhi che si scioglie nel suo sguardo. Ah, non ha proprio idea di quello che sto per dirgli.
“Ottimo, sei qui. Ti ricordi la centrifuga? Bene, ci serve per analizzare il sangue.”
Il sorriso gli vacilla sugli zigomi. “Cosa?”
“La centrifuga. Prendila.”
La verità è che senza Wick non avrei mai potuto accettare di fare questa follia, perché non sono una chimica (a differenza di Gary, il dottorando di Chimica che ci aiuta a preparare i campioni, ma chiamarlo non mi è sembrata un’opzione fattibile), e non ho l’equipaggiamento adatto a questo genere di cose. Il caso ha voluto che il progetto congiunto con Wick richiedesse un po’ di questa attrezzatura. L’unico problema è che io non la so usare.
Lancia uno sguardo alla fialetta rossa e deve intuire che non sto scherzando.
Si acciglia. “Abbiamo avuto degli aggiornamenti dal Professore che non ho ancora ricevuto?”
Appoggio il campione sul bancone e gli scocco uno sguardo scettico.
“Credi sul serio che Wallace, il Rettore della Facoltà di Ingegneria, ci invierebbe un campione di sangue per un progetto sui laser?”
“Sangue.” Si gratta la testa, confuso. “Ok, cosa sta succedendo qui, Raven?”
“Semplice. Dobbiamo analizzare il sangue contenuto qua dentro,” gli sventolo la fialetta davanti al naso. “E vedere se ci sono tracce di droga.”
“Droga,” è sempre più confuso. “Sei seria?”
“Assolutamente.”
“Ha che fare con Clarke, vero? Cosa siamo diventati, una puntata di CSI?” L’espressione scocciata che gli rifilo lo mette di buon umore di nuovo, per qualche motivo. “Sinceramente preferivo l’altro canale, quello in cui i protagonisti facevano sesso.”
“Ha, ci scommetto. Comunque non siamo i protagonisti, tesoro. E ora fa’ il bravo e prendimi quella centrifuga.”
Mi prende il polso, attorciglia le dita tra le mie e se le porta alla bocca per soffiarmi un bacio sul dorso della mano. “Ai tuoi ordini, mia regina.”
Beh, è comunque meglio di principessa.


**


Wick ha attivato la centrifuga per separare le parti del sangue dal plasma o qualcosa del genere, non ho capito bene cosa ha googlato sul telefono 5 minuti fa. Clicca qualche pulsante sul monitor di quell’affare bianco e nero sul bancone di sinistra – quello delle cose importanti, come mi piace chiamarlo – ed è tutto.
“Adesso dobbiamo solo aspettare,” dice. Annuisco piegando le labbra all’ingiù, mentre penso se alla fine non possiamo fare quello davvero per cui pensava di essere venuto. Se si parla di ammazzare il tempo, quale modo migliore di un po’ di sano sesso? Riporto lo sguardo su di lui; deve aver pensato la stessa cosa, glielo leggo negli occhi. In un attimo siamo uno sull’altro, le bocche che si scontrano, denti, lingua e tutto, palmi che vagano un po’ ovunque da entrambe le parti.
Mi spalmo su di lui, cercando un contatto che si fa sempre più doloroso contro i bottoni dei suoi jeans.
Lo aiuto a disfarsi della maglietta e dell’altrettanto dolorosa cintola che gli stringe la vita.
Quando allungo la mano per sciogliermi la coda, un gesto che compio sempre, mi blocca il polso. Stringe l’elastico tra le dita e me lo toglie con lentezza, i capelli che mi ricadono sulle spalle, frusciando. Il suo respiro è forte sulle mie labbra, di cui si riappropria un attimo dopo.
Mi sembra ci sia qualcosa di diverso nel modo in cui mi toglie i vestiti, ed è una cosa che ho notato da un po’ di tempo a questa parte. Ogni giorno ci mette sempre un qualcosa di più, un piccolo gesto, uno sguardo, una carezza più lenta, che nel grande schema delle cose si vanno a perdere ma che adesso sto mettendo insieme come pezzi di un puzzle.
Il cuore mi pulsa nelle orecchie, vorrei non sentirlo, e contemporaneamente non vorrei sentire nient’altro.
Sto quasi per reciprocare con un gesto carino, ma mi riacciuffo prima di farlo. Non sono neanche capace di tirarmi indietro o dirgli di smettere, quindi lo lascio prendere il comando. Non c’è niente di strano, ogni tanto succede. Ogni tanto è lui a dirigere l’orchestra. Spero solo non senta quanto sia forte il mio battito, e se lo sente, spero lo attribuisca più al movimento fisico.
Mi lascio prendere in braccio, le mie gambe avvolte ai suoi fianchi, e appoggiare sul tavolino. Mi fa scendere a contatto con il metallo freddo lentamente, baciandomi la gola, una mano sul petto.
Una scia di baci mi accappona la pelle, sulla pancia, sui fianchi, mentre mi fa scivolare via gli slip.
Incrocio una mano dietro la nuca e con l’altra mi aggrappo al bordo, mentre si concentra a darmi piacere, in ginocchio.
I movimenti si fanno più serrati, infilo le dita tra i suoi capelli – e registro vagamente le sue intrecciate alle mie sul bordo, che districo per unirsi alle altre, affondate nella sua testa, al momento dell’apice.
Quando si rialza, alto, eretto, gli occhi pieni di ombre di desiderio, non dico nulla, non faccio nulla, solo non distolgo lo sguardo mentre si arrampica sul tavolo e su di me, e siamo una cosa sola.
Vorrei poter dire che dura tanto, tantissimo. Vorrei saper dire se dura poco. A me sembra che sia durato per sempre, ma in verità non ne ho idea. So che tiene gli occhi fissi nei miei per tutto il tempo, che stringe ciocche di miei capelli tra le dita. Non so più se lo sto facendo per me o con lui, e l’orgasmo che risale su per la colonna vertebrale mi riverbera nel cranio.
Ma non ha ancora finito. Mi prende per i fianchi e ci fa scivolare sulla superficie del tavolo; mi stringe a sé quando tocca di nuovo coi piedi per terra. Seduta, con le cosce di nuovo affusolate intorno alla sua vita, le braccia incrociate intorno al collo – le sue invece sul sedere, che invitano i miei movimenti contro ai suoi.
Lo guardo contrarre la mascella ad ogni spinta – occhi negli occhi, sempre – la presa stringersi ad ogni respiro, finché non collassa sul mio collo, ansimante, concluso.
A questo punto di solito si stacca da me. O meglio, lo faccio staccare da me, con una parola, un gesto, o spingendolo via con delicatezza dal mio petto.
Questa volta non lo faccio. Probabilmente sto diventando un po’ troppo tenera dentro. Anche perché lo sto stringendo, le braccia intorno alla sua schiena. Nemmeno lui si muove, il respiro che piano piano si regolarizza insieme al mio. Forse mi stringe appena un po’ di più.
Dovrei sentire la familiare sensazione di costrizione, ormai. Di panico, di fuga, quella che mi assale quando si sofferma più del dovuto su una carezza, un abbraccio, un tocco. Non sento niente di tutto ciò.
Non sento nemmeno nient’altro. Mi sembra di essere in completa sintonia con me stessa, in una specie di calma zen in cui non sento né cose positive né negative, solo una quiete esistenziale perfetta.
Wick scioglie l’abbraccio per portare le dita alle guance, accarezzandole col pollice.
Sono quasi certa che stia per lasciarmi un bacio fugace sulle labbra, ma non lo fa. Non lo ha mai fatto.
Appoggia la fronte sulla mia per qualche istante, prima di staccarsi e cominciare a rivestirsi.
Scendo dal tavolino e lo imito, cercando intanto dei fazzoletti nella tasca dei jeans mentre li infilo.
Sto ancora saltellando su di una gamba mentre lui va a controllare la centrifuga. Clicca qualche pulsante, controlla il monitor. Si infila le mani tra i capelli, sembra a disagio quanto me.
Di nuovo vestiti, ci guardiamo. Non siamo mai stati così prima d’ora, senza sapere cosa dire dopo aver fatto sesso. Tornare alla nostra routine è sempre stato facile come rimettersi la maglietta.
Cosa c’è di diverso, adesso? Mi sono tradita in qualcosa? Forse è stato l’abbraccio. Sto ancora cercando di capire se me ne pento o meno, quando sento una specie di suono sibilante - di cui entrambi cerchiamo di individuare la fonte guardandoci intorno. Comportamento standard degli scienziati in laboratorio, cercare il problema che potrebbe mandare all’aria tutto l’esperimento e aggiustarlo subito.
Non era previsto che la stanza si riempisse di fumo in un istante, e che un’esplosione sorda risuonasse tra le pareti, mandandomi a sbattere contro l’attrezzatura.
“Ma che cazzo…”
“Raven!”
Wick è accanto a me, anche se immerso nel fumo e qualche altra roba che fluttua nell’aria – probabilmente resti del nostro progetto, realizzo con orrore. Il laboratorio è ridotto ad un disastro e un fischio mi rimbomba nelle orecchie come un’eco.
Ho la gamba incastrata sotto qualcosa, un pezzo del muro… un pezzo del fottutissimo muro!
Wick sta cercando di liberarmela.
Sto ancora aspettando che arrivi il dolore, lo shock mi sta tenendo l’adrenalina alta. Riesco a ragionare come una scienziata nonostante le circostanze, il che dev’essere un bene. Soprattutto visto che non mi ero ancora accorta del fuoco. Alle spalle di Wick, lambisce tutto, brucia ogni cosa, fa scoppiare ogni fiala o contenitore di vetro. Gli afferro un braccio.
“Non lasciarmi qui.”
“Nemmeno per sogno.”
Riesce a fare leva con qualcosa che mi sembra sia un pezzo della gamba del tavolo, e sono libera. Mi prende in braccio, la damigella in difficoltà per antonomasia. Non credo che riuscirei a camminare, in ogni caso, quindi me ne sto zitta e mi lascio salvare.
Nel prato davanti all’entrata della Facoltà mi mette giù, tira fuori il cellulare e chiama i soccorsi.
Seduta sotto le stelle, guardo il resto del mio laboratorio bruciare.
Che giornata di merda.


Note dell'autrice:

Ciao a tutti, benritrovati.
È stata una lunga attesa, spero ne sia valsa la pena. Ho avuto un blocco dello scrittore non indifferente, su questa storia.
Mi sono venute fuori delle altre scene e /cose/ da inserire nella trama, e non sapevo come unirle alla roba già pianificata, quindi sono andata in panico. Una di queste è proprio l'incendio al laboratorio di Raven: non era previsto nella stesura originale.
Ho appena finito di scrivere, quindi perdonatemi eventuali errori, ma non vedevo l'ora di pubblicare e farvi andare avanti con la storia di questi piccoli adorabili testoni.
Per quanto riguarda Raven, gli esperimenti e i laboratori, ho consultato una mia amica che lavora per il Cern per cercare di essere più fedele alla realtà possibile (anche solo al fatto se sia vero che una studentessa di Fisica non sappia usare una centrifuga) (Spoiler alert: lo è), e spero di aver fatto un buon lavoro; se qualcuno di voi è uno scienziato e vede degli strafalcioni mi perdoni, ho anche googlato cose assurde di Biofisica e Ingegneria... Se questo fosse un romanzo, giuro che mi sarei informata più a fondo, ma per il momento non posso fare meglio di così XD

Per quanto riguarda la scena hot *^* spero di non aver fatto un casino. Volevo inserire questa canzone, ma non mi sembrava del tutto adatta al contesto. Allora l'ho messa come titolo del capitolo. Solito genio del male, niente di nuovo sotto il sole...
Che altro... ah sì, AMATEVICAZZO.
Alla prossima (giuro che non vi farò aspettare più così tanto),
ser
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