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Autore: lapoetastra    29/10/2015    2 recensioni
La paura è veleno, in guerra.
Tutti la sentono, ma non la mostrano.
È distruttiva e contagiosa.
Un soldato lo imparerà a proprie spese.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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In guerra la paura è veleno.
Tutti la provano, ma non la mostrano.
Non devono.
È distruttiva e contagiosa.
Anche io sto cercando di non lasciarmene impadronire, ma non credo di farcela.
Non riesco a smettere di tremare, e sento che sto per piangere, nonostante non abbia più lacrime, ormai, tutte disperse sulla morbida stoffa del mio cucino, quando la notte, lontano da occhi curiosi ed orecchie indiscrete, mi lascio andare alla disperazione assolutizzante che grava come un macigno sul mio cuore sin dall’inizio della giornata, quando le bombe esplodono senza sosta tutto intorno a me, ed i nemici sono ovunque, con le armi spianate e l’odio dilagante in corpo.
Non devo avere paura, mi ripeto senza sosta.
I colpi di mortai ancora sconquassano la morbida carne dei miei compagni, che cadono accanto a me l’uno dopo l’altro come tessere di un domino incessante di morte e dolore.
Ripenso a quando ero piccolo, e giocavo con un gruppo di soldatini regalatomi per il mio settimo compleanno.
Disponevo quei piccoli uomini di plastica in una fila perfetta, e poi ci passavo sopra con una macchinina che immaginavo fosse un carro armato, ridendo divertito e spensierato.
Ed adesso sono qui, e non sono felice, e non sorrido neanche più. Non trovo le forze per farlo.
Il nostro capitano di battaglione ci ha sempre ripetuto di non mostrare il terrore che ci assale sul campo di battaglia, bensì di lasciarcelo scivolare addosso come fosse acqua corrente, che bagna ed infreddolisce ma non permane, né tantomeno penetra.
Vorrei scrollarmi di dosso anche io questo mantello scuro ed opprimente che mi impedisce di respirare, ma il suo morbido tessuto si sta trasformando sempre più velocemente in una cotta di ferro, impenetrabile, e mi sembra di essere rinchiuso in una gabbia senza via di uscita, perché la chiave mi è preclusa.
Gemo, piano, e mi tappo subito la bocca con forza, imbarazzato della mia pavidità.
Respiro profondamente e finalmente ritrovo il controllo di me e delle mie emozioni.
Il dottore del nostro plotone mi si avvicina, ed il suo viso scabro ed occhialuto entra nel mio campo visivo, facendomi sussultare impercettibilmente, quanto mi concedono le poche forze che ancora mi sono rimaste fedeli e non mi hanno abbandonato.
Sento le sue mani posarsi sul mio ventre, ed il sangue degli altri feriti si mischia con il mio, creando una tavolozza scura sulle sue dita bianche, che cercano in qualche modo di aiutarmi e, se possibile, di salvarmi.
Io tremo, sotto quei tocchi gelidi e dolorosi, eppure allo stesso tempo estremamente delicati, come se il dottore stesse sfiorando delle corde di violino, e non delle budella scure e dense di un uomo che è in procinto di partire per il suo ultimo viaggio, di cui dispone di un biglietto di sola andata.
Lo guardo, e leggo nei suoi occhi lucidi ed appena un po’ sporgenti, dietro le spesse lenti da miope, qualcosa che non è altro che la paura, pura e semplice, in tutta la sua forza devastante e distruttrice.
Capisco, allora, cosa voleva dire il capitano, quando aveva detto che la paura è veleno, in guerra, perché si diffonde rapidamente dall’uno all’altro uomo come un virus letale di cui non esiste cura.
Io ho sempre cercato di controllare i miei sentimenti, non per me, ma per gli altri, per i più fragili e delicati, però adesso, nel vedere le pupille del dottore dilatate mentre fissa la carne squarciata che costituisce quello che una volta era il mio stomaco, e nel sentire il suo respiro ansante, percepisco distintamente quell’esile muro della mia anima crollare rovinosamente in mille pezzi, lasciandomi completamente esposto al terrore più travolgente che abbia mai provato.
Come una reazione a catena, non posso evitare di mostrare anche io la paura che mi dilania ferocemente dall’interno, e la mia maschera di insensibilità freddezza, costruita con tanta fatica ed impegno, si scioglie come cera al Sole d’Agosto.
Mi guardo intorno, per cercare di calmarmi, ma l’unica cosa che faccio è incrociare lo sguardo di un ragazzino, uno dei nostri, uno dei buoni, che è stato fin dall’inizio sempre sull’orlo di una crisi di nervi.
Distolgo subito i miei occhi dai suoi, ma sento chiaramente che anche lui è stato contagiato dal morbo mio e del medico.
Lo scruto brevemente di nuovo, e noto, come sospettavo e temevo, che la paura si è impossessata anche del suo animo puro, facendolo diventare folle, facendolo diventare consapevole dell’orrore in cui si sta trovando, a cui forse, prima, non aveva mai pensato davvero.
Quando il buio cala su di me, lo accolgo con piacere, come un vecchio amico che per troppo tempo si è fatto attendere, ma che finalmente è giunto, portando con sé la promessa infrangibile di non lasciarmi mai più.
Ringrazio il Cielo, che mi ha regalato tale dono, perché l’oscurità che mi sta avvolgendo non solo dissolve il dolore, ma mi chiude anche gli occhi, impedendomi di vedere il veleno, con cui già ho distrutto il mio innocente e coraggioso compagno, dilagare tra gli altri uomini, rapidamente ed incessantemente.
Ed adesso loro, dominati unicamente dalla paura che fa perdere la concentrazione e la freddezza necessaria per vivere, non sono poi molto diversi da quei soldatini di plastica con cui mi divertivo da piccolo, in un’epoca felice, lontana e perduta per sempre.
   
 
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