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Autore: claws    29/10/2015    2 recensioni
Quando erano piccoli ed erano ancora tutti e tre insieme, però, Sabo non sapeva tutti i trucchetti che ora conosce, li ha imparati col tempo e li ha affinati sulla pelle dei suoi due fratellini. Da questo punto di vista Rufy ed Ace sono stati un po’ le sue cavie, ma non gli hanno mai rinfacciato nulla – non che ne abbiano mai avuto il tempo, negli ultimi dieci anni.
[ASL][≈1450 parole]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: ASL, Monkey D. Rufy, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'ASL & FOB'
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Penso che potrebbe essere nostalgia, oppure malinconia, oppure affetto,

oppure tanti sentimenti tutti insieme

(devi dividerli usando le dita, altrimenti sono insopportabili)




 

Put your hand between an aching head and an aching world

We’ll make them so jealous, we’ll make them hate us

 






Stare dietro ai propri fratelli non è mai cosa facile, soprattutto quando si parla di persone particolari come Ace e Rufy. Sabo saprebbe dirvi molto a riguardo – ora sa trattare benissimo con i bambini, Koala può testimoniarlo.

Quando erano piccoli ed erano ancora tutti e tre insieme, però, Sabo non sapeva tutti i trucchetti che ora conosce, li ha imparati col tempo e li ha affinati sulla pelle dei suoi due fratellini. Da questo punto di vista Rufy ed Ace sono stati un po’ le sue cavie, ma non gli hanno mai rinfacciato nulla – non che ne abbiano mai avuto il tempo, negli ultimi dieci anni.





 

 

In una sera estiva, quando il caldo era insopportabile, i tre fratellini decisero di trascorrere un po’ di tempo all’aperto, a guardare le stelle. Osservare il cielo di per sè non era difficile: magari era difficile riconoscere le costellazioni, quello sì; magari scoprire di che cosa fossero fatte le stelle, ecco, anche quello era impossibile, per loro. Ma c’era un’altra cosa che era estremamente complicata e richiedeva molto sforzo: era accettare il cielo nella sua interezza.

All’inizio Ace lo guardò senza tanto interesse, ma quando Sabo e Rufy non accennarono a parlare, decise di concentrarsi sui puntini bianchi che luccicavano là sopra; li univa con delle righe immaginarie e si inventava le costellazioni più stupide, ridacchiando di tanto in tanto.

Quando fu notte fonda accadde qualcosa in lui: le stelle non erano più solo stupide lampadine nel cielo, erano diventate degli altoparlanti che emettevano un suono assordante. Era la sua solitudine, che lui aveva ricacciato dentro di sè da quando aveva trovato Sabo e Rufy; aveva trovato di nuovo un modo per farsi sentire dentro al suo cuore. Era come se per ogni battito la consapevolezza di essere solo nella propria testa e nel proprio animo cercasse di fargli scoppiare le arterie.

Quelle stramaledette stelle lo stavano facendo tornare pazzo: erano lassù e gli stavano dicendo che lui era come loro, che lui—lui era solo e non poteva comunicare davvero con nessuno.

Poi sentì un calore inaspettato sulla propria mano. Con lo sguardo risalì dalle proprie dita fino al braccio di Sabo, che gli stava sorridendo. «Ace, va tutto bene?»

Ace non gli rispose subito. Preferì voltarsi dall’altra parte prima di dirgli: «No.»

«Cosa c’è che non va?» Chiese Rufy, lanciandosi – praticamente – su di lui.

«E lasciami, Rufy!»

«Ehi, ehi, ora non litigate,» esclamò Sabo, nel suo tono più diplomatico, «calma. Possiamo aiutarti in qualche modo?»

«Le stelle—non voglio più guardarle. Io me ne vado.»

E stava per alzarsi, sul serio. Ma Sabo fu più veloce. Come Rufy, Sabo gli si lanciò addosso e mise una mano sulla fronte di Ace e l’altra sul suo petto, all’altezza del cuore.

«Vieni, Rufy,» disse poi, «fai come me. Una mano sulla fronte e una sul cuore, come ho fatto io.»

Ace era piuttosto sorpreso – o sconvolto, a onor del vero. Rufy, tutto contento, imitò il suo fratellone biondo, che nel frattempo si era sistemato comodo comodo con la testa al fianco della zazzera scura di Ace.

«Chiudi gli occhi, Ace.»

Ace li chiuse, ma era terrorizzato – e poi Sabo, come al solito, aveva le mani caldissime. Aveva paura perché si sentiva terribilmente scoperto, come quando, a nascondino, lui si mimetizzava come un camaleonte, eppure Rufy riusciva sempre a scovarlo.

«Ace, tu non sarai mai da solo. Certo, ognuno è da solo nei propri pensieri, ma se penserai a Rufy o a me, promettiamo che riusciremo sempre a farti sentire insieme a noi. O mi sbaglio?»

«No, Sabo, non sbagli. È una promessa!» E Rufy ridacchiò, felice. «È vero che siamo tutti soli: come faccio a sapere che il colore che vedi tu è lo stesso che vedo io? Come faccio a sapere se il sapore che sento io è lo stesso che senti tu? Non posso saperlo. Ma sarò qui ad ascoltarti quando me ne vorrai parlare, fratellone!»

«Rufy ha ragione. Quando ti sentirai triste o solo, metti una mano tra te e il resto del mondo e pensa alle persone che ti rendono felice. Ai posti che ti mettono di buonumore. Ai profumi che ti fanno venire voglia di mangiare.»

A tutto quello che ti fa venire voglia di vivere.

Rimasero in silenzio a lungo. Poi Ace mise le proprie mani su quelle dei suoi due fratelli, sul cuore. Prese un profondo respiro che gli fece rivoltare lo stomaco come una tempesta fa capovolgere una nave. «Il mondo fa male,» sussurrò, «non riesco a guardare il cielo e ad essere in pace. Come si fa? Come ci riuscite?»

«Io ci convivo,» rispose Sabo, «ma fa male lo stesso.»

«Nelle stelle io vedo il mare,» rispose Rufy, «e allora penso a quando saremo pirati e saremo i più liberi di tutti. Il cielo non mi fa male!»

«Tu sei solo un bugiardo, il cielo fa male a tutti!»

«Non è vero! Sei sempre così cattivo con me, Ace!» Rispose Rufy, mettendo su il broncio. «E poi è il mondo che è malato, non io! Io non ho la bugigite

Ace non ebbe bisogno di aprire gli occhi per sapere che stava piangendo – che anche Rufy e Sabo stavano piangendo. Non per la tristezza, ma per la condivisione di qualcosa di inesplicabile, che taglia il cuore con un coltello seghettato, che lascia l’amaro in bocca come una chitarra che spezza i suoni a metà.

Quei tre marmocchi, inconsapevolmente, si erano trovati di fronte alla bellezza mozzafiato dell’infinito e all’impossibilità di comunicare perfettamente quello che si prova e si pensa. Non c’è un metodo collaudato per sbloccarsi dallo stallo in cui si cade davanti a un sentimento impronunciabile. Esiste la voce, esiste la musica, esiste la pittura, le arti esistono perché c’è un ingranaggio segreto, nel cuore delle persone, che davanti al mondo intero si inceppa e blocca qualsiasi pensiero razionale. Esiste l’amicizia; esiste il rapporto che Ace ha con Rufy e con Sabo – un rapporto che non ha un nome preciso, ma è fortissimo e trascende ogni difficoltà.

Esistono emozioni che è impossibile definire, in qualsiasi lingua del mondo. A volte si mostrano come una sorta di nostalgia, a volte come struggimento, a volte come feroce mancanza. Si mostrano come una finestra da aprire, che una volta spalancata fa entrare un intero dannato universo nella stanzina del proprio animo, e l’impatto tra un nuovo cosmo e le pareti del proprio io è tale da soffocare il respiro.

Il modo che Rufy e Sabo avevano per sbloccare Ace era fargli sentire che non era da solo – o meglio, che l’essere soli era condiviso da tutti loro.

Piansero a lungo.

«Senti, Ace,» sussurrò poi Rufy, mezzo addormentato, «ma se il cielo ti fa questo effetto, come farai, quando sarai per mare?»

Ace tirò su col naso – odiava piangere. «Non sarò da solo.»

Sabo sorrise e si strinse ai suoi due fratellini.




 

 

Rufy avrebbe incontrato presto i suoi compagni e amici a Sabaody dopo due anni di lontananza. L’idea lasciava l’impronta di un sorrisone sulla sua faccia – con grande gioia di Boa Hancock.

«Sono l’ultimo. Come al solito Sabo e Ace mi hanno lasciato indietro, ma questa volta—questa volta è un bene che io sia ancora qua.»

I suoi due fratelloni erano stati i fratelli migliori che avesse mai potuto desiderare. Gli avevano insegnato così tanti modi per scacciare la tristezza e tutti quei sentimenti malinconici che ogni tanto cercavano di chiudergli la bocca dello stomaco!




 

 

Sì, perché quando Rufy è da solo (quando non c’è nessuno attorno) e sente che qualcosa sta cedendo, che quell’ingranaggio, per colpa del cielo o del mare o del mondo intero che è malato, sta per incepparsi; ecco, allora Rufy mette una mano sulla fronte e una sul cuore e pensa a Ace e Sabo. Pensa a tutti i giorni durante cui ha avuto la fortuna di vivere con loro. Li ringrazia, sorridendo, a volte piange, a volte non ce n’è bisogno, ma riesce sempre a trasformare quel grumo di sentimenti incomprensibili nella voglia di vivere più pura a cui riesce ad arrivare.

Quando Rufy perde di vista se stesso e si trova in un momento di dubbio o di stallo, i suoi due fratelloni riescono sempre a ricondurlo in un angolino sicuro del suo animo: lo acchiappano per i capelli, lo riportano a casa, lo abbracciano e cominciano a dirsi una serie di parole che probabilmente non hanno senso, ma che gli fanno sentire che hanno condiviso insieme tante cose; così tante, al punto che stanno condividendo ancora assieme la nostalgia – benché loro siano morti e lui sia ancora lì, lasciato indietro nel mondo malato dei vivi, malato ma bellissimo.

Ammalato e bellissimo, forse ci sono parole migliori per descrivere il mondo, ma Rufy non le conosce.

















Note Autrice:

Oh, non so come sono arrivata a scrivere questa storia. Cioè, l’ispirazione è stata “It’s Not a Side Effect of the Cocaine, I Am Thinking It Must Be Love”, come al solito dei Fall Out Boy. È una canzone che mi piace moltissimo: sinceramente non so se ho reso giustizia alla voce di Patrick e al testo di Pete, ma pace, questo è venuto fuori, e a me non dispiace.

Il tema dell’incomunicabilità di certi sentimenti è qualcosa su cui ho già ragionato in altre storie (e nella mia tesina, anni fa. La vecchiaia!). Lo trovo estremamente affascinante e difficile. Combinarlo poi con questi tre marmocchi non è facile e temo di scadere continuamente nel banale – in realtà non c’è nulla di banale nei sentimenti, però... è una mia sensazione.

Quello dell’essere da soli nella propria mente è una delle idee alla base dei qualia. Sono concetti molto interessanti – se ne avete voglia, date un’occhiata su Wikipedia o sulla Treccani, credo che entrambe saranno in grado di darvi notizie migliori di quelle che potrei darvi io. C: (Poi io ho una relazione di odio profondo con la filosofia, quindi... non sono una a cui chiedere. Ehm.)

Rufy è una persona adorabile e sa che il mondo è bello perché è avariato.

Spero—spero di avervi emozionato.

Il titolo – il titolo credo che, in qualche maniera, si spieghi da solo. Spero che non abbia spaventato nessuno, sinceramente, visto quanto è lungo, lol.

Grazie per aver letto. C:

claws_Jo




Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

  
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