Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Jess2792    29/10/2015    5 recensioni
Quante volte abbiamo sentito parlare di clandestinità negli ultimi anni? E quante volte ci siamo soffermati a capire, a informarci in modo approfondito? La storia di questa ragazza non è una storia realmente accaduta, ma contiene tratti molto più che reali che molte donne vivono sulla propria pelle.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Tutti alla fine moriamo. Non avrei mai pensato di morire così, però.
Porca miseria! Non avrei dovuto intraprendere questo viaggio. Ecco a dove mi ha condotto, spiaccicata sulle rocce della spiaggia. Beh, almeno vedrò il tramonto. E l’alba. E poi sentirò i gabbiani. Forse poi inizieranno a mangiarmi i gatti randagi, qui in zona ce ne sono parecchi. Ma quando mai mi sono intestardita di fare questa sciocchezza.
Però d’altronde che scelta avevo: morire esplosa sotto le bombe degli Estremisti o fuggire e sperare in aria pulita, i regali di Natale e un bello stipendio con il quale pagare le bollette?
Nah! Non sono tipo da vivere in mezzo alla polvere, alle macerie e a resti di abiti sparsi per tutta la strada. L’Europa avrei visto come miglior soluzione, ancora migliore l’America, non credo però che sarei riuscita a raggiungerla con un gommone, assieme ad altri mille come me. Libertà, ecco cosa cercavo. A modo mio l’ho trovata, ma non avrei certo mai pensato che a donarmela sarebbe stato lo stesso che me l’aveva promessa.
Guardo l’orizzonte, mentre il sole si abbassa. Chissà se qualcuno mi ritroverà alla fine. Non avevo il permesso di soggiorno, però suvvia sono umana, comunque si chiami qualsiasi Dio in cui tu creda, non credo che avrebbe lasciato un corpo privo di vita così. Pensate che nel mio villaggio crediamo nell’unione del corpo con la Sacra Madre Terra e che lo Spirito si diventi un tutt’uno con il vento. Tutte leggende raccontate dai nostri nonni e dai loro nonni prima di loro e così via addietro nei secoli. Credo che non tutte quelle leggende siano solo delle “favolette” per i bambini, però ho sempre avuto un dubbio: se diventiamo davvero tutt’uno con la Sacra Madre Terra, allora significa che camminiamo, giochiamo e viviamo su grossi cumuli di cadaveri.
Sono morta, ma almeno l’Europa, anche se in piccola parte, l’ho visitata. Berlino, Milano, Parigi. Ho conosciuto il mio attore americano preferito! Quel giorno avevo la felicità alle stelle, infatti, fui così emozionata che non riuscì a spiccicare mezza parola, mentre lui fu così tranquillo da sorridermi. Ci credo, per lui penso che una scena simile fosse cosa di tutti i giorni. A Milano potei indossare capi firmati da grandi stilisti, anche se non erano nemmeno lontanamente simili ai miei stracci. Eh sì, l’Europa mi rapì proprio il cuore fin da bambina. Mia nonna mi raccontava di enormi palazzi e bellissimi campi di ulivo. Lei aveva lavorato in Toscana, in Italia. Appena scoprirono che era clandestina, la rispedirono indietro e qui tornò a portare avanti e indietro enormi secchi d’acqua per i malati, i bisognosi e quella feccia delle guardie. Quegli schifosi la stuprarono quand’era solo una ragazza, per questo scappò. Peccato che non sia riuscita ad avere la cittadinanza, sarebbe stata utile per tutti noi, ci avrebbe salvati.
Credo però che quello che mi fece più schifo di tutti, anche se avesse tutte le buone intenzioni, fu mio padre: per lui l’Europa era piena di poca moralità, molti peccati (e peccatori) e sporca. Perciò non voleva che io partissi. Inutile dire che non lo ascoltai per niente, mi bastò tenere via qualche moneta e seguire la mia migliore amica verso la costa. Ricordo ancora il puzzo di sudore e feci che regnava su quella barca fatiscente. Non era per niente piacevole, però per giungere a destinazione o sopportavi o ti buttavi in mare, finendo per morire annegato.
Sono sopravvissuta appena otto mesi. Otto! Speravo almeno di riuscire a dimostrare quando io sia brava con l macchina da cucire, di diventare qualcuno. Tutti gli abiti della mia famiglia li ho cuciti io, una stilista a Milano mi fece anche i complimenti. Disse che avevo della magia tra le mani, che riuscivo a creare un miscuglio tra la mia “cultura” e quella moderna. Per me gli abiti non sono parte di religione o cose del genere, sono solo dei pezzi di stoffa che ci permettono di non girare completamente nudi come gli animali. Non vedo dove sia il nesso tra vestire e religione.
Dopo un mese di via e vai tra ospedale (per i controlli) e alloggi per i rifugiati, ho conosciuto Stefano, un paramedico volontario così gentile da portarmi ogni giorno alla stessa ora un piatto di lasagne calde appena sfornate da sua nonna. Così buone, morbide e calde. Parlammo a lungo, ci conoscemmo e poi ci innamorammo. Eh si, mi pareva davvero di vivere in una favola. Mi portò in casa sua, anche se i vicini erano tutto fuorché d’accordo, e mi fece sentire una donna, una principessa. Poi tutto cambiò: diventò oppressivo, violento. Scappai non appena ne trovai l’occasione e me ne andai in Germania. Lì mi avvicinarono solo un piccolo gruppetto di uomini che volevano usarmi come giocattolo sessuale per alcuni loro clienti. Naturalmente tentai di denunciare il fatto, ma non ricordavo le loro facce, non conoscevo i loro nomi, non sapevo se e dove avessero un nascondiglio. La polizia non mi credette.
In Francia trovai un po’ più di serenità. Inizialmente stavo con un gruppo di clochard a Cannes, dormivamo in riva al mare e ogni mattina l’hotel alle nostre spalle badava a portarci delle brioche calde e del cappuccino. Mi commossi nel vedere come l’umanità regnava in quel gruppo, però non volevo vivere così, io volevo diventare una stilista, o per lo meno poter creare abiti per qualcuno come mia madre. Lei era la sarta del paese dove sono nata, realizzava i vestiti più belli della zona, le fecero realizzare anche un abito per una principessa. Un abito da sposa, per l’esattezza. Ricordo ancora quei ricami e quei disegni tanto complicati quanto semplici color perla e azzurro cielo.
Arrivai a Parigi e cercai lavoro ma nulla di fatto. Finì nuovamente in mezzo alla strada, poi una notte la polizia mi trovò, lesse il mio nome nella lista dei clandestini arrivati in Italia e mi rispedì indietro. Quando arrivai, cercai ogni modo per non tornare agli alloggi iniziali. Sapevo che avrei trovato Stefano lì ad aspettarmi. Niente da fare! Con la sua faccetta gentile disse ai colleghi che ci avrebbe pensato lui a me, mi portò a casa sua e lì mi violentò. L’unica che riuscì a fermarlo, anche se il danno ormai era fatto, fu proprio sua nonna. Lo colpì ripetutamente con un manganello. Miseria se aveva forza nelle braccia la nonnina! Spaventò anche me.
Mi rivestii e fuggii, non per molto, pochi chilometri, probabilmente due. Stefano mi raggiunse anche sulla spiaggia e mi trovò nascosta tra le rocce. Ciò che accadde dopo è abbastanza evidente.
Da un certo senso, dovrei ringraziarlo, mi ha donato la libertà che cercavo, però avrei voluto conquistarmela da sola, col duro lavoro e magari lasciando sulla Terra qualcosa di mio. Un figlio, magari!
Sento dei rumori, sembrano degli animali. Forse sono quei gatti di cui parlavo prima. No! Sono dei poliziotti.
-“Qui c’è un cadavere!
Grazie mille, brutto idiota! Non se n’era accorto nessuno. Siete già una decina tutt’intorno a me, che cosa gridi a fare? È pure notte fonda, sveglierai chiunque nel raggio di chilometri con quel vocione da fruttivendolo del mercato.
Osso ioide rotto, ematomi tu tutto il corpo e ora del decesso stabilita tra le 22:00 e le 04:00. In realtà l’ultimo respiro lo cacciai fuori alle 00:40.
Beh, almeno mi hanno trovata.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Jess2792