*°Nessuno ama i Cattivi°
Silenzioso
come l’ombra che era, Pitch Black strisciò fuori da sotto il letto del
ragazzino. Per ore era rimasto in attesa in quello spazio angusto e polveroso,
in mezzo a vecchi giocattoli ormai dimenticati e fogli di carta appallottolati,
probabilmente compiti che non avevano ricevuto l’approvazione della mamma ed
erano stati stracciati per ottenere il solo conforto di quella ben misera
consolazione.
L’Uomo
Nero aveva atteso impaziente che la luce nella camera del bambino si spegnesse,
che lui si decidesse a piantarla con le proteste per rimanere sveglio più a
lungo o con lo snervante conteggio di quanti giorni ancora mancassero ancora al
Natale. Infine, quando tutto era finalmente piombato nell’oscurità, Pitch aveva
atteso. Il suo lavoro poteva risultare noioso, addirittura ripetitivo, per
qualcuno non avvezzo al mestiere. In realtà, ogni notte era sempre una nuova
scoperta, era una scommessa con sé stesso: la bambina che avrebbe ospitato i
suoi Incubi si sarebbe svegliata, e poi? Si sarebbe rintanata sotto le coperte,
o sarebbe saltata giù dal letto, in lacrime, a cercare conforto da mamma e
papà?
Solo
dopo un po’ di tempo, dunque, quella notte si era infine deciso ad uscire dal
suo nascondiglio per divertirsi un po’ con quel piccolo, irritante umano.
Lui,
cosa stava sognando in quel momento? Forse l’ultima partita di calcio, o la
festa di compleanno con gli amici? E come sarebbe stato meglio distruggere
quelle fantasie?
Pitch
si guardò in giro in cerca d’ispirazione: gli oggetti personali dei bambini
erano utili indizi per comprendere cosa meglio li avrebbe terrorizzati. In
quella stanza, ad esempio, metà dello spazio disponibile sulle pareti era
occupato da poster e disegni di supereroi in sgargianti costumi e armature,
armati di spade o vista ai raggi X. Ebbene, non sarebbe stato splendido se uno
di quei fusti mascherati avesse interrotto la partita di calcio sul più bello,
arrivando a distruggere invece che salvare?
Oh, sì. L’Uomo Nero si sfregò le
mani, soddisfatto, già pregustando il grido di terrore del piccolo. Cosa c’era
di meglio di una sana notte all’insegna della paura?
Ebbene,
stabilito il piano ecco che si avvicinò al letto. Sarebbe bastato un gesto e
poi, una volta sveglio, il bambino non avrebbe trovato niente e nessuno nella
stanza. Ed eccolo che, con un ghigno di vittoria già stampato sul viso aguzzo, Pitch
Black si chinò sul bimbo in silenzio, più vicino, e ancora di più…
-Buh!-
Ed
eccolo che, spiazzato, Pitch Black si ritrovò ad arretrare incespicando, a
fissare con estremo disappunto il teschio che si era appena parato di fronte a
lui.
Una
risatina soffocata provenne da sotto quella faccia scheletrica, e subito dopo
una manina si sollevò a strappare via quella che, ora era chiaro, altro non era
che una maschera.
Un
sorriso a trentadue denti – o forse un po’ di meno, dato che un bel paio di
dentini da latte erano caduti – accolse lo stupore dell’Uomo Nero.
-Ce
l’ho fatta!- esultò il bambino, sollevando i piccoli pugni in segno di vittoria
–Ce l’ho fatta, ce l’ho fatta, ho spaventato l’Uomo Nero!-
Era
salito in piedi sul letto e ora saltava tra le lenzuola in una bizzarra danza
di trionfo.
Dal
canto suo, Pitch lo guardava totalmente sconvolto. Dov’erano finiti i bambini
di una volta, quelli che se la facevano sotto solo a sentirlo nominare? Come
poteva un moccioso prendersi gioco di lui?
Strinse
i pugni, guardando il ragazzino con disappunto –Perdonami, ma avrei dovuto
essere io a spaventare te. E poi, un momento, non mi hai affatto spaventato!-
-Ma sì
che ti ho spaventato!- replicò il bambino con il fiatone, ancora saltando sul
materasso seppur con minor vivacità. Si lasciò cadere sul letto e agitò le
gambe –Ti ho visto bene, hai fatto una faccia orribilmente spaventata!-
Per lo
meno si era fermato: quel saltare stava facendo venire all’Uomo Nero una gran
voglia di strozzare quella piccola peste che pretendeva di essere superiore a
lui.
-No
che non mi hai spaventato!-
Sbraitò
stringendo i pugni, rendendosi subito conto che quel comportamento non gli
faceva onore, né lo rendeva migliore del ragazzino con il quale si stava
confrontando.
-Ti
dico di sì!-
Pitch
emise un ruggito di esasperazione –Senti, moccioso, forse tu non hai idea di
chi sia io-
-Certo
che lo so- il bambino si mise a sedere –sei l’Uomo Nero-
-Esatto-
Il suo
ghigno venne illuminato dalla luce della luna nell’inquietante gioco di luci e
ombre che era il suo volto. Si eresse fiero sopra quella creatura che ben
presto avrebbe imparato cosa fosse il terrore, i suoi occhi d’oro scintillarono
malevoli nell’oscurità della stanza. Stagliata contro la parete, la sua ombra
pareva voler soffocare ogni traccia di luce che poteva donare conforto.
-Io mi
chiamo Daniel-
-Ma che…?!-
Quell’unica
frase aveva spezzato l’atmosfera di terrore che si stava così magicamente
creando. Pitch abbassò lo sguardo sul bambino: stava seduto a gambe incrociate,
il mento sollevato per poterlo guardare; due grandi occhi scuri brillavano di
eccitazione, e una massa incolta di folti capelli castani incorniciavano quel
visetto vispo. Era un bambino come tanti, perché allora spaventarlo non
funzionava?
-Mi
chiamo Daniel-
Ripeté
lui, scandendo bene le sillabe con il tono cantilenante proprio dei bambini.
Per la
prima volta Pitch Black non seppe cosa fare e, anzi, non avrebbe disdegnato un
antro buio nel quale nascondersi.
Daniel
lo guardava come se si aspettasse qualcosa. Quegli occhi vivaci, incuranti
della sua fama, gli davano ai nervi: stava forse perdendo colpi?
-Non
m’interessa come ti chiami-
-Ci
sei rimasto male? Perché non mi sono spaventato, voglio dire. Mi dispiace, non
pensavo che ti saresti offeso-
Adesso
si metteva anche a fare il diplomatico!
-Ah,
lascia perdere!-
A
giudicare dal tono aspro della sua voce, Pitch doveva avere stampata sul viso
la sua peggiore aria da cattivo, quella che faceva tremare di paura persino i
ragazzi più coraggiosi. Chiunque, a vedere quella sua espressione, sarebbe
fuggito via implorando pietà. Invece, Daniel rise, ma fu solo per un breve
attimo.
-Hei,
non è che adesso vai via?-
E
quello cosa significava?
-Certo
che vado via! Non penserai certo che resti qui a fare il palo. La notte è
ancora lunga e piena di sogni: spero solo di non incontrare qualcuno della tua
razza-
Per la
prima volta Daniel chinò lo sguardo, deluso –Oh. Mi dispiace. Mi sarebbe
piaciuto parlare un po’ con te, sei simpatico-
Simpatico, lui?! Quello era
decisamente troppo!
L’Uomo
Nero si voltò stizzito e fece per scivolare fuori dalla finestra, quando la
voce del bambino alle sue spalle lo richiamò.
-Questa
è la tua festa?-
Pitch
si voltò appena con fastidio –Come prego?-
Daniel
gattonò fino al bordo del letto e si sporse verso di lui –Cavolo, sei proprio
tonto! Ti ho chiesto se oggi è la tua festa!-
-Perché
continui ancora a parlarmi?-
Fu la
domanda rivolta a mezza voce dall’Uomo Nero, quasi stesse riflettendo su quel
dilemma al quale non riusciva a venire a capo. Già il fatto che quel marmocchio
potesse vederlo era di per sé straordinario; ma più incredibile era il fatto
che adesso Daniel si fosse messo a parlare tranquillamente con lui quasi
fossero vecchi amici.
-Te
l’ho detto, mi stai simpatico-
-Sciocchezze!
Dovrei terrorizzarti, piuttosto-
-Prima
non mi hai risposto. Perché non mi hai risposto?-
Pitch
alzò gli occhi al cielo: che cosa ci faceva ancora lì? Ebbe la tentazione di sparire
in quel preciso istante, eppure qualcosa lo tratteneva.
“E va
bene, va bene!” si disse, arrendendosi “Vediamo cosa vuole, così potrò
staccarmelo di dosso!”.
-Qual
è il tuo problema?-
-La
tua festa- il bambino non sembrò fare caso al suo tono impaziente –tutti hanno
una festa. Tutti, intendo Babbo Natale, e il Coniglietto di Pasqua… tu perché
non hai la tua festa?-
Babbo
Natale, il Coniglietto di Pasqua! Anche mentre tentava di adempiere al suo
compito doveva sentirsi nominare le care vecchie Leggende, i miti dei
bambinetti. In più, quella domanda l’aveva fatto arrabbiare non poco, aveva
toccato un nervo scoperto da lungo tempo.
Un
sorriso che parve più una smorfia di disgusto distorse i tratti dell’Uomo Nero.
-Perché…
vedi, perché non c’è giustizia equa in questo mondo. I premi, le feste, sono
destinate a vecchi squilibrati e dolci fatine volanti. E non sono certo da
sprecare per la cattiveria di Pitch Black-
-Cioè,
non hai una tua festa perché sei cattivo?-
La
domanda lo colse impreparato –In realtà il discorso è più complesso-
-Ma
non è giusto- Daniel parve non averlo sentito –che tu non abbia una festa
perché sei cattivo, dico. Nessuno ama i cattivi, è per questo che voi non avete
mai feste. Non ti sembra sleale? Senza di voi, gli eroi non avrebbero motivo di
esistere. È merito vostro se c’è sempre il male da vincere, e se i buoni
possono dare prova del loro valore. Voi cattivi siete importanti come i buoni, anzi,
secondo me in alcuni casi siete la ragione per la quale i buoni diventano gli
eroi. Se non esistessero cattivi da sconfiggere, i buoni non avrebbero senso di
esistere-
Quel
discorso era troppo elaborato per essere stato messo su da un marmocchio. Era
un bambino sveglio, Daniel. Mentre parlava, l’attenzione di Pitch venne
catturata da quel ragionamento che, doveva ammettere, messo in quella luce gli
piaceva parecchio.
“Però…
in fondo ha ragione lui”.
L’Uomo
Nero si era voltato di nuovo verso il letto e il piccolo ospite della
cameretta. Il suo sguardo si posò meditabondo sulla maschera da teschio che
giaceva sulle lenzuola stropicciate.
-Dimmi,
bambino, cos’ha di tanto speciale questa notte?-
Daniel
sgranò gli occhioni –Come, non lo sai? Oggi è Halloween! La festa delle streghe
e dei mostri: per questo pensavo che questa fosse la tua notte-
Già, la festa dei mostri – in
verità le origini di quella festa erano del tutto innocue, ma perché perdere
tempo a spiegare al bambino la vera storia celata dietro la festività del Samhain?
Un
curioso moto di determinazione alimentò un’idea nata in quel momento nella
mente di Pitch Black.
-Sì,
hai ragione! Questa è proprio la mia festa- disse, raccogliendo la maschera da
mostro e restituendo il sorriso di quel ghigno immobile –dunque perdonami, ma
questa notte ho davvero molto da fare. Presto l’Uomo Nero sbucherà da sotto il
letto di ciascun bambino!-
In un
attimo era svanito in una nuvola di fumo nero, ma a Daniel era sembrato di
scorgere un sorriso rivolto a lui, e una strizzata d’occhio in mezzo alla
nebbia scura.
Una
macabra risata risuonò poi nella stanza, e la finestra si spalancò con un gran
rumore ad un’improvvisa sferzata di vento gelido.
Il
bambino scese con un salto dal letto e si affacciò a guardare nell’oscurità
della strada. Guardando nel buio, ne ebbe la certezza: Pitch Black era tornato
in città.
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Salve a tutti, eccomi
arrivata ad infestare anche questa sezione!
Bene, comincio col dire
che il povero Pitch (o Pitch-ino, come lo chiamo io) mi fa tanta pena. In fondo
voleva solo un po’ di considerazione, il suo lavoro era quello di far frignare
i bambini, che ci poteva fare?
Punto secondo: ho sempre
pensato che Halloween fosse la festa perfetta per lui, o al limite potevano
concedergli il giorno dei Morti… ma vabbè, poveretto non ha neanche avuto
quello. E quindi, bè, è nata questa piccola storia.
Spero possa essere di
gradimento, grazie sin da ora a chi vorrà leggere o condividere la propria
impressione ;)
In attesa di domani,
buona giornata e buon dolcetto o scherzetto J
A presto,
Rory_Chan