Capitolo
31
-Benvenuti,
stranieri. Miei fedeli,
scostatevi e lasciatemi passare-.
Una
voce si fece largo fra la folla, cantilenante e giovanile. Era sottile,
ma non
in modo piacevole: il suo suono ricordava il graffiare delle unghie sui
vetri e
faceva accapponare la pelle. Non era una voce umana, era qualcosa di
tremendamente distorto.
Mi
sollevai subito, pistole alle mani, asciugandomi la bocca con il
braccio.
Fobos
accanto a me era teso, sentivo ogni singolo nervo, ogni singolo impulso
elettrico percorrergli la pelle come se si trattasse della mia.
Sbattei
un paio di volte gli occhi, mettendo a fuoco una figura bassa, molto
magra ed
emaciata.
Si
trattava di un ragazzino, un giovane di quattordici anni nemmeno.
Indossava una
divisa nera rinforzata da un giubbotto anti proiettile. Al centro,
proprio sul
petto, emergeva il ricamo di una libellula tagliata a metà.
Mi
guardava fisso, fra quelle ciglia bianco latte e attraverso quelle
ciocche di
capelli impalpabili come ragnatele. Un’iride rosso sangue,
solcata da striature
nere come la notte, mi fissava esaltata affiorando
dall’ammasso di ricci che
gli ricadevano sul viso.
Sorrise
quando si accorse che i miei occhi lo stavano studiando con timore,
quasi come
avessi di fronte a me l’incarnazione del mio mostro. I suoi
denti erano aguzzi,
corrosi da qualcosa che li aveva resi appuntiti come frammenti di
cristallo
zigrinati.
-Non
mi riconosci, Astreya? E’ da tanto
che non ci vediamo, non e’ vero? -.
-Io
non ti conosco…-, esclamai, ma le mani
cominciarono a tremarmi mentre quegli occhi da demone mi fissavano; le
labbra erano
tese in un sorriso maniacale, quasi distorto. La sua aurea non
esisteva, dietro
di lui stagnava soltanto un pozzo vuoto e silenzioso.
-Non
ci
conosciamo dici?
-,
commentò lui, avvicinandosi a me. Stava sfidando le mie
dita, traballanti sul
grilletto. Perché non volevano farmi sparare?
Perché il mio mostro sentiva che
quella creatura che avevo davanti era famigliare?
Fobos accanto a me scattò, frapponendosi fra me
e il mostro. I suoi capelli neri mi schermarono per qualche istante
dalle
pupille a spillo del ragazzino, scorrendomi di fronte alla visuale come
fili di
seta. Tese la katana dritta di fronte a sé, puntandola al
collo scheletrico del
nemico. Aveva uno sguardo apatico e freddo come al solito, ma la sua
aurea si
era avvolta tutt’attorno a me come una gabbia. Fobos temeva a
tal punto quella
persona da desiderare di proteggermi con tutto se stesso.
-Se avanzi, ti trapasso-, sillabò Fobos e la
sua voce mi fece tremare le ossa. Era così cavernosa che
sembrava provenire da
un altro mondo.
- Sei
cresciuto bene, Fobos. Anche se non ci conosciamo di persona, ho
sentito molto
parlare di te-.
-Chi
sei? -.
I fedeli si erano allontanati creando un
semicerchio attorno al ragazzino e avevano tutti portato
l’indice alla testa.
Sembravano in trance o perlomeno congelati nel tempo. Solo il lento
sospiro dei
loro respiri e lo sbattere delle ciglia mi ricordavano che fino a un
momento
prima erano vivi e vegeti.
-Io?
Non
vi pare ovvio? Siete venuti qui per conoscermi… Io sono
Prometheo-,
si presentò lui, facendo un piccolo inchino
e lasciando che la lama affilata dell’arma di Fobos gli
disegnasse un piccolo
taglio sotto la giugulare.
Chastor, che fino ad allora era rimasto in
silenzio, scese con un salto dalla jeep e si gettò ai piedi
del ragazzo,
baciandogli gli stivali, supplice. La visione mi disgustò a
tal punto che un
nuovo conato mi squassò le costole, facendomi tremare
l’anima. Perché Prometheo
era sbagliato? Perché non era la persona illuminata che mi
ero aspettata di
incontrare?
Prometheo pose una mano sulla testa di Chastor,
ringraziandolo per l’ottimo lavoro svolto e incensandolo di
complimenti. Era
disturbante vedere una montagna d’uomo inchinarsi a terra e
piangere come un
bambino di fronte a chi un bambino lo era ancora. Un idolo, ecco come
mi
appariva Prometheo. Un idolo. Blasfemo.
Non so cosa mi prese, non so nemmeno se la mia
mente fosse lucida in quel momento, ma, lottando contro il mio mostro,
decisi
di agire. Sollevai la pistola destra, gli occhi brucianti di lacrime di
paura e
terrore e puntai l’arma al centro della fronte di Prometheo,
pronta a colpirlo
fra gli occhi a sangue freddo.
E ce l’avrei fatta se, nel preciso istante in
cui l’indice indugiò sul grilletto, il ragazzino
non si fosse voltato
sorridendo.
-Dimentica,
Astreya. Dimentica quello che ti fanno. Io sono al tuo fianco e ti
guidero’òverso
la luce-.
Quella frase. Quelle parole cantilenati come
una ninna nanna. Quel suono ronzante nelle note basse della sua voce
infantile.
Tutto mi riportò indietro nel tempo, a quando ero bambina.
Il mio mostro
cominciò a grattare con forza sui ricordi, spolverando via
tutto il catrame che
ero riuscita a depositarvi sopra. E improvvisamente cominciai a
sanguinare, a
discendere in un abisso di ricordi e dolore. Urlai così
forte da assordarmi e
da spaventare Fobos. Le lacrime mi schizzarono dalle ciglia come perle
invisibili e si sparsero nell’aria attorno, mescolate al
fiume di rabbia che
riversavo dalla gola.
I ricordi mi infiammarono la mente, corrodendo
tutta l’armatura che mi ero costruita addosso per stare in
piedi e distruggendo
completamente l’ultimo briciolo di sanità mentale
che mi era rimasta cucita
addosso. Cominciai a vedere dei lampi di luce e delle interferenze
nell’aria.
Ombre strane cominciarono ad arrampicarmisi lungo le gambe, scorrendo
come
fiumi di sangue al contrario. Mi tenni la testa fra le mani, tappando
le
orecchie e lasciando che le pistole cadessero a terra con un clangore
metallico.
Subito Fobos, notando il mio stato pietoso e
confusionario, si lanciò contro Prometheo brandendo la
katana come se fosse un
prolungamento del suo braccio. Fendette l’aria a un soffio
dal suo viso
recidendogli una ciocca di capelli.
-Vuoi
farmi del male, alleato? Io sono qui solo per aiutarla…-,
ridacchiò il ragazzino, puntando i suoi occhi
color sangue in quelli altrettanto bollenti di Fobos.
- Cosa le stai facendo? -, ringhiò l’Ibrido,
mentre la sua voce andava e veniva nella mia testa con un rimbombo
assordante.
I ricordi stavano ribollendo nella mia testa in una sorta di brodo
primordiale
dimenticato da tempo.
-Io
niente. Sta solo ricordando. Sta spazzando via anni di Inibitori e si
sta
risvegliando. In fondo un Deadly Child come lei non puo’
dormire per sempre-.
-
Ricordare? Ricordare cosa… abbiamo letto
tutto il fascicolo Falena Notturna. Sappiamo già tutto! -,
si lamentò Fobos,
mentre una goccia ghiacciata di sudore gli scivolava lungo il Pomo
d’Adamo.
-
No, Fobos. Solo quando si ricorderà
di me, tornerà ad essere se stessa…-,
rincarò Prometheo, mentre mi accasciavo a terra e cercavo di
ingoiare
aria. Le immagini che mi si annidavano nella mente erano troppo vivide
e
dolorose per non essere vere. Vedevo anni di esperimenti che avevo
scordato,
due occhi di sangue che mi scrutavano dall’ombra e un uomo,
un dottore con una
siringa in mano. Chi era? Era K.?
-Forza,
vieni avanti paziente 1-, disse una voce fuori campo, da qualche parte
nella
nebbia delle mie memorie. Mi guardai attorno e vidi il ragazzo sui
tredici,
quattordici anni che mi avevano affiancato. Era più magro di
quanto mi
ricordassi e i suoi capelli erano sbiancati, fino ad assumere la stessa
consistenza delle ragnatele. Mi osservò con la coda
dell’occhio nel superarmi e
si sedette sulla sedia che aveva di fronte. Sul tavolo erano state
posate tre
carte voltate. Vedevo le loro schiene damascate e le loro curve
taglienti.
-Scegli
una carta…-.
Il
ragazzo annuì e pose la mano sulla carta a sinistra, quella
con l’angolo
leggermente sbeccato.
-Paziente
numero due-, dichiarò la voce, facendo tremare la telecamera
sopra le nostre
teste.
Avanzai
verso il mio nuovo compagno di giochi. Ero piccola e il mondo era
ancora di
difficile comprensione per me, ma quando mi sedetti sulla sedia accanto
al
ragazzo e questo mi sorrise, tutte le preoccupazioni e le paure del
mondo
parvero sparire.
-Scegli
una carta-.
Non
sapevo cosa fare. Ero piccola e impaurita, non vedevo la mia mamma e il
mio
papà da nessuna parte e quelle carte cominciavano a muoversi
assumendo le
sembianze di disgustosi ragni pelosi. Vidi quello intrappolato sotto le
dita
del ragazzo scalpitare per fuggire e dovetti trattenere un gridolino.
-Sono
solo incubi ad occhi aperti… non li guardare. Guarda me, e
scegli una carta-,
mi disse lui con un sorriso, mentre la presa sul corpo del ragno si
faceva
ferrea, quasi mortale per la creatura. Annuii convinta, e posai
l’indice sul
ragno-carta di destra.
-Girate
le carte-, disse la voce.
Subito
voltai la carta e quello che vidi fu un pagliaccio. Un jolly. Guardai
in
direzione del mio amico e fra le sue dita tremanti vidi una carta
bianca. Il
suo sguardo era incendiato di rabbia e il naso arricciato in maniera
ferina.
-Hai
sbagliato-.
Notando
quanto stesse male per la scelta della carta sbagliata, decisi di
porgergli la
mia. Gliela allungai senza pensarci lasciando che le maniche della
tunica mi
scivolassero all’indietro fino a mostrare i tagli che
segnavano le mie braccia.
Il
ragazzo li guardò perplesso, fissando poi la carta con
incredulità crescente.
-Cosa
ci stanno facendo? -, mormorò sconfitto, rifiutando la mia
offerta e passando
il polpastrello sulle cicatrici bianche in rilievo vicino ai miei
gomiti.
-Su
una bambina così piccola…-, aggiunse, puntando i
suoi occhi castano rossi nei
miei.
-Mamma
dice che questa gente può curarmi e che io posso salvare la
mia famiglia-,
ripetei. Erano le parole che mia madre ripeteva piangendo, quando mio
padre
minacciava di sbarazzarsi di me una volta per tutte. Voleva vendermi a
qualche
Istituzione e guadagnarci qualche denaro.
Il
ragazzino sbattè le palpebre un paio di volte, poi mentre la
porta dietro noi
si apriva, si inginocchiò davanti ai miei piedi.
-Noi
siamo speciali, ma io sono sbagliato. Non mi faranno
vivere…-, mi spiegò
ponendomi in mano la carta bianca. –Per questo tu devi
sopravvivere al posto mio. Tu sei la predestinata. Tu devi scappare da
qui-.
Poi
prese la carta con sopra il jolly e la stracciò a
metà.
Non
appena il ragazzo smise di parlare e si voltò verso lo
stuolo di medici e
infermieri che lo puntavano, uno dei dottori, un uomo magro e alto,
cieco da un
occhio, venne scaraventato contro la parete. La sua colonna vertebrale
emise un
suono orrendo quando impattò contro il freddo cemento del
muro e una scia di sangue
colloso lo trascinò verso il basso, preludio della sua
morte.
Il
giovane poi indirizzò il suo sguardo verso una delle
infermiere che lo
minacciava con un sedativo alla mano.
-Non
ti avvicinare a noi-, sibilò il ragazzino, stringendo i
pugni e aggrottando le
sopracciglia. Puntò un braccio contro la donna e notai
immediatamente i
numerosi tagli che portava incisi sulla pelle. Erano tutti autoinflitti
e
recavano una scritta. Mentre la donna volteggiava in aria e finiva a
terra,
immobile con gli occhi riversi, approfittai della distrazione del
ragazzino per
leggere quanto si era inciso nella pelle.
-Sarò
un Figlio del Vento…-, mormorai e in quel momento la testa
dell’ennesimo
dottore esplose, lasciandomi una scia di sangue su tutto il viso,
spolverizzato
come farina.
Non ne
rimasi sconvolta e non provai nulla. Mi limitai a osservare il sorriso
aguzzo
del giovane. I suoi
denti sembravano
quelli di uno squalo.
-Ricordati,
piccina, che non sarai mai sola…-.
Un
dottore colpì il mio nuovo amico con una scarica elettrica e
lui si lasciò
fare, imperterrito di fronte ai lievi spasmi che il suo corpo
cominciava a
subire.
-
Dimentica,
Astreya. Dimentica quello che ti fanno. Io sono al tuo fianco e ti
guiderò verso
la luce-, aggiunse poi, mentre l’equipe del Sanitarium lo
immobilizzava ai miei
piedi e lo stringeva in una camicia di forza.
Rimasi
a osservarlo per tutto il tempo, mentre i suoi occhi rossi si
guardavano
attorno impazziti, mentre lo ammutolivano con una specie di morso da
cavallo,
mentre lo legavano ad una sedia a rotelle e gli immobilizzavano la
testa. Lo
spinsero via in tutta urgenza, lasciandomi sola e sporca di sangue in
mezzo a
tutti quei cadaveri. Rimase con me un unico medico, nerboruto e con una
folta
barba nera. I suoi occhialetti tondi erano oscurati dalla polvere e dal
pulviscolo.
-Vieni,
bambina. Non hai paura a stare in mezzo ai morti? -, mi
domandò, accucciandosi
e tendendomi una mano.
-Paura?
Sono morti. I morti non possono più muoversi. Anche io un
giorno non mi muoverò
più-, commentai atona, avanzando in mezzo allo scempio e
raccogliendo da terra
la carta bianca del ragazzino killer. – Posso tenerla? -,
chiesi, e il dottore
manifestò tutta la sua sorpresa con uno sguardo preoccupato.
-Perché
vuoi tenere la carta sbagliata? -.
Osservai
il bordo insanguinato di quell’oggetto sottile e tagliente e
vi scorsi il dito.
Sentii un lieve dolore al polpastrello mentre una linea di sangue
affiorava
dalla mia impronta digitale.
-Perché
spesso è una mossa sbagliata a far vincere la partita-,
sorrisi, certa che in
quel momento fosse il mio mostro a parlare.
- Quel
ragazzo non è un esempio per te. Lui non ce la
farà. E’ matto…-, cercò di
convincermi il medico, ma io lo ignorai, infilandomi la carta nella
tasca
sdrucita della mia felpa rosa.
-Anche
lo scacco è matto. Ma è la fine della partita-,
mormorai, mentre un sorriso
aguzzo mi si disegnava sul viso.
-Fratello…-, mormorai, prima di lanciarmi su di
lui e abbracciarlo. Era strano sentirlo così piccolo e magro
fra le mie
braccia, quando anni prima era stato lui a consolarmi, ma la sensazione
era
decisamente quella di essere tornata a casa.
- Mia
piccola sorella. Finalmente ti ricordi di me…-,
commentò lui ricambiando il mio abbraccio
mentre la folla attorno a noi esplodeva in un boato di gioia e in un
ruggito di
gloria.
Anche Fobos rilassò i muscoli e calò la katana,
rimanendo in disparte per gestire la situazione. Fu Prometheo a
chiamarlo a sé
quando ci sciogliemmo dall’abbraccio.
-Vieni
anche tu, creatura. Se io fossi stato idoneo saresti stato tu il mio
compagno,
soldato. Abbraccia il tuo fratello sconosciuto-.
Fobos tentennò, ma alla fine si accostò anche
lui a noi, formando un trio. Prometheo rispettò il desiderio
di non essere
toccato dell’Ibrido e gli pose solo una mano sulla spalla.
-La
mia
famiglia ora è riunita, finalmente. Dopo tutto questo tempo…-,
gioì il
ragazzo, per nulla invecchiato da come lo avevo rivisto nella mia
mente. – Venite
nella mia dimora-.
Ma ciò che mi sconvolgeva di più era
l’enorme
statua che spalancava le sue braccia di fronte a noi, come volesse
accoglierci
con la sua espressione austera e il suo busto da scheletro. Aveva il
viso
abbassato verso di noi, per cui la luce non risaltava i suoi tratti e
il volto
rimaneva nascosto nella semi penombra; eppure non potevo fare a meno di
notare
una certa somiglianza con i lineamenti del mio viso.
Di fronte a noi, infine, si ergeva un altare in
pietra, tondo e cosparso da ninfee bianche. Mi fermai di fronte ai
piccoli
scalini smussati che ci distanziavano dall’ara sacro e mi
inginocchiai
rispettosamente di fronte alla statua enorme che ci sovrastava.
-Cosa
fai, Astreya?
- mi
chiese Prometheo, con sguardo perplesso ed estasiato assieme.
– Ti
inchini di fronte a te stessa? -.
-Come?
-, chiesi perplessa, mentre Fobos
strizzava gli occhi per ritrovare i miei tratti in quelli scolpiti
nella
pietra.
- Non
vedi? Quella creatura celeste sei tu. Noi ti veneriamo come Dea in
Terra e ti
adoriamo con il nome di Astreya la Duplice, per via di Ate, tua gemella-.
-Non ho idea di chi sia questa Ate di cui
parli-, biascicai avvicinandomi al volto della statua, proteso verso di
me come
il muso di un animale pronto a farsi accarezzare. Sfiorai le guance
gelide
della mia gemella e subito provai una scossa lungo la colonna
vertebrale, come
fossi stata fulminata da una scarica elettrica.
- Ate è
il motivo per cui tu sei la predestinata e io non lo sono. E’
grazie alla
sinergia fra la tua mente e quella della tua defunta metà
che sei qui. Dopo
essere riuscito a scappare dal Sanitarium in cui ci hanno rinchiuso per
anni,
ho scelto di unirmi ai Figli del Vento e, con grande fatica, li ho
convinti a
seguirmi, ad attendere il momento in cui tu saresti tornata.
Perché come puoi
vedere l’Umanità è corrotta.
E’ arrivata a sperimentare su bambini, a cercare
armi laddove ci doveva essere solo innocenza. L’Esercito, che
doveva
proteggerci, sta al contrario manipolando vite umane per sostenere una
squadriglia
corrotta di Sacerdoti. Una vergogna. E noi, poveri esseri semplici e
moralmente
corretti, assistiamo al completo sfacelo. Ma non lo faremo senza
intervenire.
Noi dobbiamo assolutamente lottare-.
Le parole di Prometheo erano incendiate da una
passione che non vedevo da anni. Continuava ad avere un aspetto poco
rassicurante
ai miei occhi e, nonostante il nostro passato, non riuscivo ancora a
fidarmi di
lui. Eppure ero certa che sapesse cosa stava facendo, che la sua mente
fosse in
grado di prevedere cose che noialtri potevamo solo sognarci. Per cui,
mentre
delle voci spettrali cantavano canzoni sacre accompagnate dalle note di
un
organo baritonale, seguii il guru fino a una cappella lì
vicina, abbarbicata
nella roccia e illuminata da candelabri neri come la notte. Un mosaico
si
dispiegava di fronte ai nostri occhi, dorato e nero come un sole in
piena
esplosione.
Mi mancò il fiato. Era la stessa identica scena
che Aracne aveva intessuto il giorno in cui era cominciata la mia
discesa agli
Inferi. Rividi i tratti oscurati di Fobos, le persone e le fiamme, i
ratti e il
cielo bruno. Era tutto esattamente come la Tela ci aveva mostrato.
Mi voltai per capire che reazione Fobos stesse
avendo di fronte a un immagine tanto terribile di sé, ma il
suo viso era
impassibile e la sua espressione gelida. Unico segno del suo disagio
era un
lieve tremore delle sopracciglia, così tese da sembrare di
velluto nero.
-Voi
sarete la nostra Apocalisse, la nostra rivalsa su questo mondo orrendo.
Dobbiamo estirpare la corruzione che ci ammorba, ma per farlo dobbiamo
sporcarci le mani, dobbiamo lordarci come vermi nella terra e corrodere
le
fondamenta delle Istituzioni…-
Il dito di Prometheo scorse sulle tessere rosso
rubino che ricoprivano le braccia di Fobos, brillanti come del sangue
vero.
-Quando
fingendo il suicidio sono riuscito a scappare, ho cominciato a pensare
che
talvolta essere invisibili al mondo potesse essere un gran vantaggio.
Potevo
fare il burattinaio ed evitare che anche tu diventassi un
“esperimento fallito”.
Per questo ho pagato i Mauriani per unirsi a noi, per vendere armi ai
rivoltosi. Ho tenuto stretti i nemici e ancor più strette le
spie come Iatro.
Ho lasciato che mi tradisse, inoculandoti Inibitori su Inibitori. Ho
fatto
credere di non essere perfetto, così da passare inosservato
come un virus
letale. Ho fatto molti errori, ma tutti di proposito. Ho persino
mandato un mio
uomo al Vallum per tentare di ucciderti, pur sapendo che sarebbe stato
lui a
perdere la vita. Efesto si è sacrificato per testare le tue
capacità, per
spingerti volontariamente fra le mie braccia…-
Il volto di Efesto e l’immagine della sua gamba
robotica mi scorsero di fronte agli occhi, atterrendomi. Lui che era
disposto a
sacrificare la vita del figlio per me, alla fine aveva sacrificato
anche se
stesso, uccidendosi in un’esplosione e rimanendo insepolto
per sempre. Quanta
gente era disposta a morire per me, per Prometheo? Chi eravamo noi per
chiedere
un simile sacrificio? Più Prometheo parlava e più
capivo che c’era qualcosa di
estremamente distorto nella sua mente. Forse la prima impressione che
avevo
avuto di lui era stata quella giusta.
-L’Esercito
e il Tempio sanno chi sono e cosa faccio, ma non mi temono. Mi hanno
lasciato
entrare fra le loro fila come una serpe in seno, ignari che sarebbe
giunto il
giorno in cui li avrei avvelenati. Mi ci è voluto molto per
allontanarti dall’Esercito,
per costringere Iatro, l’ultimo tuo giorno al Tempio, ad
avvelenarti il sangue
con un Espansore potente che riportasse in auge tutti i tuoi poteri.
E’ stato
altrettanto difficile allontanarti da loro sacrificando un mio
fedelissimo e
preparandomi a far saltare in aria anche quei rivoltosi, quei poveri
uomini che
non sanno di essere usati da entrambe le parti. Ma alla fine ce
l’ho fatta e le
due armi più potenti ora sono nelle mie mani, pronte a
mondare l’Umanità sotto
la mia guida illuminata. E una volta che tutto questo sarà
finito, non solo distruggeremo
anche il Governo, ma butteremo giù quella cupola e
trasporteremo là la nostra
base per creare una nuova vita, un nuovo Stato. Aughènea, la
Nuova Alba…-
Sorrisi, mentre nella mia testa le idee si
univano fra loro come fili di una matassa. Eppure non formarono un
groviglio
confuso di pensieri, ma un perfetto ricamo circolare. Tanto perfetto da
vederne
il centro con la massima chiarezza.
-Prometheo, sapevo che non mi avresti lasciata
sola. Vedo il tuo piano e lo ammiro, lo trovo profondamente corretto,
tanto
smagliante e limpido da sembrare ispirato direttamente dagli Dei. Hai
mantenuto
la promessa di starmi sempre accanto e condurmi alla luce e di questo
ti sono
immensamente grata. Non vedo l’ora di assisterti nel tuo
piano e diventare il
tuo strumento di vittoria eterna-, dissi, prendendo fra le mie le
piccole mani
bianche del ragazzino.
-Sono
orgoglioso di te, mia piccola sorella. E lo sarebbe anche Ate-.
Abbassai il capo in segno supplice e subito
dopo tornai al centro del Tempio, illuminata dai vetri variopinti del
sacrario.
Gli occhi dei fedeli erano puntati su di me e le loro voci si spensero
quando
sollevai le mani verso di loro.
-Fedeli, Prometheo mi ha aperto gli occhi! E’
ora di distruggere la Teocrazia nascente con la forza delle nostre
anime e il sacrificio
del nostro sangue! -, esclamai, sotto lo sguardo sbigottito di Fobos.
Un boato eruppe dai matronei facendomi
esplodere il cuore e lacrimare gli occhi.
Il mio piano aveva finalmente avuto inizio.
-Non sono un’idiota…-, mi difesi a spada
tratta. – Stavo recitando. E ora ho la certezza di essere
risultata credibile-.
Gli occhi di Fobos si rilassarono così come la
sua aurea. Si appoggiò allo stipite della porta finestra e
sospirò.
-Che cosa hai in mente? -.
Guardai istintivamente il Pigeon. Sul suo
schermo brillava ancora il messaggio che Eracleo mi aveva mandato
appena
qualche ora prima. Diceva che Galeno era stato giustiziato, decapitato
in
piazza per sedizione. Avevano scoperto che ero fuggita nel Deserto e
che ero
associata ai Figli del Vento. E per questo lui aveva pagato con la
vita. Ma non
era l’unica notizia raccapricciante.
-Ho in mente di lottare…-, mormorai, ripensando
alla comunicazione del Caporale, quella che mi aveva scosso fino a
farmi
tremare.
“Avevamo ragione. Armi biologiche. Usate contro
il Reggimento del Sole. Sede Governativa scoperta. Attacco
imminente.”
Mi voltai lasciando che il sole infuocato del
tramonto mi scaldasse la schiena, pugnalata più e
più volte da tutte le
Istituzioni, pronte a usarmi e sfruttarmi, a vantare diritti
inesistenti sulla
mia esistenza.
-Non odio Prometheo. Non riesco ad odiarlo. In
fondo la sua idea non è sbagliata. Sono i mezzi ad esserlo.
Non credo che il
suo Governo sarebbe meglio di una Teocrazia armata, perciò
non vedo altra
scelta se non quella di non appartenere ad alcuna fazione-.
Fobos si passò una mano sul viso. Era molto
stanco e leggevo un certo nervosismo nei suoi movimenti.
-Cosa pensi che potremmo fare da soli? Io e te?
-.
Sbuffai, dirigendo il mio sguardo altrove. Non
volevo guardare negli occhi Fobos dal momento che non avevo alcuna
garanzia di
successo per il mio piano.
-Non so se finiremo bene, io e te. Ma non posso
nascondere la testa sotto la sabbia. L’ho fatto per troppi
anni e ora sono
stanca. Voglio dare un senso alla mia vita, al mio passato e a quello
che sono.
E per farlo ho bisogno che Prometheo mi insegni, che mi rafforzi. Solo
lui è
così intelligente da modificarmi per farmi diventare davvero
un DC. E solo
allora, quando sarò un mostro vero e proprio,
potrò sferrare il mio attacco-.
Fobos avanzò verso di me, si appoggiò alla
balaustra trincerandomi fra le sue braccia, e disse:
-Credo che alla fine siamo giunti al capitolo
finale. Combatterò al tuo fianco, timer o non timer.
Cercherò di fare del mio
meglio, anche se non sappiamo ancora chi erediterà il frutto
del nostro
lavoro-.
Sorrisi mestamente, mentre il popolo devoto di
Prometheo attingeva acqua alla polla formata dalla cascata.
-Io dico che dovrebbe essere la povera gente.
Quella che ha in mano armi che non sa nemmeno usare. Voglio che tutti
capiscano
di essere stati presi in giro, su tutti i fronti. Nessuno si preoccupa
davvero
di governare, tutti si preoccupano solo di quanto potere possono
assorbire.
Voglio mandare in onda la caduta delle Istituzioni e svegliare Elladia.
Qualsiasi Governo nasca da questa presa di potere sarà un
degno punto di
partenza per la vera Aughènea…-
Fobos sorrise fra i miei capelli, mentre la sua
aurea mi accarezzava la pelle e si incendiava di orgoglio.
-Si proprio un’idealista-, sdrammatizzò con un
sorriso, prima che tornassi in casa.
Decisi di fare una doccia calda per distendere
i nervi e ritrovare la me stessa decisa e forte che avevo sempre amato
ostentare, poi scivolai in un paio di pantaloni e in una camicia
pulita. Tornai
in salotto, ma Fobos non c’era, così mi diressi in
camera.
L’Ibrido
era placidamente steso sul letto con le braccia dietro al capo e i
piedi mezzi
fuori dal materasso. Aveva gli occhi socchiusi e i capelli corvini
sparpagliati
attorno al capo e sul petto. Respirava appena, sollevando il torace e
facendo
affiorare le costole ad ogni respiro. Le cicatrici che gli ricoprivano
i
fianchi e le braccia risplendevano di un lucore quasi lattiginoso e gli
anellini alle sue labbra riflettevano il loro colore cangiante su tutto
il suo
corpo. Era strano vederlo così immobile e tranquillo, con la
guardia abbassata.
Osservai i nervi delle braccia e il lento pulsare delle vene sul collo:
se lo
avessi attaccato, lo avrei sopraffatto in men che non si dica. Scivolai
con lo
sguardo lungo lo sterno, seguendo il contorno dei suoi addominali
accennati e
poi finendo ad osservare le cicatrici lungo i fianchi e
l’ombelico, in tutto e
per tutto simile al mio. Mi accorsi che aveva calciato via gli anfibi e
slacciato i pantaloni. Osservai il bordo dei jeans, i lembi di tessuto
scostati
e il bianco della pelle che vi scivolava dentro.
Mi
domandai perché fossi così attratta da lui, ma
non trovai alcuna risposta.
-Che
hai? Il gatto ti ha mangiato la lingua? -, ridacchiò Fobos,
così abituato a
sentirmi parlare, da trovare strano il mio improvviso silenzio. Aveva
appena
schiuso le ciglia, lasciando che l’ambra dei suoi occhi si
tingesse della
tonalità aranciata della lanterna che bruciava indisturbata.
Mi guardava senza
cattiveria, ma solo con una disarmante fissità. Non sembrava
imbarazzarsi nel
fissare le persone negli occhi, dritto nell’anima, ma di
questo non me ne
stupivo affatto. Fobos era schietto e diretto in tutto ciò
che diceva e faceva:
la disillusione e il raziocinio, infatti, facevano intrinsecamente
parte della
sua Natura.
Lo ignorai e mi sedetti sul bordo opposto del
letto, pettinandomi lentamente i lunghi capelli ancora fradici. Li
stavo giusto
spostando di lato per facilitarmi il compito quando sentii Fobos
avvicinarsi e
posarmi un bacio appena dietro l’orecchio.
Mi
irrigidii istantaneamente, ma ancora una volta non mi spostai. Lasciai
che
Fobos mi sfiorasse il collo con la punta della lingua e mi prosciugasse
i
piccoli torrenti disegnati dalle goccioline di acqua, scostando i
capelli con i
denti quando quelle serpi nere intralciavano il suo cammino.
Risalì fino alle
orecchie, poi si staccò un istante, giusto il tempo per
sussurrarmi qualcosa.
-Hai
le orecchie bordeaux-.
Lo
sentii sorridere vicino al mio viso, poi i suoi denti appuntiti si
strinsero
delicatamente attorno al lobo del mio orecchio. Sobbalzai, colta alla
sprovvista. Avevo gli occhi spalancati, le guance in fiamme e il
respiro corto.
Che cosa mi stava facendo Fobos? Stava usando una qualche sorta di
incantamento
su di me?
-Non
ti farò nulla se non vorrai-, mormorò, quando
quel gioco sembrò non bastargli
più.
Mi
afferrò per un braccio e, senza troppi preamboli, mi fece
stendere sul letto. Sentii
le lenzuola cedere sotto il peso del ragazzo e, in un battibaleno,
l’Ibrido si
sistemò a cavalcioni sopra di me. Si reggeva sulle braccia,
premendo le mani
contro il cuscino e usando gli avambracci come sbarre per impedirmi di
sfuggire
ad un suo eventuale bacio.
Deglutii,
nervosa. Sembrava un lupo affamato con quei capelli neri che mi
ricadevano sul
seno e quel sorriso appuntito, eppure i suoi occhi risplendevano di una
luce
diversa, di una dolcezza malcelata e un po’ indomita.
-Cosa
vuoi farmi? -, balbettai, osservandomi attorno in cerca di una via di
fuga.
-Secondo
te? -.
I
miei occhi si spalancarono per l’imbarazzo quando Fobos
staccò una mano dal
cuscino sdrucito e la appoggiò sul mio ginocchio.
-In
fin dei conti sono un uomo. Che cosa ti aspettavi da me? -,
ghignò, facendo
tintinnare i due anellini ancorati alle labbra. Il mio cuore ebbe un
sussulto:
la sua mano si era spostata senza che me ne fossi accorta e mi stava
accarezzando la gamba. Sentivo il calore del suo tocco attraverso la
stoffa dei
pantaloni; stava risalendo verso le cosce, pizzicandomi la pelle di
tanto in
tanto e causandomi fremiti in tutto il corpo.
Sollevai il viso per osservarlo, per capire
cosa Fobos stesse pensando, quali emozioni colorassero la sua aurea. Ed
i
suoi occhi non mentivano. Avrebbe preso l’unica cosa preziosa
che mi era
rimasta. Avrei potuto donare me stessa ad un uomo diverso, ad un uomo
che
magari avrei sposato e con cui avrei avuto una famiglia un giorno. Era
quello
che ogni donna auspicava per se stessa, no? L’Amore. Ma io
non mi auguravo
minimamente nulla del genere. Cosa me ne facevo di un sogno simile
quando
l’uomo che desideravo avrebbe potuto morire in qualsiasi
momento? Quando io
stessa ero imprigionata in una realtà che non aveva spazio
per una come me?
Desideravo solamente completare l’oscurità di
Fobos, dimenticare le nostre
differenze e azzerare la nostra distanza. Sentivo che c’era
qualcosa in quel
ragazzo che era stato creato appositamente per me, che io ero
l’unica persona
al mondo che avrebbe mai potuto stare al suo fianco. Potevo essere
forte,
potevo raggiungerlo e potevo guardarlo da pari. Potevo, per una notte,
smettere
di odiare i suoi difetti e scoprire quella bellezza che sapevo
nascondersi nel
suo cuore. Così
alla fine cedetti di
fronte alla sua presa di posizione.
Le
sue mani non indugiarono oltre.
Scivolarono lungo il profilo dei seni, proseguirono lungo
il costato,
sulla traiettoria dell’ombelico e infine si soffermarono
sulla pelle che
scompariva al di sotto della cinta dei pantaloni. Inspirai a fondo. Non
ero più
lucida e il mio cuore stava esplodendo cercando di tenere il ritmo dei
miei
respiri. Anche Fobos sembrava perso, con gli occhi lucidi e le labbra
socchiuse. Stava armeggiando già da qualche istante con il
bottone dei miei
pantaloni, cercando di sbloccarlo d’asola, ma questo opponeva
l’ultima strenua
resistenza, cercando di preservarmi da quell’amore bizzarro e
pericoloso. Solo
grazie all’insistenza di Fobos, questo cedette, scoprendo la
biancheria
sottostante e facendo lentamente scivolare verso il basso la zip. Nel frattempo anche le mie
mani avevano preso
vita propria e avevano cominciato ad esplorare il corpo di Fobos,
analizzando ogni
muscolo e ogni sporgenza del suo fisico asciutto. E infine, quando le
mie mani
ebbero percorso tutta la cartina del suo corpo, gli posai un bacio
sulla
cicatrice rosata che gli adornava la clavicola destra. Lui
sussultò
leggermente, deglutendo a vuoto, poi mi restituì il favore
mordendomi con
leggerezza uno zigomo. Il suo respiro mi fece sciogliere completamente
e in
breve tutto il mio corpo vibrò come la corda di un violino.
Forse
quella sarebbe l’unica chance per noi, forse non avremmo
avuto un’altra
occasione. Avrei dovuto essere triste di fronte a una così
cupa prospettiva,
eppure il modo in cui Fobos mi baciava e mi spogliava non faceva altro
che
farmi desiderare di vincere quella guerra, di salvare la mia anima e la
sua da
quel rogo visto nel mosaico, dalla povertà delle strade e
dalla disperazione di
quel mondo che ci aveva vomitati per scherzo. E io non volevo
rinunciare a
quella sensazione di invincibilità. Per nulla al mondo.
Fobos
si chinò sul mio corpo, lasciando che le punte sottili dei
capelli mi
solleticassero il seno e i fianchi, e per ogni sospiro che
lasciò le mie
labbra, lui mi regalò un bacio, un morso o una carezza, come
per convincermi
definitivamente che il mio posto era al suo fianco. E così
alla fine cedetti
definitivamente alle sue lusinghe.
Non
avevo mai pensato a cosa significasse fare l’amore con un
uomo né mi era mai
passato per la testa che un giorno anche io sarei stata in grado di
affezionarmi a tal punto ad una persona da concederle tutto, anima e
corpo. Ma
era successo e anche se Fobos era la persona più
improbabile, ero felice. La
sua dolcezza un po’ feroce e la sua urgenza mi avevano
rapito, il suo modo di
guardarmi e tenermi stretta mi aveva stupito e la mia
capacità di stargli
accanto e amarlo mi aveva svegliata. Tutte queste cose mi avevano fatto
capire
quanto avessi sbagliato a pensare che sarei potuta sopravvivere da
sola, che
avrei potuto smettere di soffrire. Perché proprio adesso che
rischiavo di
perdere tutto, sentivo il desiderio di ancorarmi alla vita.
Perché solo mentre
Fobos aderiva a me, il mio mostro era tranquillo. Perché
nonostante fossimo
mostri, quando lottavamo assieme diventavamo invincibili e determinati.
Perché alla
fine se dovevo morire, volevo almeno salvare la migliore parte di me.
Quella
che lui amava e ammirava.
Probabilmente per questo non
chiusi mai gli occhi
durante il nostro piccolo momento di intimità, forse per
questo non mi
dimenticai nemmeno per un secondo che ci stavamo amando sullo sfondo di
una
guerra, con la Morte dietro l’angolo. Forse per questo volevo
ricordarmi ogni
singolo fotogramma dei nostri baci, della motivazione per la quale
dovevo
andare avanti. Ero egoista, ma volevo per la prima volta dopo tanti
anni
regalarmi un futuro. Un sogno.