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Autore: Lost In Donbass    31/10/2015    1 recensioni
Tom è un agente dell'Anticrimine, squattrinato, con poca fortuna nelle relazioni, trasognato e tropo romantico. Bill è un mercenario, tossico, ficcanaso, malizioso e dannatamente sexy.
In una Berlino troppo calda, in mezzo a serial Killer psicotici, poliziotti indolenti, trafficanti poco raccomandabili e coinquilini fuori di testa, sarà mai amore tra i due ragazzi? O finiranno anche loro vittime del giro di sangue che ha avvolto Berlino nella sua morsa?
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
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CAPITOLO TREDICI: TUTTI I FIGHI SONO DELLE CHECCHE!

Tom e Georg vennero fatti timidamente accomodare in un piccolo salottino piuttosto buio, dove alcune rozze riproduzioni di busti di finto marmo facevano la loro brutta immagine, insieme ad alcuni Kandinsky palesemente falsi alle pareti. Due grosse poltrone rosse li ospitarono, dure e scomode, davanti a una scrivania di noce con pesanti rifiniture di similoro: piuttosto volgare, a volerla dire tutta.
Il signor Levi Strauss si sedette sulla sua poltrona, facendola scricchiolare sotto la pesante mole, aggiustandosi gli occhialini sul naso da maiale e disse
-Cosa … cosa cercate da Will?
I due agenti si scambiarono un’occhiata, e Georg, il più professionale di tutto il Distretto Dieci, prese parola, girando intorno al vero motivo. Anche perché sarebbe stato leggermente spinoso dire che era probabilmente un serial killer e che il suo ex ragazzo se la faceva con quel rasta lì presente.
-Ci servono tutte le informazioni che lei possa essere in grado di fornire, in quanto crediamo che questa persona abbia delle informazioni fondamentali su un caso che stiamo seguendo.
Il gallerista tossicchiò, guardandosi intorno con aria leggermente allucinata, cercando di sfuggire dall’indagatore sguardo di Georg. Tom intanto studiava i finti Kandinsky con aria genuinamente interessata.
-Beh … io … è tanto che non lo vedo …
-Partiamo dalle cose semplici. – interruppe Tom, tormentando il berretto da skater – Parta semplicemente con nome, età, cose di questo genere. Al resto pensiamo dopo. Per esempio, ha detto che si chiama Wilhelm Schadenwalt?
Quello, a Tom, proprio non andava giù. Ma cosa voleva dire quel nome, lo stesso vero nome del suo piccolo angelo? E a proposito, chissà cosa stava facendo in quel momento. Magari era da July a raccontargli tutto e a farsi due risate alle sue spalle. Com’era ovvio.
-Sì. Cioè, non è il suo vero cognome; tecnicamente, si chiamerebbe Wojciechowsky, è polacco di origine, ma comunque usava un cognome tedesco per una serie di motivi alquanto strani …
Levi Strauss sembrava terribilmente impacciato e guardava con un certo terrore dipinto negli occhietti porcini gli appunti lampo di Georg. I due agenti si scambiarono un’occhiata che per loro era il tipico “Questo è un piscia sotto, ma dobbiamo cavargli le parole di bocca”. Sospirando, Georg fece gesto di andare avanti, e il gallerista si asciugò l’ennesimo rivoletto di sudore dalla fronte, tormentandosi le dita a salsicciotto.
-Will … è, cioè era, uno dei pittori più, ehm, apprezzati della galleria e dell’intero giro artistico di Berlino. Ha una mano terribilmente perfetta, divina, oserei dire.
Georg alzò un sopracciglio mentre Tom si ritrovò ad annuire senza rendersene nemmeno conto: ok, si sentiva leggermente maniaco in quel momento, ma un brivido lo percorse quando ripensò a quei pochi quadri che aveva visto a casa di Bill. Violenti, perversi, era d’accordo. Ma qualcosa di così splendidamente somigliante a una fotografia lui non l’aveva mai visto. Il cervello sovraeccitato di Tom partì per un trip mentale che “50 sfumature di grigio” sembrava un raccontino per educande. Immaginò che la prossima volta in cui avesse potuto stare solo con Bill avrebbe portato con sé le manette, e magari avrebbe fatto ordinare da Kalle pure un frustino e una maschera. Il solo pensiero di Bill vestito con un completino di pizzo, legato al letto, con il suo adorabile fondoschiena sollevato gli fece salire il sangue al cervello. Beh, non solo. Grugnì, e cercò di pensare a qualcosa di brutto che facesse tornare a cuccia il piccolo Tom. Accidenti a lui, non poteva pensare a quelle cose proprio adesso!
-Ha cominciato a lavorare qui circa … otto anni fa. Aveva diciotto anni.
-Aveva … ehm, un modello particolare?- Tom puntò lo sguardo più perforante che gli riuscì sul gallerista, cercando di apparire sicuro di sé e in qualche modo intimidatorio. Anche se non sapeva nemmeno lui bene come fare, siccome semmai era lui che era intimidito da tutta la faccenda e terrorizzato dal vespaio assurdo che gli si era rovesciato addosso quella sera che aveva tirato su Bill. Come se gli fosse apparso un nuovo mondo parallelo alla sua Berlino. Un mondo fatto di inganni, bugie, occhi truccati e sangue che impregnava i muri e le anime di chiunque vivesse nella Berlino Dietro Lo Specchio; e Tom era ormai sicuro di farne in qualche modo parte, come se anche la sua anima candida fosse stata impregnata di sangue dagli strani pagliacci incontrati in questo nuovo, inquietante, scenario.
Levi Strauss sbatté le palpebre, prendendo tempo chinandosi a raccogliere una penna che palesemente aveva fatto cadere apposta per quello scopo. Esitò, prima di rispondere, come se stesse ponderando i vari esiti della sua risposta; sembrava che stesse combattendo una profonda lotta interiore, quando finalmente si decise a sputare un “sì”, piuttosto strascicato.
-Chi era?- si affrettò a chiedere Georg, immaginando già dove voleva andare a parare quella testa contorta del suo migliore amico: Bill, la sua nuova fiamma infernale. Tom lo aveva aggiornato sulle ultime novità della notte, e Georg non poteva dire di essere troppo contento da un lato. Si stava irrimediabilmente incasinando da solo, e lui e Gustav non avrebbero sempre potuto parargli il culo per i problemi che combinava da solo. Ci mancava solo quel famoso Bill, che una personcina tanto tranquilla non lo doveva essere. Scintille, scintille pericolose.
-Un ragazzo, ma non lo conosco.- Levi Strauss non sapeva mentire, quello era poco ma sicuro. I due ragazzi si scambiarono un’occhiata, e quindi Tom si alzò
-Bene, allora Georg tu continua pure qui, io vado a dare un’occhiata in giro per la galleria. – lanciò un’occhiata che voleva essere penetrante al grassone – Con permesso, signore.
-Prego, vada … per di là. – Levi Strauss fece un sorriso nervoso, indicando la porta di mogano scuro.
Tom si avviò verso la sala dove c’erano le tre ragazze, che come poté vedere, erano sempre dietro al grosso quadro, tutte e tre che parlottavano nervosamente, le mani concitate che saettavano sulla cornice e sulla tela piuttosto rovinata dove campeggiava un grosso veliero in balia delle tempeste.
La prima che si accorse dell’entrata piuttosto silenziosa di Tom nella stanza fu quella con i capelli biondi, che gli rivolse un’occhiata non propriamente casta e disse, con voce roca e suadente (cioè, a Tom parve più l’ultimo rantolo di agonia di una marmotta lebbrosa, però aveva capito che agli altri uomini quella voce doveva apparire particolarmente accattivante), facendogli un mezzo occhiolino.
-Allora, dolcezza, cerchi qualcosa?
-Sono fidanzatissimo.- Tom pensò bene di mettere le mani avanti, notando con un certo terrore le tre fanciulle mollare i pennelli e cominciare ad avvicinarsi leccandosi le labbra. Visto che quella con i ricci neri stava per ribattere, urlò – E con un uomo. Quindi, no. Non mi interessate nemmeno in quel senso.
Le tre smisero immediatamente di avvicinarsi, anzi, spalancarono gli occhi a palla e quella con i codini che li aveva accolti sbottò
-E ma che palle, tutti quelli un po’ fighi sono delle checche!
-Veramente!- grugnì la bionda – Non uno che si degni di apprezzarci.
-Cosa c’è, allora?- la mora incrociò le braccia al petto, squadrandolo al di sopra degli occhiali.
Tom si sentì piccolo di fronte agli sguardi acidi e in grugniti delle tre ragazze, imbarazzato ed esasperato allo stesso tempo, richiamando alle mente Bill. Perché quando serviva da mostrare come fidanzato non c’era mai? Per esempio, sarebbe stata una cosa terribilmente romantica vedere loro due, per mano, sulla spiaggia di Malibù, tutta la gente che si inchinava al loro supremo passaggio come se fossero dei nuovi dei, così divini nella loro lucentezza che si rifletteva sulle onde cristalline dell’oceano che con la sua voce chiamava …
-Ti sei mangiato la lingua?- insisté la rossa, sventolandogli una mano davanti al naso. Tom si riscosse di scatto, arrossendo in quel modo che Bill trovava irrimediabilmente tenero, tormentandosi i cordini della felpa sformata. Prese un profondo respiro, e poi si decise ad affrontare quelle tre arpie sul piede di guerra.
-Allora ragazze, seriamente. Che potete dirmi di Wilhelm?
Tom si ritrovò a sorridere interiormente quando vide gli sguardi delle tre farsi rapidamente corrucciati e agitati, indecisi. Come se costasse loro molto rivelare qualcosa alla Polizia. E chissà perché, poi. Cioè, nemmeno che fosse il demonio, tutta questa gente che sembrava esserne così follemente terrorizzata … insomma, che diavolo avrebbe potuto avere quel ragazzo per assoggettare così tutta quella gente? E soprattutto, per assoggettare Bill? Cosa poteva usare? Ricatto, false promesse, terrore … sembrava quasi che tutti coloro che conoscevano questo Hansi/Will fossero spaventati a morte da lui. Oppure c’era altro sotto? Chi poteva avere un carisma così forte da tenere nel pugno tutta quella gente?
-Lui era … - la bionda si morse il labbro ricoperto di scadente rossetto, scambiandosi qualche occhiata stanca con le amiche – Lui era geniale. Nessuno era in grado di dipingere meglio di lui. E nessuno sapeva le cose che sapeva lui. Era semplicemente il migliore in assoluto. E, anche se non dovrei dirlo, era un po’ il sogno erotico di tutte, qui dentro.
Le altre due annuirono con gli occhi bassi, diventate improvvisamente impacciate.
Tom si grattò il collo; poteva immaginare il tipo … com’è che si soleva dire? Bello e dannato? Anche se qualcosa irrimediabilmente stonava nell’insieme, come se stesse disperatamente cercando la piccolo pausa sbagliata in un brano di centinaia di pagine, ma che nonostante tutto quella pausa rovina completamente l’intero concerto. E la pausa era proprio Wilhelm.
-Era simpatico? Un tipo amichevole?- le aiutò Tom appoggiandosi distrattamente al muro, giocherellando con i cordini, non riuscendo a stare fermo per un secondo.
-Un figlio di puttana.- mormorò la mora, pulendosi gli occhiali e alzando i grandi occhi neri su Tom – Non so se mi spiego, ma non era assolutamente disponibile. Anzi, se devo proprio dirla tutta, parlava poco e niente e quel poco che diceva era solamente per sminuirti o per farti sentire uno sbaglio della Natura. Freddo come la morte. Apatico. Ecco, sì: potrei dirti che era l’apatia fatta persona.
Tom annuì. Bella differenza per l’angelo: da uno misantropo e violento a un compagnone che non farebbe male a una mosca. Wow.
-Era uno di quelli che si vestivano sempre di nero, che si faceva sempre i cavoli suoi, però aveva un aura di dannazione che avrebbe incantato chiunque. Un po’ come i vampiri dei libri per ragazzine, solo che lui lo era per davvero. Forse è anche un vampiro- la rossa fece una risatina infantile, arrotolandosi un dito attorno a un codino.
-Smettila, Cloe. Non dire cazzate.- sbuffò la bionda, e prima che potesse continuare Tom la interruppe
-E sapete chi usava come modello fisso per i suoi quadri?
Le tre ragazze si guardarono un po’ con un’espressione di difficile interpretazione, quando la bionda disse
-Hai visto dei quadri di Will?
-Mi è capitato, sì.- rispose evasivo il rasta. Sì, li ho visti in casa del mio ragazzo e gli è pure venuto una crisi isterica per colpa di certe foto. Fantastico, no?
-Era il suo fidanzato.- grugnì la mora. Ora Tom capiva perché prima se ne erano uscite con quel “tutti i fighi sono delle checche”: in effetti, non avevano tutti i torti … beh, meglio per lui. Più carne al fuoco e più succulenta. – Un tipo strano.
-Perché strano?- Tom aggrottò la fronte. No, non voleva che quelle tre arpie dessero dello strano al suo Bill. Aveva un diritto di proprietà su di lui, che cavolo.
-Dai, Dafne, non era strano.- Cloe alzò le spalle – Era solo originale.
Dafne ignorò le parole dell’amica e continuò, guardando fisso Tom
-Mi pare si chiamasse Bill, ma non sono sicura, visto che praticamente non parlava. Non era muto, perché ogni tanto vedevo che diceva qual cosina a Will, ma con noi si limitava a sorridere e ad annuire o a scuotere la testa. Cioè, ma quello non ci stava, proprio no. E non mi stupisco che uno come Will stravedesse per lui. Sembrava una ragazza: giuro, ci ho messo a capire che era un maschio.
-Noi non lo conosciamo, però possiamo dirti questo se ti interessa.- continuò la bionda. Tom fu quasi preso da una voglia irrefrenabile di fermarle, di supplicarle di piantarla di parlare in quel modo del suo Bill; non ci voleva credere, proprio no. Avrebbe voluto non sapere nulla, tapparsi le orecchie di fronte a tutto quello ma non poteva. Perché non voleva che il suo amore fosse una menzogna. – Vedevamo come lo trattava, era palese. A parte il fatto che non gli si staccava mai da dosso, quelle poche volte che lo portava qua in studio vivevano praticamente appiccicati, poi era assolutamente succube. Anche se non parlavano, potevi benissimo vedere le occhiate che si scambiavano. E bastava che Will schioccasse le dita che subito lui obbediva sorridendo.
-E’ come dice Leila. Schiavismo puro.- Dafne e Cloe annuirono.
Tom sentì il cuore stringerglisi in una morsa d’acciaio. È come dicevano i triangoli, allora: schiavismo puro, senza limiti imposti dalla legge. Dopo tutte quelle fastidiose rivelazioni, sarebbe andato da July. Non sapeva nemmeno bene lui il perché, forse solo per la sicurezza che si era reso conto solo lui poteva dargli; gli bruciava irrimediabilmente pensare che addirittura lo Scorpione lo potesse mettere in pace con se stesso come nessuno prima di lui, ma era così, e fin che gli giovava non vedeva perché allontanarlo da sé. E poi avrebbe rivisto Bill. Il Bill che conosceva lui, bastardo, malizioso, indipendente, orgoglioso. Il Bill che gli sarebbe saltato al collo uscendosene con una qualche battuta a sfondo sessuale. Il Bill che non si faceva mettere sotto da nessuno. Il Bill che giocava e non la smetteva, che lo faceva impazzire, che lo spingeva al limite e poi lo ritirava indietro.
-Bene; e poi che mi sapete? Sapete se era solito prendere dei tranquillanti? Medicinali, roba omeopatica, per qualche problema depressivo?
Le ragazze si guardarono come alla ricerca di un qualche ricordo perduto e seppellito nell’anticamera del cervello, quando Leila intervenne
-Dirti che tipo di medicinale fosse non ne sarei in grado, però posso dirti che prendeva in continuazione psicofarmaci, tipo tranquillanti, roba contro l’ansia e contro l’insonnia.
-Vero- annuì Dafne – Lo vedevamo ogni santo giorno. Non mangiava un tubo, in compenso non faceva che ingoiare pastiglie su pastiglie. E poi Otto si chiedeva perché fosse perennemente in uno stato pietoso. Si rovinava, con tutta quella roba.
Tom annuì, riconducendo immediatamente il tutto al dottor Olbrich e al Zolpidem, che aveva anche trovato in casa di Bill. Magari vecchi rimasugli di quando ancora (e qui gli si strinse il cuore) vivevano insieme. Pastiglie … però, a maggior ragione, quella roba lì costava un casino, se poi ne prendeva in quelle quantità esagerate … come faceva a permettersi tutta quella roba? Anche perché non pensava che il lavoro come restauratore di quadri fruttasse più di tanto.
-Soffriva di ansia. Tipo manie di persecuzione, credo. E insonnia grave.- si intromise Cloe – Era abbastanza palese, no? Ed era piuttosto violento.
-Violento? Spiegati.- Tom sorrise tra sé e sé. Pian piano nella sua mente allenata si stava creando il perfetto profilo del misterioso S.I.; filava perfettamente, anche troppo. Incominciavano finalmente ad incastrarsi i pezzettini del puzzle.
-In realtà, non è che potremmo dirlo con certezza- riparò Leila – Però, ma tienitela per te questa, tesoro: una volta, tre anni fa, prima che scomparisse, aveva portato il suo ragazzo, come faceva ogni tanto. – a quel punto Tom non avrebbe più voluto ascoltare ma cercò di farsi forza e di non far trasparire le sue emozioni tempestose – Beh, lui era lì seduto per terra come al solito, che sorrideva e non parlava (e ti giuro, era inquietante un casino), quando poi prese in mano la Polaroid che Will si portava sempre dietro e …
-E Will gli mollò uno schiaffo da far girare la testa.- concluse Dafne – Giuro, un manrovescio terribile. E il ragazzino si è messo a piangere, piano, in silenzio, e così Will l’ha preso per la collottola e gli ha detto una cosa tipo “se ci riprovi, a casa ti ammazzo di botte”. Una cosa veramente brutta.
Tom e le ragazze vennero scossi contemporaneamente dallo stesso brivido.
-Perché nessuno ha fatto niente?- soffiò il rasta, sentendosi improvvisamente soffocare in quella stanza troppo bianca.
-Perché … - Cloe guardò le altre due, arrossendo.
-Perché era Will.- conclusero quindi tutte e tre, gli sguardi bassi, le guance arrossite e gli occhi mostruosamente colpevoli, tanto che Tom non se la sentì di arrabbiarsi con loro, ma aggiunse un po’ di furore verso quel bastardo. Non sapeva cosa avrebbe potuto trattenerlo dall’ucciderlo una volta che ce l’avrebbe avuto sotto le mani. Una vendetta per tutto quello che aveva fatto al suo angelo, l’unica cosa bella che fosse mai capitata a Tom.
 
Si girò nel letto, le coperte appiccicaticce avvolte attorno al corpo, dolorante come mai, i capelli corvini arruffati come il nido di una rondine. Sfarfallò gli occhi, abituandoli al buio pesto di quella tempestosa notte di Gennaio. Sarà stato particolarmente nervoso, quella notte: non che a lui non piacesse quando se lo scopava così, a lungo, facendolo urlare fino a perdere la voce, sbattendoselo come un uovo, però dannazione, dopo rimaneva veramente a pezzi.
Lui era in piedi, la sua figura longilinea che brillava alla luce dei lampi, una sigaretta tra le dita scheletriche, appoggiato allo spigolo della finestra in una posa sensuale come solo lui poteva esserlo anche se non se ne rendeva conto.
-Devi andare di nuovo via?- sussurrò, tendendo il braccio per trascinarlo di nuovo a letto, per potersi aggrappare al suo corpo e non lasciarlo più.
-Sì, tesoro. Ma starò via solo tre giorni.
Lui si sedette sul bordo del letto, infilando dolcemente la sigaretta tra le sue labbra semi dischiuse, accarezzandogli quindi il viso.
-Perché non mi porti mai con te?- soffiò una voluta di fumo pallido, leccandogli maliziosamente il collo.
-E’ troppo pericoloso per te, amore mio. Non sei abbastanza bastardo per uscirne vivo.- lui sogghignò, accarezzandogli l’interno della coscia, baciandogli la fronte.
-Ma quello che faccio con July-chan … - spalancò gli occhi neri, sfarfallando innocentemente le lunghe ciglia.
-Tu sei la sua difesa, tesoro. Quello che faccio io è molto più pericoloso. Tu sei la spada, io sono la parola, la bugia. Non ci pensare, dormi.
-Ma io vorrei venire con te. Voglio starti vicino. July-chan mi ha detto che …
Gli si aggrappò alla schiena, facendo sporgere il labbro inferiore in una tenera smorfia dispiaciuta.
-Lascia perdere quello che dice July. E ora ti ho detto di dormire.- si girò di scatto, gli occhi fiammeggianti.
E a lui non rimase che rituffarsi sotto le coperte, gemendo di disappunto, lanciando un’occhiata drammaticamente innamorata al ragazzo seduto vicino a lui, che continuava a fumare come se nulla fosse la sua sigaretta.
 
  
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