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Autore: fraforte246    31/10/2015    1 recensioni
Attenzione: la storia si ispira alla canzone "For the first time" dei The Script.
Dalla storia:
Esco dal bar e imbocco la strada di casa.
Certe cose vanno affrontate, senza paura. Io non sono un codardo, lo sono stato un volta e ho imparato a non esserlo più.
Quando entro in casa, Mia è esattamente come me l’ero immaginata. Tutta rannicchiata nel letto, col cuore a pezzi.
“Dobbiamo far funzionare le cose” dico.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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For the first time

Oggi piove.
Non mi piace la pioggia. Non mi è mai piaciuta e oggi non la posso proprio sopportare.
Perché mi fa pensare ad una sola cosa: Mia.

Ci siamo conosciuti in un giorno di pioggia, nella caffetteria dell’università.
Lei arte, io legge. Non potevamo essere più diversi.
Indossava una camicia a quadri viola e azzurra, con qualche macchia di vernice qua e là, aveva una fascia rossa fra i capelli e la frangia castana le ricadeva sulla fronte. 
Eravamo entrambi bagnati fradici, dopo una corsa in mezzo a quel temporale di fine estate.
Allora, portavo i capelli lunghi fino alle spalle e non prendevo niente sul serio. Andavo in giro con le canottiere dell’NBA e il cappello della Nike al contrario.
I nostri sguardi si incrociarono quando chiedemmo all’unisono l’ultimo cornetto caldo.
Ancora oggi, posso ricordare esattamente la sua espressione. Quella che diceva “hai capito male, quel cornetto è mio”, quella che mi ha colpito, che mi ha fatto venir voglia di conoscerla.
“Possiamo dividerlo” le dissi. Lei storse il naso, ma non disse di no.
Penso che sia stato lì, seduto a quel tavolo, con i capelli bagnati e le labbra sporche di zucchero a velo, che accadde. In quella caffetteria, con il sorriso di Mia davanti e la sua voce che mi raccontava perché avesse scelto arte, dei suoi genitori che volevano facesse medicina.
Sì, fu lì, in quel momento, che me ne innamorai perdutamente.

Oggi piove e Mia non c’è.
E’ a casa, probabilmente rannicchiata sul nostro letto. Lo fa sempre quando litighiamo, si fa piccola piccola su quel vecchio materasso e inizia a piangere.
La prima volta che abbiamo litigato non stavamo ancora insieme. Erano settimane che ci sedevamo ogni giorno in quella caffetteria, a parlare, e quel giorno l’avevo anche riaccompagnata nel suo dormitorio. Arrivati davanti alla sua camera, le avevo lasciato un bacio sulla guancia.
E lei si era incazzata. “Sei proprio un codardo”, mi aveva detto. E aveva ragione.
Lei ha sempre ragione su tutto, è come un potere magico, non sbaglia mai.
E’ perfetta, Mia. E sì, lo so, nessuno è perfetto.
Ma il punto è che non c’è niente di lei che non mi piaccia.
Ho amato fin dal primo momento quella macchia caffelatte, sotto l’occhio sinistro. La sua pelle chiara, candida. Amo persino il modo in cui si lega i capelli quando ha fretta, con una matita presa velocemente dalla scrivania.
La amo anche quando litighiamo, anche adesso.

Cammino sotto la pioggia e giro nella via del bar.
Il bar del quartiere è un piccolo locale con la scritta Jack sopra l’entrata e i tavoli in legno all’interno. Mi siedo al bancone e saluto Peter, il proprietario, con un cenno. Un minuto dopo ho un boccale di birra fra le mani.
Odio certe serate, queste serate.

Non so come siamo arrivati a questo punto.
Uno finisce l’università, trova un buon lavoro, si sposa e mette su famiglia. E’ così che funziona, è così che dovrebbe andare, dicono.
Beh, a noi non è andata così.

Tanto per iniziare, Mia, l’università non l’ha finita.
Lei era al terzo anno e io all’ultimo, erano passati due anni da quel giorno di pioggia, e Mia era incinta.
Fu difficile, o l’università o il bambino.
Ma ci amavamo e volevamo farcela.
Siamo sempre stati quella coppia da “io e te contro il mondo”, eravamo quelli che “ce la faremo, insieme”, quelli su cui nessuno avrebbe puntato niente perché, si sa, “due come loro non durano mai”.
E invece siamo durati.
Abbiamo bruciato un po’ le tappe, abbiamo fatto le cose al contrario. A vent’anni, credi di farcela, ti senti indistruttibile.
Ma niente va come pensavi.
Il giorno studi, la sera lavori come un pazzo perché Mia si è innamorata di quell’appartamento, sulla ventinovesima. Il tempo passa, la pancia cresce. Arrivano i primi calci, le prime ecografie, la culla che non possiamo permetterci.
E poi c’è Mia, che è sempre lei, solo più bella.
Perché anche se niente va bene, Mia sorride, se io non ce la faccio, lei fa per due.
Ci siamo voluti tanto, noi. Abbiamo sempre fatto tutto per amore.
E sembra assurdo pensarci adesso.
Ora che siamo arrivati a tal punto da fare le cose solo per frustrazione.

Esco dal bar e imbocco la strada di casa.
Certe cose vanno affrontate, senza paura. Io non sono un codardo, lo sono stato un volta e ho imparato a non esserlo più.

Quando entro in casa, Mia è esattamente come me l’ero immaginata. Tutta rannicchiata nel letto, col cuore a pezzi.
“Dobbiamo far funzionare le cose” dico.
Lei si gira di colpo, sorpresa. So che è così perché Mia ha una sola espressione per esprimere stupore ed è questa. Occhi e bocca leggermente aperti, ruga sulla fronte.
“Andiamo di là. Allie sta dormendo, non voglio svegliarla” risponde seria.
Dormi, Allie. Dormi tranquilla, nell’innocenza dei tuoi sogni. Lascia a mamma e papà le questioni da grandi.
E un po’ mi viene da ridere, perché io e Mia, grandi, non lo siamo mai stati.

La seguo in salotto e la guardo mentre prende dalla credenza una bottiglia del vino più economico che ho trovato al supermercato.
Lo versa in due bicchieri e ci sediamo.
Faccia a faccia.
“Ti amo, Mia” dico, veloce, come se avessi paura di perdere le parole.
Era da tanto che non glielo dicevo.
Non sono mai stato un uomo di parole, ho sempre preferito i fatti. Ma adesso bisogna parlare, dire le cose per quel che sono.
Mia mi guarda. I suoi occhi verdi sono rossi e gonfi, ma è comunque bellissima.
Mi sento uno schifo per averla fatta stare male.
Cerco di prenderle una mano, ma lei si scansa.
“Mia, ti prego.”
“Io non ce la faccio più” dice.
E so che è così. So che lo pensa davvero.

Il punto è che le cose cambiano.
All’inizio pensi di essere l’eccezione. Sei convinto che voi non finirete come le altre coppie, che voi sarete sempre voi. Un po’ incasinati, senza soldi, con un appartamento che cade a pezzi e una bambina che corre da tutte le parti, ma innamorati.
Poi, però, Mia smette di sorridere e non fa più per due. I “ce la faremo” diventano un po’ di meno e i “vattene” un po’ di più.

Prendo il suo viso fra le mani e le asciugo la lacrima che lenta le accarezza la guancia.
“Lo so, ma io sono qui. E ti amo ancora, da impazzire” le ripeto, sperando che questa volta mi senta veramente.
E capisco che l’ha sentito perché sorride. Quel suo sorriso da togliere il fiato, quel suo sorriso che mi sa di casa.
Esita un attimo.
E’ sempre stata orgogliosa, ha sempre affrontato tutto a testa alta.
Combattendo, però. Mia è quella che sbatte la porta, che ti dice che ti odia e che ti minaccia di andarsene, ma che alla fine non se ne va mai.
Perché lei non si ferma davanti agli ostacoli.
“Ti amo anche io, Harry. E mi dispiace” sussurra.

E parliamo, parliamo tutta la notte.
Ci diciamo cose che non ci dicevamo da tempo.
Ci ricordiamo il primo periodo, quando io non avevo il coraggio di fare la prima mossa e lei era troppo orgogliosa per dirmelo. Quando aspettavamo le ore alla caffetteria, sperando che l’altro entrasse e si sedesse.
Pensiamo alla pioggia, che anche ‘sta sera è la nostra colonna sonora, la nostra canzone.
E ridiamo, ridiamo come non facevamo da tanto.
Sono sicuro che fra qualche istante scoppieremo a piangere, perché in fondo siamo due ragazzini che giocano a fare i grandi.
Ma non importa.
Siamo sempre Harry e Mia, quelli dei baci che dicono “non ti lascio neanche se me lo chiedi”, quelli della caffetteria.
E fa niente se questi sono tempi duri e finiscono per farci impazzire.
Siamo quelli che “io a te non ci rinuncio”.
E non rinunciare a me, Mia. Neanche ‘sta notte, neanche adesso.
Lottiamo, Mia. Perché noi ce la faremo, noi saremo l’eccezione.
Sei davanti a me, mi stai raccontando di quella volta che mi ero dimenticato di passarti a prendere e avevi deciso di lasciarmi.
Io rido e annuisco.

E capisco che è vero, le cose cambiano, ma noi siamo sempre noi.
E persino dopo tutti questi anni, proprio ora, ci sembra di incontrarci per la prima volta.

Sì, per la prima volta.




 
  
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