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Autore: Simply Yeats    01/11/2015    0 recensioni
Jules, una ragazza delusa e insoddisfatta della propria vita, partecipa per una scommessa ad un concorso per vincere un meet and greet con gli One Direction. A lei non sono mai piaciuti e di fatto non si aspetta di vincere, eppure ciò accade, e inaspettatamente avrà l'opportunità di cambiare se stessa e la sua vita.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jules non era mai stata una fan degli One Direction.
Non le erano mai piaciuti, neanche un po’. E neppure ora li apprezza molto, ad essere sincera.
A volte però succedono cose strane, inaspettate, forse anche senza senso come quello che sto facendo in questo momento: scrivere una storia su un artista che non ascolto, che non ammiro e che non prendo minimamente in considerazione dal momento che preferirei mangiare dentro la lettiera del mio gatto piuttosto che ascoltare la sua musica. (No non è vero, non li odio così tanto).
Ma chiamatela comunque fan fiction, se vi pare.
E allora raccontiamola dal punto di vista di Jules, questa fan fiction. D’altronde non è facile raccontare una storia d’amore con una persona con cui non sogneresti mai di stare, ma Jules può farlo e può risparmiarvi i miei commenti di non apprezzamento nei confronti di determinate persone e canzoni. E allora vai Jules, aspettiamo tutti te.
Correva l’anno 2013. Lucy era da poco sparita dalla mia vita ed io, per altri motivi, non avevo più idea di cosa fare di essa. Della mia vita, intendo, se non vi fosse chiaro.
Ma sarà colpa mia se non avete ancora una volta capito un tubo, e allora farò un ulteriore passo indietro, ai miei anni della terza media e a tutto quello che stava per accadere.
Avevo 13 anni, due sole amiche, il mio futuro sotto una sedia ed un compagno di banco spaventosamente basso di nome Stephen. Ero un’adolescente considerabile tale solo per l’acne e gli ormoni scatenati, ma del resto, non avevo mai avuto un fidanzato, né una comitiva di amici, né tanto meno un bel look e un idolo musicale che non avesse l’età di mio nonno. Ero la piccola dark della mia piccola scuola media a Straffordshire. Il brutto anatroccolo che vestiva sempre di nero ed ascoltava musica fuori moda. Potrete immaginare, ci siamo passati tutti, e se non vi è già successo, tenetevi pronte ad affrontare il periodo più imbarazzante della vostra vita.
In questo comunissimo e squallido scenario, c’erano due ragazze con me. Due amiche fidate: Lucy e Liz.
Lucy era la classica brava ragazza.
Liz un’altra pazza disadattata, esattamente come me.
Oggi mi resta solo Liz, di quel passato nostalgico, come avrete già dedotto, ma va bene così. Ora come ora non regalo più la mia fiducia a nessuno e a volte ho ancora paura che Liz voglia avvelenarmi con le sue merendine giapponesi comprate su internet. Acqua in bocca, però.
Quell’anno, parliamo del 2012, smisi sinceramente di studiare perché preferivo ascoltare Lucy mentre mi raccontava le sue frottole al telefono, cose come: “Sono innamorata di Jesu dalla terza elementare, dovevi vedere come mi guardava Sabato sera, era geloso. Lui pensa che io non lo capisca, ma lo capisco eccome!”. Non solo questa ragazza era innamorata di un ragazzo chiamato Jesus, nome che il comune costrinse i suoi genitori ad abbreviare dopo tre giorni dalla nascita per questione di rispetto verso il sommo figlio di Dio, ma dalla prima media raccontava a me e a Liz una serie di situazioni romanzesche tra loro due che scoprimmo essere di sua invenzione dopo ben  quattro anni. Quindi adesso la chiamiamo ‘La mitomane’, e ci ridiamo su, perché pare che in realtà non si fossero mai neppure rivolti la parola. Ci credereste?
Avevo fatto l’impossibile per lei. In tempi non lontani la raggiunsi a casa sua, dall’altra parte della città, semplicemente per vedere insieme l’esibizione decisiva di un concorrente in uno spettacolo musicale che non mi era mai piaciuto. Quell’anno, non chiedetemi quale, lo guardai unicamente per lui, molte volte però feci lo stesso perché lei mi chiamava in lacrime per quel tipo di nome Jesus, (ridete pure, se volete) che evidentemente non l’aveva degnava di uno sguardo durante l’ultima gita con il club della chiesa.
E così adesso è tanto se la saluto quando passa per strada. Ma era di Lucy che dovevo parlare? Non mi sembra.
Io e Liz facevamo parte di un’orchestra scolastica, ma nessuna delle due era contenta del proprio strumento. Io suonavo l’oboe, lei il flauto. Non solo stavamo sprecando il nostro udito a furia di ascoltare Lucy, anche il fiato, che avremmo preferito usare per suonare uno strumento come la cornamusa, che ci eravamo ripromesse di acquistare non appena avessimo avuto i soldi necessari. Della serie: due ‘rockettare’ ed una cornamusa.
E si, ce ne siamo fatte di promesse fallimentari.
Gli insegnanti comunque erano davvero fighi, delle persone straordinarie e musicalmente all’avanguardia! Mai una volta che ci avessero propinato pezzi eccessivamente classici, mai una volta che ci avessero annoiati e mai una volta che avessimo perso un concorso. Fu in quel periodo che imparai a NON accettare la sconfitta e a riflettere prima di prendere determinate decisioni, come quella di suonare uno strumento senza alcuna possibilità di ritirarmi. Alla fine non mi posso lamentare: girovagavamo per l’Inghilterra con i nostri zaini e i nostri spartiti ed una voglia di studiare assolutamente inesistente. Era quella la libertà, era quella, ed io mi lamentavo. Ora come ora non faccio una gita scolastica dalla terza media, e sono in terzo superiore, ed ho anche perso un anno.
Non penso che la mia scuola fosse poi tanto normale, anzi, era una vera e propria gabbia di matti, con insegnanti sexy siliconate, un bidello apparentemente criminale, ragazze maggiorenni che avevano rapporti con il bidello apparentemente criminale, un’insegnante isterica che ci minacciava lanciandoci le sedie e qualcuno che raccontava leggende disgustose sul bagno dei maschi anche se alla fine, di fatto, la cosa veramente disgustosa era il cibo della mensa e poi c’era molto, molto altro ancora. Ad esempio, quel genio che decise di farci interpretare una canzone degli One Direction con l’orchestra. E vada per i Beatles, vada anche per i Rolling Stones se vogliamo, ma non gli One Direction. Non mi andavano giù, e neanche a Liz andavano giù.
- Guarda Jules, posso darti solo questa particina, è la più semplice, ma richiede anche un’attenzione non indifferente.
Queste le testuali parole del mio professore di musica, che ormai si era abituato al fatto che odiassi il mio strumento e che non volessi studiarlo, consegnandomi lo spartito.
Confesso che generalmente, un po’ mi dispiaceva sentirmi dire che potevo suonare solo parti semplici perché non ero brava, ma non quella volta. Non quella volta che le pischelle di prima media giungevano alle prove cantando a squarciagola “Oh oh oh oh that’s what makes you beautiful!”.
Nulla che io e Liz potessimo prendere seriamente, almeno prima di scoprire che la mia particina avrebbe inevitabilmente condizionato il resto dell’orchestra dall’inizio del brano fino alla fine.
In poche parole, tutto dipendeva da me: sbagliavo io, sbagliavano tutti.
Il direttore d’orchestra era niente meno che il professore di violino, un uomo di mezza età munito di baffetti finti, eleganza, fascino e qualche chilo in meno rispetto ai suoi colleghi, fa eccezione l’insegnante di flauto: era il più giovane, poteva avere si e no trent’anni e le studentesse e le loro madri impazzivano per lui, ma questi sono dettagli. A me non piaceva, come al solito, del resto.
Tornando al professore di violino, perché è di lui che volevo parlare, dovete sapere che aveva una sua precisa gestualità nel dirigere l’orchestra e quell’anno la sperimentai più di quanto non avessi mai fatto. Le prove iniziavano, lui chiedeva silenzio, poi poggiava il dito indice sotto l’occhio e lo batteva due volte prima di cominciare a muovere la bacchetta. Cosa significasse? Seguitemi, significava. Ma mai lo avevo visto guardare dritto verso di me facendo quel gesto, ed il che mi metteva non poca ansia.
La cosa buffa è che finii per ascoltare quel cazzo di brano ininterrottamente per dei mesi, ma alla fine, forse non fu una semplice coincidenza se si pensa a tutto quello che doveva ancora succedere, e non mi sembra il caso di perdermi in dettagli come i vari concerti vinti, le varie ansie, e così via. E allora suppongo di poter ricominciare da capo, in modo che abbiate più chiara la frase con cui avevo iniziato il mio racconto.
Correva l’anno 2013. Lucy era da poco sparita dalla mia vita ed io, per altri motivi, non avevo più idea di cosa fare di essa. Della mia vita, intendo.
Aver finito le scuole medie sembrava un miracolo, una benedizione, se non fosse che avevo deciso di frequentare una scuola nella quale, per la mia solita pigrizia, venni subito bocciata. Peraltro stavo perdendo la mia personalità da rocker accanita e, la mia migliore amica, fondamentalmente, l’avevo già persa.
Tutte le mie certezze mi erano letteralmente crollate addosso. Così, tutte in una volta, senza un vero perché.
Solo amico/ nemico Destino sa con quale assurdo criterio, quella mattina del 12 Giugno 2013, venni sorteggiata in radio per ottenere un biglietto per un meet and greet con gli One Direction.
Io e Liz, per puro scherzo, mandammo un messaggio alla radio con i rispettivi cellulari, per partecipare a questo concorso di cui fondamentalmente non ci fregava nulla, scommettendo che se una delle due avesse vinto sarebbe dovuta andare all’incontro senza lamentarsi, ma mai, mai avremmo potuto immaginare che improvvisamente, nell’arco di tre giorni, una delle due si ritrovata con quel biglietto tra le mani senza la possibilità di scaricarlo su qualche vera fan.
  
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