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Autore: Seele    01/11/2015    3 recensioni
Quando Louis si risveglia dal coma, in seguito ad un incidente automobilistico, ha dimenticato qualsiasi cosa gli sia successa negli ultimi nove anni.
Compreso Harry, i suoi enormi occhi verdi, e la fede che porta al dito.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Svegliati



Louis finì di abbottonarsi i jeans, raccolse la maglietta dal pavimento e la indossò con tranquillità. Sentiva il respiro leggero di Harry al suo fianco mentre si rivestiva, i suoi occhi puntati addosso; quasi poteva percepire un sorriso rilassato sulle sue labbra. Terminò di infilarsi le scarpe, ma prima di alzarsi dal letto sentì le molle cigolare sotto al peso di Harry che si metteva seduto.

“Non andare troppo veloce, mi raccomando” disse il ragazzo nel suo orecchio, con voce appena più roca del solito per avere appena finito di fare l'amore. “Sai che ci sono dei lampioni spenti.”

Louis sentì le sue braccia cingergli la vita e le spalle da dietro, sorrise automaticamente. “Stai attento” aggiunse piano, posando il mento sulla sua spalla e premendo un piccolo bacio sulla sua mandibola.

“So badare a me stesso, Harry” gli ricordò Louis con una risata lieve, voltando il viso verso il suo. Come previsto, le loro labbra si incontrarono in un bacio leggero, che Louis dovette interrompere troppo presto: Harry odorava ancora di amore, di lenzuola e di baci, e temeva che sarebbe ritornato di corsa nel letto se non se ne fosse andato il prima possibile.

Harry premette il palmo della propria mano contro il suo petto, proprio sul cuore, prima di sciogliere l'abbraccio e lasciarlo andare.

Louis si voltò un attimo prima di varcare la soglia; aveva percepito la sua strana preoccupazione e desiderava rassicurarlo. “Ehi, amore” lo chiamò, facendolo arrossire come da copione, anche dopo tanti anni. Era bellissimo; nudo tra le coperte, con i ricci scompigliati e le labbra ancora rosse dei suoi baci.

“Stai tranquillo” sorrise. Attese che Harry ricambiasse, poi uscì di casa.


*


“Dai, cazzo, muoviti!” sbottò Louis, fermo da almeno un quarto d'ora ad un incrocio per colpa di un un ragazzo a cui non partiva il motorino. “Che palle” esalò frustrato, controllando l'orologio.

Sarebbe di certo arrivato tardi all'incontro con gli stilisti, che ultimamente avevano deciso di cambiare la sua immagine. Louis sapeva già cosa lo aspettava: un nuovo taglio di capelli, un altro tipo di abbigliamento, e probabilmente avrebbe anche dovuto indossare capi di una determinata marca, per fare pubblicità.

Louis tamburellò le dita sul volante, abbassando gli occhi sulla fede d'argento che portava al dito medio, identica a quella che Harry indossava a sua volta. Di solito bastava che le lanciasse uno sguardo per tranquillizzarsi, ma stavolta si sentiva stranamente nervoso. Voleva soltanto arrivare all'incontro e poi tornare a casa il prima possibile, per vedere il sorriso di Harry e sentirsi di nuovo bene.

Gli girava la testa, come succedeva di solito quando era molto stanco. Si passò una mano sugli occhi, prima di alzare lo sguardo e controllare la situazione davanti a sé.

Il ragazzino sulla moto sembrava finalmente aver capito quale fosse il problema. Louis gli suonò animatamente, sbuffando. Il suo era solo un commento di lode, non un incitamento annoiato, davvero.

Louis cambiò marcia e girò le ruote verso destra, pronto a prendere quella direzione. Nel frattempo estrasse il telefonino dalla tasca, selezionando dalla rubrica il numero di Harry, e fece per scrivergli che era ancora vivo, visto che lo aveva tempestato di telefonate. La suoneria lo aveva nervosamente accompagnato per tutto il tragitto, e ora era quasi arrivato.

E, nell'esatto secondo in cui sbloccò il freno a mano e premette annoiato il piede sull'acceleratore, fece l'errore di alzare il volume della radio e mettere in moto senza controllare gli specchietti.

Poi fu solo il buio.


*


Harry sospirò sollevato quando sentì la suoneria del suo cellulare diffondersi nella cucina, e lesse il nome di Louis in sovrimpressione sullo schermo; si portò subito il telefono vicino con la mano che non era impegnata a cucinare, sistemandolo fra orecchio e collo e rispondendo immediatamente.

“Lou!” esclamò, con un sorriso enorme. “Non so perché ma pensavo-”

“È lei Harry Tomlinson-Styles?” domandò una voce sconosciuta e calma, quasi fredda, dall'altro capo del telefono.

Il sorriso dal volto di Harry scomparve velocemente come era apparso. “Sì, sono io” confermò, interdetto, “chi parla?”

“Sono il primario Wright dell'ospedale Mithcell” Harry mancò un battito. “Può confermare che questo cellulare appartiene a Louis Troy Austin?”

Louis.

“S-sì, ma è conosciuto come Louis William Tomlinson” si sforzò di rispondere. “Cosa- cos'è successo?”

“Non posso fornirle alcuna informazione sul paziente, se prima non conosco il vostro grado di parentela” rispose il primario.

Paziente.

Harry sentì un groppo in gola. “La prego, mi dica cosa-”

“Il suo grado di parentela, Sir.”

“Sono suo marito” esalò Harry, a corto di aria. “Siamo sposati da tre anni. Lei deve dirmi- sono suo marito, lei deve dirmi.”

Sentì un vociare leggero dall'altra parte della cornetta, e si sforzò di concentrarsi sul proprio battito cardiaco per calmarsi. Louis doveva per forza averlo messo tra le persone da contattare in caso di...in caso di incidenti. Era inverosimile che non potesse conoscere la sua situazione.

Anche il vociare cessò, e Harry ascoltò uno snervante silenzio mentre tentava di non pensare al peggio. Magari era stata una ferita superficiale, o un calo improvviso di zuccheri, una piccola perdita di sangue...

“D'accordo” il primario tornò a parlargli, “abbiamo controllato. A questo punto, essendo i genitori del parente irraggiungibili, spiegherò a lei l'avvenuto.”

“Mi dica” lo pregò Harry, per l'ennesima volta.

A quel punto stringeva il cellulare in mano, incurante di bagnarlo leggermente. L'acqua continuava a scorrere davanti a sé, e solo distrattamente se ne rese conto prima di chiuderla. Stava già straripando dalla pentola in cui aveva intenzione di cucinare della pasta.

“Il paziente ha fatto un grave incidente in auto” Louis. “Un'altra macchina è arrivata a grande velocità sull'autostrada, il conducente era ubriaco, il signor Tomlinson non ha fatto in tempo a spostarsi e le due automobili si sono scontrate” Louis. “Il suo cuore si è fermato due volte, ma siamo riusciti a rianimarlo” Louis. “Ha delle costole rotte e varie emorragie interne, ha ancora bisogno di trasfusioni ed è attualmente in coma.”

Louis, Louis, Louis.

“Signor Tomlinson-Styles?”

Louis, Louis, Louis.

“Signor Tomlinson-Styles, mi sente?”

Louis, Louis, Louis.

“Signor Tom-”

“Sto arrivando” rispose solo Harry, per poi riattaccare.


*


Harry si sedette accanto al letto di Louis, in una camera privata che era riuscito ad ottenere dai medici. Si stava asciugando gli occhi con la mano non occupata a stringere quella di Louis, in attesa di sentirla rispondere al contatto.

Si sentiva piuttosto debole; aveva lo stesso gruppo sanguigno di Louis, e non aveva esitato un secondo prima di farlo sapere al primario con cui aveva parlato al telefono. Aveva mangiato velocemente qualcosa per riprendere le forze, poi si era catapultato nella stanza di Louis.

E lì aveva iniziato a piangere senza possibilità di smettere. Perché adesso era tutto davanti ai suoi occhi; non poteva più sembrare uno scherzo di cattivo gusto, né un incubo, ma era tutto così reale da terrorizzarlo. La mano di Louis era calda nella sua, segno che era ancora vivo, ma respirava solo grazie ad una macchina e il solo pensiero faceva stringere il cuore di Harry.

Gli avevano tolto la fede e l'avevano consegnata a Harry, che l'aveva conservata con cura ma non aveva avuto il coraggio di togliere anche la propria. Tirò su col naso e osservò gli occhi chiusi di Louis, sussurrando come tra sé e sé rassicurazioni e promesse.

“Ti sveglierai, Lou, io lo so che puoi farcela.”

Conobbe la dottoressa Chittle, una donna dai lunghi capelli castani e dagli occhi azzurri, un paio di occhiali sul naso e la pelle chiara. Gli disse che avrebbe dovuto rivolgersi a lei d'ora in poi, perché si sarebbe occupata personalmente del paziente.

Si addormentò sulla poltrona accanto al letto di Louis e dormì lì quella notte, incapace di tornare a casa. Aveva avuto solo la forza di avvertire sua madre della situazione, ed Anne aveva preso il primo aereo verso Londra.

Liam era stato il primo ad arrivare, il giorno dopo. Si trovava fuori dall'Europa per una vacanza, ma non aveva esitato un secondo prima di partire per raggiungerli.

Non aveva avuto il permesso di entrare nella stanza, per cui era stato Harry ad uscirne. Si era subito lasciato avvolgere dalle braccia forti di Liam e aveva ricominciato a singhiozzare, proprio quando credeva di aver finito le lacrime.

Liam si occupò di tutto. Telefonò ai manager, mettendoli al corrente della situazione, chiamò anche Zayn e Niall. Non sapeva per quale motivo, ma Harry aveva telefonato solo a lui; forse perché sapeva che, fra i tre, sarebbe stato il più adatto ad occuparsi di quelle faccende, e perché inconsapevolmente sentiva che non ne sarebbe mai stato in grado da solo.

Anne lo convinse a tornare a casa per la notte, gli preparò la cena e gli disse che sarebbe andato tutto bene. Harry si lasciò trattare come se fosse tornato ad essere un bambino, bisognoso di rassicurazioni e cure.

Anne riuscì a contattare Johannah, e la donna arrivò in ospedale il giorno dopo insieme al marito. Le sorelle di Louis non c'erano; Mark spiegò che non avevano voluto dir loro nulla, per non preoccuparle.

Gli occhi di Johannah non mostravano alcuna emozione. Solo quando entrò nella camera e prese la mano di suo figlio scoppiò in lacrime.

E i giorni passarono.


Giorno 7


“È già passata una settimana, Lou. Non posso crederci. Torna indietro, amore, ti prego.”


Giorno 13


“LouLou? Siamo io e Daisy. Mamma e papà hanno detto che non stai bene. Quand'è che ti svegli?”


Giorno 21


“C'è troppo silenzio qui. Forse dovrei suonare qualcosa alla chitarra, ma non sono sicuro che ad Harry andrebbe bene.”


Giorno 28


“Louis, amore, tuo padre vorrebbe venire qui. Gli ho detto di no. Vorresti che venisse? Non siete mai andati d'accordo, non so cosa fare. Mi dispiace così tanto se non riesco ad essere una brava madre, così tanto.”


Giorno 34


“Si sente la tua mancanza durante le prove. E anche quella di Harry, sembra assente. Ho iniziato a dover chiacchierare persino io al tuo posto, renditi conto.”


Giorno 37


“Louis, tesoro. Cerca di svegliarti, lo sappiamo che sei forte. Harry è distrutto, ti prego, fallo per lui. Sei come un figlio, sono così in pensiero.”


Giorno 42


“Louis? Lottie dice che non ti sveglierai più. Mamma sembra così stanca. Ho tanta paura.”


Giorno 46


“Sai che puoi considerarmi una sorella maggiore, Louis. Ho bisogno che tu faccia tornare il sorriso sulle labbra di mio fratello.”


Giorno 50


“Avanti, ragazzo, svegliati. Non ce la faccio più a vedere tua madre in queste condizioni.”


Giorno 54


“Stiamo pensando di sciogliere il gruppo. Senza di te non è più lo stesso, Lou.”


Giorno 57


“Sei mio fratello, dovresti svegliarti e dirmi che andrà tutto bene! Perché non ti svegli?!”


Giorno 63


“Ti amo, Louis. Non voglio lasciarti andare. Ti prego, dammi un segnale che sei vivo, apri gli occhi. Mi manchi così tanto.”


Improvvisamente la mano di Louis in quella di Harry sembrò muoversi, quasi impercettibilmente. Ma Harry se ne accorse immediatamente.

“Louis?” domandò, con un filo di voce. “Louis, sei- mi riesci a sentire, Louis?”

La sua mano iniziò a tremare, subito seguita dal suo braccio. Il suo intero corpo iniziò ad agitarsi a causa di alcuni spasmi.

Harry si costrinse mentalmente a lasciare la mano di Louis, ma solo per aprire con forza la porta della stanza e chiamare a gran voce il nome della dottoressa Chittle, aspettando che lo raggiungesse in fretta mentre alternava sguardi al corridoio e a suo marito.

Nello stesso momento in cui incontrò gli occhi di sua madre dei medici entrarono in fretta all'interno della stanza, spingendolo fuori e intimandogli di farsi da parte.

“Si sta svegliando!” sentì dire dalla dottoressa Chittle, prima che la porta si chiudesse. “Sta tentando di respirare da solo. Presto, presto!”

Harry si lasciò mettere seduto su una sedia da sua madre, poi scoppiò a piangere. L'emozione di rivedere Louis muoversi, anche solo per quegli spasmi, aveva preso il sopravvento su di lui. Sapeva che nulla era certo, che Louis avrebbe potuto benissimo non svegliarsi, ma lo sperava così tanto.

Trascorsero minuti, forse ore interminabili. Harry strinse convulsamente la mano di sua madre tutto il tempo, fino a vedere le nocche sbiancare; probabilmente le stava facendo male, ma Anne sembrava non fare attenzione a quel particolare. Si limitava a ricambiare la presa, mentre Gemma domandava se potesse essere d'aiuto in qualche modo e beveva nervosamente un caffè.

Era assurdo come sia lei che Anne si fossero affezionate a Louis, in quegli anni. Lo consideravano parte della famiglia.

I Tomlinson, invece, si trovavano a Doncaster. Le ragazze dovevano andare a scuola, e i gemelli erano ancora troppo piccoli per restare a casa da soli per troppo tempo.

Anne aveva avvisato Johannah con una chiamata, e lei non aveva nemmeno parlato; dopo aver sentito quello che Anne aveva da dirle, aveva riattaccato senza dire una parola. Anne sapeva che stava già cercando un nuovo volo verso Londra.

E finalmente, la dottoressa Chittle uscì dalla stanza. Era la prima volta che Harry la vedeva sorridere.

“Posso fare entrare uno di voi. È sveglio.”

Harry si sentì morire di felicità. Gemma lo mise in piedi e gli diede una leggera spinta, sorridendogli sollevata.

Harry si sentiva le gambe tremare mentre varcava la soglia e...oh.

Louis.

Era vivo.

Era seduto, con una gamba vicino al petto su cui aveva posato un braccio e l'altra stesa lungo il materasso. Era piuttosto pallido, ma sembrava stare bene, e i suoi occhi erano così azzurri. Harry si chiese come diavolo avesse fatto a dimenticare che fossero così tanto azzurri, così vivi, così...così suoi.

“Ciao” disse, quasi in un sussurro. Non lo lasciò rispondere perché, dimenticandosi per un istante delle flebo e di tutti i macchinari che lo circondavano, in due lunghe falcate si avvicinò a Louis e lo strinse stretto tra le sue braccia.

Si sorprese quando lo sentì agitarsi leggermente nella sua presa, come se tentasse di liberarsi e di respingerlo. Sul momento non ci fece caso; era ovvio che fosse dolorante, o intontito, e si scostò in un secondo. Non smise di guardarlo, né di sorridere o di parlare. “Sei tu, sei qui, sei-”

“Chi sei tu?” domandò Louis, interrompendolo. Aveva la voce roca per non averla usata per molto tempo, ma il tono era a metà fra il confuso e l'infastidito.

Gli occhi di Harry persero luce per un secondo. “Lou, sono io. Sono- sono Harry, Louis. Harry.”

Louis lo fissò per qualche secondo, con la fronte corrugata. “Io non ti conosco” disse infine.

Harry lanciò un veloce sguardo, di puro panico, alla dottoressa Chittle. Poi tornò a guardare Louis, sorridendo nervosamente.

“Avanti, Lou, non è divertente.”

Louis non rispose, si limitò a mantenere la stessa espressione sospettosa, e Harry sentì di nuovo gli occhi farsi lucidi.

“Avanti, non puoi -non puoi non ricordarti di me! Sono-” ma la dottoressa Chittle si avvicinò e lo allontanò di pochi passi, parandosi lei di fronte a Louis.

“Signor Tomlinson, come si sente?” chiese, ignorando la presenza di Harry alle sue spalle. Louis vide i suoi occhi tremare, come se stesse combattendo per non piangere, poi guardò confuso la donna dinanzi a sé.

“Bene, mi sento bene. Cosa ci faccio qui?”

“Lei ha fatto un incidente con la sua auto. Aveva delle costole rotte, ma sono guarite, insieme alle emorragie interne. Fortunatamente era in ottima forma, per cui sarà dismesso a breve.”

Gli occhi di Louis si spalancarono. “Quanto a breve? Ho un provino per X-Factor, il mese prossimo. Dovete assolutamente farmi uscire di qui prima di Giugno! Potrebbe essere l'occasione della mia vita, e-”

“Louis.” fu lo sconosciuto ad interromperlo, con espressione, adesso, più interdetta che preoccupata. “Sei stato ad X-factor nove anni fa.”

Louis alzò gli occhi al cielo. Fece per parlare, ma la dottoressa Chittle lo anticipò.

“Signor Tomlinson, mi sa dire la sua data di nascita?”

Louis la guardò scettico. “Lei crede che io-”

“La sua data di nascita, signor Tomlinson.”

Louis alzò gli occhi al cielo. “24 Dicembre 1991”, rispose. La dottoressa Chittle si voltò a guardare Harry per conferma, che annuì.

“In che luogo è nato?”

“Doncaster.”

“Il nome dei suoi genitori?”

“Johannah e Troy.”

“Ha dei fratelli?”

“Solo sorelle.”

Harry scosse impercettibilmente la testa. Louis non lo notò, impegnato a rispondere alle domande.

“Sua madre si è risposata?”

“Sì.”

“Quante volte?”

“Una.”

Di nuovo, Harry scosse la testa. Adesso la preoccupazione era ben visibile nei suoi occhi.

“Signor Tomlinson...mi sa dire in che anno siamo?”

Louis rispose senza esitazioni. “2010, Maggio.”

Harry smise di respirare.

“E quanti anni ha?”

“Diciotto.”

La dottoressa Chittle si voltò verso Harry. Il ragazzo era sbiancato, i suoi occhi sembravano aver perso emozioni.

“Louis...Louis, tu non hai diciotto anni, ne hai ventisei. E non siamo nel 2010, siamo nel 2019” spiegò, senza fiato.

“Signor Tomlinson, è sicuro di non ricordare nient'altro?” domandò la dottoressa Chittle, sistemandosi gli occhiali sul naso. Louis abbassò la testa, sentendosi improvvisamente spaventato.

“Posso...posso parlare con mia madre?” fece invece, stringendo le coperte nei pugni chiusi.

“Al momento i suoi genitori si trovano a Doncaster” spiegò la dottoressa, “dovrà aspettare.”

Harry si sforzò di mettere in funzione la mente. Era chiaro che Louis volesse qualcuno di cui si fidava vicino, in quel momento.

“Stan” mormorò, come fra sé e sé. Louis sgranò gli occhi in sua direzione.

“Come fai a sapere che...” provò a chiedere, ma si interruppe quando Harry tirò fuori dalla tasca dei jeans un cellulare e cercò un numero nella rubrica. Doveva essere un modello davvero all'ultimo grido, perché Louis non ne aveva mai visti simili.

“Stan, sono Harry. Sì. Si è svegliato. Devi venire immediatamente.”

Seguì il silenzio per alcuni secondi. “Ti trovi in città? Perfetto. Ti aspettiamo, fa' in fretta.”

Ripose il cellulare nella tasca. “Stai tranquillo, Lou, Stan sta arrivando. Sarà qui a momenti.”

Louis aggrottò la fronte. “Io non riesco a capire chi tu sia, Harry.”

Harry fece per parlare, ma si interruppe a metà frase. “Io sono...”

Lanciò un'occhiata alla dottoressa Chittle, tornò su Louis, abbassò lo sguardo e lo sollevò nuovamente dopo pochi secondi.

Louis non sapeva ancora chi era, nel 2010. Non poteva...lo avrebbe scioccato.

“Sono il tuo migliore amico, Lou. Il tuo migliore amico dal 2010.”

Louis scosse la testa. “È Stan il mio migliore amico.”

“Sì, ma dal 2010 ne hai altri quattro.” sorrise Harry, o almeno, cercò di sorridere. “Siamo io, Zayn, Liam e Niall. Sono proprio qui fuori. Vuoi-”

“No.” rispose secco Louis, fermandolo dall'aprire la porta. “In questo momento voglio parlare soltanto con Stan.”

Harry annuì lentamente. Guardò la dottoressa Chittle, che annuì a sua volta. “Va bene.”

“Puoi uscire, per favore?” chiese Louis. Harry sospirò, ma provò ugualmente a sorridere lievemente. “D'accordo.”

“Intanto le farò degli accertamenti, signor Tomlinson” disse la dottoressa Chittle. Fu l'ultima cosa che Harry sentì, perché poi uscì dalla stanza.

Sei paia di occhi si posarono immediatamente su di lui mentre si chiudeva la porta alle spalle, tutti di un colore diverso. Il verde scuro di quelli di sua madre, lo smeraldo di quelli di sua sorella, il cioccolato di quelli di Liam, il cielo di quelli di Niall e l'ambra di quelli di Zayn. Rimasero tutti in attesa, senza parlare, quasi senza respirare.

Poi Harry sorrise, piangendo nello stesso tempo, lasciando andare sia la gioia che le lacrime che aveva trattenuto.

“Sta bene” esclamò, felice, prima di incupirsi e abbassare il tono di voce.

“Ma non ricorda chi siamo.”





Angolo Autrice


Popolo di efp, sono tornata.

O almeno spero; si vedrà, si vedrà.

Ho scritto questo capitolo quasi due anni fa, e oggi l'ho ritrovato del tutto casualmente. L'ho letto, ho pensato che la storia sembrava carina, e ho deciso di riprendere a lavorarci.

È completamente ispirato alla storia Everyday ( qui il link della storia in lingua originale e qui quello della versione tradotta in italiano ), che ha come portagonisti Kurt e Blaine di Glee. Vi consiglio di andare a dare un'occhiata, perché è davvero bellissima.

Chiarimenti:

  • Ripeto, la mia storia è ispirata a Everyday, ma spero di discostarmene il più possibile.

  • Il banner è opera mia, ma non so di chi sia quella fanart. Se qualcuno lo sa, mi faccia sapere!

  • Non ho assolutamente idea di come sia avere a che fare con l'amnesia, né studio medicina. Non sono neppure mai stata ospedale per problemi seri, quindi mi scuso in anticipo per eventuali stronzate inesattezze nella storia; se qualcuno di voi nota un errore, mi faccia sapere. Provvederò a sistemare.

  • Essendo la storia stata scritta due estati fa, ovviamente il personaggio di Zayn è presente, ma vedrò come conciliare la sua presenza con i fatti attuali. Inoltre, Zayn è sempre stato uno dei miei personaggi preferiti, per cui non credo di essere disposta a rinunciare.

Se vi va, lasciate una recensione per farmi sapere cosa ne pensate!

Spero di aggiornare presto,



Seele

  
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