Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: TonyCocchi    01/11/2015    4 recensioni
Quando nella vita hai sofferto tanto da non avvertire ormai più nulla, realizzi che la cosa peggiore che ti possa capitare è proprio tornare a sentire di nuovo. Levi non vuole saperne: è troppo sveglio e troppo stanco per volerci ricascare, e procurarsi altri incubi che vengano a fargli visita la notte.
Quando nella vita proteggersi da altro male finisce per avere la priorità su ogni altra cosa, è il bene l’incubo peggiore di tutti.
“Ehm, Levi… Adesso un po’ cominci a farmi paura…”
[Levihan: Levi x Hanji]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hanji, Zoe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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snk levihanji incubi

Salve a tutti, fan del LeviHan, che abbiate già letto qualcuna delle mie storie o che mi incrociate in questa sezione del sito per la prima volta! Dopo la parentesi che mi sono preso con una Oluo x Petra (che solo dopo ho scoperto di aver pubblicato proprio nella Rivetra Week… Sono un grande! XD), torno a scrivere della mia coppia preferita di questo fandom! Ancora una volta si tratta di un’ispirazione improvvisa che ho deciso di seguire e sviluppare; questa volta vado a parlare della paura, cui nemmeno Levi è immune, e che nel suo caso ha preso la forma di un’occhialuta un po’ pazzerella, capace di avere su di lui un effetto inaspettato… Si può davvero arrivare ad avere terrore di qualcosa di bello, qualcosa che ci fa stare bene? Forse qualche volta è capitato anche a noi…

Buona lettura!

 

 

 

Detesta lo sporco più di ogni altra cosa. In special modo lo sporco di sangue, sulle sue mani per giunta.

Stringe qualcosa tra le dita imbrattate e tremanti: un paio di occhiali.

Una delle stanghette è spezzata, le lenti entrambe solcate da crepe, sembrano sul punto di disfarsi in frantumi da un momento all’altro.

Sopra di lui il cielo è fosco, carico di pioggia; gli alberi giganti si ergono intorno a lui, tanto piccolo al loro cospetto, nella loro maestosa indifferenza

A qualche passo c’è qualcosa per terra, qualcosa di informe, che giace abbandonato nell’ombra, forse è un corpo, difficile dirlo quando si tratta di ciò che si lasciano dietro i giganti. Qualunque cosa sia, non vuole controllare.

“Hanji…”

La testa gli gira, il tremore è sempre più incontrollabile, quegli occhiali a lui così familiari, quel che ne resta almeno, rischiano di cadergli di mano.

Avverte una presenza dietro di sé, e la saluta come uno spiraglio, un modo per distogliersi dal buio inesplorabile dinanzi a sé.

È proprio lei, ma i suoi occhiali sono integri al loro solito posto, al centro di quel viso intelligente e sbarazzino, poggiati su quel suo bel naso ricurvo: un raggio di luce cala su di essi, e loro lo riflettono ai suoi occhi come a salutarlo. Non indossa la cappa verde, e nemmeno la divisa, solo una camicia e un pantalone qualsiasi, come non ci fosse alcuna guerra, nessuna chiamata alle armi, nessun bisogno di loro: è lo specchio del desiderio di qualunque soldato, quel presagio innocente che tutti loro disperatamente bramavano divenisse realtà.

Il sorriso che gli rivolge si fa beffe del sudore gelido che gli percorre la fronte e dell’angoscia che gli attanaglia il cuore.

“Questo… è solo un sogno.” –comprende.

“Non puoi saperlo.”

Il respiro rallenta, sembra aver ritrovato la solita calma: “Si che lo è.”

L’idea che non lo sia non vuole nemmeno prenderla in considerazione.

“Non provarci, ne sono sicuro.” –ribadisce lui, razionale, di trovarsi nell’irreale.

Lei scuote il capo, ha frainteso: “Non puoi sapere sarà così.”

Levi guarda ancora gli occhiali distrutti: deglutisce, non riuscendo a fermare un nuovo brivido lungo la schiena. Poi li scaglia via nell’erba, dove si trasformano in tante goccioline di cristallo.

“Non posso saperlo dici? Ho una certa esperienza in merito.”
“In merito a che?”

“Ciò che è bello non dura.”

Si volta: gli alberi sono spariti, ma quella cosa per terra rimane oscura, inguardabile, indistinguibile e incomprensibile, sempre ferma lì.

“Non puoi saperlo.” –dice ancora.

“Se quello sarò io o sarai tu? No, in effetti.”

“Certo che sei proprio una seccatura!” –sbotta.

Quasi gli scappa un sorriso: gli piace quando si rivolge a lui in quella maniera, gli piacciono tante cose di lei, da lì l’origine dei suoi guai. Prima che se ne accorgesse, si era affezionato ad Hanji oltre il limite consentito, ma ora è rinsavito, sa di aver abbassato la guardia, ma forse non è troppo tardi per rialzarla.

Per questo, prima di andare a letto quella sera, si è ripromesso che il giorno dopo metterà una freno alla faccenda, troncando sul nascere quel loro rapporto, cresciuto troppo e troppo in fretta. All’indomani, una volta sveglio, metterà le cose in chiaro, ne è convinto, e l’incubo che sta vivendo lo rende ancora più risoluto.
Che sciocco era stato però a non tenere in conto che la Quattrocchi è una grandissima rompiscatole, tale che nemmeno nella sua testa può essere al sicuro da lei!

“Levi, tu non sei così pessimista: tu combatti, tu credi, sogni e cavalchi i sogni degli altri. Perché allora fai questi pensieri?”

“Voglio proteggermi.” –ammise egoisticamente- “E, in effetti, così proteggerò anche te.”

“E chi te l’ha chiesto?” –si risente lei.

“Prevenire è meglio che curare, fidati.”

“Oh, certo.” –annuì poggiando le mani ai fianchi come si fa quando parte un rimprovero- “Meglio evitare di andare troppo oltre visto che potremmo diventare cibo per titani da un giorno all’altro, giusto?.”

“Esatto.”

Storse il naso: “Detto sinceramente Levi, rinunciare alle cose belle perché tanto potrebbero finire a me sembra una maniera alquanto schifosa di vivere.”
“……”

Tra le cose che gli piacciono di lei, di loro, c’è che nessuno dei due rinuncia mai alla battaglia per avere l’ultima parola sull’altro: non si è mai tirato indietro prima, perché non ha mai sentito le proprie armi spuntate come in quel momento.

La guarda, mentre se ne sta pensosa con gli occhi bassi: “Se stai lì a pensare solo al dolore che potresti patire ti taglierai fuori da ogni cosa, non solo dalla sofferenza: io non ci riuscirei, non riuscirei ad andare avanti così.” –alza lo sguardo- “Ma dopotutto tu sei Levi Ackerman… Tu potresti anche esserne in grado.”

Le si avvicina, e sembra diventare ad ogni passo più grande, o forse è lui a farsi più piccolo, e non c’entra la differenza d’altezza: perché lei lo conosce, lo ha studiato, lo ha compreso, lo ha amato, e Levi sa di essere al cospetto di occhi che non lo guardano attraverso la lente d’ingrandimento della gloria che si trascinava stancamente dietro, come tutto il resto del mondo fa.

“Tu lo sai che sono solo un uomo, come tutti gli altri.”

“Lo so, ma sei un uomo che nessuno, uomo o gigante, può riuscire a ingabbiare, perché dovresti incarcerarti tu stesso?”

Al sentir nominare quelle maledette creature, stringe i denti. La rabbia quasi si tinge di vergogna al pensiero che ciò che medita di fare non è altro che una resa nei confronti di quegli odiati mostri, è lasciarli ancora una volta padroni, del mondo e delle loro vite. È consegnar loro non solo il presente, ma anche il suo futuro, il loro futuro.

La guarda, e il cuore gioisce mentre il suo volto dispera: come si guarda una meraviglia, un pezzo unico e inimitabile, da dietro una vetrina, con attaccato un prezzo troppo alto per le tasche di chi più volte ha già perduto ciò che più riteneva importante.

Non è indispensabile, ma una volta ottenuta, una volta accolta in sé, sa che non ne potrà mai più farne a meno.

“Ho paura di te, di quello che potremmo essere, e di quello che allora potrei perdere.”

“Non puoi saperlo. Non puoi sapere che lo perderai.”

“Non puoi promettermi che non sarà così.” –la respinge ancora.

Il viso di Hanji si tinge stavolta del dispiacere di dover ammettere che è proprio come dice; ma una rompiscatole patentata come lei non molla per così poco.

“Pensi forse che se rinunciassi a quello che senti saresti meno triste se io morissi? Pensi che io sarei meno triste se tu morissi?” –lo incalza, non vuole dargli nemmeno modo di ribattere-  “Io penso che, se tanto comunque dobbiamo essere infelici, se c’è qualcuno con cui possiamo esserlo di meno, non dovremmo lasciarcelo scappare! Dovremmo approfittarne finché possiamo!”

Molto da lei un discorso così bizzarro, pensa lui: parlare di approfittarsi di una persona come ci si approfitta di una medicina per più o meno tutti i propri guai, come quelle che un ciarlatano, di passaggio per lì, prova a rifilarti a tutti i costi, prima che riparta e tu perda così la grandiosa occasione.

Come le persone esistessero al mondo per guarirsi le une con le altre.

“Levi…” –sorride- “Forse il nostro destino appartiene ancora ai titani, ma non la nostra vita: e finché ce l’abbiamo, vale la pena di spenderla cercando di essere il più felici possibile, non trovi? Pensaci.”

“E che succederà quando la felicità ci sarà portata via? Che ne sarà di noi?”
“Non puoi saperlo.”

Allunga una mano verso di lei, ma con sua sorpresa, non riesce a raggiungerla. Fa un passo avanti, e lei resta ferma eppure si fa più lontana. Sempre più lontana, finché scompare. E a bocca aperta vede scomparire tutto il resto: il cielo, l’erba, ciò che c’è alle sue spalle e ciò che ha dinanzi a sé.

Rimane solo, tagliato fuori da ogni cosa.

 

“Non puoi saperlo.” –riecheggia la sua voce.

 

“Non puoi saperlo.”

 

 

L’incubo ebbe termine e poté riaprire gli occhi. Il lenzuolo gli scivolò di dosso nel tirarsi su per osservare, con lo sguardo pesto, la stanza buia. Riaccese il lume ad olio sul comodino e guardò la notte ancora fonda fuori della finestra della sua camera.

Quella Quattrocchi, sospirò, doveva sempre dimostrarsi la solita saccente, anche come emanazione dei suoi pensieri.

Gli seccava ammetterlo, ma aveva ragione. Era solo un uomo, e come tale, aveva un disperato bisogno di piccole, futili cose: energia, immaginazione, voglia di scoprire, gusto di vivere, allegria, l’ultima parola in una discussione. Tutte quelle cose che lei gli dava ogni giorno trascorso insieme, men che l’ultima, che doveva sudarsi ogni volta, e solo lui sapeva quanto adorasse quello sforzo.

Aveva pensato di porre un freno alle cose prima che fosse troppo tardi, ma probabilmente lo era già. A quel punto, tanto valeva rassegnarsi e darsi da fare!

 

“Solo un attimo!” –fece la sua voce da dietro la porta.

Un istante dopo eccola apparire, in piedi e arzilla in barba all’orario improponibile: i capelli sciolti, lasciati liberi come libero voleva fosse il suo pensiero nel vagare tra ipotesi, teorie ed esperimenti, e visibilmente unti, come quelli di chi è troppo occupato col suo lavoro per perdere tempo con cose come dormire o farsi una doccia più di una volta ogni tanto.

Se solo avesse avuto per le mani una tinozza d’acqua ce l’avrebbe annegata, pensò il maniacale caporale guardandole la disastrata chioma!

“Levi!” –lo salutò colma di sorpresa.

“Scusami per l’orario.” –disse educatamente, pur conoscendo già la risposta.

“Oh, ma figurati, non dormivo mica! Sono ancora all’opera!” –ridacchiò.

“Bene.”

Sapeva che lei andava a letto tardissimo, o non ci andava affatto, per questo non si era fatto scrupolo a venire a bussarle a quell’ora.

Senza aggiungere altro, le afferrò la camicia alle braccia e la tirò giù per riuscire a raggiungerle le labbra, e incatenarle alle sue.

“?!”

Scombussolata, d’istinto Hanji provò a reagire e a divincolarsi. Poi se ne chiese il perché: anche lei lo voleva.

Chiuse gli occhi, infilò le mani sotto la sua camicia, facendole banchettare dei suoi addominali e pettorali, per poi tirarlo dentro la stanza con sé.

 

“Whooo!”

“Mpf!”

Si lasciarono scappare l’una e l’altro dopo aver terminato.

Rossi, sudati, e ancora senza un briciolo di sonno, i due guardarono insieme il soffitto come fosse stato uno splendido panorama mai ammirato prima, come quelli che fuori dalle mura attendevano la loro conquista.

Hanji era così estasiata da essersi dimenticata del tutto della propria scrivania, su cui fogli sparsi e matite giacevano in disordine abbandonati e non rimpianti.

Era stato tutto inaspettato, estemporaneo, sorprendente, e non da ultimo soddisfacente! Non era esattamente la rivelazione che si aspettava di ottenere da quella notte in bianco, ma che Levi potesse essere tanto passionale era anche quella una scoperta alquanto interessante!

“Ehi!” –si girò verso di lui- “Come mai così romantico tutto a un tratto?”
La guardò di sbieco: “Romantico? Ma che ti salta in mente?”

Hanji esibì un ghigno da orecchio a orecchio: “Oh, sei stato così dolce: addirittura chiedermi di tenere gli occhiali, baciarmeli… O forse è un tuo nuovo fetish?”

“Ma per favore, l’unico fetish che potrei avere nei tuoi confronti sarebbe quello di farti un bel bagno da capo a piedi.” –fece lui pensando schifato alle sue mani che, stretto a lei nella passione, aveva passato, avido di lei e generoso di carezze, tra i suoi capelli.

Scoppiò a ridere: “Proposta interessante!”

La donna si girò sul fianco e poggiò la testa su un gomito, lanciandogli un’espressione accattivante: “Dai, mi vuoi dire che ti è preso?”

“Niente di che, ho solo seguito un tuo consiglio.”
“Ah, si? E quale?”

“… Dicevi che fare un po’ più di attività fisica per sfogare lo stress tra le missioni mi avrebbe reso meno irritabile ed irritante, parole tue. Fare sesso è un ottima forma di allenamento fisico, lo sanno tutti.”

“… Davvero?” –di solito era più bravo a trovare scuse.

“No.”

Strisciò sotto il lenzuolo, azzerò la distanza, e senza una parola la cinse tra le braccia e le si strinse, poggiando la testa sul suo seno. Un gesto così dolce e bisognoso che Hanji ne restò paralizzata: già prima non avrebbe osato chiedere una sola briciola di romanticismo in più, ma adesso non pareva nemmeno più lui!

Cosa diavolo gli aveva preso? Cosa gli era successo? Un brutto sogno forse?

“Ehm, Levi… Adesso un po’ cominci a farmi paura…”

“Fidati, Quattrocchi, ho più paura io…”

“……”

Le sue mani si mossero da sole, rispondendo alla sua chiamata, poggiandosi sulla sua testa, carezzandolo come fosse fatto di qualcosa di delicato, troppo per rischiare di rovinarlo stringendo troppo forte.
Ed Hanji seppe da quel momento che quelle parole le avrebbe ricordate per sempre.

Forse ciò a cui avevano appena dato il via non sarebbe durato altrettanto.

Ma non le importava.

Gli baciò la fronte e lasciò si addormentasse lì vicino a lei.

 

 

 

Alla fine Levi ha scelto, ed Hanji da incubo si è trasformata nel bel sogno a cui lasciarsi andare: per una parte di lui, una scelta sciocca, che gli arrecherà un giorno un’altra terribile ferita. Ma di sicuro una scelta non rimpianta.

E poi, dopotutto, cosa può saperne di come andrà?

Credo sia questo il messaggio che questa fanfic vuole trasmettere: non lasciatevi fermare dalla paura e dal pessimismo, se non si è disposti a correre dei rischi, non si può ottenere nulla di veramente bello. Scriverla non è stato esattamente un parto facile: in vari punti le parole mi sono uscite a singhiozzo, un paio di volte mi sono addirittura fermato del tutto… Spero comunque di aver fatto un buon lavoro e avervi fatto emozionare come le altre volte.

Alla prossima, commentate!

  
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