Salve a tutti, fan del LeviHan, che
abbiate già letto qualcuna delle mie storie o che mi incrociate in questa
sezione del sito per la prima volta! Dopo la parentesi che mi sono preso con
una Oluo x Petra (che solo dopo ho scoperto di aver pubblicato proprio nella
Rivetra Week… Sono un grande! XD), torno a scrivere della mia coppia preferita
di questo fandom! Ancora una volta si tratta di un’ispirazione improvvisa che
ho deciso di seguire e sviluppare; questa volta vado a parlare della paura, cui
nemmeno Levi è immune, e che nel suo caso ha preso la forma di un’occhialuta un
po’ pazzerella, capace di avere su di lui un effetto inaspettato… Si può
davvero arrivare ad avere terrore di qualcosa di bello, qualcosa che ci fa
stare bene? Forse qualche volta è capitato anche a noi…
Buona lettura!
Detesta
lo sporco più di ogni altra cosa. In special modo lo sporco di sangue, sulle
sue mani per giunta.
Stringe
qualcosa tra le dita imbrattate e tremanti: un paio di occhiali.
Una
delle stanghette è spezzata, le lenti entrambe solcate da crepe, sembrano sul
punto di disfarsi in frantumi da un momento all’altro.
Sopra
di lui il cielo è fosco, carico di pioggia; gli alberi giganti si ergono intorno
a lui, tanto piccolo al loro cospetto, nella loro maestosa indifferenza
A
qualche passo c’è qualcosa per terra, qualcosa di informe, che giace
abbandonato nell’ombra, forse è un corpo, difficile dirlo quando si tratta di
ciò che si lasciano dietro i giganti. Qualunque cosa sia, non vuole controllare.
“Hanji…”
La
testa gli gira, il tremore è sempre più incontrollabile, quegli occhiali a lui
così familiari, quel che ne resta almeno, rischiano di cadergli di mano.
Avverte
una presenza dietro di sé, e la saluta come uno spiraglio, un modo per
distogliersi dal buio inesplorabile dinanzi a sé.
È
proprio lei, ma i suoi occhiali sono integri al loro solito posto, al centro di
quel viso intelligente e sbarazzino, poggiati su quel suo bel naso ricurvo: un
raggio di luce cala su di essi, e loro lo riflettono ai suoi occhi come a
salutarlo. Non indossa la cappa verde, e nemmeno la divisa, solo una camicia e
un pantalone qualsiasi, come non ci fosse alcuna guerra, nessuna chiamata alle
armi, nessun bisogno di loro: è lo specchio del desiderio di qualunque soldato,
quel presagio innocente che tutti loro disperatamente bramavano divenisse
realtà.
Il
sorriso che gli rivolge si fa beffe del sudore gelido che gli percorre la
fronte e dell’angoscia che gli attanaglia il cuore.
“Questo…
è solo un sogno.” –comprende.
“Non
puoi saperlo.”
Il
respiro rallenta, sembra aver ritrovato la solita calma: “Si che lo è.”
L’idea
che non lo sia non vuole nemmeno prenderla in considerazione.
“Non
provarci, ne sono sicuro.” –ribadisce lui, razionale, di trovarsi nell’irreale.
Lei
scuote il capo, ha frainteso: “Non puoi sapere sarà così.”
Levi
guarda ancora gli occhiali distrutti: deglutisce, non riuscendo a fermare un
nuovo brivido lungo la schiena. Poi li scaglia via nell’erba, dove si
trasformano in tante goccioline di cristallo.
“Non
posso saperlo dici? Ho una certa esperienza in merito.”
“In merito a che?”
“Ciò
che è bello non dura.”
Si
volta: gli alberi sono spariti, ma quella cosa per terra rimane oscura,
inguardabile, indistinguibile e incomprensibile, sempre ferma lì.
“Non
puoi saperlo.” –dice ancora.
“Se
quello sarò io o sarai tu? No, in effetti.”
“Certo
che sei proprio una seccatura!” –sbotta.
Quasi
gli scappa un sorriso: gli piace quando si rivolge a lui in quella maniera, gli
piacciono tante cose di lei, da lì l’origine dei suoi guai. Prima che se ne
accorgesse, si era affezionato ad Hanji oltre il limite consentito, ma ora è
rinsavito, sa di aver abbassato la guardia, ma forse non è troppo tardi per
rialzarla.
Per
questo, prima di andare a letto quella sera, si è ripromesso che il giorno dopo
metterà una freno alla faccenda, troncando sul nascere quel loro rapporto,
cresciuto troppo e troppo in fretta. All’indomani, una volta sveglio, metterà
le cose in chiaro, ne è convinto, e l’incubo che sta vivendo lo rende ancora
più risoluto.
Che sciocco era stato però a non tenere in conto che la Quattrocchi è una
grandissima rompiscatole, tale che nemmeno nella sua testa può essere al sicuro
da lei!
“Levi,
tu non sei così pessimista: tu combatti, tu credi, sogni e cavalchi i sogni
degli altri. Perché allora fai questi pensieri?”
“Voglio
proteggermi.” –ammise egoisticamente- “E, in effetti, così proteggerò anche
te.”
“E
chi te l’ha chiesto?” –si risente lei.
“Prevenire
è meglio che curare, fidati.”
“Oh,
certo.” –annuì poggiando le mani ai fianchi come si fa quando parte un
rimprovero- “Meglio evitare di andare troppo oltre visto che potremmo diventare
cibo per titani da un giorno all’altro, giusto?.”
“Esatto.”
Storse
il naso: “Detto sinceramente Levi, rinunciare alle cose belle perché tanto
potrebbero finire a me sembra una maniera alquanto schifosa di vivere.”
“……”
Tra
le cose che gli piacciono di lei, di loro, c’è che nessuno dei due rinuncia mai
alla battaglia per avere l’ultima parola sull’altro: non si è mai tirato
indietro prima, perché non ha mai sentito le proprie armi spuntate come in quel
momento.
La
guarda, mentre se ne sta pensosa con gli occhi bassi: “Se stai lì a pensare
solo al dolore che potresti patire ti taglierai fuori da ogni cosa, non solo
dalla sofferenza: io non ci riuscirei, non riuscirei ad andare avanti così.”
–alza lo sguardo- “Ma dopotutto tu sei Levi Ackerman… Tu potresti anche esserne
in grado.”
Le
si avvicina, e sembra diventare ad ogni passo più grande, o forse è lui a farsi
più piccolo, e non c’entra la differenza d’altezza: perché lei lo conosce, lo
ha studiato, lo ha compreso, lo ha amato, e Levi sa di essere al cospetto di
occhi che non lo guardano attraverso la lente d’ingrandimento della gloria che
si trascinava stancamente dietro, come tutto il resto del mondo fa.
“Tu
lo sai che sono solo un uomo, come tutti gli altri.”
“Lo
so, ma sei un uomo che nessuno, uomo o gigante, può riuscire a ingabbiare,
perché dovresti incarcerarti tu stesso?”
Al
sentir nominare quelle maledette creature, stringe i denti. La rabbia quasi si
tinge di vergogna al pensiero che ciò che medita di fare non è altro che una
resa nei confronti di quegli odiati mostri, è lasciarli ancora una volta
padroni, del mondo e delle loro vite. È consegnar loro non solo il presente, ma
anche il suo futuro, il loro futuro.
La
guarda, e il cuore gioisce mentre il suo volto dispera: come si guarda una
meraviglia, un pezzo unico e inimitabile, da dietro una vetrina, con attaccato
un prezzo troppo alto per le tasche di chi più volte ha già perduto ciò che più
riteneva importante.
Non
è indispensabile, ma una volta ottenuta, una volta accolta in sé, sa che non ne
potrà mai più farne a meno.
“Ho
paura di te, di quello che potremmo essere, e di quello che allora potrei
perdere.”
“Non
puoi saperlo. Non puoi sapere che lo perderai.”
“Non
puoi promettermi che non sarà così.” –la respinge ancora.
Il
viso di Hanji si tinge stavolta del dispiacere di dover ammettere che è proprio
come dice; ma una rompiscatole patentata come lei non molla per così poco.
“Pensi
forse che se rinunciassi a quello che senti saresti meno triste se io morissi?
Pensi che io sarei meno triste se tu morissi?” –lo incalza, non vuole dargli
nemmeno modo di ribattere- “Io penso
che, se tanto comunque dobbiamo essere infelici, se c’è qualcuno con cui
possiamo esserlo di meno, non dovremmo lasciarcelo scappare! Dovremmo
approfittarne finché possiamo!”
Molto
da lei un discorso così bizzarro, pensa lui: parlare di approfittarsi di una
persona come ci si approfitta di una medicina per più o meno tutti i propri
guai, come quelle che un ciarlatano, di passaggio per lì, prova a rifilarti a
tutti i costi, prima che riparta e tu perda così la grandiosa occasione.
Come
le persone esistessero al mondo per guarirsi le une con le altre.
“Levi…”
–sorride- “Forse il nostro destino appartiene ancora ai titani, ma non la
nostra vita: e finché ce l’abbiamo, vale la pena di spenderla cercando di
essere il più felici possibile, non trovi? Pensaci.”
“E
che succederà quando la felicità ci sarà portata via? Che ne sarà di noi?”
“Non puoi saperlo.”
Allunga
una mano verso di lei, ma con sua sorpresa, non riesce a raggiungerla. Fa un passo
avanti, e lei resta ferma eppure si fa più lontana. Sempre più lontana, finché
scompare. E a bocca aperta vede scomparire tutto il resto: il cielo, l’erba,
ciò che c’è alle sue spalle e ciò che ha dinanzi a sé.
Rimane
solo, tagliato fuori da ogni cosa.
“Non
puoi saperlo.” –riecheggia la sua voce.
“Non
puoi saperlo.”
L’incubo ebbe termine e poté riaprire
gli occhi. Il lenzuolo gli scivolò di dosso nel tirarsi su per osservare, con
lo sguardo pesto, la stanza buia. Riaccese il lume ad olio sul comodino e
guardò la notte ancora fonda fuori della finestra della sua camera.
Quella Quattrocchi, sospirò, doveva
sempre dimostrarsi la solita saccente, anche come emanazione dei suoi pensieri.
Gli seccava ammetterlo, ma aveva
ragione. Era solo un uomo, e come tale, aveva un disperato bisogno di piccole,
futili cose: energia, immaginazione, voglia di scoprire, gusto di vivere,
allegria, l’ultima parola in una discussione. Tutte quelle cose che lei gli
dava ogni giorno trascorso insieme, men che l’ultima, che doveva sudarsi ogni
volta, e solo lui sapeva quanto adorasse quello sforzo.
Aveva pensato di porre un freno alle
cose prima che fosse troppo tardi, ma probabilmente lo era già. A quel punto, tanto
valeva rassegnarsi e darsi da fare!
“Solo un attimo!” –fece la sua voce da
dietro la porta.
Un istante dopo eccola apparire, in
piedi e arzilla in barba all’orario improponibile: i capelli sciolti, lasciati
liberi come libero voleva fosse il suo pensiero nel vagare tra ipotesi, teorie
ed esperimenti, e visibilmente unti, come quelli di chi è troppo occupato col
suo lavoro per perdere tempo con cose come dormire o farsi una doccia più di
una volta ogni tanto.
Se solo avesse avuto per le mani una
tinozza d’acqua ce l’avrebbe annegata, pensò il maniacale caporale guardandole
la disastrata chioma!
“Levi!” –lo salutò colma di sorpresa.
“Scusami per l’orario.” –disse
educatamente, pur conoscendo già la risposta.
“Oh, ma figurati, non dormivo mica! Sono
ancora all’opera!” –ridacchiò.
“Bene.”
Sapeva che lei andava a letto
tardissimo, o non ci andava affatto, per questo non si era fatto scrupolo a
venire a bussarle a quell’ora.
Senza aggiungere altro, le afferrò la
camicia alle braccia e la tirò giù per riuscire a raggiungerle le labbra, e
incatenarle alle sue.
“?!”
Scombussolata, d’istinto Hanji provò a
reagire e a divincolarsi. Poi se ne chiese il perché: anche lei lo voleva.
Chiuse gli occhi, infilò le mani sotto
la sua camicia, facendole banchettare dei suoi addominali e pettorali, per poi
tirarlo dentro la stanza con sé.
“Whooo!”
“Mpf!”
Si lasciarono scappare l’una e l’altro
dopo aver terminato.
Rossi, sudati, e ancora senza un
briciolo di sonno, i due guardarono insieme il soffitto come fosse stato uno
splendido panorama mai ammirato prima, come quelli che fuori dalle mura attendevano
la loro conquista.
Hanji era così estasiata da essersi
dimenticata del tutto della propria scrivania, su cui fogli sparsi e matite
giacevano in disordine abbandonati e non rimpianti.
Era stato tutto inaspettato,
estemporaneo, sorprendente, e non da ultimo soddisfacente! Non era esattamente
la rivelazione che si aspettava di ottenere da quella notte in bianco, ma che
Levi potesse essere tanto passionale era anche quella una scoperta alquanto
interessante!
“Ehi!” –si girò verso di lui- “Come mai
così romantico tutto a un tratto?”
La guardò di sbieco: “Romantico? Ma che ti salta in mente?”
Hanji esibì un ghigno da orecchio a
orecchio: “Oh, sei stato così dolce: addirittura chiedermi di tenere gli
occhiali, baciarmeli… O forse è un tuo nuovo fetish?”
“Ma per favore, l’unico fetish che
potrei avere nei tuoi confronti sarebbe quello di farti un bel bagno da capo a
piedi.” –fece lui pensando schifato alle sue mani che, stretto a lei nella
passione, aveva passato, avido di lei e generoso di carezze, tra i suoi
capelli.
Scoppiò a ridere: “Proposta
interessante!”
La donna si girò sul fianco e poggiò la
testa su un gomito, lanciandogli un’espressione accattivante: “Dai, mi vuoi
dire che ti è preso?”
“Niente di che, ho solo seguito un tuo
consiglio.”
“Ah, si? E quale?”
“… Dicevi che fare un po’ più di
attività fisica per sfogare lo stress tra le missioni mi avrebbe reso meno
irritabile ed irritante, parole tue. Fare sesso è un ottima forma di
allenamento fisico, lo sanno tutti.”
“… Davvero?” –di solito era più bravo a
trovare scuse.
“No.”
Strisciò sotto il lenzuolo, azzerò la
distanza, e senza una parola la cinse tra le braccia e le si strinse, poggiando
la testa sul suo seno. Un gesto così dolce e bisognoso che Hanji ne restò
paralizzata: già prima non avrebbe osato chiedere una sola briciola di
romanticismo in più, ma adesso non pareva nemmeno più lui!
Cosa diavolo gli aveva preso? Cosa gli
era successo? Un brutto sogno forse?
“Ehm, Levi… Adesso un po’ cominci a
farmi paura…”
“Fidati, Quattrocchi, ho più paura io…”
“……”
Le sue mani si mossero da sole,
rispondendo alla sua chiamata, poggiandosi sulla sua testa, carezzandolo come
fosse fatto di qualcosa di delicato, troppo per rischiare di rovinarlo stringendo
troppo forte.
Ed Hanji seppe da quel momento che quelle parole le avrebbe ricordate per
sempre.
Forse ciò a cui avevano appena dato il
via non sarebbe durato altrettanto.
Ma non le importava.
Gli baciò la fronte e lasciò si
addormentasse lì vicino a lei.
Alla fine Levi ha scelto, ed Hanji da
incubo si è trasformata nel bel sogno a cui lasciarsi andare: per una parte di
lui, una scelta sciocca, che gli arrecherà un giorno un’altra terribile ferita.
Ma di sicuro una scelta non rimpianta.
E poi, dopotutto, cosa può saperne di
come andrà?
Credo sia questo il messaggio che questa
fanfic vuole trasmettere: non lasciatevi fermare dalla paura e dal pessimismo,
se non si è disposti a correre dei rischi, non si può ottenere nulla di
veramente bello. Scriverla non è stato esattamente un parto facile: in vari
punti le parole mi sono uscite a singhiozzo, un paio di volte mi sono
addirittura fermato del tutto… Spero comunque di aver fatto un buon lavoro e
avervi fatto emozionare come le altre volte.
Alla prossima, commentate!