VI.
La vecchiaia
insegna
ogni
cosa
« La pioggia è cessata. »
Si
incontrano a metà strada, la giovane e la vecchia, sul sentiero
sconnesso dei campi. La terra umida, un mare nero sotto la pelle nuda,
le appesantisce l’orlo della veste lacera, e brividi piacevoli
partono dalla pianta del piede scalzo e risalgono lungo le gambe
stanche.
Piacevoli,
ma ben poco ristoro per quel corpo mortale da nonna che le è
toccato indossare, ulteriore precauzione al mantello di Nyx. L'altra si
è avvolta in un simile simulacro, nascondendo il peso degli
anni dietro l'aspetto di fanciulla di verde età.
In lontananza, Eleusi tace.
Le
membra di Demetra accolgono grate la fede dei suoi abitanti, che ridona
energie alla dea sfiancata; poca pace trova però la sua mente,
mentre gli occhi cercano quelli antichi dell’altra, il cui volto
– troppo liscio per non essere maschera di carne – è
poco più di un profilo nella luce fioca della luna calante.
«
Ringrazio per questo. Chi, non saprei. » Sospira provata, posando
una mano sulla fronte increspata di rughe. « I Mortali non
contano le loro fortune, ché non mai manca un dio a cui votarsi.
»
Dita
sottili si stringono attorno alle sue, di un fresco diverso
dell’aria notturna, e il loro tocco è quello che ricorda.
Ricambia la stretta, abbassando l’altra mano e posandola su
quella che si stringe sulla propria.
«
Allora, affidati a me, chedeia, [1] ascolta chi ha quattro orecchie
[2], tutte al tuo servizio. » Mai si è fatta scrupoli, la
sua nutrice, a ricordarle che la vecchiaia insegna ogni cosa, e il
passare del tempo l'ha lasciata immutata nello spirito. Pure nel buio,
Demetra sa che le sta sorridendo in quel suo modo agrodolce che colora
le sue memoria di giovane dea. La presa cambia, gentilmente la tira
verso il suolo umido, e Demetra si concede di essere docile, di
riposare contro la culla addormentata che è la madre di sua
madre.
Si
siede accanto a lei, Calligeneia, le dita ancora intrecciate alle sue;
il passare del tempo non ha mutato neanche le sue carezze. Demetra,
nascosta dal mantello dell’oscurità, batte le palpebre
sugli occhi bagnati.
«
I flutti sussurrano di accadimenti segreti, stranezze per gli stolti,
parole alate [3] per chi sa ascoltarle. Il figlio di tua figlia vive:
ninfe di fiume lo allevano a Mesatis [4], e il fanciullo prospera trai
monti di Acaia. »
«
L’acqua è la cosa più grande », replica
Demetra in un sussurro, poiché le cose dette possono essere
udite [5], e il sollievo è ambrosia che le scalda
l’icòre. « Ma perché tanta segretezza? Zeus
non ha mai badato troppo all’onta dei figli bastardi, suoi o dei
suoi figli; non c’è sposo che possa offendersi
all’indiscrezione di Kore, se non quello malvagio che le ha tolto
l’onore. » La bocca le si piega in una smorfia di odio, le
dita strizzano quelle di Calligeneia con troppa forza. « Gli ho
fatto visita », rivela, la stizza nella voce, il disgusto al
ricordo di quel bacio che le ha strappato. « E quanta cura le
riserba, alla figlia che così a lungo tanto bene ha ignorato.
Troppa cura, troppo tardi. »
Frasi
amare, nella notte. Ma lo conosce troppo, Zeus, da fratello e da
amante, per farsi incantare da certi suoi bei discorsi. Sul momento non
ha fatto caso a come, tenendola per mano, l’abbia sviata dalla
questione importante. Un altro padre in ogni maniera tenterebbe di
salvare le apparenze quando la figlia che si professa vergine mette al
mondo un fanciullo fuori dai voti del matrimonio; un altro padre.
Il
segreto è nella segretezza, ne è certa; così,
lambiccandosi la mente, a malapena prende nota dell’esitare della
balia, di solito tanto sciolta di lingua. Con un gesto del capo la
esorta a parlare, e quando la tensione nelle sue dita non si scioglie,
anche Demetra si allarma, si piega un poco in avanti col busto.
«
C’è risposta anche a questa domanda, signora, ma dovrai
ascoltare con orecchie di dea, non col cuore di madre. Più e
più volte mi hai detto che credi tua figlia assalita da un
qualche balordo; uno non comune, magari, di questi Mortali in cui al
sangue si mischia l'icòre - o non sarebbe sfuggito alla mia
guardia con tanta facilità »,
mormora Calligeneia, abbassando il capo in segno di vergogna. «
Ma presta attenzione alle parole di chi conosce le creature femminili,
perché ti giuro sullo Styx che dico solo cose vere. Il bambino
non è frutto di seme mortale, Demetra, né è un
mezzosangue. »
Demetra
trattiene il respiro, scostandosi appena, ma le dita di Calligeneia
restano attorno alle proprie con insospettabile fermezza, per una ninfa
della sua età.
«
Come puoi sapere per certo, senza mai tu stessa averlo veduto? E
l’icòre di Kore deve avergli dato di per sé certi
poteri…»
« Perché, mia signora, quel che tanto fa parlare le Naiadi è la sua somiglianza col figlio di Maia. »
«
Spiegati meglio », la sprona Demetra, a disagio sulla terra scura
quasi da essa spuntassero spini. « Spiegami perché metti
in dubbio la purezza della mia unigenita, vecchia folle, prima che io
ti batta! »
«
Calma, ragazza! » esclama l’altra, con
l’autorevolezza della balia sulla fanciulla. « Calmati e
ascolta! Il fanciullo, come un serpente, muta di continuo! Cambia
d’aspetto, tramutandosi in questo o quell’animale, e, da
tanto poco al mondo, già in quella forma è capace di
cacciare! Le fattezze sono quelle di un comune bambino, ma sulla fronte
corna gli spuntano, corna di drago! »
Un
gemito sfugge trai denti serrati di Demetra, ma la balia, per farle
gentilezza, le dimostra poca pietà. « Uno sposo divino
facilmente avrebbe potuto eludere la sorveglianza mia e dei tuoi
draghi, intrufolarsi nella grotta di Kore e consumare l'unione; e
quante volte! Più che abbastanza per concepire un figlio, cosa
che accade, sì, ma è ben rara con un solo accoppiamento
affrettato. »
«
Non le hai forse celato la mia presenza tu stessa? Non dire è
mentire, Demetra, e ricordo che tu per prima, fanciulla dei suoi anni,
sapevi bene come aggirare i divieti della tua signora madre. »
«
Non vuol dir nulla », si affretta Demetra a interromperla, che
non osa sperare, « che lo sposo sia divino o mortale. Forse che
gli dei hanno per le dee più riguardo degli stalloni per le
giumente in primavera? »
«
Ah, ma per tua stessa ammissione, mai Kore ha parlato di accoppiamenti
rapaci. Solo, ha celato il nome del padre – e verso di lui
pronuncia discorsi di odio, o di paura? Le leggi negli occhi il terrore
che scorre sotto la pelle della femmina violata? »
Demetra ascolta quelle parole e vola, vola con la mente alla gravidanza di Kore, rievoca l’immagine malinconica della figlia dal ventre gonfio e lo sguardo lontano; al ratto, al bambino, al destino infausto di Leuce ha imputato quella malinconia, ma mai Kore ha mostrato raccapriccio ad esser toccata, o disgusto; mai ha guardato un maschio, divino o mortale, col timore nello sguardo.
Oh, sapere che non ha sofferto quell'onta! Come se un peso si sollevasse dal cuore, la fa librare leggera nell'aria notturna; ma, se non è stata costretta, era allora consenziente...
Innamorata. Il peggior malanno della mente. [6] E ora, tragedia annunciata, il suo cuore è spezzato. Dev'esser così. Non è il suo corpo ad esser stato rapito, è il suo animo; e Demetra torna a schiantarsi a terra, poiché ha assaggiato il dolore di un simile lutto, ne conosce il corrosivo lambire; per tutta la vita ha tentato di proteggerla, quella figlia destinata a seguirla anche in questo.
Ristoratrice,
la mano di Calligeneia si posa sulla sua schiena, la massaggia, e non
è quella liscia del suo travestimento, ma la nodosa della sua
infanzia.
« Via, chedeia, via. Avrà avuto le sue ragioni, come te quando è stato il tuo tempo. E, come te, di fronte al bivio, ha scelto sua madre e i suoi voti. »
Demetra si tende. Calligeneia getta sale su una ferita aperta.
« … Non parlarmi di bivi e crocicchi. »
« Ahh… di nuovo hai bisticciato con Ecate. Per questo non l’hai portata con te. » La sua voce è quella paziente della nutrice che la corregge per l’ennesima marachella, quasi fosse un poco tarda. « Ecate è legata dalle sue promesse: dice quanto le è concesso di dire. »
La stessa cantilena, per tutti quegli anni. Demetra comprende il legaccio dei voti, ma cert'altri legami, in casi straordinari, dovrebbero superarli per importanza. Anche Ecate è madre; dovrebbe capire che nulla può competere con un essere che da uno si divide in due. Conosce l'amore infinito che Demetra porta per Kore, i sacrifici che in nome di quell'amore ha compiuto.
La sua più cara compagna, la chiama, eppure le elargisce solo silenzi.
Demetra stringe i denti a quell'ennesima fitta di dolore.
« Mai abbastanza! »
« E noi, questo, lo sfrutteremo a nostro vantaggio. »
La
fronte aggrottata, ora, Demetra solleva il capo, cercando il volto
della vecchia nutrice, ora illuminato dalla falce della luna. Sorride,
sdentata, una vecchia volpe fiduciosa. Unica tra quanti Demetra
conosce, le riesce di sorridere ed esser grave nel medesimo istante.
« Se la pelle di leone non basta, figlia mia, mettiti quella di
volpe [7]: fatti furba. Molti della tua razza favoriscono draghi e
serpenti. Il figlio di Leto, per esempio, o il signore della Guerra...
che, se la vecchiaia non mi toglie il lume della ragione, entrambi
hanno corteggiato Kore, quando il Divino Padre vi ha chiamate
all’Olimpo. E, casualità, dalle acque di Pafo mi giunge
notizia che Zeus si intrattiene con Cipride, la quale di nuovo è
invitata ai banchetti di Era. »
Demetra si raddrizza, le orecchie tese all’ascolto.
«
Certo », continua la vecchia, persa nel suo ragionare, «
all’apparenza poco c’entra col piccolo Cacciatore che Kore
ha dato alla luce. Ma ben strana coincidenza, che la dea dal bel
sorriso torni in auge di questi tempi, quando la ferita del figlio di
Era [8] è ancora tanto fresca e il riso, alle sue spalle di
marito cornuto, o in faccia, è ancora inestinguibile. [9].
»
Dov’è che vuoi arrivare, nutrice, vorrebbe domandarle, forse che davvero vecchiaia e solitudine ti han fatto perdere il senno? Non si azzarda, tuttavia. Il giudizio di Calligeneia è sacro per lei quanto quello di Zeus per tutti gli altri.
«
Se anche fosse Ares lo sposo », e Demetra altamente ne dubita,
nel proprio cuore: il bellicoso figlio di suo fratello tutto pare
tranne che il dio a cui Kore concederebbe una seconda occhiata, «
pensi davvero che Zeus si scoprirebbe tanto generoso da riammettere
Afrodite per ammansirla nei confronti di Kore? Per… proteggerla
dagli effetti dell'Amore, quando lui stesso neppure tenta, per
sé? Fosse anche, resta il dilemma… perché tanta
improvvisa, paterna premura? »
«
O, magari, così vuol far credere a un occhio che lo sta a
guardare. Vale la pena di porvi la mente, non credi? », domanda
la vecchia, e Demetra le scopre un poco troppo entusiasmo di pettegola
nella voce arrochita. « L’identità dello Sposo
è la chiave. Kore ancora non sa che ero lì io a farle la
guardia, è così? »
Scuote il capo, Demetra, per l’ennesima volta domandandosi dove la balia voglia arrivare.
«
Allora, non troverà nulla di cui preoccuparsi per una piccola
riunione della famiglia, in occasione delle Procaristerie.»
« … Pensi si confesserebbe con te? »
«
Mia cara, con tutto il rispetto e tutto l’amore che ti porto, le
orecchie che da così tanto tempo se ne stanno attaccate al mio
capo sono molto più grosse delle tue, e più comprensive.
»
«
Davvero la credi tanto sciocca dal rivelare a te, la più vecchia
alleata di sua madre, quel nome, che maledetto esso sia? »
«
Non sciocca… solo, bisognosa di sfogarsi. E del resto, ricorda
poco di me, forse nulla. Abbastanza da credere che l’età
m’abbia intontito. O azzittito. »
« Calligeneia… »
«
Certo, Ecate vedrebbe oltre questa piccola messa in scena… ma
del resto, lei già conosce quanto ci preme sapere; come è
obbligata a non rivelare a te certe cose, così con Kore
avrà la bocca cucita, se è destino che questo nome tu lo
venga a sapere...»
Demetra
vuol bene ad Ecate, davvero; ma l’idea di vederla sulle spine
come ella ha messo lei, al momento, è piuttosto allettante.
«... Se così è, dai retta, glielo caverò dalle labbra, alla tua Kore. E nulla lega me al silenzio. »
La
sua bocca rugosa si posa sul capo ingrigito di Demetra con
l’amore di un madre. « Rasserenati, chedeia: prima
scopriamo quel nome… poi penseremo a cosa potrai fartene.
Magari, Zeus si scoprirà generoso una seconda volta –
tanto generoso da restituirlo, questo fanciullo cornuto che tanto gli
preme di far sparire. »
Ne dubita, Demetra, in cuor suo; sua figlia, però, è un tesoro che va protetto da quanto di brutto infesta il mondo, e non potrà farlo, se il pericolo resta invisibile, ragiona. Il suo compito è mostrarle la vita, tenerle la mano affinché la volpe non due volte venga presa al laccio. [10]
(Sotto la pelle della madre-leonessa, l’idea sola, finalmente, di poter battere il fratello in qualcosa – di averlo in pugno in qualunque modo – per la prima volta dopo un tempo tanto lungo da parere infinito, inconsapevolmente le strappa un sorriso.)
NOTE:
[1]: Letteralmente, "mia diletta".
[2]: Letteralmente, "ascolta chi ha visto e ascoltato molte cose".
[3]: Espressione omerica che si riferisce a parole "efficaci", che subito colpiscono nel segno l'ascoltatore.
[4]: Antica città dell'Acaia.
[5]: Antico proverbio greco.
[6]: Una citazione da Platone.
[7]: Antico proverbio greco: letteralmente, appunto, "farsi furbi".
[8]: Efesto.
[9]: Espressione omerica: il riso inestinguibile degli dei alla vista di Afrodite e Ares colti in flagrante e catturati dalla rete di Efesto.
[10]: Proverbio greco: "non fare lo stesso errore due volte".