XXI
VITA
Riaprendo
gli occhi, Arles percepì subito il calore del sole sul viso.
Girò gli occhi,
vedendo degli angeli accanto al letto.
“Sono
morto?” mormorò.
“No”
rise
Lucifero “Però ci sei andato vicino. Ok, sei un
guaritore, ma per aiutare tuo
padre hai consumato moltissima energia vitale”.
“E
lui ora
dov’è? Sta bene?”.
“È
nella
sua stanza. Stanco e malconcio ma, grazie a te, non in pericolo di
vita”
informò Mihael.
“Che
fate
voi due qui, se non sto morendo? Che volete?”.
“Niente.
Solo sapere che intenzioni hai” rispose Lucifero.
“In
che
senso? Che intenzioni dovrei avere?”.
“Sei
un
angelo, un Dio, un Greco, un guaritore..che pensi di fare? Cosa pensi
di
essere?”.
“Chi
sono
io? È questo quel che mi stai chiedendo?”.
“Domanda
già sentita, dico bene?”.
“Già.
Ma,
ad ogni modo, ora so la risposta”.
“Davvero?”.
“Io
sono
io. Sono unico ed irripetibile e così devo rimanere.
Perché scegliere? Perché
limitarsi? Sono stato in Egitto, dopo una vita da Greco, ed in pochi
giorni ho
conosciuto religioni di tutto il Mondo. Indiani, Precolombiani,
Monoteisti,
Greci, Romani, Egizi..come faccio a sapere che strada è
giusto che io prenda?
Non lo posso sapere! Ma quel che so è che voglio provare e
vedere altro. Voglio
andare in alto, vedere di più, conoscere di più.
Intanto potrei iniziare
spostandomi in Tessaglia, la terra di mio padre, in modo da comprendere
almeno
quel lato della famiglia. Poi chi lo sa..”.
“Poi
potresti venire a trovare me” ghignò Lucifero
“Non come anima da torturare,
ovviamente. Come ospite..”.
“A
questo
proposito, dato che siete qui..”.
“Parla
pure” lo incitò Mihael.
“Io
dove
andrò, una volta morto? Intendo dire..non so davvero a chi
dovrei rivolgermi.
Più divinità conosco e più comprendo
che, alla fine, amano solo loro stesse.
Perciò..”.
“Anche
tu
ami solo te stesso?”.
“Me
stesso
e chi ho vicino. Sinceramente, del resto
dell’umanità me ne sbatto le palle!”.
“Ottimo..”
borbottò Mihael, sarcastico.
“Ma
rispondete alla mia domanda. La mia anima dove andrà, quando
morirò? In quale
regno ultraterreno?”.
“Domanda
difficile..” ghignò l’angelo caduto
“..però, sappilo, io lotterò per avere
la
tua anima! Sarei troppo felice di averti fra le mie schiere come
demone!”.
“Come
se te
lo lasciassi fare!” sibilò Mihael.
“E
come
pensi di impedirmelo?!” lo sfidò Lucifero,
chinandosi sul nipote.
“A
suon di
legnate penso di impedirtelo, diavolo!” fu la risposta.
“Hei,
basta!” li zittì Arles “Non sono ancora
morto!”.
“Parlando
seriamente..” riprese il caduto, incrociando le gambe e
sedendo sul letto del
nipote “..io non credo che ti dovresti preoccupare. Sei un
Dio, gli Dei
invecchiano molto lentamente. Sei un angelo, un guaritore, quindi il
tuo corpo
si rigenera. Sei un Greco, con dei figli avuti con una Romana, che si
sono
risvegliati come Precolombiani. Non voglio anticiparti niente ma..in
questi
giorni mi pare di aver scorto un certo affetto fra il tuo primogenito e
Maya,
l’Indiana. Il tuo gemello è un Egiziano ed i
parenti di tua madre sono angeli.
Detto questo, mi sento di dire che sia un po’ difficile che
qualcuno ti
ammazzi”.
“Eh?”
riuscì solo a dire Arles, non sapendo molte delle cose che
lo zio gli aveva
appena svelato.
“Povero
piccolo, quanto casino in poche settimane, vero? Comunque sono qui per
dirti
che, se vorrai, da me ci sarà sempre lavoro per
te”.
“Vale
lo
stesso per noi angeli del cielo” aggiunse Mihael
“Abbiamo visto quel che hai
fatto. Il sangue di Sophia è in te e saremmo felici di
vederti fra le nostre
truppe”.
“Grazie,
ma
per ora pensavo a qualcosa di più..terreno”
annuì Arles.
“Bene,
in
futuro..”.
“Già,
in
futuro” dissero i due angeli, il caduto ed il capo delle
milizie celesti.
“Ma
per ora
sparite!” interruppe Nadijeshda, entrando nella stanza con
accanto Phobos
“Lasciatelo riposare. Ne riparlerete fra un po’,
ragazzacci!”.
“Ma..un
attimo!” protestò Arles, ricadendo sul letto per
la stanchezza “..che è
successo? La guerra?”.
“Tranquillo”
lo tenne giù Phobos, usando due dita premute sulla fronte
del fratello minore
“Ora ti racconto tutto. Anche se forse dovresti riposare
ancora un po’..”.
“Tu
racconta. Al massimo mi addormento e continui la prossima
volta..”.
“Hem..ok..”.
Ares
si
sentiva decisamente stordito, nonostante fosse trascorsa qualche
settimana
dalla battaglia. Ancora debole, camminava lungo il colonnato,
gustandosi il
sole. Quel Tempio si stava gradatamente svuotando e presto anche lui
sarebbe
partito, assieme ai suoi figli guerrieri. Con la morte di Atena, molti
cavalieri si erano allontanati. Alcuni, come Mur, Shaka ed Aldebaran,
erano
tornati nelle loro terre natie. Altri, come Milo, Deathmask, Shura ed
Aphrodite, avevano deciso di godersi il sospirato congedo e si erano
comprati
delle casette in posti tranquilli. Camus, Aiolos ed Aiolia, assieme a
Kiki come
Sacerdote, avevano preferito rimanere al Tempio per studiare e
proteggerlo. Tolomeo,
Quetzalcoatl, aveva raggiunto l’America, in cerca di altre
divinità del suo
tempo. Assieme a lui, era partita Maya, come sua consorte. Ipazia non
aveva
seguito il fratello ma, come il padre, aveva deciso di esplorare i
dintorni. Ad
Apollo, primogenito di Zeus, erano andate le redini
dell’Olimpo e questo
rendeva felice Ares, liberato di molte responsabilità non
volute.
“Cosa
vedi
di così interessante?” rise poi il Dio, girando
solo di poco la testa.
“Niente”
parlò una donna alata “Mi chiedevo cosa ci avesse
provato mia mamma in te..”.
“Sei
una
delle figlie di Sophia?”.
“Sì.
Sono
Vera”.
“Non
lo so
nemmeno io che cosa ci abbia visto”.
“Io
invece
qualcosa ho capito. Non siete malvagio”.
“Sono
il
Dio della guerra, padre di Paura e Terrore..”.
“Ma
anche
di Eros, l’Amore”.
“Quello
suppongo sia merito di Afrodite..”.
“Chi
lo sa.
Comunque..dovrai tenere d’occhio la mia sorellina
Nadijeshda”.
“A
quello
ci penserà Phobos”.
“Allora
a
te affido il fratellino Arles”.
“Quello
lo
posso fare..”.
“Vera!”
chiamò Mihael “Dobbiamo andare. Lascia perdere
quel pagano”.
“Hei,
angioletto” rise Ares “Un giorno, lo sai, sarai
mitologia pure tu!”.
“Lo
so, non
ti offendere” rise a sua volta Mihael.
“Aspetterò
quel giorno. Quando potrò chiamarti pivellino
perché sarai l’ultimo arrivato”.
“Ti
offrirò
da bere”.
“E
giocheremo a carte”.
“Da
bravi
vecchietti in pensione..”.
“Questa
è
Spartaaaaa!” gridò Deathmask, divertito.
Arles
riconobbe la voce ed interruppe momentaneamente l’allenamento
con Phobos e
Deimos. Con l’elmo con il pennacchio
ed
il vestiario scarso, effettivamente assomigliava ad un tipico spartano
filmico.
Aveva celato le ali, trovandole scomode contro i fratelli.
“Ma
vivi
davvero qui?” storse il naso Aphrodite, guardandosi attorno.
“Benvenuti
al tempio di Ares” ridacchiò Arles, togliendo
l’elmo.
Una
volta
ripresosi, era partito assieme al genitore ed i fratelli e da quel
giorno era
rimasto in Tessaglia, per allenarsi. Quella era la prima volta che
rivedeva i
suoi colleghi cavalieri, dopo molti mesi.
“Ti
vedo
bene, come va?” sorrise Death.
“Passo
le
mie giornate prendendole dai miei fratelli maggiori, non male direi. Ma
pensavo
di partire presto”.
“Partire?
Per dove?”.
“Non
lo so.
Basta partire”.
“Ah,
che
bello” rise Aphrodite “Io aspetto che compaia
Persefone. Tra poco inizia la
primavera!”.
“Bravo,
pesciolino. Al Tempio? Tutto ok?”.
“Non
ne
abbiamo idea” confessò Deathmask “Non ci
passiamo. Però c’è Aiolia, Aiolos e
compagnia bella. Non credo ci sia problemi”.
“Sì,
noi
cavalieri non serviamo finché Atena non rinasce”
aggiunse Pesci.
“Lo
farà,
non dubitate” parlò Arles “Che dite?
Andiamo a farci una birra?”.
Non
riuscì
a sentire la risposta perché Phobos e Deimos, stanchi di
vederlo cianciare, lo
avevano attaccato contemporaneamente, saltandogli addosso e stendendolo.
“Devi
sempre stare all’erta!” rise Deimos.
“Sì,
non si
sa mai cosa può accadere!” sfotté
Phobos.
“Levatevi,
ciccioni!” protestò, divertito, il fratello
piccolo.
Death
ed
Aphro si limitarono ad osservare la scena. Una volta atterrato, Arles
era
diventato il giocattolo dei gemelli più anziani, che
iniziarono a tormentarlo.
“Guanciottine
guanciottose!” stuzzicò Phobos, punzecchiando la
faccia del fratellino.
“Vai
a
cagare” tentò di reagire Arles, che
però era tenuto fermo a suon di solletico e
piccole torture.
Nel
frattempo, Ares era nella sua casa. Udiva il caos che creavano i suoi
figli e
rise. Si stava concedendo un caffè, gentilmente portato da
Death e Aphro. Dopo
pochi istanti di relax però, notò un cosmo
familiare. Quante visite quel
giorno, in un luogo in cui solitamente non compariva anima viva se non
i suoi
eredi! Subito il Dio della guerra storse il naso. Che ci faceva Hades
lì? E
perché con lui c’erano Persefone, Eleonore ed
Ipazia?
“Ciao,
nipote” sorrise Hades.
“Che
cosa
vuoi?” rispose Ares, sospettoso e consapevole che a nessun
Dio veniva in mente
di venirlo a
trovare per puro diletto.
“Devo
parlare a tuo figlio, quello piccolo”.
“Arles?
Scordatelo!”.
“Non
è mica
una richiesta!”.
“Evapora!
Adesso che finalmente pare abbastanza sano di mente e controllato, gli
sventoli
di nuovo davanti la ex moglie?! Smamma!”.
“Oh,
su,
non rompere le palle, ragazzino! Ho altro da fare!”.
“Ti
ricaccio agli inferi a suon di botte, se non te ne vai!”.
“Ma
che
pensi di fare? Moccioso..”.
“Forse
ha
ragione” interruppe Eleonore “Potete andare voi,
sommo Hades, a parlare con
Arles ed io resto qua, in modo che non mi veda. Nemmeno io, lo ammetto,
fremo
all’idea di incontrare di nuovo il suo sguardo”.
“Mia
sposa,
smettila per favore. Persefone non si lamenta!”.
“Torna
a
casa tua!” sbottò Ares, accigliandosi.
“Altrimenti?”.
Il
Dio
della guerra ringhiò, accendendo il suo cosmo rosso e
sfidando Hades.
“Non
farmi
diventare cattivo” si infastidì Hades
“Non preoccuparti. Non farò del male a
qui figli di puttana dei tuoi eredi..”.
“Come
li
hai chiamati?!”.
“Ares!
Andiamo! Vuoi forse negare che Afrodite sia una puttana?! Se la sono
scopati
tutti! Compreso il tuo caro figlio Arles”.
“Mio
figlio
che cosa?!”.
“Buongiorno,
ciccio!”.
“Comunque
non
sono cazzi tuoi! Migra!”.
“Fatti
da
parte!”.
Il
Dio
della guerra non aveva alcuna intenzione di retrocedere e
tentò di colpire lo
zio, che si stupì. Solitamente gli Dei non osavano sfidarlo!
Quanto era strano
Ares quando si cercava di fare del male ai suoi cuccioli! Colpito di
striscio,
il Dio dell’oltretomba rispose subito ed i due iniziarono a
lottare.
“Ma
che
fate?!”esclamò Persefone, mentre zio e nipote
tentavano di strangolarsi a
vicenda.
“Vattene!”
ordinò di nuovo Ares ad Hades e questi, di tutta risposta,
lo scaraventò contro
la parete.
Il
muro si
sgretolò ed il Dio della guerra finì
all’aperto. I figli osservarono il
genitore, stupiti. Poi, dalla polvere, emerse lentamente il Dio
dell’oltretomba, seguito dalle spose e da Ipazia. Phobos e
Deimos lasciarono
andare Arles, che si rialzò.
“Devo
parlare con te” indicò Hades.
“Lascialo
stare, brutto sadico!” ringhiò Ares, ancora in
terra e ricoperto di polvere e
detriti.
“Tranquillo,
padre” sorrise Arles, poco convinto “Non
preoccupatevi sempre per niente”.
“Ma..”.
“Arles,
sono qui per chiedere umilmente la mano di tua figlia Ipazia”
si inchinò
leggermente Hades.
“Ipazia?!”.
“Oh,
papà!”
esclamò la giovane, raggiante “Dì di
sì, per favore! Ti prego!”.
“Beh..”
rimase un po’ sconcertato Arles “..io non posso
rispondere in modo negativo
dinnanzi allo sguardo sognante di mia figlia”.
“È
dunque
un sì?” sorrise Ipazia.
“Certo,
bambina mia. Chi sono io per impedirti di fare qualcosa?”.
“Grazie”
si
inchinò di nuovo Hades.
“Congratulazioni.
E complimenti, Hades. Tutte le donne che conosco, finiscono con
l’avere
qualcosa a che fare con te. Se vuoi, ho anche molte
sorelle..”.
“Noto
il
sarcasmo nella tua voce. Ma non ho finito..”.
“Io
sì”
interruppe Arles “Ho altro da fare, scusate.
Auguri”.
Raccogliendo
l’elmo da terra e fingendo indifferenza, il figlio di Ares
mostrò le spalle al
gruppetto di divinità.
“Dove
pensi
di andare?” ghignò Hades.
“Da
Lucifero. Almeno sono certo che nel suo inferno tu non
compari!”.
“Prima
però
lascia che ti dica una cosa. Prima di conoscere Ipazia, non ero mai
stato amato
veramente. Lei è la prima donna che sceglie me, senza che io
la rapisca o la
inganni”.
“Buon
per
te..”.
“La
mia
dolce Ipazia mi ha fatto capire che significa essere amato per davvero.
Lei
sorride quando mi vede, il suo sguardo brilla. Non è triste,
nostalgica o
malinconica. Ed è questo che voglio vedere d’ora
in poi. E basta”.
Arles
si
fermò, senza però voltarsi. Che stava blaterando?
“Persefone..Eleonore..”
riprese Hades “Siete libere. So che i vostri occhi brillano
quando scorgete il
volto di altri. Nessun rancore, andate pure. L’amore di
Ipazia è tutto ciò che
desidero”.
“Ha..Hades..”
balbettò Persefone, confusa.
“Vai
dal
tuo cavaliere dei Pesci, mia cara. E tu, Eleonore.. Arles! Ti rendo la
tua
sposa! Ho passato splendidi momenti con lei, ma il suo cuore non mi
appartiene”.
Il
figlio
di Ares non rispose e non ebbe il coraggio di girare il capo. Doveva
essere un
sogno, la sua mente doveva aver ceduto!
“Che
stai
dicendo?! È un inganno, forse?” domandò
Ares.
“Nessun
inganno, nipote. Eleonore è libera. Solo una cosa, Arles:
deve sorridere! Se
piangerà, anche solo una volta, per colpa tua..me la
riprenderò. Chiaro?
Girati!”.
Arles
si
voltò lentamente.
“Mi
hai
capito, Dio delle illusioni?” incalzò Hades.
“Sì”
mormorò
il figlio di Ares “Io..ho capito”.
“Và
pure,
mia cara” la incitò il Dio
dell’oltretomba, notando la titubanza di Eleonore.
“Siete
sicuro?” domandò lei “Io..davvero
posso..?”.
“Dai!
Sbrigati!” rise il Dio.
“Eleonore..”
la chiamò piano Arles e lei iniziò a correre,
raggiungendolo ad abbracciandolo
forte “Eleonore! Non è un sogno? Io..”.
“No,
non lo
è. Amore mio..”.
“Siate
felici” si congedò Hades, mentre anche Persefone
raggiungeva Aphrodite.
“Ma
davvero
è reale?” continuò a chiedere Arles.
“Vuoi
un pugno?!”
sbottò Deimos.
“Eleonore..”.
“Dimmi,
Ary” sorrise lei.
“Vuoi
davvero essere ancora mia moglie?”.
“Per
tutta
l’eternità. Camminare al tuo fianco ovunque
andrai”.
“Però..”
interruppe Aphrodite “..questa volta voglio una cerimonia
come si deve! Voglio
farti da testimone!”.
Arles
annuì, senza sapere che altro dire. Lei gli sorrideva, prima
che lui finalmente
la stringesse a sé e la baciasse.
“Vivi
qui?”
domandò poi Eleonore.
“Sì..”.
“Mi
mostri..la tua camera?” sussurrò “Ho
viaggiato a lungo, vorrei riposare”.
“Ma
certo,
vieni”.
Le
stanze
di Arles erano semplici, in netto contrasto con quelle da Gran
Sacerdote in cui
aveva vissuto per anni. Il proprietario accese un paio di candele,
fuori il
sole stava tramontando.
“Non
sarà
un hotel di lusso..” parlò lui “..ma a
me piace”.
“Va
bene
così”.
“Forse
tu,
come regina, sei abituata a..”.
“Va
bene
così!” ripeté lei, ridendo e baciando
di nuovo suo marito.
“Eleonore..”
confessò lui “..perdonami. Non sono romantico,
sentimentale o dolce ma..vorrei
tanto buttarti su quel letto e farti mia fino all’alba di
domani!”.
“Hai
ragione: non sei romantico! Sarò all’altezza?
Dicono che tu abbia fatto sesso
con Afrodite..”.
“Ed
io?
Sarò all’altezza di un Dio con millenni di
esperienza?”.
“Fammi
vedere..”.
Ripresero
a
baciarsi, con sempre più foga e poi lei di fermò.
“Arles..”
mormorò.
“Sì?”.
“Dove
sono
le tue ali?”.
Arles
si
concentrò qualche istante ed esse apparvero sulla schiena
del loro padrone.
Erano molto più grandi rispetto al giorno della battaglia,
pronte per il volo.
“Ti
piacciono?” domandò lui.
“Sì,
sono
bellissime”.
“Ti..eccitano?”
ghignò Arles, stringendola di nuovo a sé.
“Oh,
Ary!
Mostrami come fanno l’amore gli angeli!” gemette
lei, trascinandolo a letto.
Quel
giorno
tirava vento e la cosa non era gradita al figlio di Ares.
“Ma
siamo
sicuri?” alzò un sopracciglio Arles, guardando in
giù.
“Fidati!”
sorrise Lucifero.
“Perché
mai
dovrei fidarmi di te, con quel ghigno malefico sulla
faccia?!”.
“Questo
è
il mio modo di sorridere! Ad ogni modo..muoviti! Non hai nulla da
temere”.
“Sei
sicuro?”.
“Staccati
da quella roccia!”.
Il
figlio
di Ares guardò di nuovo giù. Sospeso nel vuoto,
sotto di sé il crepaccio che
circondava la casa del padre, non si sentiva affatto sicuro.
“Muoviti
o
ti spingo di sotto!” minacciò Lucifero.
“Dai,
cerca
di essere delicato” ridacchiò Nadijeshda.
“Coraggio,
è come volare con l’armatura”
rassicurò Phobos “Credo..”.
“Cosa
ne
sai tu?!” sibilò Arles.
“Prima
o
poi da lì dovrai scendere perciò..apri le ali e
lanciati! Vedrai che agirai d’istinto”
annuì Eros.
“Mi
sento
osservato..” borbottò Arles “E poi
parlare d’istinto a me, che sono malato di
mente, non mi sembra una cosa bella..”.
“Vola,
mio
angelo!” sorrise Eleonore “Voglio vederti
volare!”.
“Ok..ma
non
vuoi vedermi spiaccicato, vero?”.
“Certo
che
no! Ma sono sicura che saprai volare benissimo”.
“Le
tua ali
sono pronte” insistette Lucifero “Hai perso tutto
il piumino tenero e ora è
tempo di spiccare il volo! È una cosa elementare! I piccoli
angeli imparano a
farlo ancora prima di camminare!”.
“Io
non
sono un piccolo putto pacioccoso ma un omone di più di
ottanta chili e la forza
di gravità, che io sappia, adora richiamare verso il
basso!”.
“Muoviti,
ciccione!”.
“Non
sono
ciccione!”.
Lucifero
ghignò di nuovo. Sospeso a mezz’aria, era molto
divertito da quel che stava
accadendo. Arles mosse un piede, mentre sotto di sé alcune
rocce cadevano nel
vuoto.
“Capisco
la
sensazione” lo incoraggiò Phobos.
“E
che hai
fatto per vincerla?”.
“Niente.
Mi
son buttato e basta”.
“Spero,
però, che non atterri come te..” rise Nadijeshda.
“Perché?!
Com’è
atterrato lui?” si allarmò Arles.
“Non
importa!”.
“Come
non
importa?!”.
“Hai
intenzione di stare lì tutto il pomeriggio?!”
incrociò le braccia Lucifero “A
differenza di te, io ho un lavoro, sai? Non posso perdere
tempo!”.
“E
chi ti
dice di stare lì?!” si accigliò il
nipote.
“Ma
su, mi
diverto!”.
“Va
all’inferno!”.
“Dopo,
come
sempre. Tu ora però vola!”.
Arles
sospirò. Poi guardò verso l’alto, dove
Phobos e Nadijeshda si inseguivano
volando.
“È
la stessa
cosa” si disse “Come volare con
l’armatura, stessa cosa”.
Incoraggiato,
anche se non del tutto convinto, da quei pensieri, finalmente si decise
a
compiere un piccolo balzello. Spalancò le ali e subito
percepì l’aria
avvolgerlo e spingerlo verso l’alto. In effetti, era molto
simile a quando
volava con l’armatura ma, in questo caso, le vere ali erano
più sensibili. Percepiva
il vento su di esse ed il calore del sole. Le sbatté un paio
di volte, con il
chiaro intento di raggiungere Lucifero, che però si ritrasse
in fretta.
“Prendimi,
cucciolo!” lo sfidò ed Arles raccolse la sfida,
pur volando in modo ben più
impacciato dello zio.
Si
alzarono
e girarono un paio di volte attorno alla statua di Ares che sorvegliava
il
Tempio del Dio della guerra. Il nipote si posò sul
pennacchio dell’elmo della
statua, non sentendosi ancora pronto a fare strane acrobazie.
“Bravo.
Ora
però scendi” ghignò Lucifero.
Arles
gli
mostrò la lingua e saltò sulla spalla in pietra.
“Non
così!”
lo rimproverò lo zio, ostacolandolo.
“Ma
và via!”
protestò il nipote “Ho volato! Lasciami in
pace!”.
“Sei
uno
scansafatiche!”.
“Non
è
vero!”.
Agitandosi
un
po’ troppo, Arles finì col perdere
l’equilibrio. Ad un passo dalla pavimentazione,
si rigirò avvolto dalle ali e riuscì a riprendere
quota. Lucifero lo fissò con
un mezzo sorriso, chiudendo gli occhi ed annuendo soddisfatto. Dovette
però
riaprirli in fretta perché il nipote stava sfrecciando verso
di lui.
“Ti
levo
quel ghigno dalla faccia, vediamo se ci riesco!”
ghignò a sua volta Arles.
Lucifero
si
voltò e scese in picchiata, poi volando
all’interno delle stanze di Ares. Il Dio
della guerra li vide solo passare, a velocità sostenuta, e
scosse la testa.
“Aspettatemi!”
si unì Phobos, seguito da Eros, Nadijeshda e Deimos.
“Ma
che..?”
alzò un sopracciglio Ares ed Eleonore rise.
“Tuo
marito
è fuori di testa” commentò il Dio.
“Lo
so”
annuì lei “Tutto il suo papà”.
“Hai
ragione, mia cara”.
Steso
a
terra, sfinito, Arles rideva. Eleonore lo raggiunse, scuotendo la testa.
“Ti
diverto, moglie mia?” rise lui.
“Sei
peggio
dei bambini”.
“Ah
sì, è
vero. Ma per gli Dei io sono un bambino!”.
“Che
scuse..dai, alzati”.
“Partiamo,
amor mio?”.
“Partiamo?
Per
dove?”.
“Per
dove
vuoi. Tanto, ovunque andremo, con te al mio fianco io mi
sentirò a casa”.
“Ma..sei
sicuro? Non ti piace qui?”.
“Mi
piace,
ma ho l’eternità davanti! Allora..dove ti
piacerebbe andare?”.
“Non
saprei. Che ne dici dell’Oriente? Non ho mai incontrato
divinità Scintoiste!”.
“Bello”.
“E
ora
alzati, non fare il marmocchio!”.
“Marmocchio?”.
Arles
si
alzò a sedere ed osservò lei, che si allontanava
con i capelli mossi dal vento.
“Eleonore!”
la chiamò e lei si voltò solo leggermente,
cercando di non fasi spettinare
completamente dalle correnti “Eleonore io..ne voglio tanti di
marmocchi! Un piccolo
esercito di marmocchi. E tu?”.
“Da
farne
nascere uno in ogni luogo che visiteremo!” rise lei e Arles
si alzò di scatto,
raggiungendola e stringendola a sé, mentre il vento spargeva
qualche piuma
rossa per il tempio di Ares.