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Autore: SagaFrirry    02/11/2015    1 recensioni
Seguito dell'Olympus Chapter, caricato qualche mese fa e che in principio non doveva avere un seguito. Visti però i numerosi fan (vi voglio bene, davvero) e le richieste..l'Olympus è tornato! Spero sia gradito a chi ha seguito il primo racconto. Inizia il viaggio alla ricerca del senno perduto di Arles!E ovviamente possiamo farci mancare una buona dose di nemici? Certo che no!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gemini Kanon, Gemini Saga, Gold Saints, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Olympus Chapter'
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XXI

VITA

Riaprendo gli occhi, Arles percepì subito il calore del sole sul viso. Girò gli occhi, vedendo degli angeli accanto al letto.

“Sono morto?” mormorò.

“No” rise Lucifero “Però ci sei andato vicino. Ok, sei un guaritore, ma per aiutare tuo padre hai consumato moltissima energia vitale”.

“E lui ora dov’è? Sta bene?”.

“È nella sua stanza. Stanco e malconcio ma, grazie a te, non in pericolo di vita” informò Mihael.

“Che fate voi due qui, se non sto morendo? Che volete?”.

“Niente. Solo sapere che intenzioni hai” rispose Lucifero.

“In che senso? Che intenzioni dovrei avere?”.

“Sei un angelo, un Dio, un Greco, un guaritore..che pensi di fare? Cosa pensi di essere?”.

“Chi sono io? È questo quel che mi stai chiedendo?”.

“Domanda già sentita, dico bene?”.

“Già. Ma, ad ogni modo, ora so la risposta”.

“Davvero?”.

“Io sono io. Sono unico ed irripetibile e così devo rimanere. Perché scegliere? Perché limitarsi? Sono stato in Egitto, dopo una vita da Greco, ed in pochi giorni ho conosciuto religioni di tutto il Mondo. Indiani, Precolombiani, Monoteisti, Greci, Romani, Egizi..come faccio a sapere che strada è giusto che io prenda? Non lo posso sapere! Ma quel che so è che voglio provare e vedere altro. Voglio andare in alto, vedere di più, conoscere di più. Intanto potrei iniziare spostandomi in Tessaglia, la terra di mio padre, in modo da comprendere almeno quel lato della famiglia. Poi chi lo sa..”.

“Poi potresti venire a trovare me” ghignò Lucifero “Non come anima da torturare, ovviamente. Come ospite..”.

“A questo proposito, dato che siete qui..”.

“Parla pure” lo incitò Mihael.

“Io dove andrò, una volta morto? Intendo dire..non so davvero a chi dovrei rivolgermi. Più divinità conosco e più comprendo che, alla fine, amano solo loro stesse. Perciò..”.

“Anche tu ami solo te stesso?”.

“Me stesso e chi ho vicino. Sinceramente, del resto dell’umanità me ne sbatto le palle!”.

“Ottimo..” borbottò Mihael, sarcastico.

“Ma rispondete alla mia domanda. La mia anima dove andrà, quando morirò? In quale regno ultraterreno?”.

“Domanda difficile..” ghignò l’angelo caduto “..però, sappilo, io lotterò per avere la tua anima! Sarei troppo felice di averti fra le mie schiere come demone!”.

“Come se te lo lasciassi fare!” sibilò Mihael.

“E come pensi di impedirmelo?!” lo sfidò Lucifero, chinandosi sul nipote.

“A suon di legnate penso di impedirtelo, diavolo!” fu la risposta.

“Hei, basta!” li zittì Arles “Non sono ancora morto!”.

“Parlando seriamente..” riprese il caduto, incrociando le gambe e sedendo sul letto del nipote “..io non credo che ti dovresti preoccupare. Sei un Dio, gli Dei invecchiano molto lentamente. Sei un angelo, un guaritore, quindi il tuo corpo si rigenera. Sei un Greco, con dei figli avuti con una Romana, che si sono risvegliati come Precolombiani. Non voglio anticiparti niente ma..in questi giorni mi pare di aver scorto un certo affetto fra il tuo primogenito e Maya, l’Indiana. Il tuo gemello è un Egiziano ed i parenti di tua madre sono angeli. Detto questo, mi sento di dire che sia un po’ difficile che qualcuno ti ammazzi”.

“Eh?” riuscì solo a dire Arles, non sapendo molte delle cose che lo zio gli aveva appena svelato.

“Povero piccolo, quanto casino in poche settimane, vero? Comunque sono qui per dirti che, se vorrai, da me ci sarà sempre lavoro per te”.

“Vale lo stesso per noi angeli del cielo” aggiunse Mihael “Abbiamo visto quel che hai fatto. Il sangue di Sophia è in te e saremmo felici di vederti fra le nostre truppe”.

“Grazie, ma per ora pensavo a qualcosa di più..terreno” annuì Arles.

“Bene, in futuro..”.

“Già, in futuro” dissero i due angeli, il caduto ed il capo delle milizie celesti.

“Ma per ora sparite!” interruppe Nadijeshda, entrando nella stanza con accanto Phobos “Lasciatelo riposare. Ne riparlerete fra un po’, ragazzacci!”.

“Ma..un attimo!” protestò Arles, ricadendo sul letto per la stanchezza “..che è successo? La guerra?”.

“Tranquillo” lo tenne giù Phobos, usando due dita premute sulla fronte del fratello minore “Ora ti racconto tutto. Anche se forse dovresti riposare ancora un po’..”.

“Tu racconta. Al massimo mi addormento e continui la prossima volta..”.

“Hem..ok..”.

 

Ares si sentiva decisamente stordito, nonostante fosse trascorsa qualche settimana dalla battaglia. Ancora debole, camminava lungo il colonnato, gustandosi il sole. Quel Tempio si stava gradatamente svuotando e presto anche lui sarebbe partito, assieme ai suoi figli guerrieri. Con la morte di Atena, molti cavalieri si erano allontanati. Alcuni, come Mur, Shaka ed Aldebaran, erano tornati nelle loro terre natie. Altri, come Milo, Deathmask, Shura ed Aphrodite, avevano deciso di godersi il sospirato congedo e si erano comprati delle casette in posti tranquilli. Camus, Aiolos ed Aiolia, assieme a Kiki come Sacerdote, avevano preferito rimanere al Tempio per studiare e proteggerlo. Tolomeo, Quetzalcoatl, aveva raggiunto l’America, in cerca di altre divinità del suo tempo. Assieme a lui, era partita Maya, come sua consorte. Ipazia non aveva seguito il fratello ma, come il padre, aveva deciso di esplorare i dintorni. Ad Apollo, primogenito di Zeus, erano andate le redini dell’Olimpo e questo rendeva felice Ares, liberato di molte responsabilità non volute.

“Cosa vedi di così interessante?” rise poi il Dio, girando solo di poco la testa.

“Niente” parlò una donna alata “Mi chiedevo cosa ci avesse provato mia mamma in te..”.

“Sei una delle figlie di Sophia?”.

“Sì. Sono Vera”.

“Non lo so nemmeno io che cosa ci abbia visto”.

“Io invece qualcosa ho capito. Non siete malvagio”.

“Sono il Dio della guerra, padre di Paura e Terrore..”.

“Ma anche di Eros, l’Amore”.

“Quello suppongo sia merito di Afrodite..”.

“Chi lo sa. Comunque..dovrai tenere d’occhio la mia sorellina Nadijeshda”.

“A quello ci penserà Phobos”.

“Allora a te affido il fratellino Arles”.

“Quello lo posso fare..”.

“Vera!” chiamò Mihael “Dobbiamo andare. Lascia perdere quel pagano”.

“Hei, angioletto” rise Ares “Un giorno, lo sai, sarai mitologia pure tu!”.

“Lo so, non ti offendere” rise a sua volta Mihael.

“Aspetterò quel giorno. Quando potrò chiamarti pivellino perché sarai l’ultimo arrivato”.

“Ti offrirò da bere”.

“E giocheremo a carte”.

“Da bravi vecchietti in pensione..”.

 

“Questa è Spartaaaaa!” gridò Deathmask, divertito.

Arles riconobbe la voce ed interruppe momentaneamente l’allenamento con Phobos e Deimos. Con l’elmo con il pennacchio  ed il vestiario scarso, effettivamente assomigliava ad un tipico spartano filmico. Aveva celato le ali, trovandole scomode contro i fratelli.

“Ma vivi davvero qui?” storse il naso Aphrodite, guardandosi attorno.

“Benvenuti al tempio di Ares” ridacchiò Arles, togliendo l’elmo.

Una volta ripresosi, era partito assieme al genitore ed i fratelli e da quel giorno era rimasto in Tessaglia, per allenarsi. Quella era la prima volta che rivedeva i suoi colleghi cavalieri, dopo molti mesi.

“Ti vedo bene, come va?” sorrise Death.

“Passo le mie giornate prendendole dai miei fratelli maggiori, non male direi. Ma pensavo di partire presto”.

“Partire? Per dove?”.

“Non lo so. Basta partire”.

“Ah, che bello” rise Aphrodite “Io aspetto che compaia Persefone. Tra poco inizia la primavera!”.

“Bravo, pesciolino. Al Tempio? Tutto ok?”.

“Non ne abbiamo idea” confessò Deathmask “Non ci passiamo. Però c’è Aiolia, Aiolos e compagnia bella. Non credo ci sia problemi”.

“Sì, noi cavalieri non serviamo finché Atena non rinasce” aggiunse Pesci.

“Lo farà, non dubitate” parlò Arles “Che dite? Andiamo a farci una birra?”.

Non riuscì a sentire la risposta perché Phobos e Deimos, stanchi di vederlo cianciare, lo avevano attaccato contemporaneamente, saltandogli addosso e stendendolo.

“Devi sempre stare all’erta!” rise Deimos.

“Sì, non si sa mai cosa può accadere!” sfotté Phobos.

“Levatevi, ciccioni!” protestò, divertito, il fratello piccolo.

Death ed Aphro si limitarono ad osservare la scena. Una volta atterrato, Arles era diventato il giocattolo dei gemelli più anziani, che iniziarono a tormentarlo.

“Guanciottine guanciottose!” stuzzicò Phobos, punzecchiando la faccia del fratellino.

“Vai a cagare” tentò di reagire Arles, che però era tenuto fermo a suon di solletico e piccole torture.

Nel frattempo, Ares era nella sua casa. Udiva il caos che creavano i suoi figli e rise. Si stava concedendo un caffè, gentilmente portato da Death e Aphro. Dopo pochi istanti di relax però, notò un cosmo familiare. Quante visite quel giorno, in un luogo in cui solitamente non compariva anima viva se non i suoi eredi! Subito il Dio della guerra storse il naso. Che ci faceva Hades lì? E perché con lui c’erano Persefone, Eleonore ed Ipazia?

“Ciao, nipote” sorrise Hades.

“Che cosa vuoi?” rispose Ares, sospettoso e consapevole che a nessun Dio veniva in mente di  venirlo a trovare per puro diletto.

“Devo parlare a tuo figlio, quello piccolo”.

“Arles? Scordatelo!”.

“Non è mica una richiesta!”.

“Evapora! Adesso che finalmente pare abbastanza sano di mente e controllato, gli sventoli di nuovo davanti la ex moglie?! Smamma!”.

“Oh, su, non rompere le palle, ragazzino! Ho altro da fare!”.

“Ti ricaccio agli inferi a suon di botte, se non te ne vai!”.

“Ma che pensi di fare? Moccioso..”.

“Forse ha ragione” interruppe Eleonore “Potete andare voi, sommo Hades, a parlare con Arles ed io resto qua, in modo che non mi veda. Nemmeno io, lo ammetto, fremo all’idea di incontrare di nuovo il suo sguardo”.

“Mia sposa, smettila per favore. Persefone non si lamenta!”.

“Torna a casa tua!” sbottò Ares, accigliandosi.

“Altrimenti?”.

Il Dio della guerra ringhiò, accendendo il suo cosmo rosso e sfidando Hades.

“Non farmi diventare cattivo” si infastidì Hades “Non preoccuparti. Non farò del male a qui figli di puttana dei tuoi eredi..”.

“Come li hai chiamati?!”.

“Ares! Andiamo! Vuoi forse negare che Afrodite sia una puttana?! Se la sono scopati tutti! Compreso il tuo caro figlio Arles”.

“Mio figlio che cosa?!”.

“Buongiorno, ciccio!”.

“Comunque non sono cazzi tuoi! Migra!”.

“Fatti da parte!”.

Il Dio della guerra non aveva alcuna intenzione di retrocedere e tentò di colpire lo zio, che si stupì. Solitamente gli Dei non osavano sfidarlo! Quanto era strano Ares quando si cercava di fare del male ai suoi cuccioli! Colpito di striscio, il Dio dell’oltretomba rispose subito ed i due iniziarono a lottare.

“Ma che fate?!”esclamò Persefone, mentre zio e nipote tentavano di strangolarsi a vicenda.

“Vattene!” ordinò di nuovo Ares ad Hades e questi, di tutta risposta, lo scaraventò contro la parete.

Il muro si sgretolò ed il Dio della guerra finì all’aperto. I figli osservarono il genitore, stupiti. Poi, dalla polvere, emerse lentamente il Dio dell’oltretomba, seguito dalle spose e da Ipazia. Phobos e Deimos lasciarono andare Arles, che si rialzò.

“Devo parlare con te” indicò Hades.

“Lascialo stare, brutto sadico!” ringhiò Ares, ancora in terra e ricoperto di polvere e detriti.

“Tranquillo, padre” sorrise Arles, poco convinto “Non preoccupatevi sempre per niente”.

“Ma..”.

“Arles, sono qui per chiedere umilmente la mano di tua figlia Ipazia” si inchinò leggermente Hades.

“Ipazia?!”.

“Oh, papà!” esclamò la giovane, raggiante “Dì di sì, per favore! Ti prego!”.

“Beh..” rimase un po’ sconcertato Arles “..io non posso rispondere in modo negativo dinnanzi allo sguardo sognante di mia figlia”.

“È dunque un sì?” sorrise Ipazia.

“Certo, bambina mia. Chi sono io per impedirti di fare qualcosa?”.

“Grazie” si inchinò di nuovo Hades.

“Congratulazioni. E complimenti, Hades. Tutte le donne che conosco, finiscono con l’avere qualcosa a che fare con te. Se vuoi, ho anche molte sorelle..”.

“Noto il sarcasmo nella tua voce. Ma non ho finito..”.

“Io sì” interruppe Arles “Ho altro da fare, scusate. Auguri”.

Raccogliendo l’elmo da terra e fingendo indifferenza, il figlio di Ares mostrò le spalle al gruppetto di divinità.

“Dove pensi di andare?” ghignò Hades.

“Da Lucifero. Almeno sono certo che nel suo inferno tu non compari!”.

“Prima però lascia che ti dica una cosa. Prima di conoscere Ipazia, non ero mai stato amato veramente. Lei è la prima donna che sceglie me, senza che io la rapisca o la inganni”.

“Buon per te..”.

“La mia dolce Ipazia mi ha fatto capire che significa essere amato per davvero. Lei sorride quando mi vede, il suo sguardo brilla. Non è triste, nostalgica o malinconica. Ed è questo che voglio vedere d’ora in poi. E basta”.

Arles si fermò, senza però voltarsi. Che stava blaterando?

“Persefone..Eleonore..” riprese Hades “Siete libere. So che i vostri occhi brillano quando scorgete il volto di altri. Nessun rancore, andate pure. L’amore di Ipazia è tutto ciò che desidero”.

“Ha..Hades..” balbettò Persefone, confusa.

“Vai dal tuo cavaliere dei Pesci, mia cara. E tu, Eleonore.. Arles! Ti rendo la tua sposa! Ho passato splendidi momenti con lei, ma il suo cuore non mi appartiene”.

Il figlio di Ares non rispose e non ebbe il coraggio di girare il capo. Doveva essere un sogno, la sua mente doveva aver ceduto!

“Che stai dicendo?! È un inganno, forse?” domandò Ares.

“Nessun inganno, nipote. Eleonore è libera. Solo una cosa, Arles: deve sorridere! Se piangerà, anche solo una volta, per colpa tua..me la riprenderò. Chiaro? Girati!”.

Arles si voltò lentamente.

“Mi hai capito, Dio delle illusioni?” incalzò Hades.

“Sì” mormorò il figlio di Ares “Io..ho capito”.

“Và pure, mia cara” la incitò il Dio dell’oltretomba, notando la titubanza di Eleonore.

“Siete sicuro?” domandò lei “Io..davvero posso..?”.

“Dai! Sbrigati!” rise il Dio.

“Eleonore..” la chiamò piano Arles e lei iniziò a correre, raggiungendolo ad abbracciandolo forte “Eleonore! Non è un sogno? Io..”.

“No, non lo è. Amore mio..”.

“Siate felici” si congedò Hades, mentre anche Persefone raggiungeva Aphrodite.

“Ma davvero è reale?” continuò a chiedere Arles.

“Vuoi un pugno?!” sbottò Deimos.

“Eleonore..”.

“Dimmi, Ary” sorrise lei.

“Vuoi davvero essere ancora mia moglie?”.

“Per tutta l’eternità. Camminare al tuo fianco ovunque andrai”.

“Però..” interruppe Aphrodite “..questa volta voglio una cerimonia come si deve! Voglio farti da testimone!”.

Arles annuì, senza sapere che altro dire. Lei gli sorrideva, prima che lui finalmente la stringesse a sé e la baciasse.

“Vivi qui?” domandò poi Eleonore.

“Sì..”.

“Mi mostri..la tua camera?” sussurrò “Ho viaggiato a lungo, vorrei riposare”.

“Ma certo, vieni”.

Le stanze di Arles erano semplici, in netto contrasto con quelle da Gran Sacerdote in cui aveva vissuto per anni. Il proprietario accese un paio di candele, fuori il sole stava tramontando.

“Non sarà un hotel di lusso..” parlò lui “..ma a me piace”.

“Va bene così”.

“Forse tu, come regina, sei abituata a..”.

“Va bene così!” ripeté lei, ridendo e baciando di nuovo suo marito.

“Eleonore..” confessò lui “..perdonami. Non sono romantico, sentimentale o dolce ma..vorrei tanto buttarti su quel letto e farti mia fino all’alba di domani!”.

“Hai ragione: non sei romantico! Sarò all’altezza? Dicono che tu abbia fatto sesso con Afrodite..”.

“Ed io? Sarò all’altezza di un Dio con millenni di esperienza?”.

“Fammi vedere..”.

Ripresero a baciarsi, con sempre più foga e poi lei di fermò.

“Arles..” mormorò.

“Sì?”.

“Dove sono le tue ali?”.

Arles si concentrò qualche istante ed esse apparvero sulla schiena del loro padrone. Erano molto più grandi rispetto al giorno della battaglia, pronte per il volo.

“Ti piacciono?” domandò lui.

“Sì, sono bellissime”.

“Ti..eccitano?” ghignò Arles, stringendola di nuovo a sé.

“Oh, Ary! Mostrami come fanno l’amore gli angeli!” gemette lei, trascinandolo a letto.

 

Quel giorno tirava vento e la cosa non era gradita al figlio di Ares.

“Ma siamo sicuri?” alzò un sopracciglio Arles, guardando in giù.

“Fidati!” sorrise Lucifero.

“Perché mai dovrei fidarmi di te, con quel ghigno malefico sulla faccia?!”.

“Questo è il mio modo di sorridere! Ad ogni modo..muoviti! Non hai nulla da temere”.

“Sei sicuro?”.

“Staccati da quella roccia!”.

Il figlio di Ares guardò di nuovo giù. Sospeso nel vuoto, sotto di sé il crepaccio che circondava la casa del padre, non si sentiva affatto sicuro.

“Muoviti o ti spingo di sotto!” minacciò Lucifero.

“Dai, cerca di essere delicato” ridacchiò Nadijeshda.

“Coraggio, è come volare con l’armatura” rassicurò Phobos “Credo..”.

“Cosa ne sai tu?!” sibilò Arles.

“Prima o poi da lì dovrai scendere perciò..apri le ali e lanciati! Vedrai che agirai d’istinto” annuì Eros.

“Mi sento osservato..” borbottò Arles “E poi parlare d’istinto a me, che sono malato di mente, non mi sembra una cosa bella..”.

“Vola, mio angelo!” sorrise Eleonore “Voglio vederti volare!”.

“Ok..ma non vuoi vedermi spiaccicato, vero?”.

“Certo che no! Ma sono sicura che saprai volare benissimo”.

“Le tua ali sono pronte” insistette Lucifero “Hai perso tutto il piumino tenero e ora è tempo di spiccare il volo! È una cosa elementare! I piccoli angeli imparano a farlo ancora prima di camminare!”.

“Io non sono un piccolo putto pacioccoso ma un omone di più di ottanta chili e la forza di gravità, che io sappia, adora richiamare verso il basso!”.

“Muoviti, ciccione!”.

“Non sono ciccione!”.

Lucifero ghignò di nuovo. Sospeso a mezz’aria, era molto divertito da quel che stava accadendo. Arles mosse un piede, mentre sotto di sé alcune rocce cadevano nel vuoto.

“Capisco la sensazione” lo incoraggiò Phobos.

“E che hai fatto per vincerla?”.

“Niente. Mi son buttato e basta”.

“Spero, però, che non atterri come te..” rise Nadijeshda.

“Perché?! Com’è atterrato lui?” si allarmò Arles.

“Non importa!”.

“Come non importa?!”.

“Hai intenzione di stare lì tutto il pomeriggio?!” incrociò le braccia Lucifero “A differenza di te, io ho un lavoro, sai? Non posso perdere tempo!”.

“E chi ti dice di stare lì?!” si accigliò il nipote.

“Ma su, mi diverto!”.

“Va all’inferno!”.

“Dopo, come sempre. Tu ora però vola!”.

Arles sospirò. Poi guardò verso l’alto, dove Phobos e Nadijeshda si inseguivano volando.

“È la stessa cosa” si disse “Come volare con l’armatura, stessa cosa”.

Incoraggiato, anche se non del tutto convinto, da quei pensieri, finalmente si decise a compiere un piccolo balzello. Spalancò le ali e subito percepì l’aria avvolgerlo e spingerlo verso l’alto. In effetti, era molto simile a quando volava con l’armatura ma, in questo caso, le vere ali erano più sensibili. Percepiva il vento su di esse ed il calore del sole. Le sbatté un paio di volte, con il chiaro intento di raggiungere Lucifero, che però si ritrasse in fretta.

“Prendimi, cucciolo!” lo sfidò ed Arles raccolse la sfida, pur volando in modo ben più impacciato dello zio.

Si alzarono e girarono un paio di volte attorno alla statua di Ares che sorvegliava il Tempio del Dio della guerra. Il nipote si posò sul pennacchio dell’elmo della statua, non sentendosi ancora pronto a fare strane acrobazie.

“Bravo. Ora però scendi” ghignò Lucifero.

Arles gli mostrò la lingua e saltò sulla spalla in pietra.

“Non così!” lo rimproverò lo zio, ostacolandolo.

“Ma và via!” protestò il nipote “Ho volato! Lasciami in pace!”.

“Sei uno scansafatiche!”.

“Non è vero!”.

Agitandosi un po’ troppo, Arles finì col perdere l’equilibrio. Ad un passo dalla pavimentazione, si rigirò avvolto dalle ali e riuscì a riprendere quota. Lucifero lo fissò con un mezzo sorriso, chiudendo gli occhi ed annuendo soddisfatto. Dovette però riaprirli in fretta perché il nipote stava sfrecciando verso di lui.

“Ti levo quel ghigno dalla faccia, vediamo se ci riesco!” ghignò a sua volta Arles.

Lucifero si voltò e scese in picchiata, poi volando all’interno delle stanze di Ares. Il Dio della guerra li vide solo passare, a velocità sostenuta, e scosse la testa.

“Aspettatemi!” si unì Phobos, seguito da Eros, Nadijeshda e Deimos.

“Ma che..?” alzò un sopracciglio Ares ed Eleonore rise.

“Tuo marito è fuori di testa” commentò il Dio.

“Lo so” annuì lei “Tutto il suo papà”.

“Hai ragione, mia cara”.

 

Steso a terra, sfinito, Arles rideva. Eleonore lo raggiunse, scuotendo la testa.

“Ti diverto, moglie mia?” rise lui.

“Sei peggio dei bambini”.

“Ah sì, è vero. Ma per gli Dei io sono un bambino!”.

“Che scuse..dai, alzati”.

“Partiamo, amor mio?”.

“Partiamo? Per dove?”.

“Per dove vuoi. Tanto, ovunque andremo, con te al mio fianco io mi sentirò a casa”.

“Ma..sei sicuro? Non ti piace qui?”.

“Mi piace, ma ho l’eternità davanti! Allora..dove ti piacerebbe andare?”.

“Non saprei. Che ne dici dell’Oriente? Non ho mai incontrato divinità Scintoiste!”.

“Bello”.

“E ora alzati, non fare il marmocchio!”.

“Marmocchio?”.

Arles si alzò a sedere ed osservò lei, che si allontanava con i capelli mossi dal vento.

“Eleonore!” la chiamò e lei si voltò solo leggermente, cercando di non fasi spettinare completamente dalle correnti “Eleonore io..ne voglio tanti di marmocchi! Un piccolo esercito di marmocchi. E tu?”.

“Da farne nascere uno in ogni luogo che visiteremo!” rise lei e Arles si alzò di scatto, raggiungendola e stringendola a sé, mentre il vento spargeva qualche piuma rossa per il tempio di Ares.

   
 
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