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Autore: Dolce Naufragar    02/11/2015    0 recensioni
"Le lacrime mi salivano facilmente agli occhi al pensiero che anche il mio ultimo punto di riferimento, lui, fosse andato perduto.
E mi sentivo così colpevole... Dio, se mi sentivo colpevole!
Come avevo fatto a non rendermi conto del suo disagio interiore? Come avevo potuto non accorgermi che dietro ai suoi candidi sorrisi si celava un timore che lo tormentava di continuo?"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia batte incessantemente sul vetro della finestra attraverso cui contemplo oziosamente la strada davanti al palazzo. Lo scroscio dell’acqua costituisce per me una melodia malinconica quanto rilassante.
Alle volte mi siedo sui gradini del pianerottolo per godere di quest’atmosfera quasi lirica, con l’inebriante profumo della pioggia che mi solletica piacevolmente le narici.
Una volta in particolare, rammento di esser stato un’intera giornata a far sì che la mia mente vagasse senza limiti, perdendosi insieme alle deliziose gocce di pioggia primaverile. Avevo chiuso gli occhi e, cullato dal melodioso canto della pioggia, avevo pensato a lui, che troppo presto mi ha abbandonato, lasciandomi solo a lottare contro il pregiudizio degli altri.
Non avevo mai sospettato che l’omofobia costituisse per lui un problema tanto grande. Ero io, piuttosto, ad essere fortemente condizionato dal giudizio altrui.
Tuttavia, in qualche modo, sapevo in partenza che pochi (e a ragione) avrebbero creduto che fossimo semplici amici che condividevano un appartamento a causa dei costi elevati del campus.
Ciononostante, mai ho avuto ripensamenti su questo punto: mi piaceva condividere con lui l’appartamento, mi piaceva averlo sempre intorno.
In fondo, mi tempestava di baci appena poteva.
Certo, le nostre sessioni di studio dovevano spesso essere interrotte a causa delle voglie reciproche, ma questo non mi poteva che rendere felice. E poi faceva sempre il possibile per aiutarmi, conciliando la preparazione ai suoi esami con i miei.
Entrambi frequentavamo l’Università, anche se lui era due anni più avanti di me e studiava francese ed inglese presso la facoltà di Lingue e Letterature Straniere. Io ero al primo anno di Lettere e, nonostante la divergenza degli studi, faceva sempre il possibile per aiutarmi con la preparazione agli esami.
Dal canto mio, mi affascinava ascoltarlo parlare di letteratura inglese. Prima di tutto perché interessava anche a me, e poi perché quando ne parlava gli s’illuminavano gli occhi.
Di persone come lui ne ho conosciute ben poche; sotto qualsiasi aspetto, devo dire, ma sotto questo in particolare: nutriva nei confronti delle letterature delle lingue che studiava un amore profondo, fuori dal comune.
Molte volte, scherzando, gli chiedevo se amasse più me o i suoi libri.
Il nostro era un amore languido, quello tra lui e i suoi studi era sincero ed incondizionato. Non che anche il nostro non si potesse definire tale, ma il discorso è diverso.
Nessuno può dire di aver incontrato una persona veramente appassionata ai propri interessi senza aver fatto la sua conoscenza.
Era anche per questo che lo amavo. Oltre ad essere un amante, era un insegnante paziente. Era un padre.
Aveva saputo colmare una mia grandissima mancanza, dandomi tutto l’affetto e l’amore che non avevo ricevuto in passato a causa della morte prematura dei miei genitori. Un incidente stradale mi ha privato in tenera età di due figure che dovrebbero essere un diritto naturale di ogni bambino.
Le lacrime mi salivano facilmente agli occhi al pensiero che anche il mio ultimo punto di riferimento, lui, fosse andato perduto.
E mi sentivo così colpevole... Dio, se mi sentivo colpevole!
Come avevo fatto a non rendermi conto del suo disagio interiore? Come avevo potuto non accorgermi che dietro ai suoi candidi sorrisi si celava un timore che lo tormentava di continuo?
Mi aveva detto che da tempo i suoi familiari erano al corrente della sua tendenza omosessuale, ma non era così.
Temeva la loro reazione, che di fatto non ha potuto sopportare, in quanto negativa.
Era troppo sensibile e fragile per riuscire a tener testa all’ottusità dei suoi genitori. La loro chiusura mentale l’ha portato alla rovina, spingendolo a compiere il gesto estremo che ha compiuto.
Quando voglio parlargli mi reco al cimitero, dove l’hanno sepolto malgrado fosse un suicida. Del resto, non avrebbero potuto fare altrimenti: ha sempre professato la propria fede nonostante il suo orientamento sessuale, credendo con fervore nell’Altissimo.
Devo dire che questa sua religiosità mi lasciava perplesso, pur affascinandomi e, in qualche modo, coinvolgendomi.
Insomma, la mia vita fino ad allora non era stata segnata da episodi troppo felici, ragion per cui non avevo mai seriamente preso in considerazione di aver fede in “qualcosa”. Eppure lui aveva saputo farmi ricredere.
Perso in queste riflessioni, sovente mi ritrovo ad osservare le gocce d’acqua cadere dal cielo.
E, dal nulla, talvolta decido di scrivergli.
Spesso senza una ragione precisa: come sfogo, per sentirlo più vicino, per raccontargli un episodio saliente del dì.
Una volta, però, ho sentito di volergli scrivere con un chiaro obiettivo
: esternargli tutto il risentimento che non avrei dovuto provare (ma che provavo) nei suoi confronti. Io, che l’amavo più di quanto fossi mai stato amato, ero arrivato ad odiarlo.
In me albergavano sentimenti contrastanti verso di lui in quel momento di fragilità in cui gli ho scritto una lettera, che conservo nonostante gli anni e i miei propositi di stracciarla: da me viene ancor oggi ritenuta una blasfemia alla sua memoria.
I miei anni m’impediscono di leggere con chiarezza la calligrafia di quando ero un giovane laureando, ma sforzandomi riesco ancora a distinguere abbastanza nitidamente le parole.
 
Mio amatissimo,
ti scrivo perché non ne posso più.
Ebbene sì, è questa la verità: vorrei chiudere gli occhi ed annientare tutto il resto. Tuttavia, non compirò il tuo stesso gesto; il suicidio non è una soluzione ai propri problemi, è utopia. Tu hai scelto di toglierti la vita per porre fine alle tue sofferenze, senza tener conto del fatto che questo tuo gesto avrebbe accentuato le mie.
Il suicidio è l’atto più egoista che tu abbia mai compiuto, perché non hai preso una decisione che ha interessato solo te, ne hai presa una che ha irrimediabilmente segnato anche la mia esistenza.
Sapevi quanto ti amassi. Sapevi quanto significasse il tuo amore per me.
Ed io, ora, ho bisogno di capire se hai pensato alle conseguenze del tuo gesto sulla mia vita. La mia ormai misera, vuota esistenza.
Se l’hai fatto, come ha potuto anche solo lontanamente accarezzarti l’idea che io potessi continuare a stare in piedi dignitosamente?
Non so se fossi lucido o sotto effetto di stupefacenti, non l’ho voluto sapere.
I tuoi genitori, che adesso non mi maledicono più ma mi accolgono in casa loro come un figlio, mi hanno dato la possibilità di scegliere personalmente se sottoporre il tuo corpo ad un’autopsia per definire questo punto.
Non ho acconsentito, perché sapevo che non avresti permesso che il tuo corpo, il tuo bellissimo corpo, venisse violato da terzi. L’hai fatto violare solo a me, non è vero?
Dimmi che sei stato mio, dimmi che le lacrime che ora impregnano la carta su cui scrivo queste righe hanno ragione di essere versate.
Avevi tanti progetti per il futuro, tanti sogni… primo fra tutti, volevi portarmi a Parigi.
Amore mio, oramai non è possibile. Sappi che non ci andrò mai, non voglio vedere gli scenari delle nostre poesie senza di te.
Gli ultimi versi di Prévert che mi hai dedicato parlano proprio di Parigi, lo sai. Ma permettimi di farti un appunto: per me non hai saputo interpretare correttamente i versi di quella poesia; che recita:
 
Tre fiammiferi accesi uno ad uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vedere i tuoi occhi
L'ultimo per vedere la tua bocca
E l'oscurità completa per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo a me tra le mie braccia

Ogni amore, anche se tormentato, regala attimi di gioia che restano impressi nella memoria e nel cuore degli innamorati, perché semplici effusioni affettuose fanno sì che piccoli amori diventino immensi.
Il buio che serve per ricordare non è il buio che hai cercato e, ahimè, trovato tu. Non hai tenuto in considerazione l’ultimo verso.
La poesia, con cui pensavi di giustificarti, non spiega in alcun modo il tuo gesto, perché adesso non mi puoi più stringere fra le tue braccia.
I tuoi abbracci non mi possono più raggiungere.
Amore mio, perché non hai capito che il nostro buio, lo stesso di cui parla la poesia, era il sonno che scioglieva le nostre menti dopo esserci amati per tutta la notte?
Ci adagiavamo stancamente sul letto, avvinghiati, ed a quel punto il buio della stanza faceva sì che non dimenticassimo la tenerezza, la passione, l’amore che ci avevano uniti in maniera tanto sublime.
Se chiudo gli occhi, quindi, dovrei ricordarmi la sensazione della tua pelle sulla mia. Ma se chiudo gli occhi mi figuro la lugubre immagine della terra che, gettata sulla tua lapide, è bastata per porre fine alla tua vita. Ed alla mia.
Tuo amato
 
Ricordo che al termine della redazione della lettera avevo poggiato la penna sul tavolo e pianto disperatamente. Piangevo con la consapevolezza, forse, che ci saremmo rivisti, perché le strade si ricongiungessero e potessimo farci nuovamente da guida l’uno per l’altro. Nessuno dei due, questa volta, si sarebbe dovuto smarrire.
E adesso che le rughe mi raggrinziscono il volto, adesso che non dovrei più esser così sensibile ai pensieri di tanti anni fa, poggio la lettera sul tavolo e piango disperatamente.
Piango con la consapevolezza, forse, che a breve ci rivedremo.
 
“Quando si risveglierà il tuo martirio, e lo spirito sarà vinto dalla passione, io ti verrò dietro per sostenerti in mezzo al cammino e per guidarti, se ti smarrirai, alla mia casa; ma ti verrò dietro tacitamente per lasciarti libero almeno il conforto del pianto.”

Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis
 
   
 
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